5
quindi la rottura di tale equilibrio, di tale ordine ed esprime con ciò l’idea
della risposta riparatrice della rottura”
1
.
Diversamente dal sistema della responsabilità nell’ambito del
diritto penale, nel campo della responsabilità civile il pregiudizio che
deriva dalla lesione di un diritto rimane nella sfera dei soli interessi
privati e non è contrassegnato da un carattere di tipicità
2
: occorre quindi
accertare quale siano gli interessi giuridicamente tutelati nella vita di
relazione la cui lesione provoca un danno ingiusto.
3
In questo senso si è
considerata l’utilità di una clausola generale della responsabilità civile da
utilizzare come uno “strumento adatto a regolare una realtà in continuo e
crescente dinamismo, lasciando il giudice libero di svolgere un ruolo
creativo nella costruzione di una serie aperta di fatti illeciti”
4
.
Secondo la tradizione risalente al diritto romano e ancora oggi
attuale, la responsabilità civile comprende in sé i modelli della
1
MAIORCA, I fondamenti della responsabilità, Milano, 1990, 13.
2
BUSNELLI, PATTI, Danno e responsabilità civile, Torino, 1997, 126, afferma che la tipicità
degli illeciti “è stata valutata da chi paventa l’avvento di un giudice assoluto signore nella
costruzione della fattispecie di responsabilità” e si è tentata una tipizzazione per sfuggire alle
incertezze considerando che l’art. 2043 c.c. non sarebbe suscettibile di autonoma applicazione
ma soltanto attraverso il combinato disposto con un’altra norma prevista dall’ordinamento per
la tutela di uno specifico interesse; al contrario TRIMARCHI, Illecito in Enc. del dir., XX,
Milano, 1970, 98 ss., ritiene che “la atipicità degli illeciti evidenzia la funzione dell’interprete
di valutazione degli interessi in conflitto”.
3
BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, 544, esclude che l’art. 2043 c.c.
possa considerarsi come una norma di carattere secondario con funzione meramente
sanzionatoria e ritiene l’art. 2043 c.c. norma di carattere primario dato che non rinvia ad altre
norma generatrici di obblighi, ma il rinvio è solo diretto ad individuare i beni protetti; nello
stesso senso SCHLESINGER; L’ingiustizia del danno nell’illecito civile, in Jus 1960, 336 ss.
ritiene che l’art. 2043 c.c. sia una norma di carattere primario e non meramente sanzionatoria di
rinvio ad altra norma dell’ordinamento.
4
RODOTÀ, richiamato in VISINTINI, Il danno ingiusto, Riv. crit. dir. priv, 1987, 181.
6
responsabilità contrattuale e della responsabilità extracontrattuale o
aquiliana, dal nome della Lex Aquilia de damno (III a.c.) che la
disciplinava nel diritto romano.
Secondo una parte della dottrina
5
, la distinzione tra i due modelli di
responsabilità che già nel diritto romano si basava sulla sussistenza o
meno di un vincolo contrattuale, fa essenzialmente riferimento al dovere
giuridico violato: nell’illecito aquiliano che corrisponde almeno secondo
l’impostazione tradizionale, alla violazione di un diritto o di una
situazione giuridica tutelata in modo assoluto e quindi erga omnes, si
considera la violazione del dovere generico di non ledere l’altrui sfera
giuridica, il cosiddetto neminem laedere e cioè un dovere che sussiste nei
confronti di tutti i consociati, mentre nella responsabilità contrattuale si
ha la violazione di un diritto relativo e si prende quindi in considerazione
un obbligo specifico nei confronti di determinate persone. Questa
dottrina afferma quindi la distinzione tra le due forma di responsabilità in
base alla violazione, in un caso, dell’obbligo specifico nei confronti di
determinate persone e, nell’altro, di un dovere generale nei confronti dei
consociati.
5
TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1989, 205 ss.; MENGONI, Obbligazioni di
risultato e obbligazioni di mezzi in Riv. dir. comm., 1954, I, 203 ss.; CARINGELLA, Studi di
diritto civile, Milano, 2003, 942.
7
Non accetta questa ricostruzione né chi considera che l’obbligo
generico del neminem laedere rappresenti semplicemente una sintesi di
“tutti i doveri specifici, imposti a ciascuno verso gli altri”
6
né chi ritiene
l’idea del dovere di neminem laedere una formula vuota e inconsistente
7
;
coloro che contestano la ricostruzione tradizionale affermano, invece,
che la distinzione tra le due forme di responsabilità possa risultare
evidente dal fatto che la responsabilità contrattuale coincide con la
mancata soddisfazione dell’interesse dedotto in obbligazione mentre
quella extracontrattuale sarebbe una reazione al danno ingiusto
provocato.
