4
realizzazione della situazione-base che giustifica il prelievo, laddove
l’adesione alla tesi positiva trova conforto nell’imputazione ad essi
dell’effetto giuridico corrispondente al pagamento.
In ogni caso, l’equilibrio delle posizioni individuali rispetto al
Fisco si ottiene con l’operatività della rivalsa, configurantesi quale
obbligo per il sostituto e diritto per il responsabile d’imposta.
Quest’ultima figura soggettiva suscita particolare interesse ai
fini della presente indagine. Segnatamente, si vuole illustrare il
criterio con cui si è inteso motivare il permanere dell’obbligazione
di pagare il tributo in capo a colui che eserciti infruttuosamente
l’azione di regresso nei confronti del debitore d’imposta, proporre
una ripartizione delle attuali ipotesi di responsabilità, ma soprattutto
procedere ad un corretto inquadramento della figura stessa alla luce
dei precetti costituzionali.
5
CAPITOLO I – L’INTERESSE FISCALE
1. GENESI E FONDAMENTO DELL’ISTITUTO
La problematica dell'interesse fiscale ha da sempre
rappresentato un tema di vivace dibattito in sede dottrinale, per un
insieme di ragioni. Numerose, infatti, sono le questioni che si
agitano sullo sfondo: dall'interpretazione del principio di capacità
contributiva alle irrinunciabili esigenze di codificazione, dalla
necessità di tutela del contribuente alle esigenze di gettito (e alla
connessa “particolarità” del diritto tributario).
L'espressione “interesse fiscale” fu coniata dal giudice delle
leggi, per alludere a quell’interesse generale rivolto ad una pronta e
perequata percezione dei tributi (sentt. C. Cost. nn. 45/1963,
50/1965), nell’intento, però, di esaltarne il profilo funzionale, quale
strumento che consente il regolare funzionamento dei servizi
pubblici.
In questa accezione l’interesse fiscale può considerarsi come
proiezione del principio costituzionale del doveroso concorso alle
pubbliche spese in ragione della propria capacità contributiva di cui
all'articolo 53, nonché come manifestazione del principio
solidaristico di cui all'articolo 2, secondo quanto sostenuto in più
occasioni in ambito dottrinale e giurisprudenziale1. Occorre,
1
Si rinvia per una più attenta disamina dell’argomento al par. 13.
6
tuttavia, ricordare che l’interesse fiscale, nel suo più risalente
significato, veniva inteso alla stregua della comodità
dell’amministrazione finanziaria, quale mezzo per garantire un
gettito costante, anche a costo di prevaricare i diritti del
contribuente. In quest'ottica il contributo dei giudici di legittimità è
stato determinante, in quanto ha consentito il superamento di una
vetusta concezione, che in sede dottrinale assume anche il nome di
“ragione fiscale”, a vantaggio del più recente posizionamento
dell'interesse fiscale sul piano del diritto individuale, in necessario
bilanciamento con la tutela delle principali prerogative del
contribuente, tese alla legalità dell’imposizione.
2. IL RICONOSCIMENTO GIURISPRUDENZIALE
Nell'esame dei casi giurisprudenziali di maggior rilevanza c'è
un quesito che si ripropone con particolare frequenza, attinente al
ruolo svolto dalla dottrina nell'ispirare le decisioni dei giudici.
Molto spesso il risultato cui si approda è quello di un'influenza
minima ovvero di una generale insensibilità rispetto alle
argomentazioni dottrinali. In prima approssimazione questa
tendenza si giustifica nell’esigenza di salvaguardia del gettito2,
particolarmente avvertita anche dai giudici della Corte
Costituzionale come si evince da talune pronunce. Ciononostante i
2
Illuminanti in tal senso le parole di E. Allorio che descrive la giurisprudenza tributaria
come «necessitata dalla esigenza di garantire il gettito».
7
meriti della Corte sono evidentissimi, con specifico riguardo alla
eliminazione di veri e propri mostri tributari3.
