In un primo momento ho cominciato a chiedermi quale fosse stato il percorso che ha reso
possibile lo smantellamento del manicomio; come sia cambiato nel corso dei tempi il
concetto di malato mentale e come si sia affrontato il problema relativo ad una sua cura.
Per dare una risposta a questi interrogativi iniziali, nella prima parte ho voluto ripercorrere
le radici storiche del sistema psichiatrico proponendo una breve considerazione su quale
sia stato il sistema di valori che nel corso del tempo ha determinato un sistema di cura
piuttosto che un altro.
Partendo da una disamina storica della condizione del malato mentale in Europa dal
Medioevo fino ad oggi, ho cercato di indagare quali sono state nel tempo le strutture e le
forme d’intervento definite più adatte al contenimento e alla cura della “follia”. Questo
percorso mi ha portato dal grande internamento del XVII sec., alla nascita del Manicomio
nel XIX sec., fino alle riforme che in Italia, alla fine degli anni ’70, hanno portato alla
costituzione della psichiatria territoriale.
Focalizzando l’attenzione sul territorio italiano ho cercato di ripercorrere le tappe che
hanno portato alla legge di riforma psichiatrica n°180 del 1978, approfondendo gli sviluppi,
le difficoltà ed i limiti che tale sistema legislativo ha avuto dal momento della sua
approvazione fino ad oggi. Infine, ho cercato di abbozzare un quadro generale esplicativo di
come si struttura un Dipartimento di Salute Mentale secondo la legislazione vigente.
In seguito, mi sono domandato quali fossero oggi le possibilità di cura per l’individuo che
soffre di un disagio mentale nei Servizi Territoriali avvallati dalla legge n°180; quali i
principi di base; quali le strutture; quale il loro funzionamento; quali i possibili limiti di cui
si discute in Parlamento.
Queste ulteriori perplessità mi hanno spinto ad un secondo livello d’analisi in cui ho invece
voluto approfondire il tema del sistema di cura entrando nel campo della pratica clinica e
quindi indagando la struttura del sistema psichiatrico territoriale.
Partendo dai principi teorici e le linee guida che caratterizzano il sistema psichiatrico
corrente, ho appurato l’importanza attribuita oggi ad una forma di psichiatria che
implementi forme di intervento di tipo psico-sociale attraverso la coordinazione delle équipe
multiprofessionali. Ho cercato di fare luce su quale fosse oggi il ruolo delle farmacoterapie
e delle psicoterapie nei programmi riabilitativi personalizzati ideati da un C.S.M. per la cura
dei pazienti di cui il servizio si fa carico.
3
Per dare un’idea di quanto il sistema psichiatrico territoriale sia condiviso, ho voluto
riportare in breve il caldo dibattito che accende le Camere del Parlamento rispetto ad una
possibile abrogazione della legge 180 in favore di sistemi di cura “alternativi” che in realtà
auspicano un’involuzione della psichiatria ad istanze custodialistiche, simil-manicomiali.
Successivamente, dato il mio coinvolgimento professionale in quanto futuro psicologo,
ho continuato nell’approfondimento della pratica clinica spostando l’interesse sull’équipe
territoriale e sulle difficoltà che gli operatori possono riscontrare quotidianamente (difficoltà
d’elaborazione, disinvestimento, burn-out). Dunque, avendo costatato l’importanza delle
équipe nella messa in atto del progetto di cura sul territorio, ho voluto porre l’accento
sull’indiscusso valore che ricopre nella cultura dei Servizi la salvaguardia dei delicati
meccanismi gruppali interni alle équipe stesse.
Infine ho ritenuto opportuno portare sulla pratica parte degli interrogativi che mi sono
posto per tutto il tempo della costruzione di questo lavoro di tesi. Avevo bisogno di
spostarmi sul campo perché la semplice lettura di testi e la limitata, seppur intensa,
esperienza presso l’ex Ospedale Psichiatrico di Padova, mi lasciavano alquanto perplesso
riguardo al punto essenziale di questo lavoro: un sistema psichiatrico che si dice territoriale,
che fonda le basi dell’intervento sul territorio attraverso la direzione dei C.S.M. e l’attività
delle équipe pluriprofessionali, cosa fa nella pratica per migliorare le possibilità di cura dei
propri pazienti? In che modo un Servizio lotta contro il costante rischio di cronicizzare le
forme della cura e la lungodegenza fine a se stessa?
