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per noi tanto complessa quanto affascinante: come, nel corso della storia
umana, si è costruito lo stereotipo della “Femminilità”. Nasce dalla voglia
di saperne qualcosa sulla caratteristica fondante dell’essere donna, a
partire da una premessa: non è l’anatomia che garantisce dell’identità di
genere.
Già nel 1949 Simone De Beauvoire ha scritto nel suo celebre libro :
“Le deuxième sexe” che “Donne non si nasce, ma si diventa”,
confermando che la definizione della identità è un fatto culturale e non
biologico, ed alludendo a quanto laborioso e complesso sia il cammino
verso la femminilità.
La verità di questa premessa ci viene confermata dal fatto che, nel
corso del tempo, differenti modi di essere donna si sono avvicendati sul
“palcoscenico” dell’umanità, in risposta rispondenti alle esigenze storiche
delle singole culture.
Questo lavoro ha come fine quello di “tracciare” l’itinerario attraverso
il quale è possibile delineare alcuni aspetti dell’identità femminile nei suoi
tratti antropo-psico-etologici. Faremo ciò analizzando alcune ipotesi
formulate nei tre differenti campi da: I. Eibl-Eibensfeldt, E. Boncinelli per
l’etologia; nel campo dell’antropologia: M. Mead, S. B. Ortner e H.
Whitehead, C. Pennancini e C. Pussetti; nel campo della psicoanalisi: S.
Freud, J. Lacan, ma anche altri che, nei vari periodi storici, si sono
occupati della “questione femminile”.
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Introduzione
Per raggiungere gli scopi posti in premessa, presteremo una
particolare attenzione al ruolo che “La donna” riveste nella società
moderna, allo scioglimento della famiglia intesa nel senso tradizionale e al
ribaltamento del ruolo maschile e femminile e dei suoi effetti .
È una visione dell’universo femminile che passa idealmente
attraverso tre scienze umane: l’etologia, l’antropologia e la psicoanalisi,
dalle quali è possibile estrapolare un unico discorso su ciò che ci consente
di affermare cosa sia in fondo la “Femminilità”.
Il presente lavoro vuole esporre una modalità di raffigurare il concetto
di femminilità in una prospettiva evoluzionistica, partiremo dalla Preistoria
ai giorni nostri. Nel primo capitolo l’iconografia del femminile nell’arte
paleolitica della pittura rupestre mostra come sia predominante il tema
centrale dell’accoppiamento sessuale. Attraverso l’Etologia, prenderemo
in considerazione l’evoluzione filogenetica del comportamento umano e, in
particolar modo, ci soffermeremo sulla relazione madre-figlio attraverso la
quale si sviluppa la “fiducia primaria” fondamentale per amare se stessi e
gli altri, e sull’atteggiamento ideologico rivolto alle donne in alcune
comunità primitive.
Nel secondo capitolo l’Antropologia ci aiuta a costruire il “significato
simbolico” della femminilità, attraverso un itinerario che porta la donna alla
consapevolezza del proprio potere riproduttivo e di quanto esso sia
indispensabile per la sopravvivenza della specie umana.
6
Si aggiunge nel quarto capitolo il terzo tassello mancante alla
definizione di Femminilità che si lega con un nodo Borromeo all’Etologia
ed all’Antropologia, la Psicoanalisi. Prenderemo in esame le varie teorie
sviluppate nel corso degli anni dai “padri” della psicoanalisi, a partire da
Sigmund Freud, Jacques Lacan, Melanie Klein, per finire ai giorni nostri
con Collette Soler che ci permette di introdurre l’argomento del quarto
capitolo, ovvero l’incidenza sociale della femminilità oggi, l’appiattimento
dei ruoli maschile e femminile, la disgregazione della famiglia tradizionale
con l’avvento della famiglia monoparentale e la conseguente carenza di
autorità della figura maschile. Tutto ciò ha portato, nella nostra realtà
italiana, ad un preoccupante decremento delle nascite e, quindi, di nuove
risorse per la nostra comunità. La prospettiva di un possibile cambiamento
è quella di poter riaffermare la maternità, in quanto espressione della
vocazione femminile, ed è necessario che essa venga valorizzata e
sostenuta dalla società’ odierna.
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Capitolo 1
La “Femminilità”
Scienze che contribuiscono a tale definizione.
1.1- Iconografie del femminile nell’arte Paleolitica
Il concetto di femminilità è velato di “mistero”, contiene in sé molte
sfumature, spesso sfugge le definizioni e disorienta chi tenta di
approfondirne il senso. Il mistero si chiarifica attraverso le espressioni
simboliche appartenenti alla vasta cultura umana dai tempi più antichi.
L’arte preistorica, detta “Paleolitica”, in Europa tra il 35.000 e il 10.0000
anni addietro, realizzata sulle pareti delle grotte profonde, in luoghi spesso
inospitali e in una totale oscurità, costituisce un universo simbolico
«articolato in base a due categorie fondamentali di forme: da una parte le
figure “geometriche” o “astratte”, i segni, (…) dall’altra parte i corpi, i corpi
degli animali, il corpo degli uomini e delle donne (…) in questa corporeità
dell’unica categoria di rappresentazioni figurative (…) si trovano le più
antiche tracce dell’espressione visiva e tattile della sessualità»
1
.
