Introduzione
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3
I IN NT TR RO OD DU UZ ZI IO ON NE E
Dalla grave crisi economica mondiale del 2001, l’economia italiana
sta attraversando un periodo di difficoltà a livello economico e
commerciale. Tuttavia, è importante sottolineare che tale situazione
potrebbe involvere maggiormente, non considerando il fatto che
attualmente un euro “forte” sul dollaro rende le nostre importazioni e i
nostri approvvigionamenti meno costosi.
Il 2006 è iniziato in maniera alquanto positiva, il contributo
dell’aumento delle nostre esportazioni sulla ripresa dell’economia
italiana è stato determinante. Questa inversione di tendenza rispetto agli
ultimi anni, potrebbe in qualche modo dipendere dal fatto che i nostri
imprenditori, le nostre imprese e, più in generale gli operatori economici,
stiano manifestando una chiara intenzione nel procedere ad una
riorganizzazione delle strutture produttive al fine di sfruttare i vantaggi
comparati del nostro Paese rispetto agli altri. Occorre considerare che la
strada verso una completa “rinascita” della nostra economia è lunga, e
che i fattori che hanno caratterizzato questa fase di difficoltà, in gran
parte, resteranno tali anche nel prossimo futuro.
Il presente lavoro ha l’obiettivo di approfondire tali temi al fine di
dare un modesto contributo all’ampio e variegato dibattito in corso sul
tema della crisi di competitività che investe l’industria italiana. Il quesito
di fondo che ho voluto pormi in queste pagine è se il rallentamento
Introduzione
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dell’economia italiana, negli ultimi anni, rifletta fenomeni congiunturali,
e quindi di breve periodo, oppure problemi strutturali, la cui dimensione
e i cui effetti si siano aggravati ulteriormente.
Nel primo capitolo ho analizzato la struttura del sistema
manifatturiero italiano, i suoi fattori di successo e i suoi punti di
debolezza, con uno sguardo d’insieme alla performance economica
dell’Italia. Con questa panoramica sul modello distrettuale italiano e la
posizione che occupa il nostro Paese a livello internazionale, si chiude la
prima parte.
Nel secondo capitolo ho voluto racchiudere il tema centrale della
tesi, ossia il nodo della competitività, interrogandomi sulle possibili cause
del ritardo italiano rispetto ai più diretti concorrenti. Continuo l’analisi
prendendo in considerazione le difficoltà incontrate dalle nostre imprese,
con particolare riguardo all’importanza dell’internazionalizzazione e al
ruolo dell’innovazione e, quindi, della necessità di recuperare terreno.
Dopo aver analizzato il ruolo dei fattori più strutturali, nell’ultimo
capitolo, ho ritenuto opportuno interrogarmi sulle strategie di rilancio
dell’economia italiana, indispensabili per non cedere il passo agli altri
Paesi industrializzati e a quelli emergenti. Inoltre, per concludere, una
breve sintesi delle principali caratteristiche della politica pubblica di
sostegno alla ricerca e all’innovazione e un accenno ai possibili
interventi di policy per la ripresa del nostro Paese.
Capitolo Primo
Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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C CA AP PI IT TO OL LO O P PR RI IM MO O
L Le e a ar rc ch hi it te et tt tu ur re e r re et ti ic co ol la ar ri i d di i P PM MI I: :
v va an nt ta ag gg gi i c co om mp pe et ti it ti iv vi i e e s sv va an nt ta ag gg gi i n ne el ll l’ ’e ec co on no om mi ia a g gl lo ob ba al le e
1.1. Il modello di specializzazione produttiva italiano
La specializzazione produttiva di un paese indica la natura dei suoi
“vantaggi comparati”
1
e rappresenta la capacità di scambiare all’estero i
risultati delle proprie attività con ciò che è meno conveniente produrre
sul mercato interno.
I vantaggi competitivi dell’Italia confluiscono in due macro-
raggruppamenti settoriali:
a) settore “tradizionale”: alimentare, tessile e abbigliamento, pelle e
similari, sistema arredo-casa (mobilio, elettrodomestici, materiali
pregiati da costruzione, illuminotecnica in genere). Dato che i relativi
processi produttivi si caratterizzano per l’impiego di tecnologie poco
avanzate, questo gruppo presenta un contenuto tecnologico basso o
medio basso;
1
Secondo le teorie economiche tradizionali il commercio tra paesi e la
specializzazione internazionale derivano dai cosiddetti “vantaggi comparati”. Ogni paese
a seguito di una maggiore disponibilità di alcuni fattori di produzione (ad es.minerali
metalliferi) rispetto ad altri paesi, sarà “relativamente” più avvantaggiato a produrre i beni
dei settori con fattore di produzione più abbondante e a scambiarli con altri paesi in grado
di produrre in maniera più efficiente altri beni.