È stato nell’intento di dare una risposta a questi interrogativi che è stata concepita
l’ultima parte della tesi in cui ho ritenuto opportuno avere un riscontro, un dialogo, un
confronto, un’opinione con chi opera direttamente in un sistema di servizi per la salute
mentale per indagare il funzionamento di un D.S.M. e la cultura soggiacente.
In un primo momento mi sono proposto di analizzare quali aspetti della vita dell’équipe
psichiatrica potrebbero essere potenziati per permettere un suo più fluido funzionamento ed
una sua maggiore efficacia nella pratica clinica. Successivamente ho ritenuto opportuno
sondare le soluzioni che un Servizio mette in atto nella pratica per eludere questo insieme di
difficoltà, mediante delle interviste ad alcuni responsabili di D.S.M..
4
A tale scopo ho preso contatto con alcuni direttori di Dipartimenti di Salute Mentale
dispiegati sul territorio nazionale (Padova, Catania e Trieste) e ho posto direttamente a loro
alcuni degli interrogativi a cui nella tesi si cerca di rispondere. Si è cercato dunque di
favorire un’integrazione delle nozioni apprese dalle interviste effettuate in un modesto
commento finale.
5
CAPITOLO PRIMO
RADICI STORICHE E CULTURALI DELL’INTERNAMENTO
PSICHIATRICO
1.1 INTRODUZIONE
Una considerazione storico-culturale sull’internamento psichiatrico permette di tracciare
una fisionomia del mondo alienato alquanto complesso e variegato e fornisce, al tempo
stesso, i presupposti per comprendere appieno la nascita della psichiatria moderna in Europa
e in Italia.
Il peso storico dell’internamento del folle, la sua reificazione sulla base di giudizi prima
religiosi e poi etico-morali e infine la tendenza alla classificazione medica che stabilisce e
confina la follia nella dicotomia irreversibile normalità-esperienza alienata, gravano ancora
oggi fortemente su qualsiasi proposta legislativa e ricostituzione dello spazio di vita
dell’esperienza delirante.
La storia ha in parte avuto il compito di creare nel tempo una coscienza di follia,
permettendo oggi la formulazione di apparati costituzionali in difesa del malato di mente e
costituendo il territorio fertile per la costruzione di strutture sempre più vicine e sensibili
all’esperienza alienata.
I racconti evinti dalle letture di testi relativi all’esperienza dell’internamento dal
Medioevo al XIX secolo, rendono una chiara immagine di quale sia stato il peso che
l’alienato si sia portato sulle spalle fino ad oggi. Questo rende maggiormente
contestualizzabile il valore dell’istituzione psichiatrica odierna che, ancora nelle sue forme
più ibride e poco strutturate, racchiude quell’eterno significato di esclusione e
misconoscimento dell’uomo come essere pensante.
In tutto il mondo occidentale abbiamo assistito, da un punto di vista storico, culturale e
sociale, alla nascita di un compromesso per nascondere, allontanare e punire il folle e per
prevenirne il riconoscimento su di una base umana. Alla base c’è sempre stata la spinta ad
arginare il diverso, consacrando così il giudizio morale di esclusione che legittima il diritto
di esistenza ad un’elite (per la legge dei grandi numeri) di normali. Il compromesso che ne
6
deriva è quello della negazione per quieto vivere, con la costituzione di spazi di
confinamento, di reclusione e, talvolta, di vera e propria segregazione del folle; tali spazi
sono stati una necessità del tessuto sociale che mirava ad una sorta di “principio di
conservazione” per preservare la propria incolumità di comunità, in quanto il “Pazzo”
veniva visto come colui il quale poteva costituire un pericolo pubblico per l’equilibrio
sociale.