La direzione seguita dalla Corte, in un primo momento, fu
quella di ricercare un equilibrio fra esigenze di razionalità e
semplificazione dell'attività di imposizione, nell'intento di assicurare
una riscossione delle imposte che fosse celere e sicura, ma che non
si risolvesse in un pregiudizio al principio costituzionale di capacità
contributiva. Per il perseguimento di questo obiettivo si rivela
necessaria la verifica di due condizioni: la corrispondenza tra
prestazione imposta e quel fatto economico che la norma tributaria
elegge a presupposto dell'imposizione, la coerenza della disciplina
dell'imposta in riferimento proprio al presupposto. Tuttavia, questo
modo armonico ed ordinato di approcciarsi alle profonde questioni
che orbitano intorno al momento impositivo subì un rapido declino
per far spazio alle pressanti esigenze politiche, inaugurando un
andamento ondivago tra tutela delle garanzie costituzionali e
concessioni al fiscalismo.
Il condizionamento subito dai giudici di legittimità si mostra in
tutta evidenza soprattutto nelle argomentazioni esposte nella
motivazione dei provvedimenti adottati. Basti pensare all'originale
elaborazione dell'istituto del “reddito ereditario” su cui si è inteso
fondare la responsabilità degli eredi4, oppure alla decisione in
materia di detraibilità della sovrimposta comunale sui fabbricati
3
Si allude in particolare alle pronunce di illegittimità costituzionale riguardanti il sistema
del solve et repete, C. Cost. sent. n. 21 del 31 Marzo 1961, e la solidarietà formale
tributaria (o supersolidarietà), C. Cost. sent. n. 48 del 16 Maggio 1968.
4
Cfr. Sent. C. Cost. n. 68, 20-03-1985.
8
(SOCOF) ai fini IRPEF5. In tale occasione la Corte, ricollegandosi
idealmente ad un orientamento giurisprudenziale consolidato con
riguardo alla necessaria ricerca di un equilibrio da parte del
legislatore fra le esigenze finanziarie dello Stato e quelle del
cittadino «chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva»,
cade in contraddizione nella parte in cui giustifica il sacrificio
economico imposto alla cittadinanza, in termini di non detraibilità
dell’imposta, quale strumento necessario per sostenere un’economia
locale in una situazione di grave difficoltà. Un ragionamento così
impostato dalla Corte non può che condurre ad una distorsione del
diretto legame che di norma sussiste, in ragione del principio
costituzionale di capacità contributiva, tra il fatto indicatore di
ricchezza e il fenomeno dell'imposizione.
Diversamente, nelle pronunce più recenti i giudici
costituzionali sembrano orientarsi verso il riconoscimento al
legislatore di un elevato livello di discrezionalità nel dettare la
disciplina impositiva, ponendo quali unici limiti i divieti di arbitrio
e irragionevolezza6. E’ d’uopo precisare che la Corte non ha
esplicitato l’essenza dei limiti nella realtà delle singole imposte e dei
singoli istituti, relegandoli quindi al ruolo di limiti astratti e
riservandosi di individuarne la concreta portata in relazione alle
singole vicende sottoposte al vaglio giurisdizionale.
5
Cfr. Sent. C. Cost. n. 574, 11-05-1988.
6
Cfr. le numerose sentenze richiamate in nota 134.
9
3. L’INTERESSE FISCALE INTESO COME SCOPO DELLA
LEGISLAZIONE TRIBUTARIA
La generalità delle norme istitutive dei tributi risulta orientata
verso il perseguimento dell'interesse fiscale nel suo significato
costituzionale, quale interesse della collettività ad una riscossione
che avvenga in forma perequata, sicura e pronta. In talune ipotesi,
peraltro, tale interesse rappresenta l'unico fattore di coesione fra
norme caratterizzate da una profonda frammentarietà e
disgregazione.
