4
Le relazioni di mercato tra attività industriali e servizi configurano un nuovo
paradigma tecnologico che richiede che, una maggiore compenetrazione tra
industria e servizi si trasformi in un crescente contenuto di servizi dei
prodotti, in un ruolo sempre maggiore dei servizi nella catena del valore ed
induca ad adottare nuovi modelli organizzativi, caratterizzati da un maggiore
ricorso alle attività esterne.
Il terziario è il motore e la nuova frontiera dello sviluppo economico: la
competizione tra le imprese richiede, nelle produzioni, l’integrazione di attività
di servizio che contribuiscano a rendere più competitivo ed innovativo il
prodotto complessivo (il paniere di attributi) che le imprese offrono.
Lo scopo di questo lavoro è proprio esplicitare il processo di terziarizzazione
e il processo di deindustrializzazione che si sono verificati nelle economie
industrializzate negli ultimi decenni, non contrapponendo i due fenomeni, ma
sottolineando le sinergie ed il ruolo chiave dei servizi per le imprese in
funzione della competitività delle imprese nell’attuale scenario globale.
Inoltre, sulla base di nostre elaborazioni sul banche dati Movimprese e Istat
si è voluto sottolineare le dinamiche di terziarizzazione dell’economia, in Italia
ed in riferimento in particolare all’Umbria, attraverso un’analisi comparata di
alcune regioni del Centro Italia (Umbria, Toscana, Marche).
5
CAPITOLO 1
1.1 L’economia italiana: struttura produttiva e
competitività
Attualmente l’industria italiana si trova in una fase difficile che si è tradotta in
bassa crescita, in un deterioramento della redditività delle imprese e in
perdite di quote di mercato.
In particolare la bassa crescita è confermata dalla dinamica del Prodotto
Interno Lordo; dalla seconda metà degli anni Novanta, il tasso di crescita
dell’economia italiana è stato in media di oltre di mezzo punto percentuale
inferiore a quello degli altri paesi dell’area Euro.
Le previsioni dell’OCSE del 20 marzo 2008 confermano una crescita inferiore
alle previsioni per i paesi industrializzati per l’Europa e per l’Italia, anche a
fronte della recente crisi finanziaria americana.
Il Pil dell'Italia dovrebbe crescere dello 0,3% sia nel primo che nel secondo
trimestre del 2008. Dato in calo dello 0,4% rispetto alle previsioni di
dicembre. Su base annuale, il Pil dovrebbe crescere dell'1,1% contro la stima
dell'1,3%.
2
Grafico n. 1: Trend del Pil Italia 1996-2008 (previsioni):
Fonte: Affari e Finanza
2
Affari e Finanza, 20 Marzo 2008
6
Il deterioramento della redditività delle imprese è riscontrabile sulla base
dell’analisi dell’andamento degli indicatori di bilancio attinenti la redditività
della gestione caratteristica (Roi = Reddito operativo/ Capitale Investito) e la
redditività del capitale proprio (Roe = Reddito netto/ Patrimonio Netto) nel
settore manifatturiero dal 1994 al 2006.
Dall’esame dei dati si evince un forte calo di tali indicatori, infatti, si passa da
valori superiori al 13% nei primi anni Novanta a valori intorno l’8% nel
periodo 2003-2005.
Grafico n. 2: Industria manifatturiera: evoluzione della redditività, anni 1994-
2006:
Fonte: Servizio Studi Banca Intesa-Prometeia
Il nuovo scenario competitivo, di carattere globale e l’affermarsi di nuovi
competitors, ha comportato una grossa perdita delle quote di mercato nel
mercato mondiale.
Volendo rintracciare le cause dell’attuale scenario competitivo italiano
bisogna sottolineare le caratteristiche peculiari del nostro capitalismo.
In Italia, l’industria manifatturiera ha un peso ancora significativo.
Roi
Roe
6
7
8
9
10
11
12
13
14
1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008
7
Nel nostro paese ha sempre avuto un ruolo rilevante l’industria tradizionale a
medio-bassa e bassa tecnologia (tessile-abbigliamento, calzature, mobili),
mentre le produzioni ad alta e medio-alta tecnologia rappresentano solo il
34% del valore aggiunto dell’industria manifatturiera.
Parallelamente, sono meno sviluppati i servizi connessi all’industria
(comunicazioni, R&S, informatica, consulenza fiscale, societaria,
commerciale, di gestione, etc.).
Il manifatturiero è dominato dal peso delle piccole e piccolissime imprese
(<50 addetti) che rappresentano il 57% dell’occupazione, una percentuale
più elevata rispetto a tutti gli altri paesi europei.
Inoltre, pesa fortemente la presenza diffusa dei distretti industriali, sistemi
produttivi basati sull’aggregazione di piccole e medie imprese, che
detengono oltre il 20% del totale delle esportazioni italiane.
