Sara Meozzi Introduzione.
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Uno Possono essere sia adattive che patologiche caratterizzando quindi
sia i quadri psicopatologici che la vita normale del soggetto.
Uno Se ripetitive e inattuali possono indurre allo scoppio della nevrosi.
Freud, pur descrivendo un numero considerevole di meccanismi di difesa,
non si è mai occupato di fornire una trattazione sistematica dell’argomento
lasciando tale compito alla figlia Anna Freud. E’ più una necessità che una
virtù quella sentita da Anna Freud di identificare e classificare i processi
difensivi, necessità che ha dato origine alla stesura del libro “L’Io e i
meccanismi di difesa” (Anna Freud, 1936) e poi all’Indice Hampstead,
considerato il primo tentativo di standardizzazione del materiale clinico sui
processi difensivi. Tra i meriti della Freud oltre a quello di aver teorizzato
in modo molto più deciso rispetto al padre l’aspetto adattivo delle difese
nonché la loro relazione diretta con situazioni esterne, ancor più
importante è il fatto che riconobbe le implicazioni che questo esame
dettagliato delle difese dell’Io aveva per il trattamento. Non era più
sufficiente secondo la Freud, prestare attenzione semplicemente
all’affiorare dei desideri inaccettabili provenienti dall’Es, ma diventava
necessario tenere in uguale considerazione gli sforzi difensivi attuati dall’Io
che si manifestavano come resistenze al trattamento. La Freud giunge alla
conclusione che le singole difese sono disposte lungo una linea evolutivo-
maturativa, seguono quindi un ordine cronologico, stabiliscono relazioni
con altre funzioni dell’Io e si orientano in senso patologico se: “vengono
utilizzate prima dell’età giusta o se vengono mantenute troppo a lungo
dopo di essa. Esempi ne sono il diniego e la proiezione che, normali nella
prima infanzia, conducono in età posteriore alla patologia; o la rimozione e
la formazione reattiva, che paralizzano la personalità del bambino, se
utilizzate troppo presto” (Anna Freud, 1965). L’Indice di Hampstead,
nonostante sia stato oggetto di molte critiche soprattutto da un punto di
vista metodologico, ha il merito non solo di aver tentato questa prima
sistematizzazione dei meccanismi di difesa, ma anche quello di aver
gettato l’imput per evidenziare una correlazione tra il loro assetto
Sara Meozzi Introduzione.
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gerarchico e la maturità e salute dell’Io. I criteri in base ai quali valutare la
funzionalità di una difesa sono:
Uno Intensità.
Uno Adeguatezza rispetto all’età.
Uno Reversibilità.
Uno Equilibrio tra le difese impiegate.
I principali meccanismi difensivi di tipo nevrotico sono la rimozione, lo
spostamento, la formazione reattiva, l’isolamento dell’affetto,
l’annullamento retroattivo, la somatizzazione e la conversione. A questi
sette meccanismi bisogna aggiungerne un ottavo che appartiene più allo
studio della normalità che a quello della patologia nevrotica: la
sublimazione. In breve: -Rimozione: considerata da Freud la regina di tutte
le difese, opera inconsciamente eliminando dalla consapevolezza desideri
fantasie o sentimenti inaccettabili. -Spostamento: meccanismo inconscio
in virtù del quale i sentimenti relativi a un certo soggetto sono reindirizzati
verso un altro. -Formazione reattiva: funzione attraverso la quale
l’individuo affronta conflitti emotivi e fonti di stress sostituendo i propri
pensieri o sentimenti inaccettabili con comportamenti o pensieri di tipo
diametralmente opposto. -Isolamento dell’affetto: in questo meccanismo il
soggetto perde contatto con i sentimenti associati ad una data idea
rimanendo però consapevole degli aspetti cognitivi. -Annullamento
retroattivo: viene compiuta un’azione simbolica per cancellare un pensiero
o un’azione inaccettabile prima portata a termine. -Somatizzazione:
processo attraverso il quale pensieri o sentimenti dolorosi vengono
trasferiti a parti del corpo. -Conversione: processo caratterizzato dalla
rappresentazione simbolica di un conflitto intrapsichico in termini fisici. -
Sublimazione: il soggetto affronta conflitti emotivi incanalando, più che
inibendo, impulsi potenzialmente maladattativi in comportamenti
socialmente accettabili.
Sara Meozzi Introduzione.
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2. La psicologia dell’Io: Hartmann e Brenner.