8
E’ una tesi ormai pacifica in dottrina
9
quella secondo cui
nell’ambito della responsabilità contrattuale non sia necessariamente
supposta l’esistenza di un contratto ma soltanto la sussistenza di un
pregresso rapporto obbligatorio qualunque sia la sua fonte. Quest’ultima
considerazione ci porta a dire che la stessa etichetta dottrinale di
“responsabilità contrattuale” che non viene citata nel codice civile dove
si parla esclusivamente di “responsabilità del debitore” nella rubrica
6
CARNELUTTI, Sulla distinzione tra colpa contrattuale e colpa extracontrattuale in Riv dir.
comm., 1912, II, 744; in senso conforme SCOGNAMIGLIO, Responsabilità contrattuale ed
extracontrattuale, in Noviss. Dig. It., Torino, 1968, 671 ss., che ritiene che un obbligo generale
di non arrecare danno agli altri non risulta nel nostro ordinamento.
7
MAIORCA, I fondamenti della responsabilità, op. cit., 411.
8
SCOGNAMIGLIO, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale in op. cit., 672.
9
Sono di questa idea: VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, 74
ss.; CARINGELLA, Studi di diritto civile, op. cit., 942; MENGONI, voce Responsabilità
contrattuale in Encicl. Dir., Milano, 1988, 1072 ss..
8
dell’art. 1218 c.c., sia in realtà un’espressione impropria proprio perché
si considera che l’ambito della responsabilità del debitore ecceda
l’inadempimento delle obbligazioni contrattuali.
10
Si ritiene
11
, infatti, che
l’aggettivo “contrattuale” sia stato usato nel significato ampio che il
termine contractus aveva originariamente nel diritto classico, dove
indicava tutte le obbligazioni diverse dalla responsabilità ex delicto.
Per confermare quest’idea si deve considerare da una parte la
collocazione dell’art. 1218 c.c., e dall’altra la nuova versione dell’art.
1173 c.c. relativo alle fonti dell’obbligazione. Nel codice attuale, l’art.
1218 c.c. si trova nel libro IV e precisamente in quella parte del libro
dedicata alle “obbligazioni in generale” e quindi non nella parte relativa
ai “contratti in generale”, mentre nell’ordinamento francese la disciplina
corrispondente si trova nella parte dedicata ai contrats o obligations
conventionnelles en general e in quello inglese dove non esiste una parte
destinata alle obbligazioni in generale, la distinzione fondamentale
dell’ordinamento si basa sul Law of contracts e sul Law of torts
12
. D’altra
parte l’art. 1173 c.c., che elenca le varie fattispecie generatrici di rapporti
10
VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit., 79, afferma che anche
l’etichetta “colpa contrattuale” sia impropria quando si utilizza per riferirsi all’inadempimento
nelle varie forme in cui può esprimersi e con riferimento a qualsiasi obbligazione preesistente e
non soltanto a quelle contrattuali.
11
MENGONI, La responsabilità contrattuale, in Jus, 1986, 87 ss..
12
VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit., 79 ss..
9
obbligatori
13
, ha un contenuto innovativo rispetto ai suoi precedenti
legislativi presenti nel codice civile abrogato e nel più antico code civil
14
e classifica oggi tra le fonti dell’obbligazione, oltre al contratto e al fatto
illecito, una categoria residuale ovvero “ogni altro atto e fatto idoneo a
produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”
15
. Il legislatore del
1942 ha modificato la classificazione delle fonti delle obbligazioni
innanzitutto eliminando qualsiasi riferimento alla legge, in quanto
considerata fonte di tutte le obbligazioni
16
, ed anche al quasi contratto
17
e
al quasi delitto
18
, figure spesso criticate e ricondotte al contratto e al
delitto. Inoltre è stata aggiunta la formula generale sopra citata, che,
come si è visto, è dal carattere indeterminato
19
, attraverso la quale il
legislatore ha voluto riservare all’ordinamento giuridico il giudizio di
13
GIORGIANNI, Appunti sulle fonti dell’obbligazione, in Riv. dir. civ., 1965, 70, considera le
fonti come i fatti giuridici da cui l’obbligazione nasce, e la loro importanza si manifesta nella
diversa disciplina a loro attribuita dal legislatore.