Capitolo Primo
Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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b) settore a “offerta specializzata”: meccanica strumentale e
componentistica specializzata, entrambe collegate alla produzione
dei suddetti beni di consumo, cantieristica navale e ferroviaria.
L’intensità tecnologica è tipicamente media o medio-alta.
Questi raggruppamenti di prodotti sono il risultato di
un’organizzazione industriale composta da molte imprese in
“concorrenza monopolistica” tra loro destinate a servire mercati di
nicchia altamente specializzati con una certa diversificazione di prodotti
immessi sul mercato attraverso la grande distribuzione”
2
.
Tuttavia l’Italia si caratterizza per una crescente debolezza negli
altri due raggruppamenti settoriali:
a) settore a “elevata intensità di R&S”, generatore d’innovazione
tecnologica necessaria per il resto del sistema (information
technology, computer, chimica, biotecnologie, aeronautica, ecc.);
b) settore a “elevate economie di scala” dominato da grandi imprese
oligopolistiche operanti sui principali mercati (chimica di base,
detergenti-cosmetica, metallurgia, autoveicoli, software, ecc.). Il
contenuto tecnologico è misto, dal medio-alto al medio basso.
Riguardo a questi ultimi due macro-settori l’Italia ha inizialmente
accumulato notevole patrimonio tecnologico poi rapidamente disperso
negli ultimi decenni a causa di fallimentari strategie di crescita e
diversificazione, e nel caso delle partecipazioni statali di una
commistione non sempre trasparente fra politica e governance delle
imprese.
2
F. Onida, Se il piccolo non cresce, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 18.
Capitolo Primo
Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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Nell’analisi dei settori “tradizionali” del Made in Italy è da rilevare
l’importanza delle fasce di mercato molto alte (il “lusso” in tutte le sue
varie accezioni) dove, accanto alle grandi firme che si avvalgono di
dimensioni d’impresa medie o grandi, possono affermarsi con successo
sul mercato anche piccoli produttori di nicchia, grazie ad
un’organizzazione aziendale e commerciale relativamente efficiente e
snella
3
.
Indubbiamente si può affermare che il Made in Italy è la sintesi di
notevole e antica esperienza artigianale nel lavorare e trasformare le
materie prime e dell’incessante ricerca di design raffinato e di innovative
soluzioni nella creazione di modelli produttivi notevolmente variegati e
flessibili
4
.
L’Italia ha dunque un modello di specializzazione a livello
internazionale che presenta una sorta di “anomalia” rispetto alle altre
principali economie industrializzate: forte specializzazione nell’ambito
dei settori “tradizionali” ad alta intensità di manodopera poco qualificata,
buona posizione nei settori della meccanica strumentale e una certa
despecializzazione nei settori high-tech
5
.
La composizione del settore manifatturiero italiano diverge poi da
quella dei principali paesi europei. In particolare, la manifattura
3
Ibidem, p.70.
4
Si pensi ad esempio ai vestiti Armani, alle calzature Della Valle, Rossetti o Geox,
confrontate con quelle Nike, alle lampade Artemide, agli occhiali “griffati” prodotti da
gruppi come Luxottica o Safilo, all’abbigliamento informale di Benetton e alle grandi
firme come Marzotto e Zegna con quello delle catene di abbigliamento standardizzato
americane e asiatiche.
5
G. Galli e L. Paganetto (a cura di), La competitività dell’Italia, Ricerca del
Centro Studi Confindustria, vol.II, Le imprese, Milano, Il Sole 24 Ore Libri, 2002, pp.
455-456.
Capitolo Primo
Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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“tradizionale” italiana si caratterizza per un peso molto elevato (circa 10
punti percentuali) rispetto alla media europea, ma inferiore a quello della
Spagna; viceversa, i settori a “elevata intensità di R&S” e a “elevate
economie di scala” detengono nella nostra struttura industriale un peso
inferiore alla media europea
6
.