Le considerazioni che Fantozzi esprime nell'arco di una
articolata riflessione sul sistema impositivo visto in prospettiva
storica appaiono particolarmente significative.
«[…] L'ordinamento vigente è il risultato di un'evoluzione
storica che si è sviluppata dalla unificazione in poi e che trova le
proprie radici negli Stati preunitari, e in particolare in quello
piemontese, a loro volta partecipi di esperienze straniere e in primo
luogo di quella francese. Di questa evoluzione occorre dare
brevemente conto poiché attraverso essa si è realizzato, per
aggiunte e proliferazioni successive, un sistema articolato e
complesso sul quale si è inserita, sviluppando in parte le ideologie e
sostituendole in altra parte, la riforma degli anni ’71 – ’73 che
costituisce la base del sistema tuttora vigente»7.
7
Brano tratto da A. Fantozzi., Il diritto tributario III ed., Utet 2003, p. 735
10
L’attuale complessità del sistema ha raggiunto livelli tali da
indurre a tollerare come scusabile l'ignoranza della legge tributaria
da parte dei suoi naturali destinatari, i contribuenti.
La politica della legislazione “a getto continuo”, poi, ha fornito
un ulteriore contributo in tale direzione.
L'assenza di un codice tributario, ovvero di un corpus
normativo nel quale ritrovare la sintesi dei principi generali della
materia, condiziona la stessa tecnica di redazione delle norme che
disciplinano i tributi. Il legislatore si richiama costantemente al
metodo casistico, inseguendo l'illusione di poter circoscrivere
all'interno della norma tutte le diverse vicende del contribuente in
cui si manifesta l'esigenza impositiva. Ovviamente si tratta di una
politica legislativa destinata all'insuccesso, dal momento che le
norme tributarie non possono, per la loro funzione, essere
strutturate in forma talmente elastica da consentirne l'applicazione
alle ipotesi in cui emergono nuove forme di fatti tassabili generate
nella prassi dalla “fantasia” del contribuente.
Le norme istitutive dei tributi devono indicare i fatti tassabili
in modo sufficientemente determinato, affinché non siano
contestabili sotto il profilo del rispetto dei principi costituzionali di
legalità e di capacità contributiva.
Pertanto, l'interesse ad espandere l'ambito applicativo di tali
norme è stato perseguito con il ricorso a clausole residuali, di
chiusura. Si tratta, in realtà, di clausole che non trovano spazio in
tutte le norme, posto che il “fiscalismo” ha comportato sul piano
11
della tecnica legislativa una esasperazione del ricorso al metodo
casistico.
Anche il legislatore è incorso nell'errore di privilegiare le
esigenze del gettito, anteponendo la cd. ragione fiscale all'interesse
individuale dei contribuenti perché il prelievo tributario si svolga nel
rispetto del principio di legalità.
La promulgazione del cd. Statuto dei Diritti del Contribuente8 (L.
212 del 27 Luglio 2000) nasce, almeno nelle premesse, come
strumento da utilizzare allo scopo di riportare l’equilibrio nel
rapporto tra contribuente e Amministrazione Finanziaria, un
rapporto che è stato costantemente caratterizzato da un netto
sbilanciamento a favore di quest’ultima. Come acutamente osserva
Di Nitto9 tale provvedimento non è altro che il punto di arrivo di
un lungo processo che ricomprende tutta una serie di tappe
intermedie, in cui vi è stata l'adozione di atti preparatori, in
particolare la proposta di legge n. 5079 presentata alla Camera dei
deputati il 20 dicembre 1990, intitolata «Norme per la formazione
dello statuto del contribuente», la direttiva ministeriale, emanata il
8
Anche noto come “Carta dei diritti del contribuente”. E’ stato rilevato che, pur
condividendo l’idea del rafforzamento della tutela del contribuente, che si era manifestata
in altre esperienze europee (basti pensare alla Carte du contribuable in Francia, contenente
un riconoscimento analitico di diritti e doveri di ciascun contribuente, alla Taxpayer’s
Charter nel Regno Unito, che si assomma agli innumerevoli provvedimenti con cui sono
stati individuati i principi generali che governano il rapporto fra contribuente ed
amministrazione, alla Ley de Derechos y Garantìas de los Contribuyentes in Spagna,
finalizzata al conferimento al contribuente di una tutela sicura e rapida) lo Statuto italiano
va ben oltre, prevedendo un’articolata disciplina riguardante la formazione delle leggi
tributarie.