Il Paleolitico superiore è suddiviso in cinque periodi: il
Chatelperroniano, l’Aurignaziano, il Gravettiano, il Solutreano e il
Magdaleniano. L’arte conserva, nell’arco di tutti e cinque i periodi, una
invariabilità tematica dei soggetti rappresentati tale da presupporre che si
1
Sacco F. Sauvet G. Il centro dell’uomo. Flaccovio , PA 2005, p. 144
8
sia venuto a creare un corpus di credenze codificato e tramandato con
precisione, «questo corpo di credenze come un sistema dualistico che
usa l’idioma del simbolismo sessuale come modello di espressione»
2
.
Leroi-Gourhan (1968)
3
, uno dei maggiori analisti dei resti simbolici del
Paleolitico superiore, osserva che tutti i segni astratti, gli animali e le figure
antropomorfe sono in realtà segni maschili e femminili che si trovano
posizionate in precise aree della grotta: tutti gli animali dell’area centrale
sono associati al femminile (erbivori di grossa taglia, come il bue, il
cavallo..), mentre gli animali dell’area periferica (come l’orso, il leone,
animali pericolosi associati alle entrate e al retro delle grotte) sono
collegati al maschile; «il modello generale nella pittura rupestre, quindi,
dimostra il principio dell’accoppiamento sessuale complementare: il centro
(la femmina) con la periferia (il maschio); e all’interno del centro, il bue, il
bisonte, il mammut (la femmina) con il cavallo (il maschio) (...) le vulve e i
segni larghi si trovano nelle aree centrali dove sono accoppiati a figure e
segni maschili. Nella periferia specialmente nelle entrate e nelle cavità
posteriori, si trovano segni maschili»
4
. L’esistenza di questo sistema di
“genere” sembrerebbe voler imporre una sorta di contenimento e di
controllo della femminilità, Leroi-Gourhan nel 1968 in “The art of
prehistoric man in Europe” suggerisce anche che le grotte profonde siano
2
Ortner S. B. Whitehead H. Sesso e genere. L’identità maschile e femminile.
Sellerio, PA 2000, p. 163
3
Leroi-Gourham A. The art of prehistoric man in Europe.
Thames and Hudson, London 1968, p.144
4
Op.cit. Ortner S. B. Whitehead H., p. 165
9
esse stesse metafore dell’utero e che venissero usate come luoghi di
iniziazione.
5
Una fase iniziale dell’arte del “genere” è caratterizzata da un
concetto femminile ben definito e specificato, a cui corrisponde una
rappresentazione del maschile debole, Gravettiani ed Epigravettiani
(25.000-20.000) dell’Europa orientale, hanno scolpito nell’avorio e nel
calcare marmoso molte piccole donne , interamente nude, in Russia molte
statuette sono state adornate: portavano collane, cinture, braccialetti incisi
sulla loro nudità (D. Vialou,1991)
6
; le figurine di Venere del Gravettiano,
rinvenute in tutta Europa, sono rappresentazioni fortemente marcate, di
seni, cosce e vulva “esagerati”, mentre la testa e gli arti sono quasi
inesistenti. Questo raddoppiamento della simbolica del corpo nudo,
adornato come se fosse una donna “viva” riflette gli inizi della coscienza di
genere, la delineazione della categoria femminile, la celebrazione della
donna e delle sue funzioni sessuali, addirittura alcune figure femminili
pendenti, si portavano sul petto come immagini preziose, «un esempio
dell’incastro significante-significato, il pendente adornato-ornamento del
corpo- segno sotto l’effigie esclusiva della donna»
7
.
La verticalizzazione della sessualità connessa alla stazione eretta ha
conferito alle rappresentazioni grafiche e plastiche di uomini una
specificità tale da delineare una netta distinzione dalle rappresentazioni di
animali. «Verticalità del corpo e “faccialità della sessualità sono le due
5
Op.cit. Leroi-Gourham A., pp. 148-174
6
Op. cit Sacco F. Sauvet G., p. 145
7
Ibidem, p. 146
10
dimensioni subito evidenziate e sublimate dall’arte (…) sessi e teste sono
visibili sia sulle silhouettes disegnate di faccia e di profilo..solco vulvare,
seni e pene discriminano immediatamente i sessi, sono inoltre significanti
sul piano simbolico»
8
. “L’oggettività” figurativa degli animali, che viene
rafforzata dalla figurazione di profilo, si oppone alla “soggettività” delle
rappresentazioni umane, che mostrano tutta la loro dinamicità, il corpo è
orientato in avanti, verso il futuro. “Profilo e orizzontalità si oppongono a
faccia ( sguardo) e verticalità”.
Dalle incisioni della grotta emerge chiaramente il “discorso umano”
che struttura la rappresentazione della sessualità, se ne evince, quindi, un
significato a carattere sociale e relazionale, l’evoluzione dell’uomo mostra
che a partire da centomila anni fa lo sviluppo biologico è stato sostituito
dallo sviluppo culturale, la comparsa degli ominidi è contemporanea
all’acquisizione della bipedia, ciò ha consentito la liberazione della mano e
la creazione dell’utensile, Leroi-Gourhan (1964)
9
opera un collegamento
tra l’elaborazione dell’utensile e la creazione del linguaggio legato quindi a
un’esperienza sociale e culturale, la possibilità di inventare un linguaggio
di combinare in modo diverso gli elementi di un discorso suppone una
corrispondenza tra gesti e parole ritmate, nel reciproco rapporto tra madre
e figlio, l’adozione da parte della madre di un ritmo regolare, e le ripetizioni
approssimative degli stessi fonemi e delle stesse parole, sono condizioni
estremamente favorevoli alle conquiste conoscitive del bambino.
8
Ibidem, p. 147
9
Leroi-Gourhan A. Le geste et la parole. T.I. technique et langage,
Albin Michel, Paris 1968, p. 33