3
Tutto ciò fa della formazione una variabile fondamentale delle
politiche economiche ed occupazionali, un anello di congiunzione tra
formazione scolastica e professionalità richiesta dal mercato del
lavoro.
In sintesi, l’obiettivo della presente tesi è quello di comprendere il
senso del dibattito in essere sulla reale validità dei contratti formativi
avendoli incastonati storicamente nell’ambito più ampio delle
politiche legislative a favore dell’occupazione giovanile ed avendone
lette le evoluzioni normative.
4
CAPITOLO 1
LE POLITICHE LEGISLATIVE A FAVORE
DELL’OCCUPAZIONE GIOVANILE ED IL RUOLO
DELLA FORMAZIONE
PREMESSA
Nell’ambito degli strumenti di intervento a favore dell’occupazione, in
particolare giovanile, la formazione professionale acquista un
significato rilevante, in considerazione dei complessi collegamenti di
reciproca interazione tra processi formativi e mercato del lavoro. La
formazione ha spesso assunto, infatti, il ruolo di strumento a favore
delle politiche occupazionali interagendo attivamente con il processo
produttivo.
Con il passare degli anni, il concetto di “formazione” si è evoluto
superando l’idea del semplice addestramento e della formazione
professionale intesa esclusivamente come mera acquisizione di un
mestiere, connotandosi piuttosto, come uno strumento in grado di
contribuire allo sviluppo economico ed alla piena occupazione
5
attraverso la crescita della qualità delle forze produttive. Si è via via
imposta, all’uopo, la sperimentazione di iniziative miste di formazione
e lavoro che, con il concorso attivo e contemporaneo delle strutture
formative e delle unità produttive, offrissero elementi su cui fondare
strategie tese a rendere sempre più sfumati i confini tra studio e
lavoro.
La finalità principale, perseguita dal legislatore nel corso degli anni, è
stata quella di trovare efficaci linee di collegamento tra formazione
professionale, avviamento al lavoro, mobilità dei lavoratori e
programmazione economica, per favorire, attraverso l’uso di strumenti
normativi quali il contratto di apprendistato ed il contratto di
formazione e lavoro, un continuo adeguamento tra domanda ed offerta
di lavoro, e quindi una valida politica per l’impiego.
1.1 – LE AMBIZIONI DEI CONTRATTI CON FINALITA’
FORMATIVE
Nella seconda metà degli anni settanta il problema della
disoccupazione giovanile si pose con forza all’attenzione delle forze
politiche e sociali. Diversi erano gli ostacoli da rimuovere per favorire
l’accesso dei giovani al lavoro e tra questi una rilevanza non
secondaria assumeva il problema della formazione professionale.
6
Sia la formazione extra - aziendale, impartita nei centri gestiti o
finanziati dalle Regioni, che quella aziendale, attuata attraverso il c.d.
contratto di tirocinio o apprendistato, si rivelavano infatti incapaci di
garantire una reale qualificazione dei giovani per un loro più sicuro
inserimento nel mondo del lavoro.
Le accuse rivolte dalla dottrina al sistema di formazione professionale
pubblica e parapubblica erano numerose e tutte concentrate nel senso
di qualificarla in termini di “spreco”
1
, di “assistenza”
2
, di
“frammentarietà” e di “dispersione”
3
.
Lo stesso apprendistato non era esente da critiche e da più parti si
faceva notare che lo stesso, così come configurato nella legge n.
25/1955 e successive modifiche ed integrazioni, non aveva
rappresentato un reale momento di qualificazione della forza lavoro
giovanile, quanto, piuttosto, uno strumento per poterla utilizzare ad un
più basso costo
4
. In particolare emergeva il problema formativo: la
legge, infatti, prevedeva che, oltre all’insegnamento pratico impartito
dal datore di lavoro, all’apprendista dovesse essere consentito di
1
De Donato, 1983, 85 e ISFOL, 1980, 87.
2
M. Rusciano, 1982, 105.
3
M. Napoli, 1975, 734 e 1984, 798.
4
M. G. Garofalo, 1978, 51; M. De Cristofaro, 1979, 5; E. Ghera, 1983, 262.
7
partecipare a corsi complementari di formazione teorica, i quali, nella
pratica, non erano stati quasi mai svolti, fino a scomparire del tutto
5
.
Per favorire l’occupazione giovanile era pertanto necessario che il
legislatore individuasse nuove figure contrattuali capaci di superare i
limiti dell’apprendistato e di garantire al giovane lavoratore una
formazione professionale di tipo intensivo e polivalente adeguata alle
necessità di un sistema produttivo avanzato che richiede al lavoratore
versatilità più che abilità manuali.
Da queste esigenze nasceva il contratto di formazione e lavoro, la cui
prima disciplina legislativa era contenuta nella legge 285/1977 e nella
successiva legge 479/1978 di cui si parlerà ampiamente in seguito (v.
infra).