Tale bisogno d’espulsione/espiazione è riscontrabile in tutto il mondo occidentale e
pervade l’intero mondo psichiatrico europeo sin dalle prime testimonianze storiche.
1.2 DALL’INTERNAMENTO DELLA FOLLIA ALLA PSICHIATRIA MODERNA
Nel corso del Medioevo fino al XIV secolo è il carattere caritatevole della Chiesa che in
un certo senso accoglie il folle nello scenario di vita comunitaria, ma non si assiste ad una
condivisione e comprensione del suo vissuto nello spazio di vita. L’insensato rappresenta, in
questo periodo storico, il volto del Male, il male inestirpabile, che spesso viene riconosciuto
come vizio indomabile.
1.2.1 Accoglimento e reificazione nei lebbrosari
La presenza della follia viene giustificata dall’umanesimo cristiano solo come
caratteristica di quella fetta di popolazione misera e povera verso cui indirizzare opere di
carità e provare un sentimento di commiserazione e pietà. La Chiesa non condanna adesso
la follia, come accadrà in altri momenti storici: la accoglie nei lebbrosari e, se nelle sue
possibilità si occupa del suo sostegno, reifica invece l’esistenza alienata in quanto peccatrice
di “dire il falso”; inoltre la Chiesa, in qualità di giudice del bene e del male, auspica per
costoro la redenzione ed il perdono divino. Nel corso di questo periodo sono presenti
strutture all’interno della città stessa, in prossimità delle chiese, in cui gli insensati vengono
reclusi ma con un significato di espiazione della colpa di essere folli e ancora non
nell’accezione di esclusione e repressione che sarà caratteristica nell’epoca rinascimentale
che, riappropriandosi dei principi sociali che il Medioevo aveva innalzato a diritto di
purificazione (l’ozio, la povertà, la follia), ne costituirà un nuovo codice morale.
Col Rinascimento si assiste pian piano alla formazione di un nuovo codice sociale che si
7
riappropria dell’esperienza della Follia, ora vista come debolezza umana, cominciando a
contrapporla alla Ragione, unica fonte di luce nel mondo buio e senza senso del delirio. La
nascita di questa dicotomia Follia-Ragione è possibile adesso sia perché il mondo letterario
la metabolizza sempre più, inserendola nel mondo degli uomini e delle cose, sia perché
nasce una coscienza morale che implica la soppressione della miseria in tutte le sue forme e
spinge l’uomo al dovere sociale, all’attivismo.
1.2.2 Il fenomeno letterario delle “Navi dei Folli”
Le forme di reclusione, in un certo qual modo, nel corso dei secoli hanno mutato le
proprie metodiche di contenimento ma implicitamente hanno stabilito, comunque e sempre,
il luogo della dimenticanza ove rinchiudere ciò che poteva compromettere l’equilibrio
sociale.
Il carattere dei luoghi di contenimento nel XV secolo, infatti, non contempla il
reinserimento sociale nell’urbano nella vita di tutti i giorni, e anzi, in contrapposizione,
punisce e condanna in un certo senso con l’ergastolo il folle ad un esilio senza speranza. È
in questo contesto che possiamo considerare il fenomeno delle “Navi dei Folli” che, nella
Germania rinascimentale, raccoglievano sulle sponde del Reno gli alienati e i diversi per
abbandonarli poi al loro destino in qualche landa ben lontana dagli occhi pietosi degli
abitanti delle città che li avevano espulsi.
Soprattutto in Germania si narra dell’esistenza di navi il cui equipaggio fosse costituito
per la maggior parte da folli cacciati dalle città di origine e costretti al pellegrinaggio per le
città europee lungo i fiumi del nord Europa. In questo modo “affidare il folle ai marinai
significa evitare certamente che si aggiri senza meta sotto le mura della città, assicurarsi
che andrà lontano, renderlo prigioniero della sua stessa partenza [...] inoltre la navigazione
abbandona l’uomo all’incertezza della sorte; là ognuno è affidato al suo destino, ogni
imbarco è potenzialmente l’ultimo” (Foucault M., 1972).