9
T. Di Nitto, I nuovi rapporti tra il Fisco e i contribuenti alla luce della legge n. 212/2000
– commento; Giornale Di Diritto Amministrativo n. 2/2001
12
25 Novembre 1996, riguardante la semplificazione dei rapporti tra
contribuente ed Amministrazione Finanziaria.
Gli iniziali progetti di legge presentati in Parlamento erano
diretti a realizzare una riforma costituzionale, con l'apporto di
modifiche ad uno o più articoli della Carta. Si decise di
intraprendere un percorso più tortuoso e complesso, ma in grado di
offrire un più elevato livello di garanzie per la parte
tradizionalmente considerata più “debole” nel rapporto giuridico
d’imposta.
Tuttavia, dopo aver registrato una serie di bocciature dei
diversi progetti in Commissione Finanze, si optò per l'attuazione di
una riforma con legge ordinaria.
Il primo disegno di legge (n. 1286 del Settembre 1996) fu
presentato al Senato dal Ministro delle finanze Visco, solo quattro
anni dopo si giunse all’approvazione del testo definitivo, che
riportava diversi emendamenti rispetto al progetto originale, a
conferma delle vibranti discussioni che hanno animato le aule
parlamentari in occasione della redazione del testo. E’ bene
precisare, però, che la soluzione scelta ha il valore di un
compromesso.
La finalità di assicurare un’elevata tenuta delle disposizioni
dello Statuto, dal punto di vista dell'efficacia, fu perseguita con il
ricorso a cd. “clausole di auto rafforzamento”, da cui consegue il
vincolo che grava sul legislatore attuale, come pure sul legislatore
futuro, al rispetto del contenuto di tali clausole nell'esercizio della
funzione legislativa. Più specificamente, l’obiettivo programma-
13
ticamente perseguito è quello di assicurare una maggiore resistenza
ai fenomeni abrogativi.
Ne discende che le disposizioni statutarie si collocano in una
posizione intermedia tra le fonti di rango più elevato e le leggi e gli
atti aventi forza di legge10. D'altronde, come risulta dal tenore
dell'art. 1, lo Statuto opera quale strumento di attuazione
nell'ordinamento tributario dei principi costituzionali di cui agli
articoli 3, 23, 53 e 97 Cost. Alla solenne proclamazione di valori e di
principi, che gli stessi redattori del testo consideravano quali profili
essenziali dell'intera disciplina tributaristica, si contrappone una
prassi applicativa piuttosto deludente.
Molteplici sono i motivi della scarsa applicazione dello Statuto:
in primis va rilevata la ritrosia dell'Amministrazione Finanziaria
all'osservanza dei canoni comportamentali in esso enunciati, ma
ancor più del legislatore che persiste nell’uso (fino ad integrare un
vero e proprio abuso) di decreti d'urgenza e provvedimenti ad
efficacia retroattiva. E’ facilmente intuibile che una fedele e rigorosa
applicazione delle norme statutarie possa comportare notevoli
sacrifici in termini di attuazione del prelievo.
Come è stato puntualmente rilevato, la disciplina introdotta
con la L. 212/2000 intende realizzare, di fatto, un bilanciamento tra
due esigenze, entrambe ritenute meritevoli di tutela costituzionale.