Pertanto, la specializzazione settoriale dell’economia italiana è soprattutto
nei settori tradizionali, ad alta intensità di lavoro, ad offerta specializzata, a
media intensità di capitale fisico.
E’ riscontrabile un’esigua presenza nei settori con elevate economie di scala,
ad alta intensità di ricerca e nei mercati geografici più dinamici.
L’industria manifatturiera è specializzata nelle produzioni meno dinamiche
dove sono presenti maggiormente i paesi a basso costo di lavoro, Cina in
primis, la cui concorrenza si risente soprattutto nel sistema moda
(abbigliamento e calzature) e nel sistema casa (mobili, elettrodomestici
piastrelle ed altri prodotti), settori principali dell’export italiano.
Nei settori di specializzazione italiana (Sistema moda, Sistema casa) le
quote di mercato dei paesi a basso costo del lavoro sono più elevate e
crescenti.
La difficoltà italiana è data proprio dal differenziale del costo di lavoro di cui
godono i nuovi paesi che si sono affacciati sullo scenario mondiale, come la
Cina: basti pensare che in Italia il lavoro costa 18,03 dollari, mentre in Cina
soltanto 1,98 dollari e addirittura in India 0,49 dollari.
3
3
Nomisma, Società di Studi Economici 2005
8
TAVOLA 1: IL COSTO DEL LAVORO IN ALCUNI PAESI
Paesi Costo del lavoro in $
Svezia 28,62
Germania 2714
Giappone 25,42
USA 24,29
Francia 20,88
Belgio 19,17
Italia 18,03
Spagna 16,72
Portogallo 5,23
Repubblica Ceca 4,54
Ungheria 4,33
Argentina 4,12
Brasile 3,43
Messico 2,97
Polonia 2,55
Sud Africa 2,25
Marocco 2,1
Cina 1,98
Romania 1,74
India 0,49
Fonte: Nomisma, Società di Studi economici 2005
La perdita di competitività, infatti, è imputabile, anche se solo in parte, al
Costo del Lavoro per Unità Prodotta (CLUP), che misura il rapporto tra il
costo del lavoro e produttività. Tra il 1995 e il 2005 il costo del lavoro per
unità di prodotto è cresciuto, per il complesso dell’economia, ad un tasso
medio annuo del 2,4%.
4
4
Confindustria, Note economiche il punto sull’economia italiana 1/2006
9
E’ proprio il calo della produttività del lavoro (valore aggiunto per occupato) a
determinare l’incremento più elevato nei costi di produzione.
L’Italia, inoltre, esporta maggiormente verso le aree meno dinamiche; il
nostro paese tradizionalmente esporta in Europa occidentale, in particolare
Germania e USA, cioè in due mercati che non crescono a tassi elevati come
invece alcune aree asiatiche e dell’Est Europa, in cui sarebbe consigliabile
essere presenti.
L’economia mondiale cresce nei settori lontani dalla specializzazione italiana
e cresce in misura minore o al massimo decresce proprio nei settori dove
l’industria italiana detiene una quota di mercato rilevante.
Quindi, oltre ad un problema di specializzazione settoriale emerge un
problema di specializzazione geografica delle nostre direttrici di
internazionalizzazione delle imprese.
Per di più, le strategie di internazionalizzazione risentono della crescita dei
costi di produzione, bassa produttività ed elevati costi energetici che rendono
impraticabili opzioni quali una price competition sui mercati esteri.
Tradizionalmente, la competitività italiana si fonda su una differenziazione
qualitativa dei manufatti piuttosto che su prezzi aggressivi.
Ed è proprio la peculiare struttura dimensionale delle industrie italiane a
rendere più difficile la competizione a carattere globale.
Le imprese di piccolissime o piccole-medie dimensioni non sono in grado di
fronteggiare la nuova concorrenza, a causa sia della mancanza di risorse
finanziare adeguate, sia dei correlati investimenti in ricerca e sviluppo,
funzione aziendale che in entità di esigue dimensioni non è possibile
valorizzare.
Infatti, sono state soprattutto le piccole imprese specializzate nelle produzioni
a bassa tecnologia ad accusare, quindi, forti perdite di fatturato estero.
Anche a livello innovativo per le imprese italiane l’effetto principale è
l’innalzamento della qualità dei prodotti.
Il miglioramento qualitativo non permette, come in passato, di conquistare
nuovi mercati ma garantisce solo la “difesa” delle quote di mercato.
10
La competitività italiana è inoltre penalizzata da un sistema innovativo
insufficiente; è notevole il ritardo in termini di spese in R&S e brevetti.
Le spese in R&S sono molto limitate rispetto ai paesi europei.
