5
check if such phenomena occur in the utterances by the female characters in the novel I have
analysed.
The second section of the first chapter contains a brief summary of the main pragmatic theories
and concepts which are mentioned in the analysis developed in the following chapter. The Speech
Act Theory, along with the Cooperative Principle, Grice’s Conversational Maxims, linguistic
Politeness and Conversation Analysis are the tools used to examine the linguistic behaviour of the
characters in Alice’s Adventures in Wonderland.
The second chapter includes the analysis of the female and male characters and the individuation
of their linguistic features. It is investigated whether their linguistic and pragmatic behaviour
matches the stereotypes and gender ideologies which characterise the thoughts of many scholars,
among whom Otto Jespersen and Robin Lakoff. It is verified whether pragmatic phenomena which
are said to be peculiar to male or female speakers occur in the language of Alice’s Adventures in
Wonderland characters. The language of the main character, Alice, opens the section in which
female characters are examined. This character is particularly interesting from a pragmatic
viewpoint because it shows several features which are in stark contrast, as e.g. the use of both
indirect and direct speech acts. It is interesting to note that her linguistic behaviour changes along
the narration and therefore she presents a dynamic personality, which certainly doesn’t fit closed
schemes such as clichés.
Subsequently, the language of the Duchess will be analysed, as well as the pragmatic attitudes of
the Queen of Hearts, which will prove to be different from what expected according to the
stereotypes that associate female speakers with qualities such as modesty, indirectness, politeness
and deference, linguistically speaking.
The next section focuses on the examination of some of the most interesting male characters, to
check if they feature the elements linked to male speakers. Ideologies give a definite portrait of
male speakers, characterised by qualities such as directness and vigour; by analysing the
conversations hold by these characters it will be stated if the stereotype suits them.
The Mouse is a character whose way of communicating is most of the time implicit and
aggressive. Then the languages of the White Rabbit, the Caterpillar and the King are analysed and
compared, in the following chapter, to Gender Studies’ ideologies.
It will be demonstrated that clichés linked to language and gender are not always valid, even
though it sometimes occurs that a speaker behaves in a way which seems to be identical to what
claimed in these stereotypes. Nevertheless, even the characters of a novel don’t match the clichés
and emerge in their uniqueness and complexity. There is no character that utterly corresponds to the
stereotype, i.e. no female character who is always deferent, modest and polite, and there is no male
6
character who exclusively utters direct speech acts and never adopts politeness strategies. Some
characters may be closer to these clichés, but they’re the exception, not the rule.
The last chapter contains some remarks about the analyses just made and draws the conclusions
which derive from the results achieved in the previous chapter.
7
1.
1.1 Introduzione ai Gender Studies
In questa sezione iniziale illustrerò ambiti d’interesse e metodologie utilizzate nello sviluppo dei
Gender Studies, la branca degli studi culturali che indaga il rapporto tra lingua e genere, facendo
riferimento ad alcune delle teorie più influenti e soffermandomi con particolare attenzione
sull’aspetto riguardante il legame tra genere, lingua e potere, tema di rilevanza cruciale soprattutto
per le studiose legate al femminismo.
1.1.1 Tratti generali ed origini
La ricerca nell’ambito degli studi di genere ha interessato linguisti e studiosi dalle più svariate
prospettive d’indagine ed ha oramai raggiunto livelli di varietà e completezza considerevoli
1
. Il
rapporto tra lingua e genere è stato difatti indagato da diversi ricercatori secondo peculiari
angolature e punti di vista, in accordo con la loro impostazione accademica, e ciò ha permesso una
indagine completa e variegata dell’argomento, studiato ed analizzato di volta in volta mettendo in
risalto sfumature ed aspetti diversi.
Volendo individuare le radici dell’interesse negli studi di genere
2
, uno stimolo di cruciale
importanza per lo sviluppo della ricerca in materia è stato il movimento di liberazione femminista
degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, sviluppatosi negli Stati Uniti ed in seguito diffusosi in
Europa e nel resto del mondo. Caposaldo del femminismo è l’assunto che le donne siano vittime di
un’ideologia patriarcale che le considera biologicamente inferiori agli uomini e, di conseguenza, le
vede sottomesse in qualsiasi ambito. Da tale premessa consegue il parallelismo tra femminismo e
marxismo, per cui le donne e la classe operaia verrebbero rispettivamente dominati dagli uomini e
dalla borghesia.
