2
narrano la sua storia, ma è presente - forse in chiaroscuro, forse sottovoce - in tutta la sua
letteratura per l’infanzia. Questa inconsapevolezza è d’altra parte quanto mai certa, vista la
difficile gestazione di Pinocchio, e visto come l’eroe muore tragicamente alla fine del XV
capitolo per poi resuscitare grazie alla spinta delle richieste di editori e pubblico. Lo “spirito
pinocchiesco” si può già avvertire in quei testi, nati con un pretesto didattico, che precedono
Le avventure di Pinocchio: fra questi i più importanti sono Giannettino,
2
del 1876, e
Minuzzolo, del 1878; gli altri riprendono come protagonista Giannettino
3
e come quello
sono dedicati all’educazione dei bambini e “quale più quale meno riprendono le tracce
eversive del capostipite”
4
. Nei vari testi che seguono Pinocchio quello spirito è anche più
vivo e forte: si tratta di racconti che questa volta nascono proprio per il divertimento dei
bambini, anche se è pur sempre presente una marcata componente educativa. Al pari di
Giannettino e Minuzzolo anche Pipì , Masino e Gigino
5
ricordano Pinocchio. Sono così
vicini al burattino che non stupirebbe ritrovarli tutti insieme a giocare qualche tiro mancino
a maestri e compagni, a far baldoria in qualche Paese dei Balocchi, a litigarsi confetti e
dolciumi…
2
“Giannettino fu ristampato tre volte nello stesso anno e, negli anni successivi, la sua tiratura si era quasi stabilizzata
sulle cinquantamila copie.” (Marino Parenti, Storia di Pinocchio, in AA.VV Omaggio a Pinocchio, ora in Rassegna
Lucchese n° 9/ 1952, pag. 11).
3
Gli altri libri didattici che seguono il primo Giannettino sono: La geografia di Giannettino (1876), La grammatica di
Giannettino (1879), Il viaggio in Italia di Giannettino (1880-1885), L’abbaco di Giannettino (1885) La lanterna
magica di Giannettino (1890).
4
Pino Boero – Carmine De Luca, La letteratura per l’infanzia, Ediz. Gius. Laterza & Figli, Bari, 1995, pag.23.
5
Sono i protagonisti, rispettivamente, di Pipì, lo scimmiottino color di rosa, de L’avvocatino. Difensore dei ragazzi
svogliati e senza amor proprio, e de L’omino anticipato ossia la storia di tutti quei ragazzi che vogliono parere uomini
prima del tempo, racconti della raccolta Storie allegre edita da Paggi nel 1881.
3
1.1 I fratelli di Pinocchio. Analisi delle caratteristiche che rendono gli altri piccoli
protagonisti collodiani altrettanti alter ego del celebre burattino.
Volendo riassumere in modo alquanto sbrigativo la storia del famoso eroe di legno,
potremmo cavarcela così: “Il libro di Pinocchio narra le avventure di un burattino di legno
monello e bugiardo guidato alla finale trasformazione in bravo bambino in carne e ossa
dall’amoroso e magico intervento di una Fata e di altri personaggi fiabeschi”. Questo veloce
riassunto certo non dà l’idea di quanto il racconto sia ricco, e se la storia fosse realmente
così semplice non sarebbero giustificati né i numerosi testi critici scritti per approfondire
l’esame dell’immortale opera collodiana, né i molteplici convegni dedicati al celebre
burattino. Ad ogni modo queste poche parole sono sufficienti per procedere alla
dimostrazione di come gli elementi descritti siano presenti anche negli altri racconti
collodiani, e come quindi quei personaggi possano essere considerati come i diversi ritratti
di un unico protagonista ideale.
1.1.1.Ritratto di un monello
Fin dalle sue prime battute Pinocchio rivela il suo istinto di monello, e lo fa senza
vergogna, quasi proclamando un suo diritto al divertimento. Le sue dichiarazioni acquistano
inoltre una gran forza in virtù del fatto che sono rivolte al Grillo parlante, ossia la figura che
per eccellenza rappresenta l’ammonimento e la guida cui bene o male devono piegarsi tutti i
bambini in età scolare :
“Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani, all’alba, voglio
andarmene di qui, perchè se rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri
ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccherà a
studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia e mi diverto più
a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli uccellini di nido.”
6
.
Dopo poche righe il burattino conferma al Grillo la sua “regola di vita”, il suo “mestiere”
preferito: “quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita
6
Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia un burattino, Ed. Paggi, Firenze, 1883, pag. 20 .