8
1.2.3 Il fenomeno dell’“Hospital des fous”
La società rinascimentale confina all’esilio e non considera nemmeno la possibilità di
sentirsi responsabile nei confronti di questi “colpevoli” e “malefici” soggetti; comincia in un
certo senso ad avvicinarsi comunque al mondo del folle anche se in termini più filosofici
che umani per cui, nell’esperienza alienata, viene riconosciuto un carattere magico,
profetico, quasi una forza catalizzatrice di verità inaccessibili.
Il campo sociale pian piano metabolizza il tema della follia attraverso l’istituzione del
tema letterario francese dell’“Hospital des fous”: “Ogni forma di follia trova qui il suo
spazio riservato, le sue insegne e il suo dio protettore: la follia frenetica e farneticante,
simbolizzata da uno sciocco appollaiato su una sedia, si agita sotto lo sguardo di Minerva;
i cupi melanconici che vagano per i campi, come lupi solitari e avidi, hanno come nume
Giove, il maestro delle metamorfosi animali” (Foucault M., 1972).
Il contesto letterario suggerisce per primo la necessità di una forma contenitiva della
follia ed è così che sorgono in Europa le prime strutture di contenimento, che però ancora
non hanno alcuno statuto medico e piuttosto mantengono il carattere di luogo di
segregazione. Viene comunque a definirsi una sorta di umanesimo medico, forse un retaggio
della cultura orientale, che accoglie l’alienato all’interno degli ospedali sebbene non
vengano ancora garantite cure mediche appropriate (in Italia, proprio a Padova, nasce la
Casa dei Maniaci nel 1410).
1.2.4 Nascita dell’internamento: l’“Hospital General”
L’internamento vero e proprio acquista un suo spazio nel territorio nel XVII secolo con la
fondazione dell’Hospital General a Parigi che diviene luogo di “accoglienza” dei poveri
della città d’ogni sesso, provenienza ed età, di qualsiasi estrazione sociale e in qualsiasi
condizione si trovino (validi o invalidi, malati o convalescenti, curabili o incurabili). Ma il
carattere di questa nuova struttura è semigiuridico, correzionale e non è ancora istituzione
medica, anche perché al suo interno viene rinchiusa una massa indifferenziata per la quale
non è richiesta cura e attenzione, ma piuttosto punizione.
Il folle si merita l’internamento accanto ai poveri e ai criminali, e le mura dell’ospedale
divengono l’unico luogo di “accoglienza” per costui, perché diviene un “problema d’ordine
9
pubblico”. Viene anche istituito un carattere economico dell’internamento, oltre a quello
della repressione, per cui, chi viene segregato adempie ad attività lavorative con l’intento di
fare il bene comune.
Le strutture di contenimento in un certo senso vengono recuperate nel contesto sociale,
perché produttive ed incentivanti la prosperità comune, ma poco importano le condizioni
fisiche e mentali di chi svolge tali mansioni. Inoltre l’internamento assume anche il ruolo
preservatore dell’istituzione famiglia a cui, per la propria incolumità, viene concessa la
facoltà di richiedere l’allontanamento dei propri familiari qualora ritenuti folli e di ostacolo
sociale.
La struttura contenitiva quindi nel corso del XVII secolo ha ancora la fisionomia di
prigione in cui si mescolano, in maniera indifferenziata, categorie diverse di reclusi a cui
vengono garantite forme di assistenza medica minima e generalizzata.
Nella maggior parte degli Ospedali Generali, infatti, gli insensati sono frammisti, senza
alcuna distinzione, a tutti gli altri dozzinanti o internati. Solo i più agitati sono messi in celle
riservate: “In tutti gli ospedali od ospizi sono stati abbandonati agli alienati alcuni edifici,
vecchi, cadenti, umidi, mal disposti, e non costruiti a questo fine, se si eccettuano qualche
cella e qualche segreta edificate espressamente: i furiosi abitano questi padiglioni separati;
gli alienati tranquilli e gli alienati detti incurabili sono confusi con gli indigenti e i poveri.
In un piccolo numero di ospizi, dove si rinchiudono dei prigionieri nei padiglioni detti di
forza, questi internati abitano coi prigionieri e sono sottoposti allo stesso regime” (Esquirol
J., 1818).
