ed è approfondita nel capitolo successivo. Durante la lettura si ricordi che quando
ci si riferisce a dei valori medi, inevitabilmente si perdono informazioni sui casi di
spicco, che come si vedrà sono tuttavia molto limitati. Questo capitolo è
strutturato in maniera diversa dagli altri, giacché presenta cinque appendici che
chiariscono alcuni aspetti, che, se introdotti durante il percorso di analisi,
avrebbero appesantito lo scorrimento della lettura. Le appendici si riferiscono sia
ad elementi di dettaglio delle aree e delle aziende analizzate, sia ai metodi di
lavoro e agli strumenti di analisi che sono stati utilizzati nel compiere questa
elaborazione.
Il terzo capitolo espone il dibattito sui vitigni autoctoni, intesi con metodo
strategico per conferire valore aggiunto alle produzioni territoriali, che
attualmente soffrono della concorrenza sia dei nuovi produttori e sia dei
vinificatori più tradizionali e prestigiosi. Sono anche riportati alcuni esempi
brevemente descritti, in particolare relativi alle regioni del Sud e alle Isole, di casi
di successo raggiunto proprio avvalendosi di questa strategia.
Per tracciare le prospettive più generali della viticoltura viterbese, è
interessante discutere di quanto emerso dal confronto con alcuni operatori della
provincia, interrogati a valutare i risultati del lavoro e a definire le prospettive più
generali del settore. A questo proposito sono stati svolti degli incontri con vari
produttori viticoli e vinicoli del viterbese, con funzionari dell’Agenzia Regionale
per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio (ARSIAL), della
Camera di Commercio di Viterbo, della Comunità Montana di Orvieto e con altre
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figure professionali che hanno notevole esperienza in questo settore. I contenuti di
questi incontri sono riportati nel capitolo quattro. L’opinione generale emersa è
sulla scarsa efficacia della OCM vino sul settore viticolo viterbese e il paradossale
intervento della Pubblica Amministrazione. Inoltre emerge la descrizione di una
situazione di staticità dell’intero comparto produttivo, causata principalmente
dall’azione della GDO nel congelare il mercato nella situazione attuale,
ostacolando spostamenti verso posizioni più autorevoli del prestigio dei vini
locali. S’intravede nella strategia della valorizzazione dei vitigni autoctoni una
possibile opportunità per rilanciare tutto il settore viterbese. Questa andrebbe però
sviluppata riformulando l’aiuto della Pubblica Amministrazione, orientandolo
verso il marketing territoriale, inteso come strategia per vendere il territorio nel
suo insieme. L’intervento dovrebbe favorire la cooperazione tra i produttori e, al
contempo, creare un sistema commerciale alternativo ed esclusivista del territorio.
Lo studio e lo sviluppo dei mercati locali rappresenta perciò un’importante
occasione di crescita del settore agricolo viterbese.
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Capitolo 1
Informazioni sul settore viti-vinicolo e OCM vino
1.1 La viticoltura mondiale
Nello scenario internazionale la viticoltura si sta indirizzando verso un
prodotto di sempre maggiore qualità, in senso molto ampio, ottenuto rinunciando
alle alte produzioni, per pianta e per ettaro, e ponendo particolare attenzione alle
varietà utilizzate e alla loro interazione con i diversi portainnesti. A proposito di
varietà, oggi, si utilizzano quelle nobili e conosciute a livello internazionale o
anche si riscoprono quelle autoctone o che meglio si adattano alle condizioni
pedo-climatiche di un’azienda. La vite è una pianta che predilige ambienti
temperati e per questo, sulla terra, esistono solo due fasce entro le quali è
climaticamente possibile coltivarla. Nella cartina sottostante si possono notare le
due fasce precedentemente citate, all’interno delle quali sono segnate, in verde, le
zone in cui realmente si coltiva la vite in quantità rilevante (Enoteca Italiana,
2002).