4
del vagabondo.”
7
. Per quanto possa apparire sovversivo e anarchico, Pinocchio non è isolato
nella sua protesta contro l’ordine costituito, ma è membro di un folto gruppo di creature:
Giannettino
“si era tirato su un piccoso e un prepotente, da non averne pace né in casa, né fuori di
casa. La voglia di studiare non la conosceva neppur di vista”
8
,
e se nel Minuzzolo apparentemente solo uno dei fratelli del protagonista, Adolfo, dimostra
molta riluttanza ad impegnarsi nello studio, tutti i ragazzi sono tutt’altro che creature quiete:
l’allegra combriccola infatti per non rischiare la noia decide di prendere a sassate delle
statue, e nessuno accenna a pentirsi sino a che non arriva il castigo. Altro monello è il
piccolo Masino: la descrizione che ne dà il Collodi potrebbe essere presa a modello per un
identikit del perfetto “scapato” :
“disubbidiente, goloso, pigro, dormiglione, nemico dell’acqua per lavarsi le mani e il
viso, coperto di frittelle e di strappi in tutti i vestiti che portava addosso, spacciatore di
bugie all’ingrosso e al minuto, ciarliero, impertinente, rispondiero e avversario
implacabile dei libri e della scuola”
9
.
A tutti questi ragazzacci fa buona compagnia anche Gigino, che
“era bizzoso, capriccioso, svogliato, ghiotto dello zucchero e dei pasticcini; un po’
bugiardo; prepotente e permaloso co’ suoi compagni di scuola”
10
.
Tra questi piccoli briganti non risulta essere fuori posto neppure lo scimmiotto Pipì, che
anzi proprio dallo stesso autore pare considerato quasi un socio onorario di un possibile
“club dei monelli”:
7
Ivi, pag. 21.
8
Id., Giannettino, in Id., Il tesoro illustrato Collodi, a c. di F. Acerbo, vol. II, Editrice Italiana di cultura (La moderna),
Roma, 1965, pag. 187.
9
Id., L’avvocatino. Difensore dei ragazzi svogliati e senza amor proprio, Editori Riuniti, S.p.A. , Roma , 1992, pag. 5.
10
Id., L’omino anticipato ossia la storia di tutti quei ragazzi che vogliono parere uomini prima del tempo, in Id., Il
tesoro illustrato Collodi , op. cit., vol. I, pag. 266 .
5
“Vedendolo così di prim’acchito, si poteva quasi scambiarlo per un ragazzino di otto o
nove anni, per la gran ragione che Pipì faceva il chiasso e i balocchi come un ragazzo:
correva dietro alle farfalle e andava in cerca di nidi, come i ragazzi: era ghiottissimo
delle frutta acerbe, come i ragazzi: mangiava ogni cosa e mangiava sempre, come i
ragazzi”
11
.
Questo scimmiottino è davvero più vicino a Pinocchio di quanto non possa sembrare a
prima vista: non solo entrambi sono dei “diversi” - Pinocchio è un burattino di legno in
mezzo a ragazzini di carne e d’ossa, e Pipì è uno scimmiotto rosa in mezzo a tanti fratelli
color cioccolato - ma subiscono anche un simile processo di “umanizzazione”,
evidentissimo nel burattino e dimostrato nello scimmiotto dalla perdita della coda e dalla
sua finale condizione di compagno di un ragazzo, vestito e calzato come un ometto. Tra gli
altri particolari che avvicinano Pinocchio e Pipì, va sottolineato anche il forte legame
linguistico: ricordiamo le parole che il burattino aveva rivolto al Grillo parlante, e
accostiamole a quelle che Pipì rivolge all’amico Alfredo: “Io mi contento di poco. A me mi
basta di mangiare, di bere e di andare a spasso. Non domando nulla di più”
12
. Ad assicurarci
della fratellanza di Pipì e Pinocchio concorrono inoltre alcune circostanze riportate dal
Bertacchini ne Il padre di Pinocchio
13
con dovizia di particolari: quando Le avventure di
Pinocchio giunsero alla fine, il n° 3 dell’anno III del “Giornale per i bambini” avvisò i
piccoli lettori che le peripezie del burattino erano terminate, e avrebbero ceduto il posto a
quelle di un altro personaggio del Collodi, lo scimmiottino rosa Pipì. Sembrerebbe quasi un
passaggio di testimone, come se si volesse sottolineare con quella continuità sulle pagine
stampate anche la continuità di temi. La parentela tra questi due personaggi – e meglio
ancora tra tutti i “piccoli” collodiani - è davvero innegabile e strabiliante e rende sempre più
forte in me quella convinzione che Pinocchio sia più di un burattino, sia uno spirito che vive
in ogni pagina collodiana.
