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criteri di classificazione facendo riferimento ai sistemi
nosografici correntemente in uso quali il DSM-IV e l’ICD-10 e
successivamente si porrà l’attenzione sull’eziologia, sui modelli
interpretativi, sull’epidemiologia, sulla differenziazione
cognitiva, sulla differenziazione verbale e preverbale, sulla
diagnosi differenziale e sulla prognosi.
Nel secondo capitolo, invece, tratteremo del gioco simbolico:
affronteremo il tema della capacità di simbolizzare e
dell’evoluzione del gioco, da quello psicomotorio a quello
simbolico, sul quale ci concentreremo individuando quali siano le
competenze che il bambino dovrebbe avere per eseguire un tale
gioco. Verrà affrontato, dunque, anche il discorso del gioco nel
bambino autistico studiando e osservando le problematiche che
non permettono a questi bambini di arrivare ad eseguire un vero e
proprio gioco di finzione.
Nel terzo capitolo, studieremo 4 casi clinici di bambini con
Disturbo Generalizzato dello Sviluppo in età prescolare,
analizzando situazioni di gioco spontaneo mediante l’utilizzo
della S.V.A.L.S.I., strumento di valutazione delle abilità ludico-
simboliche.
Concluderemo il tutto con la rappresentazione grafica dei dati
ottenuti, con la relativa analisi e con la proposta di un progetto di
intervento terapeutico adeguato.
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Capitolo 1
DISTURBI
GENERALIZZATI
DELLO SVILUPPO
(DGS)
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1.1-Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
I Disturbi Generalizzati dello Sviluppo sono una categoria
diagnostica che comprende un gruppo di disordini caratterizzati
da una distorsione dello sviluppo di base che riguarda la
comunicazione, verbale e non verbale, la capacità sociale e
l’attività immaginativa. Sono compromesse oltre tutto, le
funzioni psicologiche di base come l’attenzione, la percezione
sensoriale, l’umore e il funzionamento intellettivo.
I sistemi che permettono di classificare questi disturbi sono:
l’INTERNETIONAL CLASSIFICATION OF DISEAS (ICD),
pubblicata dal World Healt Organization l’edizione più recente
(ICD-10,1993); il DEVELOPMENTAL AND STATISTICAL
MANUAL OF MENTAL DISORDERS (DSM), pubblicato
dall’American Psychiatric Association ed oggi arrivato alla sua
quarta edizione (DSM-IV, 1994).
Secondo la classificazione del DSM-IV all’interno dei Disturbi
Generalizzati dello Sviluppo si trovano i seguenti distinti
disordini:
ξ Il disturbo Autistico;
ξ Il disturbo di Asperger;
ξ Il disturbo di Rett;
ξ Il disturbo Disintegrativo dell’Infanzia;
ξ Il disturbo Generalizzato dello Sviluppo non altrimenti
specificato.
L’ICD-10 invece raggruppa questi disturbi sotto la dicitura di
Sindromi ad Alterazione Globale dello Sviluppo Psicologico;
oltre alle cinque sindromi elencate sopra, inserisce anche:
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ξ Autismo Atipico;
ξ Sindrome Iperattiva Associata a Ritardo Mentale.
Prima di analizzare il quadro clinico dell’Autismo Infantile
faremo un breve excursus sugli altri disturbi elencati.
SINDROME DI ASPERGER:
Identificata dal pediatra austriaco Hans Asperger nel 1944, la
sindrome è caratterizzata da una compromissione dell’interazione
sociale, dei comportamenti e degli interessi analoga a quella
dell’Autismo, in assenza di compromissione cognitiva e
linguistica o di disturbi del comportamento adattivo. Infatti, il
Q.I. di queste persone è uguale o superiore alla media, tanto che
ci si riferisce a questo disturbo anche con l’espressione “Autismo
ad Alto Funzionamento”.
Si osserva però una compromissione qualitativa
nell’interazione sociale come:
ξ marcata compromissione nell’uso dei diversi
comportamenti non verbali (lo sguardo, l’espressione mimica, i
gesti e le posture che regolano l’interazione sociale);
ξ mancanza di condivisione di interessi con altre persone;
ξ incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate;
Presenta inoltre:
ξ interessi e attività ristrette e ripetitive;
ξ rituali rigidi e specifici;
ξ manierismi motori stereotipati e ripetitivi, localizzati (es.
sbattere o torcere le mani o le dita), o generalizzati a tutto il
corpo;
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ξ preoccupazioni per le parti di oggetti;
ξ un linguaggio spesso non prosodico e stereotipato,
scarsamente comunicativo con un pensiero confuso o centrato su
temi idiosincratici;
ξ sviluppo motorio rallentato, con goffaggine e disprassia.