14
Ci si riferisce all’art. 1370 code civil e all’art. 1097 cod. civ. abrog. Le fonti delle
obbligazioni erano divise in legge, contratto o quasi contratto, delitto o quasi delitto.
15
Secondo CANTILLO, Le obbligazioni, Torino, 1992, 52, l’art. 1173 c.c. sembra evocare un
celebre passo del Digesto D. 46, 7 fr “Obligationes aut ex contractu nascuntur aut ex maleficio
aut proprio quodam iure ex variis causarum figurae” ovvero le obbligazioni derivano da
contratto, da fatto illecito, da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità
dell’ordinamento giuridico”.
16
CANTILLO, Le obbligazioni, op. cit., 53, cita la Relazione ministeriale “La legge è in un certo
senso fonte di tutte le obbligazioni, in quanto nessuna obbligazione può concepirsi che non sia
fondata sulla legge”.
17
CANTILLO, Le obbligazioni, op. cit., 53, considera il quasi contratto un fatto volontario dal
quale nasceva un obbligo verso un terzo o un obbligo reciproco tra le parti, per esempio la
gestione degli affari altrui o il pagamento dell’indebito.
18
CANTILLO, Le obbligazioni, op. cit., 53, considera il quasi delitto un fatto produttivo di
danno del quale doveva rispondere un soggetto diverso dall’autore del fatto.
19
GIORGIANNI, Appunti sulle fonti dell’obbligazione, op. cit., 72-73, ritiene che tutti gli atti o
fatti richiamati in qualsiasi classificazione in tanto possono generare un’obbligazione in quanto
l’ordinamento giuridico attribuisca ad essi tale efficacia.
10
idoneità di ogni singolo atto o fatto alla produzione di obbligazioni
20
e
che si riferisce non soltanto all’ipotesi del pagamento dell’indebito, della
gestione degli affari altrui e dell’arricchimento senza causa ma anche a
quelle un tempo ricondotte all’interno della categoria del quasi contratto
come l’ipotesi dei contratti di cortesia o come quella dei rapporti di fatto
generati dal cosiddetto “contatto sociale”. In base a queste due
considerazioni si può certamente affermare che la disciplina contenuta
nell’art. 1218 c.c. si riferisce al mancato o inesatto adempimento di una
obbligazione che discende da qualsiasi fonte, anche quindi da quelle
atipiche diverse dal contratto e dal fatto illecito.
21
Queste due forme di responsabilità, nonostante restino fortemente
differenziate sul piano della disciplina normativa
22
, presentano un nucleo
comune dato che entrambe possono essere considerate come una
sanzione per la violazione di un dovere giuridico e quindi in entrambi i
casi il rimedio principale è costituito dal risarcimento del danno. Questo
dimostra che la funzione principale della responsabilità civile rimane
comunque sempre quella risarcitoria, in quanto finalizzata a rimuovere
tutte quelle conseguenze dannose di una “lesione apportata da un terzo
20
Così ritiene GIORGIANNI, Appunti sulle fonti dell’obbligazione, op. cit., 72 ss..
21
MENGONI, voce Responsabilità contrattuale, in Enc. Dir., Milano, 1988, 1072, definisce
l’espressione come una sineddoche che indica il tutto come una parte, la parte… di gran lunga
più importante… le obbligazioni da contratto.
22
vedi capitolo I, paragrafo II.
11
ad una situazione giuridicamente rilevante facente capo ad un altro
soggetto”
23
.
In particolare nel primo modello di responsabilità -la responsabilità
contrattuale- la fonte dell’obbligo risarcitorio è l’inadempimento
imputabile al debitore il quale corrisponde alla mancata o inesatta
esecuzione della prestazione dovuta e quindi all’inosservanza di obblighi
verso un determinato avente diritto. Il suo presupposto è quindi
l’esistenza di un precedente vincolo obbligatorio.
La regola dell’imputazione dell’inadempimento è formulata dal
codice civile nell’art. 1218 c.c., norma principale in tema di
responsabilità contrattuale, la quale stabilisce che “il debitore che non
esegue la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non
prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Nell’interpretazione dell’art 1218 c.c. si scontrano in dottrina due
opinioni opposte sulla base del fondamento oggettivo o soggettivo della
responsabilità del debitore inadempiente.