Ciò che gli psicologi dell’Io ribadiscono è non solo la necessità di
adottare un approccio analitico che affronti prima il conscio e poi
l’inconscio, prima il presente e poi il passato, prima le difese e poi le
angosce che le hanno attivate, ma è soprattutto la necessità di portare
avanti una concettualizzazione metapsicologica dei meccanismi di difesa
dell’Io. Portavoce di questa teorizzazione, Hartmann (1939, cit. in
Hartmann, 1964) ha considerato l’Io un organo di adattamento, mettendo
in risalto i suoi aspetti adattivi oltre che difensivi, in grado di usare le difese
per far fronte alle richieste provenienti tanto dal mondo pulsionale quanto
dal mondo esterno. Ha, per dirlo in termini psicodinamici, allontanato l’Io
dall’Es rifocalizzandolo sul mondo esterno. Evidenziando le parti
aconflittuali dell’Io, Hartmann ha sottolineato una connessione tra i
meccanismi di difesa e le funzioni adattive dell’Io. Partendo dalle
osservazioni di Hartmann, Charles Brenner (1981) ha proposto una
rassegna significativa della teoria classica di Freud accentuando l’aspetto
funzionale del concetto di difesa: “[…]“ L’Io può usare tutto ciò che trova a
portata di mano, pur chè serva allo scopo.[…] In una parola, l’Io è in grado
di usare e usa per scopi difensivi, una volta o l’altra, tutti i processi di
normale formazione e di funzionamento dell’Io.” (Brenner, 1981). Secondo
Brenner quindi, qualsiasi mossa dell’Io in grado di ridurre ansia o deviare
una tensione può essere considerata difesa. Oltre ad offrire un vasto
elenco di meccanismi difensivi (rimozione, formazione reattiva, isolamento
affettivo, isolamento propriamente detto, annullamento, negazione,
proiezione, rivolgimento verso se stessi, identificazione, regressione e
sublimazione), Brenner ritiene anche, a dispetto delle precedenti
teorizzazioni, che non si possa associare alcuna difesa specifica a un dato
livello di patologia o alla normalità, poiché a differenziare il sano dal
malato è il modo in cui l’Io ricorre ai meccanismi di difesa, e non l’uso di
una particolare difesa piuttosto che un’altra.
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3. La psicologia delle relazioni oggettuali: dal modello
intrapsichico a quello relazionale.
Le prime radicali modificazioni al modello freudiano sono state
proposte dalla psicologia delle relazioni oggettuali, orientamento teorico di
indirizzo psicoanalitico, fondato in Gran Bretagna da Melanine Klein. La
teoria dello sviluppo infantile della Klein, pur prendendo le mosse dagli
studi di Sigmund Freud, pose attenzione sugli oggetti interni, più che sulla
dinamica delle pulsioni (Gabbard, 2002). L’innovazione della Klein sta
nell’aver studiato i meccanismi primitivi di difesa, ossia quei meccanismi
legati agli stati psicotici, e nell’ aver osservato che le difese non si limitano
a proteggere l’Io dai sentimenti dolorosi, ma rappresentano anche i
principi organizzativi della funzione psichica generale. La Klein (1927)
distingue le difese in: “nevrotiche“ e “psicotiche“, occupandosi però solo
delle seconde che definisce come quei meccanismi primitivi che vengono
usati contro le angosce derivanti dall’attività dell’istinto di morte. Sono
quindi da contrapporre alle difese nevrotiche proprio in quanto queste
ultime agiscono contro la libido. Un punto di rottura tra la Klein e Anna
Freud risiede nel fatto che mentre la Freud era interessata al
funzionamento delle difese, la Klein puntava soprattutto ad identificare il
contenuto profondo delle fantasie angosciose. Le difese primitive
individuate dalla Klein sono: diniego, scissione, identificazione proiettiva,
proiezione e introiezione, idealizzazione. Nonostante la maggior parte di
questi meccanismi sia già stata descritta dagli psicoanalisti classici, la
novità della Klein sta nell’averli indicati come caratteristici delle prime fasi
dello sviluppo, dando quindi nuovo spessore a questo periodo di vita
infantile considerato fase del narcisismo primario “privo di oggetto”. Il
bambino, nella visione kleiniana, introietta parti del corpo del genitore, su
cui ha proiettato le sue pulsioni nelle fasi precoci di sviluppo del Super-io,
prima di interiorizzare i genitori come oggetti interi e distinti. È da questa
premessa che l’autrice spiega come le difese siano suscitate da impulsi
associati a rappresentazioni di sé interiorizzate e poi proiettate negli
Sara Meozzi Introduzione.