La prevalenza del disturbo non è certa; si registra una netta
prevalenza del sesso maschile sul femminile (4-10: 1). Il
riconoscimento del quadro e forse l’insorgenza sono un po’ più
tardive che nell’Autismo.
SINDROME DI RETT:
La sindrome di Rett, descritta nell’anno 1966 in Austria e
riscontrata con certezza solo nelle femmine, con un’incidenza di
1: 10.000-15.000, è una grave patologia genetica (mutazione nel
gene MECP2) legata al sesso e caratterizzata da un’inadeguata
crescita cerebrale.
Dopo un periodo di sviluppo normale per i primi sei mesi di
vita, si assiste ad una perdita o ad un netto rallentamento delle
cognizioni precedentemente acquisite, con una microcefalia
acquisita. Una caratteristica della sindrome è la progressiva
perdita delle capacità manuali finalistiche, con uno sviluppo di
attività stereotipate.
Lo sviluppo del linguaggio, sia sul versante espressivo che di
comprensione, risulta gravemente compromesso. In realtà una
forma di comunicazione non verbale è garantita dalla persistenza
dello sguardo estremamente comunicativo.
La durata media della vita è ridotta, anche per frequenti
infezioni delle vie respiratorie o per cause cardiache.
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DISTURBO DISINTEGRATIVO DELL’INFANZIA
Fu identificato dallo psichiatra austriaco Theodore Heller che
diede alla condizione il nome di “demenza infantile”. I soggetti
affetti da questo disturbo presentano uno sviluppo
apparentemente regolare per i primi due anni di età; presentano
fino all’età di due anni o più, normali capacità nella
comunicazione, nelle relazioni sociali, nel gioco e
nell’adattamento all’ambiente. Dopo i primi due anni di vita (ma
prima dei 10 anni) il bambino va incontro ad una perdita
clinicamente significativa di capacità di prestazioni acquisite in
precedenza in almeno due delle seguenti aree:
ξ espressione o ricezione del linguaggio;
ξ capacità sociali o comportamento adattivo;
ξ gioco;
ξ capacità motorie;
ξ controllo sfinterico.
L’esordio può essere acuto (giorni o settimane) oppure
lentamente progressivo (mesi). Il periodo di regressione è
generalmente di 6-9 mesi, seguito successivamente da un plateau
e talora da un modesto recupero, in particolare nell’ambito del
linguaggio espressivo. Si associano di regola grave ritardo
mentale, frequenti anomalie EEG e/o epilessia. Il funzionamento
sociale, comunicativo e comportamentale è analogo a quello
dell’Autismo.
DISTURBO GENERALIZZATO DELLO SVILUPPO NON
ALTRIMENTI SPECIFICATO (NAS)
In quest’ultima classe, sono collocati tutti i disturbi con
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caratteristiche simili a quelle dell’autismo che presentano
condizioni differenti rispetto alle classi precedenti. Quest’
atipicità si manifesta o in rapporto all’epoca di insorgenza (oltre i
3 anni), o in rapporto alla sintomatologia che non raggiunge la
soglia prevista per l’Autismo.
Secondo il DSM-IV fanno parte di questa categoria i disturbi
con una grave e generalizzata compromissione dello sviluppo
dell’interazione sociale reciproca o delle capacità di
comunicazione verbale e non verbale, o quando sono presenti
comportamenti, interessi ed attività stereotipati, ma non sono
“qualitativamente e quantitativamente sufficienti per una
diagnosi di Autismo o di altri DGS” (Levi et al. 2005).