Ai vertici mondiali degli investimenti in R&S, si colloca il capitalismo
scandinavo, in particolare Svezia e Finlandia, seguito dal capitalismo
giapponese e da quello anglosassone.
Giappone, Svezia, Finlandia e Usa, investono oltre il 3% del Pil in ricerca e
sviluppo. Il valore dell’investimento in R&S dell’Italia è dell’1,2% del Pil,
precedendo paesi quali Spagna, Brasile, Ungheria, Portogallo, India, Turchia,
Grecia, Polonia, paesi che eventualmente beneficiano di altri vantaggi
competitivi, come il costo del lavoro.
Ma, esistono segnali di miglioramento: il settore manifatturiero infatti sta
registrando importanti modifiche di natura strutturale, anche se non sono
sufficientemente diffuse, quali la migliore tenuta della produttività nel periodo
più recente, maggiori investimenti in capitale umano e in ICT, maggiore
capacità di diversificazione degli sbocchi commerciali, penetrazione in
mercati lontani e dinamici e crescita dimensionale.
Si riscontra un leggero aumento della produttività. Infatti, come si evince dal
grafico n. 3, il trend discendente sembra essersi invertito, grazie ai maggiori
investimenti in capitale umano (sono aumentati gli occupati in mansioni
dirigenziali e tecniche) ed in ICT (si sono ridotti gli investimenti in macchinari
per settori tradizionali e sono aumentati quelli in ICT).
Grazie agli investimenti in tecnologia, le imprese possono migliorare
l’efficienza delle funzioni aziendali che garantiscono un miglior presidio dei
mercati (marketing, distribuzione e logistica).
Cambia , quindi, anche la natura dei finanziamenti necessari.
11
Grafico n. 3: Produttività dell’industria italiana, anni 1982-2006:
Fonte: Studi Intesa-San Paolo
Cresce inoltre la maggiore capacità di diversificare gli sbocchi commerciali; le
imprese stanno riuscendo ad esportare in un numero sempre maggiore di
mercati, potendo meglio cogliere le opportunità che si creano.
Nel 1996 la quota dell’export delle imprese che esportavano in più di 40
mercati era pari il 36%. Nel 2006 è salita al 45%.
Essere in più mercati permette di poter riallocare più facilmente le vendite a
seconda delle differenti congiunture.
Si cerca soprattutto, di puntare su mercati più dinamici; le imprese si stanno
ricollocando su mercati in forte crescita. In particolare, la dinamica dell’export
verso i BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) è accelerata. Questi mercati
iniziano a dare un contributo rilevante sia ai settori a monte (beni intermedi e
di investimento) sia, soprattutto per la Russia, ai beni di consumo.
Ma soprattutto iniziano a crescere le dimensioni, infatti, è in corso un
processo di concentrazione.
I dati relativi alla tipologia delle imprese attive dell’industria manifatturiera
mostrano, ad esempio, come negli ultimi anni sia in atto una trasformazione
verso forme aziendali più strutturate, con un peso crescente delle società di
capitali ed una riduzione delle ditte individuali.
- 2 .0%
- 1 .0%
0.0%
1.0%
2.0%
3.0%
4.0%
5.0%
1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006
Industria in senso stretto Servizi privati
12
Grafico n. 4: Imprese manifatturiere attive per forma giuridica (2000=100),
anni 2000-2005:
Fonte: Elaborazioni Intesa-San Paolo su dati Movimprese
Pertanto, il sistema industriale italiano si sta adeguando al nuovo contesto
competitivo, compiendo notevoli sforzi per riposizionarsi; è stato compreso
che per riacquistare competitività nel nuovo scenario globale, occorrono
maggiori investimenti in innovazione, capitale umano ed il rafforzamento del
legame con il settore dei servizi.
Per quanto riguarda i maggiori investimenti in innovazione, bisogna
rafforzare il sistema innovativo nazionale ossia l’insieme degli attori, delle
attività e delle interazioni che influenzano il comportamento innovativo delle
imprese, tramite l’ aumento dell’offerta di capitale umano altamente
specializzato e della qualità dell’istruzione in materie tecnico-scientifiche,
favorendo una maggiore interazione tra università e imprese ed innalzando la
quota delle risorse pubbliche investite nell’avanzamento della conoscenza.
L’interazione con i servizi e la crescita dimensionale (la produttività del lavoro
varia in funzione dell’intensità tecnologica delle produzioni ed aumenta anche
con il crescere della dimensione delle imprese) potrebbero aiutare e favorire
la crescita e il rafforzamento della competitività.
Nel tempo, si è accresciuto il ruolo dei servizi connessi all’industria e
funzionali all’efficienza e alla competitività del sistema produttivo.