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oggetti. Tra le difese la Klein descrive in particolare la proiezione come
difesa arcaica contro l’angoscia di annientamento, l’identificazione
proiettiva quale prototipo della relazione oggettuale aggressiva e la
scissione quale meccanismo difensivo inconscio che separa gli uni dagli
altri i sentimenti contraddittori, le rappresentazioni di Sé e le
rappresentazioni degli oggetti. Questa difesa permette al bambino di
separare il piacere dal dispiacere, l’amore dall’odio, il buono dal cattivo, in
modo da preservare gli affetti, le esperienze, le rappresentazioni di Sé e
degli oggetti connotati positivamente inserendoli in settori mentali isolati e
liberi dall’attacco delle controparti negative. Questo processo avviene in
quella fase che la Klein chiama posizione schizoparanoide, tipica dei primi
tre mesi di vita del bambino. Con lo sviluppo cognitivo, il prevalere della
libido sull’aggressività e l’interiorizzazione di un oggetto buono, si ha il
passaggio dalla posizione schizoparanoide, in cui l’Io buono che ama un
seno buono è scisso dall’Io cattivo che ama un seno cattivo, alla posizione
che la Klein chiama depressiva, in cui il bambino diviene ambivalente
verso una mamma che porta in se sia caratteristiche buone che cattive,
caratteristiche che riconosce essere presenti anche in lui stesso. Questa
ed altre concezioni della Klein, provocarono un acceso dibattito nella
Società psicoanalitica britannica e infine una scissione che diede vita alla
cosiddetta “Scuola britannica” delle relazioni oggettuali, intorno alla quale
ruotavano psicoanalisti come Donald Winnicot (1965) e Roland Fairbairn
(1963, cit. in Gabbard, 2002). Tutti si rivolsero al primo sviluppo del
bambino, focalizzando il loro interesse sulle vicissitudini delle relazioni
oggettuali interne piuttosto che sulla teoria pulsionale. Detto in altri termini,
la teoria delle relazioni oggettuali che conosciamo oggi, implica la
trasformazione delle relazioni interpersonali in rappresentazioni di
relazioni interiorizzate; ciò comporta che il bambino, crescendo, non
interiorizza solo un oggetto o una persona, bensì tutta la relazione.
L’importanza di Winnicot sta nell’aver posto maggior enfasi sul primo
ambiente di vita del lattante: affinché il bambino riesca a sviluppare ed
usare in maniera armoniosa tutte le funzioni dell’Io, è fondamentale che i
Sara Meozzi Introduzione.
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suoi bisogni siano accolti ed ascoltati dal genitore. Se la figura principale
di accudimento non riesce a sostenere l’Io del bambino, l’espressione e
l’esperienza delle pulsioni può risolversi in un trauma. Secondo questa
visione, un infante, crescendo, ha un’innata tendenza verso la
realizzazione di sé; in particolare Winnicot ritiene che sia possibile
sviluppare un “vero Sé”, la cui crescita armoniosa può essere facilitata o
impedita dal feedback della mamma o delle altre figure dell’ambiente. Per
comprendere meglio, la capacità della mamma di lasciare che il bambino
esprima il suo vero Sé nell’interazione con lei, facilita il percorso di
crescita dell’identità del bambino. Una mamma che non è in grado di
assolvere questa funzione facilitante può indurre nel bambino lo sviluppo
di un “Sé falso” che si adatti ai suoi desideri e ai suoi bisogni. Winnicot
perciò parla di due tipi di difesa, una organizzata contro l’esperienza
istintuale (sono quelle difese di cui l’Io si serve per gestire l’Es), l’altra
organizzata contro i fallimenti ambientali traumatici. Come si può vedere
quindi, con la teorizzazione di Winnicot l’uomo non può più essere
considerato un sistema chiuso e le difese non possono che essere viste
come fenomeni interattivi. E’ proprio quest’ultimo punto a diventare
l’elemento centrale delle teorie di Kohut e Modell.
4. La psicologia del Sé: da Kohut alla “teoria
bipersonale” delle difese di Modell.