Tab. 1. Il peso della manifattura italiana tradizionale è notevolmente sopra la
media europea
tradizionale
Offerta
specializzata
Elevata
intensità di
R&S
Elevate
economie di
scala
Italia 39,9 16,8 9,8 33,5
Germania 23,6 21,5 11,4 43,4
Francia 28,6 11,3 17,8 42,2
Spagna 41,2 10,2 6,6 42,0
UE(a 25) 31,1 14,8 13,4 40,6
Fonte: Elaborazione CSC su dati EUROSTAT, 2005.
Ne segue che la specializzazione settoriale italiana è caratterizzata
da quote più rilevanti detenute sia da settori capital intensive (ad es.
macchine ed apparecchi meccanici, 20% delle esportazioni totali) che da
settori labour intensive (ad es. tessile ed abbigliamento, 20% delle
esportazioni totali). Può essere interessante comprendere come, dal 1991
ad oggi, i settori “tradizionali” del Made in Italy, come tessile-
abbigliamento e pellame, hanno perso quote di mercato: su questo
meccanismo di riduzione ha inciso la liberalizzazione del commercio
internazionale, avvenuta in maniera repentina e talvolta senza rispettare
le regole, e l’agguerrita concorrenza di alcuni paesi emergenti come la
6
Centro Studi Confindustria, Note economiche – Il punto sull’economia italiana
del Centro Studi Confindustria, gennaio 2006, pp. 59-62, http://www.confindustria.it.
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Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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9
Cina, i cui principali settori d’esportazione sono quelli in cui l’economia
italiana è specializzata
7
.
Tab. 2 Specializzazione settoriale (esportazioni italiane nei principali settori di
specializzazione in % delle esportazioni totali)
Settori 1991 1993 1998 2001 2004
Tessile e abbigliamento 12,5 12,2 11,4 10,8 9,9
Cuoio, pelli e calzature 5,8 5,7 5,2 5,5 4,8
Chimica 7,2 7,7 8,4 9,7 10,0
Metalli, prod. in met. 8,7 8,9 8,6 8,3 9,9
Macchine e app. mecc. 20,4 20,3 21,1 20,3 21,0
Macchine elettriche,
elettroniche, ottiche
10,0 10,3 9,9 10,4 9,2
Mezzi di trasporto 11,3 9,8 11,8 11,2 11,7
Altri 6,7 7,1 6,7 6,6 5,5
Fonte: Elaborazione CSC su dati ISTAT, 2005.
1.2. Definizione di architetture reticolari
Coerentemente con questo modello di specializzazione
internazionale, l’Italia presenta un particolare sistema produttivo, con un
numero limitato di imprese di grande dimensione, costituito da una fitta
rete di imprese medio-piccole e piccole, fino alle micro-imprese con
meno di dieci addetti.
La mescolanza di differenti condizioni urbanistiche, culturali,
artigianali, tecnologiche e organizzative ha permesso nel secondo
dopoguerra l’affermarsi di sistemi produttivi locali e imprese a rete, in
7
Centro Studi Confindustria, Check-up competitività, Roma, aprile 2005,
http://www.confindustria.it.
Capitolo Primo
Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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grado di generare “economie di scala di sistema”, distinte dalle classiche
economie di scala d’impianto o d’impresa verticalmente integrata
8
.
Poiché l’accumulazione di conoscenza rappresenta una delle
principali fonti strategiche di vantaggio competitivo, l’importanza della
sua diffusione risulta particolarmente evidente, a causa dell’elevato
numero degli attori coinvolti nel processo, nell’ambito di architetture
reticolari di imprese, intese sia come sistemi locali d’impresa, sia come
distretti industriali.
L’innovazione tecnologica e l’applicazione diffusa della telematica
stanno cambiando il modo di fare impresa con impatti decisivi su tutta la
catena del valore: mutano la produzione e le logiche di acquisto delle
imprese; cambiano i rapporti tra le imprese e i consumatori; aumentano
le opportunità per le aziende di piccole dimensioni e si rafforzano, nel
frattempo, quelle grandi, grazie alla maggiore capacità di gestire alleanze
e collaborazioni.