Fenomeno sporadico ma indicativo, verso la fine del XVII secolo, alla richiesta
dell’internamento di un familiare può essere necessaria una consultazione medica, ma solo
nei casi più gravi. Questo preannuncia la nascita di un nuovo modo di approcciarsi al mondo
dell’alienato, sempre più conoscitivo, e va definendosi alle soglie del nuovo secolo un
nuovo rapporto col disagio mentale.
Nel corso del XVIII secolo tale processo conoscitivo va definendosi gradualmente, ma
ancora risente del valore di “animalità” che viene attribuito alla follia, per cui non risulta
possibile una correzione del comportamento alienato bensì il suo “ammaestramento” e
“abbrutimento”. L’internamento ha ancora il carattere preservatore della ragione, ma non è
più un valore etico poiché l’animalità è considerata qualcosa d’inumano, al di fuori della
legge degli uomini. La mostruosità riconosciuta nel disagio mentale viene allontanata dalla
10
famiglia per sfuggire al disonore, e tale colpa viene espiata con la reclusione e la vergogna
della propria mostruosità.
Le condizioni degli alienati all’interno delle strutture sono altrettanto dis-umane, per cui è
facile ritrovare celle delle dimensioni di circa sei metri quadrati dove erano costrette a
convivere anche tredici persone.
È importante ricordare l’assenza quasi totale di un controllo medico specifico, cosa questa
che abbandonava gli internati ad un destino lento ed inesorabile. La coercizione era la prima
forma di violenza, la regola d’ordine per ricordare al folle che non apparteneva al mondo
umano.
Solo in un secondo momento, nel corso del XVIII, si comincia una sorta di terapia del
disagio mentale e vengono studiate in maniera più sistematica le cause alla base della follia.
Man mano che si entra nello spirito positivista, sebbene si cerchino ancora le cause
scatenanti quell’animalità insita nell’insensato, l’internamento è la sala operatoria in cui
sezionare la follia e farne oggetto di studio preferito della ragione. La follia viene
riconosciuta come non-essere, come nulla in quanto non facente parte del mondo degli
uomini e dunque è immediatamente sentita come differenza e segregata attraverso
l’internamento dove viene soppressa.
1.2.5 Nascita dell’eziologia psichiatrica
Sebbene i metodi siano ancora primitivi e lontani dal rappresentare una reale forma
d’assistenza alla persona malata, verso la fine del XVIII secolo, si va affermando una nuova
fisionomia d’internamento, maggiormente concentrato a spiegarsi le cause del disagio
mentale e pronto a costituire un “corpus curandi” appropriato mediante un graduale
affinamento delle tecniche terapeutiche.
Solo verso la fine del XVIII secolo si assiste ad un interesse sempre più profondo per la
cura della follia, e, di fatto, cominciano a nascere interessanti dibattiti sulle modalità
terapeutiche adeguate per fronteggiare il disagio mentale. Nascono nuove modalità di
approccio e di contatto con la follia, che per il loro carattere sperimentale e probatorio non
convalidano un’unica terapeutica. Così, per irrobustire lo spirito contro i vapori che
offuscano la mente, si cercherà di arrecare all’alienato sentimenti sgradevoli, oppure
all’opposto, per purificarne lo spirito dal ribollimento delle idee false, verranno prescritti
11
aloe, mirra, saponi, caffè, o ancora verranno inflitte delle ferite per sbarazzare l’organismo
degli stessi vapori che sono causa di alienazione (Foucault M., 1972).
Altre intuizioni puramente qualitative, prive di qualsiasi scientificità medica, sono quelle
riguardanti i poteri benefici dell’acqua, considerata uno strumento terapeutico elettivo nelle
patologie e fisiologie più diverse.