Mentre la teoria delle relazioni oggettuali rivolge l’attenzione alle
relazioni interne tra le rappresentazioni del Sé e quelle dell’oggetto, la
psicologia del Sé sottolinea come siano invece le relazioni esterne ad
aiutare il soggetto a mantenere l’autostima e la coesione del Sé. Secondo
tale teorizzazione nata da Kohut (1984), il soggetto, per mantenere un
proprio stato di benessere, necessita di determinate risposte da parte
delle altre persone. Per tutta la vita gli esseri umani hanno bisogno di
risposte convalidanti ed empatiche da parte degli altri per mantenere la
Sara Meozzi Introduzione.
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propria autostima. Fatta questa premessa ne deriva che per Kohut i
meccanismi di difesa non servono solo a mediare tra le pulsioni e le
esigenze della realtà, ma soprattutto servono a proteggere la fragilità del
Sé, sono cioè sistemi organizzati fin dall’infanzia contro i fallimenti
empatici di “oggetti-Sé” deludenti (questo termine è spiegato partendo dal
punto di vista dell’evoluzione del Sé, per cui gli altri non sono considerati
come soggetti separati, ma come oggetti che possono gratificare i bisogni
del Sé). A questo proposito Kohut propone di distinguere tra:
Uno Difese narcisistiche aspecifiche quotidiane, usate dai soggetti
quando hanno paura ad esporre troppo i propri sentimenti o pensieri.
Uno Difese specifiche come l’idealizzazione, la svalutazione o
l’onnipotenza, che sono usate per far fronte alle ferite narcisistiche e
quindi si manifestano quasi esclusivamente per sostenere una parte
del Sé al fine di mantenerne la forza.
Uno Difese narcisistiche che proteggono una vulnerabilità
dell’organizzazione del Sé.
Kohut (1971) parla anche di scissione verticale e scissione orizzontale
(rimozione): la prima funzionale a separare il Sé infantile, che non ha
ricevuto risposte positive alle sue prime affermazioni di autonomia da un
Sé affermativo ma privo di valore; la seconda è volta a nascondere il Sé, il
cui sviluppo è stato bloccato per evitare sentimenti di inferiorità e
depressione che accompagnerebbero le sue manifestazioni. Seguendo le
orme di Kohut, un’altra prospettiva delle difese che si distacca da quella
psicoanalitica classica è quella di Modell (1984) il quale, inserendo le
difese in contesti bipersonali e quindi in un qualcosa che necessariamente
avviene tra due persone e non può essere circoscritto ad una sola psiche,
afferma che esse non necessariamente sono organizzate contro le
pulsioni, ma possono organizzarsi anche contro il rendersi conto di gravi
fallimenti empatici del caregiver. Modell, a questo proposito, descrive una
particolare organizzazione difensiva tipica dei pazienti borderline, narcisisti
Sara Meozzi Introduzione.
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e schizoidi, che chiama “autosufficienza come difesa contro gli affetti”, la
cui principale funzione è quella di evitare l’espressione dei propri bisogni
nei confronti degli altri, chiudendosi, per usare la metafora dello stesso
Modell, nel proprio “bozzolo narcisistico”, in modo tale da difendersi dalla
paura della dipendenza e della fusione. Questo “bozzolo” è una difesa che
protegge il Sé con l’illusione dell’autosufficienza: “Bambini con questa
formazione notano piuttosto presto di non poter dipendere dai propri
genitori; li “sostengono” infatti simbolicamente e quindi devono fare da sé.
Poiché in realtà non possono fare da sé, devono ricorrere a fantasie di
autosufficienza onnipotente, spesso supportate da specifiche fantasie di
grandezza” (Modell, 1975). Usando come filtro di lettura questa modalità
difensiva, si vede bene come la patologia possa essere meglio
interpretata in termini di personalità fragile e insicura più che di conflitto.
5. Organizzazione di personalità e difese nel modello di
Kernberg.
Il modello di Kernberg (1996, cit. in Clarkin, Yeomans & Kernberg,
1999) propone una classificazione dei disturbi di personalità basata sul
livello di gravità, distinguendo tre diverse organizzazioni di personalità:
psicotica, borderline e nevrotica. In questa teorizzazione, il termine
borderline non indica uno specifico disturbo, ma un livello di
organizzazione della personalità, che comprende quindi un’intera famiglia
di disturbi. Caratteristico di questa personalità è, secondo Kernberg,
l’utilizzo di modalità difensive prettamente primitive, la cui presenza è
patognomonica per formulare una diagnosi. E’ necessario ricordare che
Kernberg concettualizza i meccanismi di difesa come fenomeni
intrapsichici, che però si estendono fino ad includere sia il concetto di Sè,
che quello delle relazioni oggettuali interiorizzate. Inoltre egli ha una
concezione gerarchica, che si muove lungo un continuum di gravità, ed
evolutiva delle difese, per cui i pazienti più gravi, mostrano meccanismi
Sara Meozzi Introduzione.