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La superficie vitata nel mondo nel 2003, secondo l’O.I.V. (Organizzazione
Internazionale della Vigna e del Vino), è stata di 7.890.000 ettari, confermando
l’incremento delle superfici mondiali in corso negli ultimi anni (O.I.V., 2003).
Andando ad analizzare i dati che vanno dal 1991 al 2001, secondo l’O.I.V., ci
si accorge facilmente di come la viticoltura si sia enormemente diffusa, ormai,
anche in quelle nazioni che, fino a pochi decenni fa, erano considerate solo
importatrici di vino. I dati rivelano inoltre che l’Europa, da sempre continente in
crescita nel settore vitivinicolo, nell’ultimo decennio comincia ad accusare, forse,
un po’ di “stanchezza fisiologica”, regredendo in HA di vigneto, pur mantenendo,
nel 2002, il 43% della superficie vitata mondiale.
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Il maggior progresso, in termini di superficie vitata, è stato fatto registrare da
Paesi come l’Australia, gli Stati Uniti, il Cile ed il Sud Africa che in quest’ultimo
ventennio hanno creduto molto nelle loro potenzialità in ambito vitivinicolo ed
hanno investito tante energie e soprattutto denaro. La costante ascesa di questi
Paesi contribuirà anche nel 2006 all’aumento delle superfici vitate mondiali, che
secondo previsioni, dovrebbe raggiungere quota 8.235.000 ettari (Fregoni M.,
2005).
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La produzione mondiale di vino nel 2003 è stata di 260,8 milioni di ettolitri, di
cui 158,6 milioni di ettolitri prodotti nell’Unione Europea, ovvero il 60,8%
(Piccoli F., 2003).
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Negli ultimi anni nei Paesi dell’Unione Europea si è registrata una situazione
quasi stazionaria nelle produzioni di vino; invece in tutti quei Paesi, come Sud
Africa, Oceania, Cile, Argentina e USA, in cui si sono fatti degli enormi sforzi
economici per aumentare le superfici vitate, si è registrata una costante crescita
produttiva così come si può notare dalla seguente tabella:
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L’enorme progresso di questi “nuovi” Paesi produttori non dovrebbe far paura,
ma solo far riflettere quelle nazioni, tradizionalmente vocate alla produzione di
vino, come l’Italia, che per essere competitive in un mercato come quello che va
prospettandosi, dovrebbero investire di più nella ricerca e sulle nuove tecnologie,
in modo tale da trovare soluzioni che permettano di abbassare i costi di
produzione che tanto incidono sui prezzi di vendita finale del prodotto. Il vino
negli ultimi decenni non è più considerato un alimento, ma un prodotto di qualità
da abbinare a piatti adeguati. Questa nuova concezione ha trasformato
radicalmente il mercato del vino, facendo diminuire i consumi in tutti quei Paesi
tradizionalmente consumatori, come l’Italia del dopo Guerra, che si “nutrivano di
vino”, mentre li ha fatti aumentare in quelli che conoscevano poco o per niente
questa bevanda.
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Molto interessante a questo proposito è la proiezione del livello dei consumi
per il 2006 in cui si prevede un aumento un po’ in tutto il mondo. In Europa
l’aumento sarà solo del 4,4%, mentre in Nord America dell’ 11,2 %, nell’Asia del
Pacifico del 16,1 %, nei Paesi dell’ex Unione Sovietica del 12 % e nel resto del
mondo del 10%; nel complesso si dovrebbe avere una crescita media dei consumi
del 5,4%. L’eccezione a questo trend positivo è rappresentato dall’America del
Sud, nella quale invece i consumi dovrebbero calare del 3,5% (vinexpo.com).