10
Parte della dottrina tende a qualificarle come “leggi ordinarie rinforzate” mutuando una
categoria di elaborazione giurisprudenziale, cfr., a tal proposito, U. Perrucci, Lo Statuto dei
diritti del contribuente, in Boll. Trib. 2000, p. 1060; S. Cantelli, A. Cantelli, Qualche
ombra di incostituzionalità nel d. lgs. n. 32/2001, in Il Fisco 2001, p. 7034-7036.
14
L'una, riconducibile all'Amministrazione Finanziaria, si
sostanzia nell'interesse fiscale, l'altra, che fa capo al contribuente, si
traduce nell’interesse alla tutela di alcuni diritti fondamentali di cui è
titolare11.
Per far ciò sono stati imposti dei divieti, in parte a carico del
fisco e in parte a carico del legislatore.
Fra i divieti del primo tipo merita di essere menzionato
particolare quello, previsto dall'art. 10, 2° comma, di irrogare
sanzioni al contribuente per comportamenti derivanti da istruzioni
date dall'amministrazione nonché da ritardi, omissioni od errori
imputabili all'amministrazione stessa. La ratio di questa disposizione
consiste nell'accordare tutela all'affidamento del contribuente negli
atti dell'amministrazione finanziaria, nonché alla buona fede nei
rapporti fisco-contribuente, affinché siano improntati alla mutua
collaborazione, come espressamente si afferma nello stesso art. 10,
1° comma.
Questa affermazione di principi rafforza il valore “sociale”, in
conformità alla Costituzione, dell'obbligo di pagamento delle
imposte, considerato quale strumento di sostegno della finanza
pubblica, non già come occasione per metter mano alle tasche dei
contribuenti.
Più ampia si presenta la categoria dei divieti posti a carico del
legislatore, cui appartengono: a) divieto di deroga o modifica delle
norme dello Statuto in modo tacito, o mediante leggi speciali; b)
divieto di ricorrere a norme di interpretazione autentica, salvo casi
11
Cfr. P. Russo, Manuale di diritto tributario, Parte Generale, IV ed.. Giuffré 2002, p. 62
15
eccezionali e subordinatamente al rispetto di due condizioni:
l'espressa qualifica delle disposizioni come interpretative,
l'introduzione con legge ordinaria; c) divieto di retroattività delle
norme tributarie; d) divieto di applicazione delle norme tributarie
istitutive di tributi periodici al periodo d'imposta nel corso del quale
sono state emanate; e) divieto di introdurre nuovi tributi ed
estendere ad altri soggetti il dovere di versamento di tributi
preesistenti con decreti legge; f) divieto di prorogare i termini di
prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d'imposta; g)
divieto di prevedere adempimenti a carico del contribuente se non
dopo il decorso del sessantesimo giorno dalla data di entrata in
vigore della disposizione normativa che li prevede.
Dato il carattere stringente di tale disciplina, risulta giustificata
la presenza di deroghe, più o meno vistose, rilevabili nella
legislazione successiva12. Occorre, poi, far riferimento alle esigenze
di rango costituzionale che si contrappongono nella disciplina
statutaria per stabilire la legittimità costituzionale di tali deroghe13.
12
Fra i provvedimenti contenenti deroghe espresse allo Statuto, D.L. n. 268/2000 conv. in
L. n. 354/2000, Misure urgenti in materia di imposta sui redditi delle persone fisiche e di
accise; L. n. 388/2000, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (Legge Finanziaria 2001); L. n. 289/2002, Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2003); D. Lgs. n. 344/2003,
Riforma dell'imposizione sul reddito delle società, a norma dell'articolo 4 della legge 7
aprile 2003, n. 80; L. n. 311/2004, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (Legge Finanziaria 2005); D.L. n. 203/2005 conv. in L. n.
248/2005, Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia
tributaria e finanziaria; D.L. n. 223/2006 conv. in L. n. 248/2006, Disposizioni urgenti per
il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa
pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale; D.L. n.
262/2006 conv. in L. n. 286/2006, Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria.
13
Vd. anche P. Russo, op. ult. cit., p. 63