I due movimenti, inoltre, hanno in comune la questione nodale del potere, visto in
entrambi i casi come strumento di dominio in possesso di una sola classe e del tutto negato alla
componente debole del sistema.
Prevedibilmente, dunque, i Gender Studies hanno interessato in particolar modo linguiste e
studiose legate al movimento femminista, essendo gran parte della ricerca focalizzata sulle
peculiarità del linguaggio femminile e, spesso, su come la lingua rifletta nelle sue strutture le
gerarchie ed il ruolo della donna nella società. Nondimeno, la ricerca comprende anche svariati
contributi che non possono essere strettamente ricondotti ad un’ottica femminista.
1
Per una panoramica completa, cfr. J. Holmes and M. Meyerhoff (eds) 2003, The Handbook of Language and Gender,
Blackwell, Oxford.
2
Philips 2003, “The Power of Gender Ideologies in Discourse”, in J. Holmes and M. Meyerhoff (eds), pp. 254-255.
8
1.1.2 Le diverse prospettive d’indagine
I diversi studiosi hanno condotto le proprie ricerche sul rapporto tra genere e lingua
concentrandosi su aspetti quali le ideologie più diffuse, i fenomeni prettamente linguistici
statisticamente attribuibili ai parlanti dei rispettivi generi, l’importanza del genere dell’autore nello
stile adottato nei testi letterari e, questione di centrale importanza per il lavoro che mi appresto a
svolgere, l’aspetto riguardante l’intreccio tra lingua e potere.
In particolare, accennerò di seguito ai risultati cui sono giunte alcune delle più note ed influenti
studiose dell’argomento
3
, sottolineando le diverse metodologie e prospettive di volta in volta
adottate.
La linguista Deborah Cameron analizza il rapporto tra genere ed ideologie del linguaggio
4
,
osservando che la maggior parte delle ideologie più diffuse risultano essere visioni stereotipate e
legate ad una cultura ristrettamente occidentale, che hanno dimostrato non avere riscontro in
contesti diversamente caratterizzati
5
. In particolare, viene fatto riferimento all’assunto di Otto
Jespersen (1922) secondo cui le donne eviterebbero istintivamente l’uso di espressioni volgari, a cui
preferirebbero modi d’esprimersi rifiniti ed indiretti, e gli uomini sarebbero per natura portati a
comunicare attraverso un linguaggio diretto e vigoroso. Secondo Cameron, quanto affermato da
Jespersen costituisce un esempio della probabilmente più diffusa delle ideologie sul linguaggio in
relazione al genere, ovvero quella che sostiene vi siano nette e stabili differenze nel modo in cui
uomini e donne utilizzano la lingua. Inoltre, studiosi come Robin Lakoff (1975) hanno associato a
parlanti femminili comportamenti linguistici caratterizzati da reticenza, modestia, referenza,
cortesia ed empatia, a sottolineare il contrasto tra i diversi stili comunicativi preferiti
rispettivamente dai due generi. In realtà, il quadro risulta essere molto più complesso, in quanto tali
ideologie fortemente stereotipate non sempre rispecchiano la molteplicità variegata del genere
umano.
Di questo avviso è anche Anna Livia, che nella sua trattazione dimostra, proponendo degli
esempi di testi letterari, quanto i luoghi comuni più diffusi sulle peculiarità linguistiche
generalmente correlate al genere siano facilmente confutabili
6
. Si è cercato sovente di individuare
dei tratti linguistici riconducibili a scriventi femminili, come dimostra la ricerca di Sara Mills
3
Per una sintesi dei lavori condotti dalle studiose di seguito citate, cfr. J. Holmes and M. Meyerhoff (eds) 2003, The
Handbook of Language and Gender, Blackwell, Oxford.
4
Cameron 2003, “Gender and Language Ideologies”, in J. Holmes and M. Meyerhoff (eds), pp. 447-467.