In questo scenario, le forme tradizionali dell’organizzazione
d’impresa tendono ad essere sostituite da strutture più flessibili,
caratterizzate da scambi orizzontali e interazioni tra aziende. Gli accordi
tra imprese rappresentano infatti una forma di governo delle relazioni
alternativa al mercato e alla gerarchia, che in determinate situazioni sono
in grado di ottimizzare il “trade off” tra costi di produzione e costi di
transazione. Infatti, se da un lato i partner coinvolti nell’iniziativa
mantengono la propria indipendenza gestionale evitando in tal modo gli
8
Il sistema a rete e il distretto industriale sono da intendersi come alternativa alla
tradizionale crescita del “modello fordista” e in generale della media e grande impresa
capitalista, in G. Becattini, Distretti industriali e Made in Italy, Torino, Bollati
Boringhieri, 1998, parte seconda.
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Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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elevati costi di irrigidimento della struttura gerarchica, dall’altro lato, gli
accordi vengono stipulati con modalità tali da limitare lacune contrattuali
e asimmetrie informative al fine di ridurre i costi di transazione
9
.
I costi di transazione comprendono tutti i costi necessari per
progettare, negoziare e tutelare un accordo di scambio e, quindi, fanno
riferimento ai costi sostenuti sia per l’acquisizione di informazioni
relative ai fornitori o ai partner ideali per la transazione (costi d’uso), sia
per le attività di controllo delle condizioni pattuite (costi di controllo).
Nel determinare la struttura organizzativa diventa inevitabile un
confronto tra il mercato, la gerarchia e tutte quelle forme di network
molto eterogenee denominate reti strategiche definite come “una
ragnatela stabile di forme organizzative tra distinte ma correlate
organizzazioni”
10
.
In quest’ottica la rete si configura come un quasi ricorso al mercato,
in cui un’unità centrale intesse con unità nodali rapporti di tipo sia
transazionale, sia relazionale
11
.
Le architetture reticolari d’impresa derivano dalla presenza di
strategie di crescita esterna messe in atto da unità strategiche, tra loro
indipendenti, attraverso l’utilizzo di strumenti quali gli accordi, le
9
La transazione è considerata alla base degli scambi economici. Sull’argomento si
veda O. Williamsons, “Transaction cost economics: the governance of contractual
relations”, in Journal of law and economics, 22 october 1979, p. 233 (tr. It., “L’economia
dell’organizzazione: l’approccio dei costi di transazione”, in R. C. Nacamulli e A.
Rugiadini (a cura di), Organizzazione e mercato, Bologna, Il Mulino, 1985).
10
G. Soda, Reti tra imprese. Modelli e prospettive per una teoria del coordinamento,
Roma, Carocci, 1998, p. 204.
11
Cfr. G. Lorenzoni, “Le reti interimpresa come forma organizzativa distinta”, in
A. Lomi (a cura di), L’analisi relazionale delle organizzazioni. Riflessioni teoriche ed
esperienze empiriche, Bologna, Il Mulino, 1997.
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12
alleanze e le joint ventures
12
, e l’uso di un linguaggio condiviso tra i
diversi attori della rete.
Possiamo avvalerci di una definizione che consente di individuare
tre categorie di architetture reticolari
13
: le reti di unità esterne, quelle di
unità interne e le reti interpersonali. Si tratta di tre concetti base o tre
modi di essere diversi della struttura a rete.
La rete di unità esterne è la forma organizzativa a rete che ha
trovato maggiore sviluppo negli ultimi anni. Essa fa perno su un’impresa
guida (focal firm) che costruisce una serie di legami e di relazioni con
altre imprese o enti esterni per realizzare i propri obiettivi strategici. Ne
consegue che in tali architetture il contributo di terzi è decisivo per il
posizionamento dell’impresa.
La rete di unità interne riproduce un’organizzazione “interna”
simile a quella della rete di unità esterne, ma le missioni delle varie unità
e le gerarchie, subiscono una trasformazione sostanziale
14
. Per quanto
concerne, infine, la rete a livello interpersonale, occorre rilevare che tale
tipologia trova applicazione anche a livello di gruppi di persone,
“calandosi quindi nell’organizzazione e influendo sul suo
funzionamento. […] Il network interpersonale diventa un elemento
essenziale di completamento dell’organizzazione a rete”
15
. Queste tre
forme di rete sono presenti congiuntamente in alcune organizzazioni,
12
P. Boccardelli, “Le architetture reticolari di PMI nello sviluppo e diffusione
della conoscenza tecnologica”, p. 277 ss., in P. Boccardelli, A. Macioce e R. Oriani,
Inovazione, tecnologia e PMI, Roma, Luiss ed., 2000, Parte I.