24
23
BESSONE, Istituzioni di diritto privato, Torino, 1995, 909; BUSNELLI, PATTI, Danno e
responsabilità civile, op. cit., 192, ritiene invece che il principio secondo cui il risarcimento del
danno tende a ristabilire la situazione quo ante ha subito negli ultimi anni eccezioni evidenti e
rilevanti e ritiene che “in alcuni ordinamenti moderni è stata attribuita alla responsabilità civile
una funzione tipica del diritto penale: la funzione punitiva”.
24
CARINGELLA, Studi di diritto civile, op. cit., 995, afferma una contaminazione reciproca tra
le due teorie che porta a svalutare la distinzione “poiché nessuna è priva di eccezioni e di
temperamenti: sia riguardo al concetto relativo di impossibilità della prestazione, sia riguardo
alla valutazione della colpa contrattuale in base ad un criterio oggettivo commisurato all’uomo
medio”.
12
La prima, fortemente sostenuta sin dall’inizio del secolo scorso
25
,
sembra essere stata accolta dal nostro legislatore del 1942 e viene
definita della responsabilità oggettiva. Si ritiene che il debitore in caso di
inadempimento sia sempre responsabile a prescindere da sua colpa a
parte il caso di estinzione dell’obbligazione per impossibilità oggettiva e
assoluta: l’impossibilità si considera oggettiva quando prescinde da cause
relative alla sfera del debitore, si considera invece assoluta quando
nessuno sforzo umano avrebbe mai potuto superarla. Quindi, il rischio
dell’impossibilità della prestazione è posto a carico del debitore nel caso
in cui la causa dell’impossibilità sia a lui imputabile; è posto invece a
carico del creditore nel caso in cui non sia imputabile al debitore. Deve
ovviamente trattarsi di un’effettiva impossibilità e non soltanto di
un’eccessiva difficoltà di adempiere e per svolgere questa valutazione è
necessaria di volta in volta un’indagine di fatto.
Questa prima concezione, fondata su un criterio di imputazione che
si basa sul solo dato oggettivo dell’inadempimento è stata con il tempo
giudicata troppo severa e quindi temperata dalla dottrina
26
. Essendosi,
infatti, riconosciuta l’esistenza di obblighi accessori reciprochi per le
25
OSTI, Revisione critica della teoria sull’impossibilità della prestazione, in Riv. dir. civ.,
1918, 209 ss.; VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit., 985 ss ; GALGANO,
La responsabilità contrattuale: i contrasti in giurisprudenza in Contratto e impresa, 1989, 32;
MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in op. cit., 190; BESSONE,
Istituzione di diritto privato, op. cit., 457.
26
VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit., 159; MENGONI, Obbligazioni di
risultato e obbligazioni di mezzi, op. cit., 281.
13
parti di un rapporto obbligatorio si è arrivati a considerare l’impossibilità
prevista nell’art. 1218 c.c. come “inesigibilità della prestazione in base al
criterio della buona fede”. Si considera, quindi, come impossibilità
oggettiva prevista nell’art. 1218 c.c. anche l’ipotesi di “difficoltà
talmente sproporzionata da rendere la prestazione inesigibile”
27
. In
questo caso il riconoscimento di un obbligo di correttezza anche in capo
al creditore è riuscito a ridimensionare la responsabilità del debitore, e
questa soluzione è stata soprattutto considerata per il rapporto di lavoro
subordinato dove si ritiene
28
che la liberatoria del lavoratore non
dovrebbe richiedere una malattia talmente grave da considerare
l’impossibilità di adempimento ma un impedimento anche più lieve ma
tale da far ritenere contrario alla buona fede l’esigere da parte del
creditore la prestazione lavorativa.
L’opinione della responsabilità per colpa, opposta alla precedente,
richiama la nozione obiettiva di colpa quale inosservanza della normale
diligenza e quindi dello sforzo volitivo e tecnico normalmente adeguato
al soddisfacimento dell’interesse del creditore; in base a questo
orientamento il debitore non risponde dell’inadempimento in caso di
impedimenti non prevedibili né superabili con lo sforzo diligente
27
MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, op. cit., 281.
28
VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit., 159 ss. .