Mi sembra necessario a questo punto aprire una parentesi che riporta all’esperienza
biografica del Collodi: nel volume Storie Allegre vi sono infatti alcune pagine in cui l’autore
11
Id., Pipì, lo scimmiottino color di rosa, Emme Edizioni S.p.A., Milano, 1981, pag. 8 .
12
Ivi, pag. 23.
13
Renato Bertacchini, op. cit., pag. 282.
6
parla di sé
14
. Visto il contesto - allegro, per l’appunto - in cui queste “memorie” si trovano,
non stupisce leggervi l’ennesimo ritratto di un monello, che questa volta ha però un
autorevole nome, quello di Carlo Collodi. L’autore racconta di quando era uno scolaro
terribile, e senza pudore rivela che si divertiva un mondo mettendo noccioli di ciliegie
appena mangiate nelle tasche dei compagni, oppure acchiappando delle mosche e facendole
ronzare vicino alle orecchie dei malcapitati. La divertente equazione tra il Collodi e il
monello fa pensare a quanto di lui ha affermato il nipote Paolo Lorenzini:
“Dirò una cosa che nessuno ha pensato, forse perché nessuno conobbe il Collodi come
io lo conobbi. Il Pinocchio è lui; lui come si è visto da umorista faceto come egli era, in
quel periodo della sua vita che va dal 1860 al ’70, nel quale egli sentì il bisogno di
tornare a vivere presso la sua amorosissima mamma, per essere rieducato, per tornare a
rifarsi quel bravo figliuolo, che ella si vantava di aver allevato. […] Tutti i consigli che
la Fatina dà a Pinocchio, sono i medesimi che la mamma dovette dare a lui.”
15
.
La Storia di un burattino sarebbe dunque un’opera autobiografica (del resto in qualsiasi
romanzo chi scrive lascia qualche inconfondibile traccia del suo privato), e se davvero come
ho osservato tutti i piccoli protagonisti collodiani sono legati da uno stesso “spirito”, si può
forse supporre che parte di tale “spirito” sia proprio uno speciale ritratto che di sé ha voluto
dare il Collodi. Forse Pinocchio e i suoi “fratelli” riflettono l’immagine di un Collodi ormai
adulto che rimpiange di non avere più quell’età e quella forza che permettono ai bambini di
affrontare la vita con l’ingenuità e la capacità di recuperare dai propri errori importanti
insegnamenti positivi.
14
Carlo Collodi, Quand’ero ragazzo (Memorie di C. Collodi), in Il tesoro illustrato Collodi, op. cit., pagg. 386-391.
15
Paolo Lorenzini [Collodi nipote], Collodi e “Pinocchio”, in AA.VV Omaggio a Pinocchio, op. cit, pag. 7.
7
1.1.2. I bambini raccontano le bugie e fanno promesse che non mantengono.
Pinocchio appartiene al Regno della Fantasia, con la sua essenza lignea e i sentimenti
di un ragazzino dal cuore buono, ma nel contempo è un eroe differente da quelli che i
bambini di oggi ammirano nei cartoni animati trasmessi dalla televisione: non è
indistruttibile, non diventa invisibile, non esce sempre vittorioso da ogni situazione, non ha
comportamenti sempre lodevoli. Piuttosto Pinocchio è il ritratto fedele dei bambini nelle
loro debolezze, prima fra tutte quella di raccontare bugie. I “piccoli lettori” cui Collodi
spesso si rivolge dalle pagine di Pinocchio sono davvero simili al burattino: tutti – e se non
tutti certo la maggioranza – raccontano bugie per togliersi da una situazione difficile, per
salvarsi da meritati castighi imminenti, o anche solo per attirare l’attenzione e apparire più
importanti. Le menzogne portano spesso i bambini a promettere di non ripetere gli errori già
commessi, ma poi le promesse difficilmente sono mantenute. Questo lo sa bene il nostro
burattino, che finisce in una sorta di circolo vizioso che lega il fare delle promesse
all’incapacità di mantenerle, al pentimento per le conseguenze negative che derivano dal
comportamento scorretto. Le avventure di Pinocchio descrivono bene le difficoltà che ogni
piccolo individuo attraversa lungo il percorso che lo porta a comprendere la necessità di non
mentire e di mantenere le promesse fatte agli adulti. L’episodio di Pinocchio che meglio
illustra quanto ho appena affermato è quello che vede il burattino partire per il Paese dei
Balocchi: nei capitoli che vanno dal XXX al XXXII il piccolo eroe promette alla Fata
Turchina di tornare prima che faccia buio, poi incontra l’amico Lucignolo, e per quanto si
sforzi di tener fede alla promessa fatta, alla fine si lascia convincere a partire per quel
paradiso dei divertimenti. Presto inizia la sua trasformazione in ciuchino, e Pinocchio allora
rimpiange con tristezza di non aver dato ascolto alla sua buona fatina. D’altra parte la stessa
Fata lo aveva avvertito:
“Bada, Pinocchio! I ragazzi fanno presto a promettere: ma il più delle volte, fanno tardi
a mantenere. […] i ragazzi che non danno retta ai consigli di chi ne sa più di loro, vanno
sempre incontro a qualche disgrazia.”