I bagni freddi, a cui sono sottoposti gli internati, sanciscono una nuova rinascita ed una sorta
di magico esorcismo dal male insito nella follia in quanto danno la possibilità all’alienato di
riappropriarsi della natura umana e purificarsi dall’animalità. “L’alienato fissato su una
sedia era posto sotto un serbatoio pieno d’acqua fredda che si riversava completamente
sulla testa” oppure “lo si rovesciava all’indietro in un bacino per precipitarlo nell’acqua” e
così questa violenza annunziava magicamente come una rinascita battesimale (Esquirol J.,
1838).
1.2.6 L’opera di Esquirol: l’arte terapeutica
È la voce di Esquirol che sembra preannunciare un nuovo approccio alla follia, che si
riappropria della natura umana del malato inserendola in un contesto diverso e meno dis-
umano. In un certo senso, vengono tracciate delle linee di demarcazione di quella che sarà la
psichiatria moderna in quanto viene accolto finalmente il disagio e non più condannato
all’espiazione o all’esilio nella terra dell’internamento.
L’opera di Esquirol implica una svolta di tipo terapeutico nell’approccio alle malattie
mentali nel corso del XVIII secolo perché suggerisce il trattamento “morale” del folle, e
pone sotto accusa le tecniche repressive di induzione alla paura, la pratica delle scosse
improvvise, l’isolamento, i bagni freddi, la violenza fisica e psicologica, in quanto
considerate controproducenti alla stessa guarigione.
Viene data importanza per la prima volta alla necessità di separare gli alienati secondo la
specie della loro malattia, isolando i convalescenti; viene conferito un ruolo curativo al
semplice contatto visivo, fenomeno che, per certi aspetti, preannuncia quella importanza che
oggi viene data all’empatia nel trattamento degli psicotici; per la prima volta si comincia a
parlare di rapporto duale mediante l’istituzione di un corpo di “domestici” che,
singolarmente e in maniera costante, si occupano di un malato per volta al fine di creare
quel contesto familiare di contenimento.
12
“Bisogna vivere con loro per rendersi conto delle cure infinite, delle minute attenzioni che
essi esigono; non si può dubitare per nulla del beneficio che essi ricavano da una
comunicazione costante e amichevole con il medico che li cura. Quante preziose lezioni
riceve costui! Quante conoscenze pratiche acquista sull’uomo fisico e morale! Nei loro
gesti, nei loro movimenti, nei loro sguardi, nei loro discorsi, spesso in sfumature
impercettibili a chiunque altro, egli attinge il primo pensiero del trattamento che si adatta a
ciascuno” (Esquirol J., 1805). Sembra quasi che in queste parole possa essere ritrovato
quell’insegnamento all’arte terapeutica delle affezioni psicotiche che verrà riaffermato solo
ai giorni nostri (sebbene si assista continuamente ad un gioco di potere che cambia la
direzione della psichiatria moderna da un approccio medico/biologico ad uno
fenomenologico), che pone l’accento sull’importanza della relazione, sul riconoscimento del
malato in quanto essere umano prima che malato.
Esquirol per “trattamento morale” intende entrare nel mondo dell’alienato e ristabilirne
l’equilibrio con le gentilezze, le attenzioni, la dolcezza, il sorriso della benevolenza, per fare
un po’ di luce e palesare una coscienza di malattia: la prova più certa di guarigione
dell’alienato diviene la sua stessa convinzione di essere malato.
Accanto a questo fermento di rivalutazione terapeutica, alle soglie del XIX secolo, nasce
anche l’esigenza di definire lo spazio “privato” della follia e dunque va costituendosi un
linguaggio nuovo, meno evasivo e sempre più specifico, che porrà le basi per le
classificazioni nosografiche del secolo successivo. I dibattiti sulle finalità e le condizioni
dell’internamento si accendono e aprono una vera e propria critica politica che però
continua a riconoscere l’importanza dell’esclusione dalla vita sociale della follia.
È con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 che l’internamento
viene definitivamente riservato a certe categorie di condannati e ai pazzi e, per questi ultimi,
viene prevista una sistemazione: “Le persone detenute per demenza saranno interrogate dai
giudici, secondo le forme in uso, per tre mesi a partire dal giorno della pubblicazione del
presente decreto, e in forza delle disposizioni dei giudici stessi saranno visitate dai medici,
che, sotto la sorveglianza dei direttori del distretto, chiariranno la vera situazione dei
malati, in modo che questi, dopo la sentenza emessa circa le loro condizioni, o vengano
scarcerati, o curati in ospedali che saranno indicati a tale scopo” (La Rochefoucauld-
Liancourt F. A., 1970, citato in Foucault M. 1972).