13
C. Boari, A. Grandi e G. Lorenzoni, “Le organizzazioni a rete: tre concetti
base”, in Economia e politica industriale, 64, 1989, pp. 283-310.
14
G. Lorenzoni (a cura di), Accordi, reti e vantaggio competitivo. Le innovazioni
nell’economia d’impresa e negli assetti organizzativi, Milano, Etaslibri, 1992, pp. 283 ss.
15
Ibidem.
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Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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13
anche se spesso si ravvisa l’impiego di un concetto come prevalente
sugli altri.
Le attività all’interno della rete sono caratterizzate dal libero
scambio, dall’automatismo contrattuale e dall’affidabilità dei
comportamenti individuali
16
.
Le relazioni (graficamente dette anche archi) ed i nodi (gli attori
della rete) rappresentano gli elementi costitutivi di una rete; nella
fattispecie aziendale, attraverso tali links le imprese scambiano output
sia fisici, sia immateriali (conoscenze ed informazioni) necessari alla
sopravvivenza dell’impresa stessa.
È sulla base di tale osservazione che, difatti, si suole discernere
fra tre tipi di relazioni adottabili da un’impresa-rete:
- relazioni di tipo orizzontale (rapporti con concorrenti), dove
avvengono processi di resource pooling, in cui si scambiano
informazioni e conoscenze;
- relazioni di tipo verticale (rapporti con fornitori), dove si trovano
processi di resource transferring, in cui la merce di scambio è
rappresentata da beni e servizi
17
;
- relazioni di tipo trasversale, che si instaurano tra imprese operanti in
contesti settoriali differenti
18
. Queste forme di collaborazione sono
assai efficaci “nello sviluppo di competenze tecnologiche molto
16
C. Boari, A. Grandi e G. Lorenzoni, “Le organizzazioni a rete: tre concetti
base”, op. cit.
17
F. Schiavone, “Governance, reti d’imprese e distretti industriali: considerazioni
metodologiche”, Paper presentato alla Conferenza Research in economics methodology,
coherence, effectiveness, Siena, 17 maggio 2003.
18
A. Grandi, “Gli accordi inter-organizzativi nella R&S”, in G. Lorenzoni (a cura
di), Accordi, reti e vantaggio competitivo, op. cit.
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14
complesse che richiede la combinazione di conoscenze e risorse
tecnologiche differenti e che in alcuni casi ha condotto alla nascita di
settori innovativi”
19
.
La rete, in quanto tale, “genera valore perchè, di fatto, rappresenta
un processo d’accumulo e distribuzione tra i partner delle conoscenze
possedute: quanto più ampio e veloce è il processo di diffusione della
conoscenza tra le imprese della rete, tanto più elevato sarà il valore
generato per il network”
20
.
A differenza dell’impresa fordista ad integrazione verticale, in cui
le conoscenze generate autonomamente erano applicate alla produzione
mediante investimenti in ricerca e sviluppo, senza diffondere il know-
how acquisito e rifiutando ogni forma di collaborazione esterna, le
imprese in rete diffondono conoscenza: ne deriva che il loro vantaggio
competitivo è insito nella trasmissione in rete di risorse
21
.
La costituzione di reti e di accordi cooperativi possono svolgere
una funzione importante nell’assicurare alle imprese l’accesso ad una
molteplicità di direzioni di investimento in R&S, senza obbligare ad
investire sin dall’inizio in profondità di ciascuna di esse. La prevalenza
di forme reticolari costituisce soprattutto l’esigenza di beneficiare
simultaneamente di ampiezza della ricerca e flessibilità degli
investimenti
22
.
19
P. Boccardelli, Le architetture reticolari nello sviluppo e diffusione della
conoscenza tecnologica, op. cit., p. 287.
20
A. Ricciardi, Le reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica,
Università degli Studi della Calabria, Milano, Franco Angeli, 2003, pp. 154-155.
21
Cfr. E. Rullani, “New/Net/Knowledge Economy: le molte facce del postfordismo”,
in Economia e Politica industriale, 110, 2001, p. 20.
22
A. Lipparini (a cura di), Le competenze organizzative. Sviluppo, condivisione,
trasferimento, Roma, Carocci, 1998, p. 165.