16
.
16
Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, op. cit., pag. 163.
8
Anche gli altri piccoli protagonisti collodiani vivono questo delicato momento che conduce
alla crescita e all’acquisizione di responsabilità, magari sotto lo sguardo e l’amorevole guida
di qualche educatore che ricorda la Fata turchina, Geppetto, o il Grillo parlante.
Giannettino nel XXII capitolo ha un’avventura più o meno simile a quella di
Pinocchio: la mamma gli consegna il denaro per acquistare un atlante, e raccomanda al
figlio di fare attenzione a non mettersi nei guai a causa di alcuni suoi cattivi compagni di
scuola. Giannettino con un atteggiamento di sufficienza lascia intendere che a lui guai simili
non capitano, ma poi proprio a causa di quei cattivi compagni finisce per essere arrestato da
due carabinieri e, di conseguenza, a preoccuparsi della sua povera mamma che se sapesse
ciò che gli è accaduto morirebbe di crepacuore.
17
Questo episodio inoltre lega Giannettino e
Pinocchio anche in virtù della presenza dei due carabinieri: sono forse gli stessi che
arrestano il burattino nel cap. XXVII?
Spostando la nostra attenzione alle avventure dello scimmiottino Pipì, possiamo
affermare che questa volta l’intero racconto pare voler dimostrare quanto è importante che i
ragazzi imparino a mantenere ciò che promettono. Lo scimmiottino, infatti, non mantiene la
promessa fatta al giovane Alfredo, e sebbene avverta immediatamente un senso di disagio
per il suo comportamento scorretto, non riesce ad imporsi di tornare indietro. Tutte le
sventure di cui è vittima non gli sarebbero capitate se si fosse affidato alle cure di Alfredo:
non avrebbe dovuto fare i conti con “ il male della paura”
18
, che lo attanaglia una volta
scappato col padre dalla residenza di Alfredo, non avrebbe incontrato il terribile Golasecca
(che sia nel carattere che nella fisionomia tanto ricorda il Mangiafoco pinocchiesco), non
avrebbe dovuto fermarsi presso la tribù delle scimmie e sobbarcarsi di compiti tanto
“ingrati”. Pipì impara la lezione, e al nuovo incontro con Alfredo promette di non
abbandonarlo più.
Un altro “monello-bugiardo” è Gigino, che a causa della sua smania di voler apparire
più grande di quello che è finge di saper cavalcare come di essere un fumatore incallito, ed
ogni volta finisce nei guai e con amarezza si ripete che forse sarebbe stato meglio non
mentire.
17
Id., Giannettino, op. cit., pagg. 361-369.
18
Id., Pipì, lo scimmiottino color di rosa, op. cit., pag. 43.
9
1.1.3.La “magia” e il suo colore turchino.
Altro elemento che lega in modo evidente questi racconti collodiani è la Magia: se la
Fata Turchina ne è la principale incarnazione in Pinocchio, il suo colore lo ritroviamo
altrove quasi come tòpos, e sempre caratterizza oggetti o personaggi dall’indiscusso sapore
magico. In Giannettino c’è un pappagallo parlante che, come nota lucidamente Bertacchini,
“possiede la vocazione del filosofo”
19
. Questo pappagallo
“si chiamava Ciuffettino-blu, a motivo di un pennacchietto di bellissime penne
turchine, che gli stava ritto in mezzo alla testa”
20
,
e sembra un sosia del Grillo parlante: non solo è una delle figure cui è dato il compito di
ammonire e consigliare il discolo, ma addirittura come quel Grillo spesso parla per proverbi,
frasi fatte, luoghi comuni.
