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CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
1.1 LA LOCOMOZIONE
Tutti gli individui, sani e non, devono camminare. Infatti, la qualità della
vita è fortemente condizionata dalla capacità deambulatoria, basti pensare alle
condizioni di disabilità di individui in cui la funzione locomotoria è compromessa
da processi patologici. Il costo energetico del cammino può variare entro limiti
anche molto ampi, non solo tra le varie persone, ma anche nello stesso
individuo, in base ad alcune variabili. Esso è fortemente influenzato dal peso
corporeo, compresi gli indumenti, dalla velocità della marcia, dal tipo di
superficie su cui si marcia, dal grado di pendenza e dalla presenza di condizioni di
marcia patologica (Molbech, 1966).
La locomozione umana consiste in movimenti ciclici alternati degli arti
inferiori durante i quali ciascun arto viene in contatto con il terreno, sostenendo
il peso corporeo per un certo periodo di tempo, per poi venire portato in avanti.
Il periodo in cui l’arto rimane in contatto con la superficie di supporto prende il
nome di periodo di appoggio o di supporto, mentre quello in cui l’arto inferiore
viene sollevato dal suolo e traslocato in avanti è denominato periodo di
oscillazione.
I movimenti degli arti inferiori durante il ciclo del passo presentano
caratteristiche cinematiche e modalità di attivazione muscolare peculiari ai
processi di controllo nervoso della locomozione. Secondo la classificazione
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introdotta da M.Philippson il ciclo del passo può essere suddiviso in quattro fasi:
una fase flessoria (fase F) e tre di estensione dell’arto (E1, E2, E3).
La prima fase del passo (fase F) segna l’inizio del periodo di oscillazione ed
è contraddistinta dall’attivazione simultanea dei muscoli flessori delle
articolazioni dell’anca, del ginocchio e della caviglia, con conseguente flessione
dell’arto e sollevamento del piede dal piano di appoggio. Circa a metà del
periodo di oscillazione, mentre i muscoli flessori dell’anca continuano a contrarsi,
vengono attivati i muscoli estensori del ginocchio e della caviglia. La flessione
dell’articolazione dell’anca e la contemporanea estensione del ginocchio e della
caviglia avanzano il piede in prossimità del suolo e preparano l’arto a sostenere il
peso del corpo. Questa fase iniziale di estensione dell’arto costituisce la fase E1.
Il successivo contatto del piede con il suolo marca la transizione tra il
periodo di oscillazione e il periodo di appoggio. All’inizio del periodo di appoggio
(fase E2) il peso del corpo viene trasferito sull’arto in estensione determinando la
flessione passiva delle articolazioni del ginocchio e della caviglia che, in tal modo,
ammortizzano il carico del peso corporeo. A causa della flessione passiva del
ginocchio e della caviglia, i muscoli estensori vengono contratti in maniera
eccentrica, accumulando energia elastica la cui restituzione nella fase successiva
contribuisce alla spinta propulsiva per lo spostamento del corpo in avanti.
La spinta per la propulsione del corpo in avanti viene fornita, quindi,
durante l’ultima fase del ciclo del passo (fase E3) dall’estensione completa delle
articolazioni dell’anca, del ginocchio e della caviglia per mezzo di un’attivazione
sinergica dei muscoli estensori dell’arto.
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Lo schema motorio di base del passo (ritmicità e cinematica del passo) è
generato essenzialmente da circuiti spinali, ma la capacità di iniziare o di
arrestare il cammino, di variarne la velocità, di cambiare direzione o di superare
un ostacolo mantenendo la stabilità, dipendono criticamente dal controllo
integrato di diversi centri superiori. Inoltre un’ulteriore regolazione è data dai
sistemi sensoriali afferenti; infatti, durante il ciclo del passo, i segnali provenienti
dai recettori muscolari, cutanei e articolari forniscono al midollo spinale
informazioni su come e quanto l’arto viene caricato e scaricato interagendo con
la superficie di supporto, sull’ampiezza della fase di oscillazione o su eventuali
perturbazioni inattese, quali quelle che si producono su superficie accidentata.
Volendo creare un quadro generale dei processi di base del controllo del
passo possiamo dire che:
1. Le reti neurali nel midollo spinale sono responsabili della generazione di
uno schema motorio generale del passo che viene finemente regolato dai
segnali afferenti sia attraverso un feedback diretto sui circuiti spinali, sia
mediante un ulteriore stadio di elaborazione a livello del cervelletto.
2. La funzione cerebellare garantisce gli aspetti di coordinazione
intersegmentaria e cinematici del passo, nonché il mantenimento della
postura antigravitaria. I centri spinali sono, inoltre, modulati dal centro
locomotorio mesencefalico, la cui attività può promuovere l’avvio della
locomozione e le variazioni di frequenza del passo che accompagnano le
variazioni di velocità del cammino.