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difensivi patologici caratteristici dell’infanzia. Kernberg, come criteri base
per la formulazione di una diagnosi, considera i meccanismi di difesa,
l’esame di realtà e il livello di integrazione dell’identità. L’organizzazione di
personalità borderline è, secondo l’autore, caratterizzata dalla diffusione
dell’identità e dal predominio di meccanismi di difesa primitivi, in
particolare scissione (tanto di Sé, quanto degli oggetti significativi),
identificazione proiettiva e diniego.
6. Prospettive post-moderne: come cambia il concetto di
difesa con la psicoanalisi relazionale e
l’intersoggettività.
Sono considerate prospettive post-moderne l’insieme delle letture
teoriche che mettono in dubbio uno dei capisaldi della psicoanalisi
classica , ossia la ricerca di una verità oggettiva contenuta nel paziente
che l’analista osserva in maniera imparziale. Tra queste prospettive si
inseriscono la psicoanalisi relazionale americana, la scuola inglese della
teoria delle relazioni oggettuali e quella della psicologia del Sé, tutte
accomunate dal fatto di ritenere l’oggettività assoluta un mito. Tutto ciò ha
favorito lo sviluppo di un approccio psicoanalitico il cui interesse primario è
rivolto ai processi che reciprocamente coinvolgono e influenzano paziente
e terapeuta: quello che oggi viene definito “intersoggettività” (Mitchell,
2000). Non è più sufficiente vedere come la difesa opera nel paziente, è
necessario fare un passo avanti e capire il modo in cui il processo
difensivo opera all’interno della diade terapeutica. Con la lettura teorica
dell’intersoggettività, muta anche il concetto di difesa: non è più vista
come fenomeno intrapsichico chiuso che permette alla personalità di
funzionare più o meno adattivamente, interagente si con l’ambiente
esterno, ma pur sempre stabile e immodificabile al suo interno, bensì
inizia ad essere sottolineato il suo essere continuamente plasmato e
modificato dal contesto interpersonale.
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7. La teoria dell’attaccamento: Bowlby e Fonagy.
Anche la teoria dell’attaccamento sottolinea il ruolo fondamentale delle
relazioni interpersonali nello sviluppo del soggetto. Queste relazioni,
secondo Bowlby (1988), si sviluppano nell’infanzia con la funzione di
regolare la vicinanza fisica e la disponibilità psicologica della figura di
attaccamento più forte guidando il comportamento diretto verso tale figura.
In seguito, le relazioni di attaccamento sono coordinate dai “modelli
operativi interni”, ossia modelli di relazioni costruite in base alle effettive
interazioni sperimentate con le figure di attaccamento. Sono modelli
operativi del Sé e dell’Altro significativo, fondati sulla storia relazionale
congiunta. Tali modelli operativi interni, una volta interiorizzati, tendono ad
assumere modalità di funzionamento automatico e tendono a opporre
resistenza ai cambiamenti. Per capire il ruolo dei meccanismi difensivi
nella costruzione/cambiamento dei modelli operativi, Bowlby chiama in
causa la teoria dell’Human Information Processing (HIP) (Dixon, 1971;
Norman, 1976; Erdely, 1985, cit. in Lingiardi & Madeddu, 2002), teoria
dell’elaborazione dell’informazione, secondo la quale, per ovviare alle
limitate capacità di elaborazione della memoria, si avrebbe un’esclusione
selettiva delle informazioni non rilevanti affinché si ottenga una completa
focalizzazione sugli aspetti più salienti rispetto al compito. La resistenza al
cambiamento dei modelli operativi, a parere di Bowlby, può essere
paragonata ad un processo di “esclusione difensiva” di tutti quei
sentimenti e pensieri in grado di produrre angoscia. Questi processi
difensivi non necessariamente sono inconsci, ma possono andare da una
rimozione involontaria a comportamenti deliberati di evitamento. Ne
consegue che il concetto di difesa per Bowlby è un fenomeno
prevalentemente ambientale e interpersonale e che le difese sono
strategie cognitive fondate sull’esperienza affettiva che regolano e
programmano il comportamento diventando con il tempo automatizzate.