Interessante anche segnalare che i primi 10 Paesi non produttori (Regno Unito,
Olanda, Belgio, Giappone, Danimarca, Svezia, Polonia, Norvegia, Irlanda, e
Finlandia), che nel 2002 rappresentavano solo il 10,4% del consumo mondiale,
nel 2006 supereranno il 30% (iwsr.co.uk). Secondo i dati e le proiezioni O.I.V.,
nel volgere di pochi anni, comunque entro il 2008, la produzione mondiale di vino
sarà superiore ai consumi. In particolare le stime, basate sugli andamenti degli
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ultimi trent’anni, indicano che verranno prodotti circa 290 milioni di ettolitri di
vino contro un consumo che si aggirerà sui 235-245 milioni di ettolitri. Il settore
vitivinicolo mondiale risulterà, quindi, secondo le previsioni dell’OIV,
eccedentario (O.I.V., 2003). Per quanto riguarda gli export di vino, secondo i dati
del 2003 dell’O.I.V., la Francia e l’Italia sono i Paesi esportatori per eccellenza
rispettivamente con 12.037.000 ed 11.906.000 ettolitri, anche se negli ultimi anni
hanno subito la rimonta di Australia, Cile e USA (O.I.V.,2003). Il maggior
importatore di vini a livello mondiale è il Regno Unito,seguito da Germania e
USA. Svezia e Canada sono, invece, le nuove realtà che stanno scalando
velocemente la classifica dei primi Paesi importatori di vino al mondo (Fonti:
Vinexpo, Iwsr, Gdr. 2003). Infine il giro d’affari mondiale del mercato del vino,
per il 2006, si prevede possa aggirarsi attorno a 111.000.000 € (Fonte Iwsr) .
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1.2 La viticoltura italiana
Secondo i dati del O.I.V. del 2003, l’Italia è il terzo Paese al mondo per
superficie vitata e con i suoi 721.508 HA (rappresenta l’11% dell’intera
viticoltura mondiale. Le aziende vitivinicole del nostro Paese invece, secondo il
Censimento Istat del 2000, sono circa 800.000, di cui solo 108.000 dedicate alla
produzione di vini DOC e DOCG. I due terzi della totalità hanno una superficie
vitata inferiore ad 1 ha, 7.000 una superficie superiore ai 10 ha e solo alcune
centinaia hanno più di 50 ha di vigneto. La produzione di vino, nel 2004, è stata di
quasi 52 milioni di ettolitri, con Veneto e Puglia come maggiori produttori (Istat,
2003). Di questi 52 milioni di ettolitri solo 11.561.584 ettolitri sono stati
trasformati in vini DOC e DOCG, mentre il resto è servito per fare vini IGT e da
tavola. Al 30 giugno 2004, secondo le stime Istat, in Italia i vini IGT erano 115, i
DOC 302, mentre i DOCG 28. Il Piemonte è la regione italiana che detiene il
primato di DOC e DOCG con il 16,25%, seguito dal Veneto con il 15,5%, dalla
Toscana con l’11,62%, dall’Emilia-Romagna con l’ 8,97%. Al sud in forte ascesa
troviamo la Puglia con il 2,67% e la Sicilia con l’1,41% (Istat, 2003). Di tutto il
vino prodotto nella nostra penisola il 75%, circa 40 milioni di ettolitri, è destinato
al consumo nazionale (O.I.V., 2003). Il consumo pro capite in Italia nel 2002 è
stato di 61 litri/anno (Fonte IWSR). Nel 2003 l’Italia ha esportato circa 12 milioni
di ettolitri, posizionandosi al secondo posto, dopo la Francia, nella classifica dei
primi Paesi esportatori al mondo (Fonte O.I.V.). Il Paese che maggiormente
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importa vino italiano è la Germania con 4.291.000 ettolitri, anche se le sue
importazioni sono calate del 10% tra il 2002 ed il 2003. Al secondo posto gli USA
con 1.878 ed al terzo il Regno unito con 1.440 ettolitri. Crescente è l’interesse per
il vino italiano in Giappone e Canada,anche se ancora le loro importazioni sono di
scarso rilievo, ovvero rispettivamente di 286.000 e 426.000 ettolitri (Raimondi S.,
2004). La globalizzazione in questi anni ha stimolato la curiosità degli italiani che
hanno cominciato ad importare, sempre più, il vino prodotto in Australia, Cile e
California, apprezzandone oltre che alla qualità, anche i prezzi. Infine il fatturato
dell’intero settore vitivinicolo italiano, nel 2002, è stato di circa 8 miliardi di €
(Fonte Iwsr). In questi anni per affrontare nel migliore dei modi l’agguerrita
concorrenza sferrata dai nuovi Paesi produttori di vino, l’Italia, come gli altri
Paesi Europei, tradizionalmente vocati alla viticoltura, ha intrapreso un cammino
che punta sempre più al progresso tecnologico, alla sperimentazione e alla
valorizzazione di vitigni alternativi a quelli finora impiegati.