1.2-Autismo: definizione e caratteristiche
cliniche
1.2.1-Definizione
La parola “Autistico” è l’aggettivo che Eugene Bleuler ideò
per descrivere la chiusura in se stessi dei pazienti schizofrenici;
infatti, l’etimologia della parola “Autismo” deriva da: “Autos”
che significa “se stesso” e “ism” che indica uno stato o qualsiasi
condizione, dunque, la traduzione letterale della parola è “stato di
chiusura in sé stesso”. Ma è solamente nel 1943 che Leo Kanner,
uno psichiatra infantile della Jhons Hopkins University, utilizzò
il termine Autismo per indicare una specifica sindrome da lui
osservata in 11 bambini che erano chiusi in se stessi e avevano
problemi di socializzazione, comunicazione e comportamentali,
che chiamò “autismo infantile precoce”. Hans Asperger, quasi
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contemporaneamente a Kanner, ma indipendentemente da lui,
utilizzò il termine “autistichen psychopathen” (Asperger, 1944)
per definire un disturbo che interessava una determinata
popolazione infantile con sintomatologia in gran parte simile a
quella descritta da Kanner per i suoi soggetti, ma con capacità
cognitive nettamente superiori.
Oggi l’Autismo è considerato come una sindrome
comportamentale causata da un disordine dello sviluppo
biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di
vita. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative
all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee e
sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri.
Secondo il DSM-IV per fare diagnosi di Autismo devono essere
presenti almeno sei punti nelle tre aree principali:
1) compromissione qualitativa dell’integrazione sociale,
manifestata da almeno due dei seguenti sintomi:
a) marcata compromissione nell’uso di svariati
comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto,
l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti che
regolano l’interazione sociale;
b) incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei
adeguate con il livello di sviluppo;
c) mancanza della ricerca spontanea della condivisione di
gioie, interessi o obbiettivi con altre persone;
d) mancanza di reciprocità sociale o emotiva;
2) compromissione qualitativa della comunicazione manifestata
da almeno uno dei seguenti punti:
a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio
parlato;
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b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata
compromissione dell’abilità di iniziare o sostenere una
conversazione con altri;
c) uso del linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio
eccentrico;
d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei o di
giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;
3) Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti
ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno uno dei
seguenti sintomi:
a) eccessiva dedizione a uno o più tipi di interessi ristretti
e stereotipati anormali per intensità o per focalizzazione;
b) aderenza del tutto inflessibile a inutili abitudini o rituali
specifici;
c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi;
d) persistenza e eccessivo interesse per parti di oggetti.
L’esordio deve verificarsi prima dei tre anni.
1.2.2-Caratteristiche cliniche
Il quadro clinico principale nell’autismo presenta una carenza
di interesse e di reciprocità con gli altri; tendenza all’isolamento
e alla chiusura.
Una caratteristica dello sviluppo sociale di questi bambini è la
limitatezza dei comportamenti di attaccamento e la mancanza
relativamente precoce di un legame affettivo con una persona: se
sono lasciati in un ambiente ignoto con sconosciuti, non
dimostrano nessuna ansia di separazione. Kanner a proposito del
loro isolamento dice: “il disturbo più evidente è l’incapacità dei
bambini di rapportarsi nel mondo usuale alla gente sin dai primi
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momenti di vita. Il bambino per quanto possibile, trascura,
ignora, taglia via tutto ciò che viene dall’esterno.”
In età scolare la loro tendenza a ritirarsi in se stessi può essere
diminuita, ma permane un’incapacità a giocare con i coetanei e a
fare amicizia. Alcuni soggetti mostrano improvvisi cambi di
umore con scoppi di riso o pianto senza ragione apparente e
senza esprimere pensieri congrui con il sentimento espresso. Si
osservano aggressività, scatti di ira e comportamenti autolesivi
scaturiti da cambiamenti o richieste (Kaplan, 1996).
Esistono tre tipologie di relazione in questi bambini: quella
“isolata”, quella “passiva” e quella “eccentrica”; la prima
rimanda all’immagine classica di un bambino “chiuso in una
campana di vetro”, in cui, sia a scuola che a casa, non sembra
rispondere agli stimoli, offerti dai compagni o dagli adulti. La
seconda tipologia, quella “passiva”, si riferisce al bambino che
accetta indifferentemente gli approcci sociali offerti dagli altri,
senza una reale complicità. L’ultima tipologia, lo “strano”, è un
bambino con comportamenti sociali presenti ma inappropriati:
usa un comportamento familiare con persone sconosciute, o frasi
completamente decontestualizzate (Lorna Wing, 1989).