Un pattern di attaccamento insicuro quindi, per l’autore, è una forma
Sara Meozzi Introduzione.
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difensiva dell’organizzazione del sistema psichico in cui è centrale la
perdita e lo sforzo per mantenere il legame. Rimanendo sempre su questa
linea teorica, Peter Fonagy (2001) riformula la visione di Anna Freud sui
meccanismi di difesa in termini di rappresentazioni mentali, o piuttosto nei
termini delle loro tipiche distorsioni. Egli considera i pattern di
attaccamento come dei meccanismi di difesa messi in atto dai bambini per
far fronte alle interazioni idiosincratiche con le figure di accudimento,
definendoli dei veri e propri modelli di relazione sviluppati dall’Io per
minimizzare l’angoscia e ottenere il massimo adattamento (Fonagy, 2001).
8. Ipotesi di un modello gerarchico per lo studio delle
difese.
Prima di fare una panoramica del modo in cui la psicologia di oggi
vede i meccanismi di difesa, è necessario fare un appunto su come
possono o devono essere studiati e valutati questi meccanismi di difesa.
Le domande che guidano questo paragrafo essenzialmente sono:
Uno Lo studio dei meccanismi di difesa deve seguire un criterio
“orizzontale”, cioè legato ad una comparsa in ordine cronologico e
quindi ad un loro sviluppo nel corso del tempo?
Uno Oppure seguire un criterio “verticale”, legato cioè ad una loro
organizzazione gerarchica basata su alcune caratteristiche
intrinseche tipo il grado di complessità o il livello di distorsione della
realtà?
E’ doveroso fare una premessa che nulla vuol togliere all’utilità diagnostica
del continuum gerarchico maturità-immaturità delle difese: la presenza di
una difesa presa in modo isolato, non ha assolutamente valore
patognomonico per una determinata condizione diagnostica. Uno stesso
meccanismo di difesa può non solo comparire nei più svariati quadri
Sara Meozzi Introduzione.
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diagnostici, ma anche in situazioni di psicopatologia estremamente
diverse tra loro. Partendo dall’inizio, già Anna Freud era giunta alla
conclusione che le difese hanno un loro ordine cronologico, stabiliscono
relazioni con le altre funzioni dell’Io e il criterio che le inserisce nel campo
della patologia è il loro eventuale uso prima dell’età nella quale
dovrebbero comparire, o il loro mantenimento eccessivamente prolungato
dopo di essa. A titolo di esempio, è la stessa Anna Freud a ritenere del
tutto insensato parlare di rimozione quando l’Io non è ancora distinto
dall’Es o di proiezione quando non è ancora chiara la differenziazione fra
Sé e non-Sé. Tra coloro che seguono un approccio orizzontale, alcuni
enfatizzano il criterio temporale della comparsa dei meccanismi difensivi
all’interno del quale le difese vengono classificate lungo un continuum
maturità-immaturità, definendo immature, e quindi primitive, le difese che
appartengono ai primi anni di vita, mature, e quindi più complesse, quelle
che compaiono negli stadi successivi dello sviluppo. Ma questo concetto
dell’evoluzione delle difese verso forme più mature e più adattive con il
procedere dello sviluppo era già stato portato all’attenzione da Freud, il
quale sosteneva che prima di giungere alla netta separazione tra l’Io e l’Es
e prima della formazione del Super-Io, l’apparato psichico
necessariamente usava sistemi difensivi diversi da quelli che avrebbe
iniziato ad utilizzare dopo aver raggiunto questa organizzazione (Freud,
1926, cit. in Freud, 1937). Attenzione però: il fatto che le classificazioni
gerarchiche seguano una linea di sviluppo sull’asse immaturo-maturo, non
vuol dire che esse implichino necessariamente che il livello di utilizzazione
della difesa sia legato all’età o alla fase di sviluppo. Se ancora non fosse
chiaro, ciò vuol dire che soggetti della medesima età, possono usare
difese prese da qualsiasi livello della gerarchia. Una difesa definita
immatura per un adulto può esserlo come no per un bambino, poiché,
come sostenuto da Gedo e Goldberg (1973), una volta che un
meccanismo di difesa è stato acquisito come capacità funzionale, può
essere richiamato ogni qualvolta il soggetto ne ha bisogno.