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3. Il centro locomotorio mesencefalico e i circuiti spinali sono sottoposti al
controllo da parte di aree corticali che, di concerto con i nuclei della base
e il cervelletto, presiedono alle modificazioni volontarie e al controllo
visuomotorio della locomozione.
1.2 UTILIZZO DEL BWS IN AMBITO RIABILITATIVO
Negli ultimi vent’anni le linee guida che hanno regolato i processi di
riabilitazione sono profondamente cambiate in base alle nuove conoscenze. Con
lo sviluppo dei sistemi di controllo motorio, la tradizionale attenzione che era
posta sui sistemi neuromuscolari è stata sostituita da un’attenzione più globale
su come tutti i sistemi fisiologici (neuromuscolari, muscolo‐scheletrici e
cardiorespiratori) interagiscano fra loro e con l’ambiente per dare il proprio
contributo (Horak FB, 1992). Questo modo di approcciare il problema porta ad
usare tecniche e metodologie che in passato non erano impiegate nella terapia
riabilitativa con la possibilità di testare le diverse capacità fisiche, quali ad
esempio quella cardiovascolare.
Appare ormai evidente che il recupero del paziente con disabilità
neurologiche non può essere solo rivolto al miglioramento della funzione
neuromuscolare.
Roth et al. hanno dimostrato che solo il 2‐36% dei deficit provocati da ictus
sono attribuibili a compromissione neuromuscolare.
Grescham et al. proposero che molte delle disabilità conseguenti ad evento
cerebrovascolare acuto sono dovute alla coesistenza di disturbi cardiovascolari.
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Approssimativamente il 75% dei pazienti affetti da ictus sono affetti pure da
disturbi cardiaci (Roth, 1993) e presentano, in fase cronica (a 6 mesi dall’evento
acuto), una ridotta capacità di eseguire esercizi (Potempa K et al., Bachynski ‐
Cole M. et al.)
Molti studi presenti in letteratura si sono dedicati all’analisi
dell’andamento del consumo di ossigeno (VO
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) in pazienti con patologie
neurologiche usando mezzi quali il cicloergometro (Bjuro T et al., 1975,
Brinkmann Jr, 1979).
In altri casi, invece, si è optato per un treadmill per il cammino perché
possiede vantaggi che lo rendono preferibile rispetto ad altri ergometri. Per
misurare il consumo di ossigeno, infatti, è necessario che l’esercizio coinvolga
almeno il 50% della muscolatura corporea (Rowell LB, 1974); questa condizione è
meglio raggiunta con il cammino piuttosto che la pedalata, in modo particolare
nelle persone che non sono allenate (Rowell LB, 1974). E’ evidente, inoltre, che
per queste persone, al fine del recupero dell’autonomia nella vita quotidiana, sia
molto più importante la posizione ortostatica piuttosto che quella sulla bicicletta.
Infine, è bene ricordare che le misure del VO
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sono fortemente influenzate
dall’attività svolta e quindi, nel cammino, si è certi di ottenere valori molto più
attendibili, in riferimento alle mansioni quotidiane, rispetto all’utilizzo di altri
mezzi (McaArdle WD et al., 1978).
Corcoran and Brengelmann hanno però stabilito che, sebbene il treadmill
sia il miglior strumento per indagare le capacità fisiche post ictus, l’ansietà o
l’insicurezza che spesso si manifestano durante questo tipo di prove ne limitano
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l’applicazione. Infatti, il treadmill, anche per individui sani non abituati
all’utilizzo, può presentare delle difficoltà nell’approccio, richiedendo un certo
periodo di adattamento al gesto richiesto. Una perdita di equilibrio ed una
caduta durante l’attività sarebbero quindi, oltre che altamente probabili per i
pazienti affetti da disabilità motorie, anche inaccettabili. Questa possibilità rende
il treadmill inutilizzabile nel processo riabilitativo se non si interviene a
scongiurare questo inconveniente.
Il cammino in sospensione è stato sviluppato proprio per contrastare tali
problematiche. La sua particolare funzione, infatti, è quella di alleggerire il
paziente di una quota del suo peso, fornire un supporto di stabilizzazione esterno
e di conseguenza permettere l’esercizio anche a pazienti post stroke (Visintin M
et al., 1989, Werning A et al., 1992).
Esistono in letteratura alcuni studi che hanno stabilito quale deve essere il
livello di scarico del peso per rendere il più naturale possibile lo schema motorio
del passo dei pazienti.
Nel 1989 Visintin e Barbeau trovarono che i pazienti paraparetici
acquisivano il miglior schema motorio del cammino ad uno scarico del 40% del
loro peso comparando i risultati con il cammino al treadmill in carico naturale.
Più recentemente Hesse et al. osservarono una riduzione dell’attivazione
del muscolo soleo e del vasto laterale durante la “stance phase” del passo nei
pazienti utilizzando scarichi in peso superiori al 45% e fissarono pertanto, come
soglia massima di scarico nel processo di ri‐allenamento, il valore del 30% per
garantire il reclutamento di quei distretti muscolari.