13
1.2.7 L’Asilo
Nel XIX secolo l’internamento è ancora spazio di reclusione, ma comincia a crearsi al
suo interno un principio di libertà che legittima la libera espressione della natura folle.
Nasce l’Asilo come “Luogo della follia” (acquisizione di uno spazio privato), che diviene di
dominio medico, e vengono stabiliti i fini terapeutici che possano sancirne la guarigione.
All’interno di questa nuova struttura la follia acquista anche lo statuto della temporalità con
l’istituzione di un “diario di asilo”: “Si terrà un diario dove saranno annotati con
scrupolosa esattezza il quadro di ogni malattia, gli effetti dei rimedi, i risultati delle
autopsie. Vi figureranno i nomi di tutti gli individui del reparto, così l’amministrazione
disporrà di un resoconto delle condizioni di ognuno, settimana per settimana o anche, se lo
ritiene necessario, giorno per giorno” (Cabanis P. J. G., 1956).
In Francia si arriva, dunque, all’opera di liberazione del folle dal carattere coercitivo
dell’internamento del XVII e XVIII secolo, col cambiamento apportato sia da Tuke che da
Pinel nella gestione delle strutture contenitive del disagio mentale.
Tuke (1813) istituisce il “Ritiro”, luogo ideale di cura e guarigione dell’alienazione, che
nasce al di fuori delle mura della città ma non con l’intento di segregare, escludere, esiliare
all’espiazione di una dis-umana colpa, come era avvenuto in precedenza, ma con la
convinzione che l’esercizio all’aria aperta, le passeggiate regolari, il lavoro in giardino e
nella fattoria abbiano sempre un effetto benefico e siano “propizi alla guarigione dei folli”.
1.2.8 L’opera di Pinel: la liberazione
Pinel fu responsabile della liberazione dei malati dell’ospedale di Bicetre, dopo aver
sondato con inchieste le loro condizioni di vita all’interno della stessa struttura e aver
verificato lo stato delle celle in cui venivano rinchiusi. Così, ad una provocazione che
ridicolizzava il suo intervento, “Perbacco cittadino, sei pazzo anche tu a voler liberare dalle
catene simili animali?”, egli rispose: “Cittadino, sono convinto che questi alienati sono così
intrattabili proprio perché vengono privati d’aria e di libertà” (Pinel S., 1836).
È questa una liberazione che sancisce la nascita della psichiatria moderna: si va
costituendo un interesse squisitamente positivista nei confronti della malattia mentale, tanto
che lentamente si viene a creare un substrato di conoscenze classificatorie e d’arte
14
terapeutica che andranno a costituire un nuovo codice medico e morale.
Acquisendo lo status di essere umano, l’alienato diviene ora oggetto di studio della
medicina psichiatrica che, nella propria convinzione di debellare la follia, in questa ardua
sfida, innalza il proprio statuto di scienza inopinabile.
1.3 L’ISTITUZIONE MANICOMIALE IN ITALIA E LA LEGGE N°180/78
All’era moderna si arriva con lo spirito innovatore della psichiatria asilare che sancisce e
rafforza lo statuto dell’Ospedale Psichiatrico, il Manicomio, come “Istituzione Totale”
1
,
come fortezza isolata e inaccessibile, ancora finalizzato all’emarginazione e all’isolamento
della “follia” dal corpo sociale: “parte del mandato ufficiale dell’ospedale psichiatrico di
stato è di proteggere la comunità dal pericolo e dal fastidio che comportano certi tipi di
comportamento anomalo” (Goffman E., 1961).