5
Ibid.: 450. Cameron cita l’esempio del genere linguistico tipicamente femminile diffuso in un villaggio della Papua
Nuova Guinea consistente nel pronunciare una lunga serie di termini osceni e volgari, a riprova del fatto che non in tutti
i contesti si riscontra un linguaggio femminile rifinito e moralmente impeccabile. Questi casi smentiscono l’assunto di
Otto Jespersen secondo cui le donne sono per natura, e non per impostazione culturale, portate ad evitare un linguaggio
caratterizzato da turpiloquio.
6
Livia 2003, “‛One Man in Two is a Woman’: Linguistic Approaches to Gender in Literary Texts”, in J. Holmes and
M. Meyerhoff (eds), pp. 447-467.
9
(1995), secondo cui l’utilizzo di periodi complessi e di un lessico soggettivo ed impressionistico
sarebbero peculiarità stilistiche convenzionalmente femminili. Nondimeno, questa teoria non
considera il fatto che ogni autore può scegliere lo stile da utilizzare in base all’effetto che desidera
creare nel testo a prescindere dal proprio genere.
A riprova di ciò, la letteratura del Novecento è pervasa da numerose sperimentazioni, tra le quali
significative sono quelle da parte di alcuni autori che hanno evitato nelle loro narrazioni di indicare
riferimenti riguardo al genere dei personaggi attraverso l’utilizzo di espedienti innovativi
7
.
Di taglio antropologico è invece la ricerca di Susan U. Philips
8
, studiosa di fede femminista che
ha effettuato ricerche sul campo nell’arcipelago di Tonga, ed è giunta alla conclusione che in ogni
cultura coesistono ideologie differenti e dunque non è corretto attribuire un’unica ideologia a
ciascuna comunità o cultura. Inoltre, se è culturalmente diffusa l’idea che uomini e donne ragionino
secondo diversi punti di vista, per il movimento femminile le idee delle donne non avrebbero alcuna
rilevanza perché inascoltate e messe a tacere.
Un’altra linguista impegnata nella ricerca sui Gender Studies è Suzanne Romaine, che ha
adoperato un approccio sociolinguistico per indagare le correlazioni tra variabili linguistiche e
fattori sociali, tra cui, in particolar modo, il genere
9
. Romaine mette in evidenza come la ricerca
sociolinguistica, e specialmente la dialettologia, si sia generalmente interessata al linguaggio
maschile, come dimostra la scelta dell’acronimo NORM (non-mobile, older, rural, male) per
riassumere le caratteristiche ritenute ottimali nella scelta dei soggetti da analizzare dal punto di vista
linguistico. Nell’esaminare i fenomeni sociolinguistici, sono stati presi in considerazione degli studi
che adoperano il metodo variazionista quantitativo
10
, conosciuto anche come variation theory, al
fine di individuare ed analizzare modelli sociolinguistici.
Dalle indagini è emerso che la variazione nel linguaggio, se considerato nel contesto di una
comunità definita, non è casuale bensì viene condizionata da fattori sociali come il genere dei
parlanti. Tra i risultati che sono stati ripetutamente confermati dalle numerose ricerche, vi è la
tendenza delle donne ad utilizzare maggiormente le forme standard della lingua rispetto ai parlanti
maschili, a prescindere dalle altre variabili sociali. Inoltre, soprattutto tra le donne appartenenti alla
classe medio-bassa è emerso essere particolarmente diffuso il fenomeno dell’ipercorrettismo
11
,
sintomatico di una certa insicurezza linguistica di fondo ma, allo stesso tempo, di un tentativo di
adottare la forma linguistica corretta e di utilizzare dunque la variante prestigiosa della lingua.
7
Alcuni esempi di notevole interesse sono i romanzi Sphinx (1986) di Anne Garréta, Love Child (1971) di Maureen
Duffy, The Left Hand of Darkness (1969) di Ursula Le Guin e Woman on the Edge of Time (1976) di Marge Piercy.
8
Philips 2003, “The Power of Gender Ideologies in Discourse”, in J. Holmes and M. Meyerhoff (eds), pp. 252-276.
9
Romaine 2003, “Variation in Language and Gender”, in J. Holmes and M. Meyerhoff (eds), pp. 98-118.
10
Ibid.: 98-99.
11
Questo termine indica in linguistica l’erronea correzione da parte del parlante di una forma linguistica, che consiste
nella sostituzione del termine esatto con una forma scorretta poiché il parlante ritiene che la prima variante sia errata.