Anche l’atteggiamento di Giannettino nei suoi confronti è simile a quello che
Pinocchio riserva al Grillo: se il burattino inizia con lo sbuffare alle sue prediche, e poi gli
scaglia contro un martello, Giannettino gli augura di crepare. Infine entrambi si rendono
conto di quanto fossero giuste le parole dell’insolito consigliere.
21
L’elemento turchino torna ancora in Pipì, e questa volta siamo nuovamente alle prese
con una Fata: la sua unica apparizione è sotto le sembianze di uno spillone evidentemente
magico che riesce a forare il sacco che imprigiona lo scimmiotto, quando a nulla erano
invece valsi gli sforzi di quanti avevano cercato di liberarlo precedentemente: il grosso topo,
il vitello, i pescatori. Questo spillone è
“sormontato da una grossa perla, sulla quale (cosa singolarissima!) si vedeva dipinta la
testa di una bella bambina coi capelli turchini.”
22
.
19
Renato Bertacchini, op. cit., pag. 195.
20
Carlo Collodi, Giannettino , op. cit. , pag. 243.
21
Dopo aver ascoltato tutta una serie di ammonimenti del pappagallo (“- Cra! cra! cra. Chi si loda, s’imbroda.” ; “-Cra!
cra! cra.! Chi troppo mangia, scoppia!”) Giannettino gli risponde senza troppi complimenti : “Crepi l’astrologo!”, e poi
immancabilmente se ne pente: “Ohi! ohi! ohi! …Ciuffettino-blu aveva ragione! Buon per me, se gli avessi dato
retta!…” . Ivi , pagg. 246-247. Per Pinocchio si può segnalare lo stesso comportamento ogni volta che cade in errore per
non aver ascoltato qualche valido consiglio.
22
Id., Pipì, lo scimmiottino color di rosa, op. cit., pag. 19, corsivo mio.
10
La forte somiglianza tra i particolari suggerisce che probabilmente abbiamo a che fare con
la stessa Fata di Pinocchio, e a confermare questa opinione c’è anche la presenza di un “bel
coniglio, che aveva il pelame turchino (come i capelli della Fata) ”
23
, che nella sua colorata
veste tanto ricorda le frequenti metamorfosi cui la Fata di Pinocchio si sottopone per stare
vicina al suo protetto.
Ho già rilevato come la parentela tra Pipì e Pinocchio sia più che una suggestiva
supposizione, e un’ulteriore conferma di quanto affermo si trova ancora una volta nelle
pagine del critico Bertacchini: il “Giornalino dei bambini” uscito in data 12 marzo 1885
riporta una Spiegazione ai piccoli lettori firmata dal Collodi, e così commentata da lui:
“Si tratta di un chiarimento metaletterario nel corso del quale lo scimmiottino si
presenta all’autore, […] gli svela inoltre che il misterioso personaggio col quale Pipì
dovrà compiere un viaggio è Adolfo, e ‘quand’era piccolo faceva il burattino’ per poi
diventare ‘un grazioso giovinetto, pieno d’ingegno e di buon cuore’”
24
.
Bertacchini vede in Adolfo–ex burattino la reincarnazione di Pinocchio, e in Pipì il suo
fratello minore, colui che riprende la sua lotta contro l’ordine e contro le regole. Questo
discorso sembrerebbe avvalorare la mia ipotesi di un Collodi che col burattino e gli altri
suoi piccoli eroi parla di sé, del suo rimpianto causato dal fatto di non avere più le stesse
chances di un bambino. Da questo punto di vista se Pinocchio annulla con la sua
metamorfosi la speranza che si possano mantenere intatti gli istinti infantili, Pipi lo segue
nell’insuccesso salvandosi unicamente dalla finale trasformazione fisica. Ricordiamo che
Collodi dichiarò al Padre Ermenegildo Pistelli, che lo rimproverava del brutto finale di
Pinocchio: “Sarà, ma io non ho memoria d’aver finito a quel modo”
25
. Queste testimonianze
fermano davanti ai miei occhi la commovente immagine di un Collodi che in cuor suo, fino
all’ultimo, si oppose a quello scacco che invece la pagina aveva inflitto a tutti i suoi eroi
facendo perdere loro l’istinto infantile e costringendoli alla crescita.
23
Ivi, pag. 77, corsivo mio.
24
Renato Bertacchini, op. cit., pagg. 283-284.
25
Antonio Lugli in Realtà e fantasia di Pinocchio, in AA.VV Omaggio a Pinocchio, op. cit., pag. 24.