14
dovuto
29
. In questo caso il criterio di imputazione è di tipo soggettivo,
come sembra suggerire l’art 1176 c.c. e quindi si collega la responsabilità
per inadempimento al concetto di colpa e negligenza. Si afferma, infatti,
che l’art. 1176 c.c. limiti lo sforzo che il debitore deve impiegare e
quindi per esonerare lo stesso da responsabilità è sufficiente che provi di
essere stato diligente senza dover identificare la causa esterna che ha
impedito l’adempimento. Quindi il fondamento della responsabilità
sarebbe in questo caso la colpa.
Questo indirizzo sembra in contrasto con la lettera della legge, dato
che il codice nell’art. 1218 c.c. ci parla di una prestazione che diviene
impossibile. In realtà neanche il legislatore del 1942 ha recepito
espressamente l’idea della dottrina maggioritaria che parlava di
un’impossibilità oggettiva e assoluta
30
, ma come già accennato, si ritiene
che abbia disegnato una disciplina della responsabilità del debitore che si
fonda sul fatto oggettivo dell’inadempimento e quindi che accolga un
criterio molto rigido di impossibilità: si può leggere, infatti, nella
Relazione al Codice civile, nei n° 571 e 577, che “l’art. 1218 c.c.,
logicamente connesso all’art 1256 c.c., ha voluto mettere in evidenza che
29
BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953; NATOLI, L’attuazione del
rapporto obbligatorio nel Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo,
Milano, 1962, 13 ss.; GIORGIANNI, Lezioni di diritto civile, Bologna, 1956, 163 ss..
30
BETTI, Teoria dell’obbligazione, op. cit., 48, 112-113, ritiene che “l’impossibilità della
prestazione va sempre intesa in senso relativo” e critica quindi la distinzione tra l’impossibilità
assoluta e l’impossibilità relativa.
15
deve trattarsi di impossibilità della prestazione in sé e per sé considerata;
di guisa che non può, agli effetti liberatori, essere presa in considerazione
l’impossibilità di adempiere l’obbligazione originata da cause inerenti al
debitore o alla sua economia che non siano obbiettivamente collegate con
la prestazione dovuta; mentre d’altra parte, anche gli impedimenti che si
verifichino nella persona o nell’economia del debitore dovranno avere
rilievo quando incidano sulla prestazione considerata in sé e per sé”.
31
Una parte della giurisprudenza
32
è oggi ancora orientata sul criterio
della colpa
33
, anche se recentemente la Suprema Corte ha affermato che
“l’art. 1176 c.c. non è norma invocabile per identificare il contenuto di
un’obbligazione, determinato invece dalla fonte che la costituisce”
34
.
La dottrina
35
è, invece, ancora oggi maggiormente propensa ad
accettare l’idea della responsabilità oggettiva: il debitore risulta cioè
responsabile per il fatto oggettivo dell’inadempimento e la prova
liberatoria richiede, oltre all’individuazione della causa
31
VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit. in nota 175, 155, ritiene che
queste parole dimostrino “l’intenzione di recepire l’idea di Osti sul fondamento oggettivo della
responsabilità per inadempimento e di richiedere al debitore il massimo sforzo inidoneo a
superare qualsiasi impedimento di natura soggettiva o oggettiva che renda soltanto difficoltosa
o particolarmente onerosa l’esecuzione della prestazione”.
32
Cass, 15 Giugno 1988, n° 4088 in Giust. civ., 1989, I, 111; Cass 12 Giugno 1987, n° 5143,
in Giust. civ., 1987, 2222.
33
VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit., in nota 12, BIANCA, Diritto
civile, V, La Responsabilità, op. cit., 18, afferma che l’indagine giurisprudenziale dovrebbe
essere condotta a fondo e ritiene che il criterio della colpa sia un puro ossequio formale a certi
postulati tramandatisi presso la dottrina.
34
Cass, 13 Febbraio 1998, n° 1560, in Mass. Giur. It., 1998.
35
VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, op. cit., 153, ritiene che il fondamento
della responsabilità contrattuale non va ritrovato nella violazione della diligenza ordinaria ma
16
dell’impossibilità, la dimostrazione dell’estraneità rispetto al debitore di
quell’avvenimento che costituisce la causa dell’inadempimento e della
sua inevitabilità con uno sforzo che non si ferma all’ordinaria diligenza
ma potrebbe andare anche oltre.