Dai dati del 5° Censimento Generale dell’Agricoltura, riferito all’annata
agraria novembre 1999-ottobre 2000, risulta una superficie nazionale ad uva da
vino di 675.580 ettari, di cui 233.522 (il 35%) destinabili alla produzione di vini
DOC e DOCG e 442.057 (il restante 65%) a vini da tavola e IGT. Da sottolineare
come le superfici attribuite al segmento delle denominazione d’origine, per scelta
di rilevazione, sono quelle iscritte agli albi dei vigneti, che potrebbero dunque
essere destinate a produrre DOC o DOCG, ma che non è detto che poi di fatto lo
siano. Le aziende del comparto sono 770.206, di cui il 90% produce vino da
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tavola o IGT, mentre solo il 14% si dedica alle DOC-DOCG (la somma
naturalmente non da 100 in quanto la stessa azienda può realizzare
congiuntamente le due produzioni).
Di particolare interesse è il confronto con i due censimenti precedenti.
Nell’ultimo ventennio i vini da tavola e IGT hanno ininterrottamente perso
terreno, tanto che nel 2000 la dimensione del segmento è risultata sostanzialmente
dimezzata rispetto al 1982, sia per numero di aziende sia per superficie investita.
Invece le denominazioni d’origine, dopo la leggera contrazione rilevata nel 1990,
hanno registrato una decisa espansione nel decennio successivo, soprattutto in
termini di superfici vitate. Complessivamente le estensioni impiantate ad uva da
vino in Italia si sono ridimensionate del 36% in venti anni: da 1.063.330 ettari
rilevati nel 1982 sono passate a 862.387 nel 1990 per poi attestarsi a 675.580 nel
2000 (secondo l’OIV nel 2003 la superficie vitata complessiva in Italia è di
721.508 ettari, ma potrebbe non essere coerente il metodo di valutazione e quindi
è preferibile stimare gli andamenti sulla sola base dei dati Istat).
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Figura 1 - Superficie ad uva da vino in Italia (ettari)
In compenso la superficie media aziendale investita a vigneto è aumentata
progressivamente. Per le aziende del segmento dei vini da tavola e IGT si è
portata gradualmente da 0,56 a 0,64 ettari, mentre per quelle delle DOC-DOCG
da 2 a 2,15 ettari. Al termine di questo processo la superficie media vitata di
un’azienda del comparto è risultata pari a 0,88 ettari, ovvero comunque inferiore
alla soglia di 1 ettaro. Stando ai dati del Censimento Istat 2000, le aziende che
hanno fino a 0,5 ettari di vigna coprono il 15% della superficie nazionale ad uva
da vino, mentre sono l’11% quelle appartenenti alla fascia di 0,5 ettari-1 ettaro.
In altri termini oltre 1/4 (il 26%) del vigneto Italia è frazionato tra aziende che
non hanno più di 1 ettaro investito ad uva da vino. All’estremo opposto, quelle
con più di 10 ettari vitati, si attribuiscono una quota del 20%. La frammentazione
è ancora maggiore nel segmento dei vini da tavola e IGT, dove le aziende con
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