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15
L’esistenza di un elevato numero di relazioni gestite da un’impresa
leader rappresenta una fonte di vantaggio competitivo di crescente
importanza sia per il network nel suo complesso, sia per il
raggiungimento di alcuni obiettivi strategici del gruppo che, in linea
generale, risultano essere di tipo:
- tecnologico, qualora sia l’innovazione dei processi produttivi a
spingere l’impresa a “sconfinare” e condividere know-how;
- organizzativo, per focalizzare le risorse sul core business e per
allentare la rigidità della struttura;
- finanziario, per recuperare risorse finanziarie da destinare a nuovi
investimenti;
- economico, per beneficiare sia dell’abbattimento dei costi operativi
grazie alle economie di scala, sia della trasformazione della struttura
dei costi;
- sinergico, per la condivisione con i partner di competenze di
competenze ed esperienza, nonché del rischio imprenditoriale
23
.
Il raggiungimento di tali obiettivi favorisce l’acquisizione di
determinati vantaggi
24
:
- lo sfruttamento degli investimenti, delle innovazioni e delle
specializzazioni dei partner, impossibili da riprodurre autonomamente;
- del rendimento delle risorse umane, in conseguenza della
concentrazione degli investimenti nelle aree in cui l’azienda ha
maggiore competenza;
23
A. Ricciardi, Le reti di imprese, op. cit., p. 152.
24
Per un’esaustiva schematizzazione dei vantaggi derivanti dalle organizzazioni
reticolari si veda G. Soda (1998), Reti tra imprese, op. cit., p. 33.
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Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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16
- il conseguimento di economie di scala, di economie di apprendimento
e il ridimensionamento del fabbisogno finanziario.
Esistono vari modelli per classificare le reti d’impresa poichè
costituiscono un fenomeno con caratteristiche e soprattutto finalità
piuttosto eterogenee fra loro.
Secondo il livello di progettazione si può avere:
1) impresa a rete naturale, caratterizzata dall’assenza di identità
giuridiche e di struttura gerarchica ma fornita di una flessibilità
strutturale intrinseca che le permette di assumere condotte operative
e strategiche efficienti per l’intero sistema;
2) impresa a rete governata, quale risultato di un sistema di imprese
selezionate in riferimento sia alle risorse disponibili, sia agli
obiettivi da perseguire. Le connessioni fra gli interlocutori vengono
disciplinate a priori così come la struttura gerarchica centrale, le
strategie d’investimento e quelle operative.
Secondo l’esistenza o meno di un centro di riferimento si può
avere
25
:
1) reti d’impresa dotate di un’impresa focale attorno alla quale
gravitano le imprese della rete. L’unità guida diventa il
coordinatore delle relazioni e spesso il pianificatore e controllore
della strategia della rete;
2) reti d’impresa dotate di centri di riferimento multipli in cui il
sistema si muove attorno a più entità di riferimento secondo le
relazioni d’influenza;
25
Cfr. F. Buera, Il castello e la rete, Milano, Franco Angeli, 1990.
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Le architetture reticolari di PMI: vantaggi competitivi e svantaggi nell’economia globale
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3) reti d’impresa senza centro di cui sono esempi i sistemi a base
territoriale come distretti e fiere.
Secondo il grado di coesione giuridica sono distinte in:
1) reti proprietarie, in cui il collegamento tra le imprese del network è
garantito dal possesso di azioni. A questa categoria appartengono le
holding, le joint venture corporation, e tutte quelle strutture
assimilabili ai gruppi d’imprese;
2) reti non proprietarie, in cui il collegamento con le altre imprese del
network avviene tramite accordi di natura contrattuale oppure di
natura informale. I network basati su accordi contrattuali sono
riconducibili alle strutture di franchising, consorzio e a tutti quei
contratti di conferimento o trasferimento di beni o servizi necessari
per la realizzazione di particolari attività.
Secondo il grado di coesione strategica si possono avere:
1) reti divergenti, in cui le imprese del network perseguono vantaggi
legati ad efficienza ed efficacia operativa. È questo il caso dei
rapporti di subfornitura;
2) reti a condizionamento reciproco, in cui le imprese del network si
considerano reciprocamente determinate per il perseguimento delle
strategie competitive di ciascuna di esse;
3) reti convergenti, in cui le imprese appartenenti al network considerano
la rete come soluzione organizzativa più idonea per realizzare un
comune piano strategico.
Secondo il grado d’integrazione tecnico-economica si hanno:
1) reti complementari, in cui i vincoli tecnico-produttivi ed economici tra
le imprese del network sono molto forti per cui si può generare un