90
100
110
120
130
2000 2001 2002 2003 2004 2005
Ditte individuali
Società di capitale
Società di persone
Totale
13
La volontà di riacquistare un adeguato posizionamento nei mercati
internazionali, richiede un legame ancora più stretto con i servizi (sistema
innovativo, finanziario e servizi alle imprese), che devono saper fornire
capitale umano e servizi efficienti e avanzati in grado di accompagnare le
imprese manifatturiere sui mercati.
Aumenta il peso della terziarizzazione dell’economia e il ruolo chiave dei
servizi nel nuovo scenario competitivo; il fenomeno attuale non deve essere
considerato secondo i “vecchi pregiudizi” come deindustrializzazione, ma
come vettore delle trasformazioni del settore produttivo, in quanto i servizi
assumono un ruolo centrale e non sussidiario nei mutamenti strutturali del
sistema produttivo.
14
Grafico n. 5: Occupati nei servizi per soddisfare la domanda finale di
manufatti in Italia (in percentuale sugli occupati totali per soddisfare la
domanda finale di manufatti), anni 1985-2000:
Fonte: Elaborazioni Intesa-San Paolo su dati OECD Input-Output database
4%
6%
8%
10%
12%
14%
16%
Servizi connessi
a ll'in d u stria
Servizi non connessi
all'industria
1985 1995 2000
Attività legali, contabilità, consulenza
fiscale e societaria, studi di mercato
sondaggi di opinione, consulenza
commerciale e di gestione
0%
2%
4%
6%
8%
10%
12%
Trasporti Finanza ICT R&S Altro
1985 1995 2000
15
1.2 L’espansione del settore terziario e la
deindustrializzazione
A partire dagli anni Sessanta, in tutti i paesi industrializzati, si è registrato un
cambiamento comune nella composizione dell’occupazione: la crescita
continua del peso dell’occupazione nel terziario, a cui si è contrapposta la
riduzione della quota degli addetti nel settore manifatturiero.
L’aumento degli occupati nel settore terziario, non deve essere interpretato
come un fenomeno congiunturale, ma l’inizio di un processo strutturale di
modificazione della composizione settoriale dell’occupazione.
A conferma di tale cambiamento, in molti paesi, l’indice di terziarizzazione
dell’economia (espresso dal rapporto occupati nel terziario su occupati nel
resto del sistema economico) è giunto a superare, il valore di 1, o ad
avvicinarsi all’unità: tra gli anni Sessanta e Ottanta, si registrano in Usa valori
di 1,86, in Gran Bretagna 1,36, Francia 1,16 e Giappone 1,11 e Germania
0.94.
5
In Italia, il percorso di terziarizzazione dell’economia è avvenuto con un certo
ritardo: la percentuale degli occupati nel terziario sull’occupazione totale, è
salita dal 33,7 del 1960 al 44,9 per cento nel 1973, al 48,3, con un indice di
terziarizzazione giunto a 0,93, nel 1978.
Il peso dell’occupazione e l’indice di terziarizzazione italiana, relativamente
inferiori rispetto agli altri paesi, è spiegabile, alla luce del fatto che, in Italia,
l’occupazione industriale ha continuato a crescere fino agli anni 1973-1974,
mentre negli altri paesi, l’occupazione industriale, a partire dall’inizio degli
anni Settanta, era praticamente stabilizzata o in discesa.
Dalla metà degli anni Settanta, anche in Italia, l’incremento di occupazione si
è concentrata esclusivamente nel settore terziario.
Infatti, il verificarsi di tale fenomeno, in momenti storici differenti, è legato alla
varietà dei percorsi storici di industrializzazione.
5
Franco Momigliano, Domenico Siniscalco: Terziario Totale e Terziario per il sistema
produttivo.Econmia e Politica industriale n. 25/1980
16
Paesi che hanno dato avvio al processo di industrializzazione in tempi più
remoti rispetto ai paesi che hanno subito un ritardo in tale processo,
subiscono per primi il processo di terziarizzazione.
Attualmente, anche i new comers del processo di industrializzazione, le
“Quattro tigri” asiatiche (Taiwan, Hong Kong, Singapore e Corea del Sud),
stanno vivendo tale fenomeno.
Come si evince dai dati riportati nella Tavola n.1,
6
in tutte le economie
avanzate, il processo di terziarizzazione dell’economia, segue un periodo
segnato dalla crescita congiunta del settore secondario e terziario.
Tabella n. 1: Composizione settoriale dell’occupazione, anni 1960-1995:
6
La tabella proposta da Borzaga e Villa in Flessibilità e Terziario, 1999, Mimeo, riprende la
classificazione ISIC (International Standard Industrial Classification of All Economic Activities) per cui:
6-commercio all’ingrosso e dettaglio,ristoranti e hotel;
7-trasporti e (tele) comunicazioni
8-servizi finanziari, assicurativi ,immobiliari e alle imprese
9-servizi pubblici, sociali e personali.