Seguendo quindi l’interpretazione letterale dell’art. 1218 c.c. si
ritiene che in caso quindi di inadempimento o inesatto adempimento
“verificatosi senza il concorso dell’impossibilità, il debitore risponde
senz’altro” mentre se “l’inadempimento deriva da impossibilità” la
responsabilità “è esclusa solo se l’impossibilità della prestazione deriva
da una causa non imputabile al debitore”
36
. La colpa-negligenza viene
quindi considerata semplicemente un criterio per stabilire l’imputabilità
dell’impossibilità e non invece per stabilire l’imputabilità
dell’inadempimento, come ritiene la tesi della responsabilità per colpa.
Ciò è confermato dal fatto che la prova da parte del debitore
dell’osservanza della diligenza non potrebbe mai di per sé essere
sufficiente ad escludere la responsabilità: la diligenza richiesta nell’art.
1176 c.c. è, quindi, soltanto un criterio per stabilire l’ambito e la portata
degli obblighi inseriti nel rapporto obbligatorio. Si accoglie e si riprende,
quindi, quella opinione che ritrovava nell’art. 1176 c.c. la funzione di
nell’inadempimento tout court che è nozione comprensiva di ogni genere di violazione di
obblighi assunti dal debitore e non soltanto trasgressione del criterio di diligenza.”
36
MENGONI, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, op. cit., 295.
17
misura dell’esatto adempimento nelle obbligazioni di fare e riteneva che
all’interno di questa funzione l’inosservanza della diligenza non fosse un
criterio di imputazione ma un elemento integrante dell’inadempimento
che si considerava il vero e unico presupposto oggettivo della
responsabilità
37
. Una dottrina
38
ritiene oggi che questa ricostruzione sia
confermata anche dalla nuova collocazione sistematica data all’art. 1176
c.c. dal legislatore del 1942: mentre nel codice abrogato la norma era
inserita tra gli “effetti delle obbligazioni”, nel 1942 è stata inserita nel
capo relativo all’adempimento delle obbligazioni e quindi oggi l’unica
norma fondamentale in tema di inadempimento rimane l’art. 1218 c.c..
Nel secondo modello della responsabilità civile, la responsabilità
extracontrattuale, l’obbligazione risarcitoria trova invece il suo titolo
nell’illecito civile che è il fatto lesivo di interessi giuridicamente tutelati
nella vita di relazione e che quindi corrisponde alla violazione di una
norma giuridica sanzionata dall’obbligo del risarcimento del danno. Il
principio generale si ritrova, in questo caso, nell’art. 2043 c.c. dove il
legislatore prevede che “qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad
altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire
il danno”.
37
in questo senso OSTI, Revisione critica della teoria sull’impossibilità della prestazione, op.
cit., 350.
38
CARINGELLA, Studi di diritto civile, op. cit., 987.
18
Nel dibattito dottrinale sul fondamento della responsabilità
extracontrattuale si è passati da un’antica concezione etica ad una
moderna concezione tecnicistica. La prima, che ha le sue radici nel
diritto romano
39
, considerava la responsabilità come uno strumento di
punizione nei confronti di un atto colpevole del soggetto danneggiante
che volontariamente e coscientemente trasgredisse ad un comando
giuridico e al dovere morale di non far male ad altri. La più recente
concezione tecnicistica
40
, sorta invece con il progresso tecnologico e
industriale di fine ottocento e con la conseguente massificazione dei
danni ha visto la responsabilità come uno strumento di allocazione dei
rischi di massa a fronte dei quali spesso la regola dell’illiceità per colpa,
quale requisito soggettivo dell’illecito, appariva inadeguata. Secondo
questa moderna concezione la responsabilità extracontrattuale non
avrebbe quindi una funzione repressiva ma sarebbe semplicemente uno
strumento di riequilibrio economico del danno. Entrambe le concezioni si
considerano oggi
41
lontane dalla realtà dell’ordinamento e si considera
che “unico e generale fondamento della responsabilità extracontrattuale
sia la violazione del precetto di rispetto altrui (alterum non laedere) ”
42
e
39
GAIO sosteneva l’essenzialità del dolo e della colpa quali elementi costitutivi di una figura di
illecito dato che identificava la inuria nel fatto doloso o colposo e riteneva che non ci fosse
danno senza inuria e che nessuno potesse essere condannato se avesse arrecato danno senza
dolo o colpa, in BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano 2000, 535, nota 8.
40
sostenuta da SCOGNAMIGLIO, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in op. cit.,
171.
41
BIANCA, Diritto civile III, Il contratto, op. cit., 533.
42
BIANCA, Diritto civile III, Il contratto, op. cit., 543.