11
CAPITOLO II
Per un’analisi delle Avventure di Pinocchio.
Pinocchio fece la sua prima apparizione sul “Giornale per i bambini” nel luglio del
1881, ossia più di cento anni fa. L’anzianità del burattino - un’anzianità peraltro solo
anagrafica, visto che nel corso delle sue avventure non cresce neppure di un centimetro, e
resta un bambino anche dopo la metamorfosi - non ci autorizza però a pensare che ormai sia
stato già detto tutto sul suo conto e sul libro che narra la sua storia. Anche Gianni Rodari, in
occasione di uno dei tanti convegni svoltisi in onore del nostro eroe di legno, si chiese se era
possibile parlare ancora di Pinocchio senza rischiare di “riscaldare vecchie minestre”
26
. La
risposta, immediata, fu:
“pare proprio di sì […]. Il libro del Collodi parla il linguaggio ricco, contraddittorio,
ambiguo, dei capolavori poetici. Ogni generazione lo rilegge a modo suo,
confrontandolo con le idee contemporanee, usando gli strumenti critici in vigore. Ogni
lettore vi ritrova la propria esperienza di una infanzia anarchica e repressa. Finisce che
ogni parola del libro è indagata, studiata al microscopio”
27
.
Quest’autorevole affermazione è come un lasciapassare per un’ulteriore attività di ricerca in
seno all’opera collodiana, anzi sembrerebbe quasi un invito a rileggere nuovamente Le
avventure di Pinocchio, a domandarsi cosa ancora nascondano e cosa significhino per
ciascuno di noi.
Abbiamo ormai assodato che Pinocchio è un capolavoro, e che in quanto tale resiste
all’usura del tempo. Tra i motivi che ne hanno fatto uno dei libri per l’infanzia più letti da
sempre c’è la sua forza innovatrice. Questa originalità risulta evidente già dalla lettura
dell’opera, ma emerge maggiormente dal paragone con le opere coeve e con quelle della
tradizione, ed è quindi doveroso ricollocare la Storia di un burattino nel suo contesto storico
(d’altra parte è proprio questo il corretto approccio critico insegnato anche allo studente alle
prime armi).
C’è anzitutto da non sottovalutare il fatto che in Italia la produzione di libri e
periodici per l’infanzia prese corpo solo negli anni in cui nacque lo Stato nazionale, con un
26
Gianni Rodari, Tre giorni di discussioni a Pescia sul famoso burattino, in Paese Sera, 11 ottobre 1974, pag. 3.
27
Ibidem.
12
notevole ritardo cronologico rispetto a Francia, Inghilterra, Germania. Per di più la nostra
prima letteratura per l’infanzia, come avverte il già citato Rodari, era più che altro
letteratura per lo scolaro, cioè per una parte del ragazzino che forse non è neppure la sua
metà: la scuola richiedeva che fosse presente “la sua attenzione […] ma non la sua
immaginazione; la sua capacità di stare fermo, non il suo bisogno di muoversi ”
28
. Quella
letteratura proponeva ai piccoli lettori i valori ossequiati dagli adulti: il rispetto per Dio che
viene dall’educazione di ogni buon cristiano, l’amore per la propria Patria e quello per la
propria famiglia; inoltre i suoi protagonisti erano per lo più ragazzini che immediatamente
apprendevano la necessità dell’ubbidienza ai genitori, del sacrificio e dell’abnegazione,
dello studio per migliorarsi. Il libro che avesse tentato di percorrere binari diversi sarebbe
stato fermato, e questo è ciò che accadde al Giannettino del Collodi: nel 1883 una
commissione istituita per scegliere i testi idonei alla scuola lo bocciò, considerando che i
libri collodiani
“han pregi molti di sostanza e di dettato, ma sono concepiti in modo così romanzesco,
da dar soverchio luogo al dolce, distraendo dall’utile; e sono scritti in stile così gaio, e
non di rado così umoristicamente frivolo, da togliere ogni serietà all’insegnamento”
29
.
Questa forte attenzione all’educazione del giovane lettore e al suo percorso verso l’età
adulta era una peculiarità tutta italiana, e proprio in essa sta la principale differenza con la
coeva letteratura straniera, che all’opposto restava per lo più affascinata dall’infanzia come
età e condizione assoluta: pensiamo ad esempio ad Alice e Peter Pan:
“Carrol si cala tutto nei sogni e incubi dell’immaginario infantile, senza prospettarne
fuoruscita; Barrie elabora il mito del ragazzo che rifiuta di crescere e di abbandonare la
sua ‘isola che non c’è ’ ”
30
.