Per quanto riguarda la condivisione di esperienze, piaceri e
interessi, possiamo dire che molto spesso questi bambini non
presentano attenzione alle persone presenti nella stanza e,
sebbene consapevoli della loro presenza, manifestano per queste
meno interesse di quello rivolto ad oggetti inerti (Surian, 2002).
Nei soggetti autistici fin dalle prime fasi del loro sviluppo
possono non presentare sorriso sociale e postura anticipatoria per
essere presi in braccio; fanno un uso anomalo dello sguardo, con
scarso interesse per il volto umano. Inoltre, è deficitaria la
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funzione “proto-dichiarativa” che riguarda i comportamenti di
attenzione condivisa cioè quegli atteggiamenti che servono al
bambino non solo per ottenere un oggetto, ma anche per
condividerlo con un interlocutore (Baron-Cohen, 1989;
Camaioni, 1993; Bernabei et al., 1997).
Le abilità motorie, sia globali che fini, appaiono in genere ben
organizzate. Tuttavia, in questi individui possono essere presenti
difficoltà motorie quali goffaggine o difficoltà nelle autonomie
personali ed una difficoltà nell’usare in maniera funzionale
oggetti di vita quotidiana, sono presenti movimenti stereotipati
tra cui, ad esempio, lo sfarfallamento delle mani che si manifesta
in situazioni di stress e difficoltà. Nell’ acquisizione delle
competenze psicomotorie presentano uno sviluppo disomogeneo;
possono raggiungere un livello più avanzato nella permanenza
dell’oggetto rimanendo molto indietro nell’esecuzione degli
schemi d’azione (Bernabei et al. 1999). Infatti, questi individui
tendono ad utilizzare l’oggetto in maniera ripetitiva e stereotipata
oppure pongono eccessiva attenzione agli aspetti parziali e
perdono facilmente il significato delle loro azioni (Diomede et al.
2003); per questo motivo non riescono a sviluppare le
rappresentazioni operative e le abilità a formare e manipolare
materiale simbolico, inoltre, sono alquanto compromesse le
competenze imitative (Levi, 2000).
Gli autistici in genere hanno la tendenza ad essere
percettivamente attratti da singoli particolari a scapito della
globalità dello stimolo e questo fa sì che utilizzino le capacità
prassiche in modo limitato ed atipico. L’ipotesi accreditata è che
si tratti di un deficit integrativo, centrale nelle disfunzioni
percettive e sensoriali, che renderebbe il soggetto autistico
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inabile a coordinare ed integrare i diversi tipi di stimoli per
costruire un quadro “funzionale” del mondo (Shapiro e Herzig,
1991). Dando, infatti, a un bambino di 3 o 4 anni con sviluppo
atipico un oggetto quale ad esempio un camion, quest’ ultimo si
impegnerà a lungo nell’osservazione di alcune parti dell’oggetto
quali le ruote o il movimento circolare di questi ultimi senza
impegnarsi in un’attività di gioco. Anche nell’osservazione di
stimoli sociali quali il volto, l’attenzione di questi bambini
sembra andare ai dettagli piuttosto che alla configurazione
complessiva.
Gli autistici presentano peculiarità sensoriali: ipersensibilità o
iposensibilità a certi stimoli. Ad esempio, possono sentire
fastidio per certi cibi in bocca oppure tapparsi le orecchie allo
squillo del telefono e ignorare il suono di una sirena di allarme
(Frith, 1996).
Tra i sintomi distintivi dell’Autismo vi è uno sviluppo
comunicativo alquanto deficitario. L’interazione triadica e
l’attenzione condivisa sono i primi aspetti che sono colpiti nello
sviluppo comunicativo. Questi bambini possono guardare il
partner solo quando sono impegnati in uno scambio diadico o in
un gioco simbolico, come lanciarsi una palla. Però non sono
capaci di utilizzare l’attenzione condivisa, non alternano lo
sguardo tra il partner e l’oggetto in una situazione di forte
bisogno. Inoltre, non si servono dell’espressione facciale
dell’adulto in situazioni ambigue. Quindi si può dire che i
“soggetti con Autismo sono capaci di utilizzare lo sguardo nella
comunicazione con l’altro, ma manca loro la capacità di usare lo
sguardo per condividere con l’altro l’attenzione su un evento
esterno” (Camaioni, 2001).