L’effetto istituzionale sul paziente è ancora quello dello scarto dal contesto sociale e, il
peso di tale esclusione viene avvertito ben oltre la dimissione stessa dal manicomio, per cui
“una volta risulti che egli è stato in ospedale psichiatrico, la maggior parte del pubblico,
sia formalmente – in termini di riduzione di impiego – che informalmente – in termini del
trattamento quotidiano generale – lo considera una persona da respingere; gli si mette
addosso uno stigma” (Swhartz C. G., 1956, in Goffman E. 1968).
1.3.1 La psichiatria italiana nell’era pre-farmacologica
La psichiatria italiana nasce nel 1872 quando Livi, in occasione del II Congresso degli
Scienziati Italiani, propone di costituire una sezione di psichiatria in accordo con il clima
che si era andato creando, per cui i medici alienisti sentono il forte bisogno di staccarsi dalla
medicina per costituire una disciplina autonoma che è chiamata ad assumere un ruolo
fondamentale nel dirimere il problema della devianza e delle azioni delittuose (Lalli N. e
Costantino L., 1979). Scopo fondamentale della nuova psichiatria rimaneva quello di
dimostrare che la malattia mentale, e la devianza in genere, non poteva minimamente essere
messa in relazione con le contestuali condizioni sociali ed economiche, ma era sempre e
1
“Un'istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che – tagliate
fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo – si trovano a dividere una situazione comune,
trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato” (Goffman E., 1961).
15
comunque di natura “endogena”: sia ereditaria, sia genetica, sia costituzionale.
Questo è uno dei motivi latenti per cui la psichiatria è costretta ad orientarsi in senso
organicistico. Su di un piano manifesto invece c’è un altro motivo: la psichiatria,
appoggiandosi al modello medico-neurologico cercava uno statuto ed un riconoscimento
scientifico (Bartocci G. e Lalli N., 1992).
L’apice del potere della nuova psichiatria viene raggiunto con la Legge sui Manicomi del
1904: nel giro di pochi anni sorgono in Italia ben 59 manicomi pubblici, 50 istituti privati e
3 manicomi giudiziari (Lalli N. e Costantino L., 1979). Ma da questo momento gli alienisti
si rinchiudono, e vengono rinchiusi, dentro le mura dei manicomi, insieme ai pazienti.
La Legge del 1904 sanciva l’internamento manicomiale “attraverso un atto delle autorità
di pubblica sicurezza coattivamente, forzatamente, non volontariamente, sulla base di una
certificazione medica” (Patarnello L., 2000). Il ricovero, disposto solamente qualora
l’ammalato fosse ritenuto “pericoloso” per sé e per gli altri, veniva registrato nel casellario
penale ed inoltre comportava la perdita totale dei diritti civili dell’individuo. Quella del
1904 non era semplicemente una legge d’ordine pubblico, dato che in minima parte si
preoccupava della cura del paziente, ma non era neppure solo una legge sanitaria, dato che
metteva questioni di pubblico interesse, come la pericolosità, tra i criteri di ricovero in
Manicomio.
La psichiatria ospedaliera si svilupperà così come psichiatria manicomiale, adibita alla
gestione di tutti coloro che risultavano essere “pericolosi per sé e gli altri” o “di pubblico
scandalo”. Per quanto riguarda il piano accademico, invece, la psichiatria universitaria
rimarrà fondamentalmente biologica, al massimo costituzionalistica, tanto che fino al 1969
esisterà una sola disciplina: la neuropsichiatria. Questo sterile connubio impedirà qualsiasi
sviluppo non solo della psichiatria, ma soprattutto della psicopatologia e di una possibile
nascente psicologia e psicoterapia.
Ma, oltre a questo, sono presenti altri due fattori che costituiscono una peculiarità
specificamente italiana: il dominio di due forze ideologiche che, collegate e sostenute dal
potere politico, avranno ben altro peso, non lasciando alcuno spazio ad una cultura
psicologica e soprattutto psicoterapeutica.
Da una parte il neo-idealismo imperante che, pur nelle due diverse versioni di Benedetto
Croce e di Giovanni Gentile, permeando la cultura e in parte la politica italiana, impedirà
qualsiasi possibilità di nascita e di sviluppo della psicologia, perché le nega ogni valore
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