28
Id., Pinocchio nella letteratura per l’infanzia, in AA.VV, Studi collodiani, Atti del I Convegno Internazionale –
Pescia 5/7 ottobre 1974, finito di stampare nel marzo 1976 dall’Editografica di Rastignano, Bologna., pag. 42. Poco
oltre l’autore aggiunge che “Pinocchio è il primo libro per ragazzi scritto in Italia (e uno dei primi in Europa) in presa
diretta con i ragazzi, liberati dalla loro uniforme di scolari”. Pag. 43.
29
Pino Boero – Carmine De Luca, op. cit., pag. 22. Nella nota 15 a questa citazione gli autori rimandano a La scuola
primaria dall’Unità alla riforma Gentile, catalogo della mostra omonima (Roma 18 marzo – 13 luglio 1985) .
30
Vittorio Spinazzola, Pinocchio & C. La grande narrativa italiana per ragazzi, Ed. Il Saggiatore, Milano, 1997 , pag.
38.
13
Laddove per questi autori la fanciullezza era un’età degna di essere esplorata nella sua
completezza, per quelli di casa nostra era un momento passeggero, e solo in virtù di quella
precarietà erano possibili alcune piccole trasgressioni.
Anche Pinocchio propone fra l’altro la maturazione l’evoluzione e la crescita di un
“ragazzino”, ma lo fa cedendo spesso la parola alla dissacrazione di quei valori tanto
ossequiati ed osannati dalla tradizione: da questo punto di vista la Storia di un burattino
davvero stonava fra le pagine del “Giornale per i bambini”, visto che anche i colleghi del
Collodi erano sostenitori di quei valori. La satira contro la morale contemporanea vi è
spesso così forte che stupisce il veder rientrare nei ranghi l’autore, quando nel finale ci
consegna un Pinocchio per bene.
L’originalità delle Avventure di Pinocchio è dunque indiscutibile, è possibile
scorgerla fra le sue righe, ed è certamente uno dei motivi del suo successo; nei paragrafi in
cui mi occuperò dell’analisi del testo provvederò fra l’altro a segnalare quelle trovate
tematiche e stilistiche che tanto contribuiscono a renderlo innovativo.
2.1 Genesi di Pinocchio.
Una delle prime reazioni che solitamente si hanno quando si scopre qualcosa di
“nuovo” è quella di domandarsi come e perchè quel qualcosa è nato, cosa o chi lo ha creato,
e con quali modalità è stato creato. Come ho anticipato nelle pagine precedenti, Pinocchio
rappresenta una novità per la nostra letteratura, e lo dichiara immediatamente ed
esplicitamente, già dall’incipit:
“C’era una volta…
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
- No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.”
31
.
Molti critici nel passato si sono chiesti come venne al Collodi giornalista l’idea di
cimentarsi in una favola, dimenticando che in realtà Pinocchio era stato preceduto da tante
31
Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, op. cit., pag 5.
14
prove dedicate all’infanzia dal nostro autore, che era partito dalle traduzioni di note fiabe
francesi ed era infine approdato ai vari testi pensati per la scuola. Complici la biografia
tormentata del padre di Pinocchio e l’amore per i miti e le leggende, quei critici ci hanno
inoltre consegnato l’immagine di un Collodi che si dedicò a Pinocchio esclusivamente per
necessità economiche. Del resto questa ipotesi era estremamente credibile, visto che è in
ogni caso innegabile sia che realmente lo scrittore avesse spesso problemi di denaro, sia che
il mercato della letteratura infantile fosse in crescita e potesse per questo rappresentare
un’ottima fonte di guadagno; per di più le interruzioni di Pinocchio coincisero con i
momenti in cui l’autore probabilmente era in condizioni più agiate.
32
Queste considerazioni,
che oltretutto col tempo sono state riviste e riesaminate alla luce di una nuova linea di
condotta volta a studiare Collodi proprio quale autore non casuale per l’infanzia, non
aiutano però a svelare il mistero di come sia nata nella mente dello scrittore l’idea di parlare
di un burattino, e tanto meno possono spiegare quale sia - se c’è - il messaggio nascosto in
questa novità…
Collodi presentò le prime cartelle intitolate La storia di un burattino al Direttore del
“Giornale per i Bambini”, parlandone come di una “bambinata”: questo potrebbe indurre a
credere che non prendesse molto sul serio quell’impegno, ma il resto del messaggio lascia al
contrario trapelare un velato interesse per quell’embrione di racconto per bambini e forse
anche il desiderio di essere spronato a continuarlo: “ti mando questa bambinata, fanne quel
che ti pare; ma, se la stampi, pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitarla”
33
.
Assente l’autore, nessuno può ovviamente formulare una tesi inconfutabile, ma un altro
indizio può avvalorare l’ipotesi che forse Collodi tenesse al suo burattino: parlando dei
momenti vissuti accanto allo zio, Paolo Lorenzini afferma di ricordare, sulla scrivania piena
di carte dello scrittore “un pacchetto di fascicoli che avevano, sulla copertina, figurato un
mazzo di burattini d’ogni genere, legato con un filo […] ho sempre pensato che proprio il
veder di continuo davanti a sé quel mazzo di burattini, gli abbia fatto balenare in mente
l’idea di scrivere Le avventure di un burattino”
34
. Non sarebbe bello poter riconoscere in
quel mazzo di burattini sulla copertina dei suoi fascicoli una specie di “promemoria”, un
32
A proposito delle interruzioni della favola del Collodi, Marino Parenti afferma: “ le puntate seguivano un pochino gli
alti e bassi della sua borsa; e quando all’alba, uscendo dalla bisca di Palazzo Davanzati, sentiva tintinnare qualche soldo
nelle saccocce, dava una scrollata di spalle e di pigliar la penna in mano non se ne parlava se non quando si sentiva più
leggero”, op. cit., pag. 12.
33
Pino Boero – Carmine De Luca, op. cit., pag. 26 (corsivo mio).
34
Paolo Lorenzini, op. cit., pag. 7.
15
messaggio ottico che doveva ricordare al Collodi di procedere a raccontare quella storia –
quella del nostro Pinocchio – che magari da tanto sognava? Personalmente mi piace proprio
pensarla così: analizzare un’opera significa anche frantumarla per cercare di scoprirne tutte
le strutture nascoste, per fare luce su dubbi e certezze, per portare a galla grandi verità: è un
lavoro lungo e impegnativo, che spesso porta lo studioso a rintracciare tra i frantumi proprio
quello che lui è intimamente desideroso di trovarci e di dimostrare. Chi si immerge in questa
ricerca fra l’inchiostro delle parole e il bianco della carta ha decisamente un atteggiamento
simile a quello di un investigatore troppo curioso. Sono consapevole di essere solo una fra
tanti, e questo mi dà la speranza di poter essere perdonata per le mie molteplici ipotesi e
suggestioni.…
2.2. Pinocchio: un burattino di legno in balia della società ingiusta degli uomini.
Resta ora da chiarire se quel “coso di legno”
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celi o meno un messaggio. Pinocchio,
in qualità di burattino, è un insolito protagonista. Probabilmente un personaggio che non
fosse il classico bambino poteva essere il solo veicolo per la satira della società e del
costume contemporanei che Collodi fa nel romanzo. Probabilmente se Pinocchio fosse stato
un bambino non avrebbe potuto imbattersi nell’ingiusto tribunale di Acchiappacitrulli,
perché i lettori avrebbero capito immediatamente che lo scrittore in quelle pagine alludeva
attaccava e canzonava i protagonisti della giurisprudenza italiana, e avrebbero potuto
“condannarlo”. Probabilmente Collodi non si sentiva abbastanza protetto dal fatto che una
favola appartiene a quel Regno della Fantasia dove tutto è lecito, dove le cose possono
anche andare al rovescio, e il burattino di legno gli forniva allora una copertura maggiore.
Probabilmente – ancora!- lo scrittore non era del tutto convinto che la sola appartenenza del
racconto al mondo delle favole gli garantisse di potersi contraddire senza incappare lui
stesso in un qualche tribunale (e la contraddizione più evidente del romanzo è certamente
quella che lega lo spirito liberatorio di Pinocchio e il suo finale un po’ castrante): “si sorvoli
sulla contraddizione: è ineliminabile in ogni ‘mondo alla rovescia’, da Alice al paese dei
‘duplex’ di Superman”
36
, avverte Emilio Garroni, uno dei maggiori critici della Storia di un
burattino… ma Collodi ugualmente non dovette sentirsi al sicuro.
35
Renato Bertacchini, Collodi narratore, Pisa, Ed. Nistri Lischi, Pisa, 1961, pag. 357, nota n°5.
36
Emilio Garroni, Pinocchio uno e bino, Saggi Tascabili Laterza, Laterza & Figlio, Bari, 1975, pag. 109.