Nonostante la previsione di tale nuova figura negoziale, ci si rese ben
presto conto che il problema della formazione dei giovani collegata al
lavoro avrebbe potuto trovare una seria soluzione soltanto in un
organico provvedimento che disciplinasse in modo unitario l’intera
materia. In questa direzione intendeva muoversi la proposta di legge
presentata alla Camera dei Deputati nel 1981 da un gruppo di deputati
di sinistra, nella quale, fissata una legislazione di cornice generale, si
riconoscevano ampi poteri alle Regioni ed alle parti sociali per la
5
G. Loy, 1981, 20.
8
regolamentazione concreta dei CFL che in alcuni settori – soprattutto
quello dell’artigianato – avrebbero avuto una fisionomia molto simile
a quella dell’apprendistato, mentre in altri avrebbero potuto assumere
un carattere decisamente nuovo e diverso, più vicino a quello di un
vero e proprio corso di formazione che non al vecchio tirocinio sul
lavoro.
La strada seguita non è stata, tuttavia, quella di una disciplina unitaria
dei due istituti: allo scadere della legge 285/1977 il legislatore,
lasciando sopravvivere l’apprendistato nella sua vecchia normativa,
tornava ad occuparsi esclusivamente dei CFL nella legge 79/1983
inserendo, tra l’altro, una variante terminologica che li definiva
“contratti a termine con finalità formative”.
Delle novità introdotte dalla suddetta legge si è dato, nel complesso,
un giudizio cautamente positivo
6
basato sull’effettivo spostamento
della domanda di lavoro verso i giovani avvenuto per la maggior
flessibilità del reclutamento
7
e per la regolamentazione del rapporto di
lavoro
8
consentita dai contratti a finalità formative. Un altro effetto
benefico apportato da queste nuove figure negoziali, anche se di
difficile quantificazione, sarebbe inoltre stato quello di incentivare la
6
ISFOL, 1984.
7
Chiamata nominativa generalizzata in un sistema fondato su quella numerica.
8
Contratto a termine per una durata massima di 12 mesi che poteva anche essere utilizzato come
un lungo periodo di prova per l’assunzione definitiva.
9
“propensione al rischio” di molte aziende che si sarebbero spinte in
nuove lavorazioni e quindi in nuove assunzioni grazie alla possibilità
di utilizzare in modo flessibile la manodopera senza dover
incrementare in maniera definitiva gli organici
9
.
E’ opinione comune, tuttavia, che i contratti con finalità formative, per
la loro caratterizzazione, non abbiano rappresentato una seria risposta
al problema della formazione giovanile direttamente finalizzata al
lavoro, né favorito un’occupazione aggiuntiva avendo solo eliminato
delle garanzie prima accordate ai lavoratori e reso così più flessibile
l’utilizzo della forza – lavoro giovanile.
La successiva legge 863/1984, nonostante definisse in maniera più
articolata i CFL, non ha rappresentato un’inversione di rotta rispetto
all’esperienza immediatamente precedente, pertanto il ricorso all’una
od all’altra figura contrattuale dell’apprendistato e del CFL sarebbe
stato determinato dalle maggiori o minori convenienze che
l’imprenditore avrebbe trovato in ciascuna. La reductio ad unum delle
due tipologie negoziali rimaneva per allora un’utopia e si sarebbero
dovuti attendere quasi altri venti anni per vedere concretizzarsi tale
riforma.
9
Ibidem, 13, 101, 119.
10
1.2 – LA RAZIONALIZZAZIONE DEI CONTRATTI A
CONTENUTO FORMATIVO
L’attuazione di una riforma più volte annunciata, ma sempre rinviata
della materia dei contratti di lavoro con finalità formative, sulla quale
da anni si registrava un consenso unanime giunge a compimento con
le disposizioni contenute nel Titolo VI del decreto legislativo 10
settembre 2003, n. 276.
La necessità di un cambiamento nasce da lontano e si fa carico di
almeno due esigenze, l’una interna, l’altra esterna al regime dei
contratti formativi: assicurare, da un lato, l’effettività dei percorsi
formativi sul lavoro e garantire, dall’altro, l’integrazione delle
politiche formative in tutto il campo dell’istruzione.
Si avvertiva, anzitutto, l’esigenza di mettere ordine negli strumenti
predisposti a sostegno del lavoro giovanile.
Da quando al contratto di apprendistato, che esiste da secoli, si è
stabilmente affiancato, a partire dalla metà degli anni ’80 il contratto
di formazione e lavoro, si è cominciato a discutere sull’opportunità o
meno di conservare entrambe le figure.
11
L’originaria ambizione di mantenere una netta separazione funzionale
e normativa tra i due contratti
10
non è durata a lungo. Continuando a
modificare e ad integrare le rispettive normative di riferimento, il
legislatore ha, infatti, eliminato via via le differenze di regime più
marcate tra i due istituti
11
mettendoli inevitabilmente in concorrenza
tra loro.
Accanto a ciò vanno menzionati i limiti intrinseci della funzione
formativa dei contratti, sovente declassati a strumento di
alleggerimento del costo del lavoro e di flessibilità fine a se stessa. Di
questo problema il legislatore si è più volte occupato, fino alla
soluzione di compromesso, accolta in qualche modo dalla miniriforma
dei CFL varata dall’art. 16, legge 19 luglio 1994, n. 451, che ha diviso
la vocazione formativa e quella occupazionale all’interno della
categoria, sdoppiando le tipologie contrattuali. Entrambi i contratti
formativi sono stati infine riordinati, in attuazione di intese intercorse
con le parti sociali, con la legge 24 giugno 1997, n. 196
12
, la quale, tra
10
“Strumento di apprendimento di un mestiere attraverso l’esperienza lavorativa”, il primo (come
si argomenta nella L. 19 gennaio 1955, n. 25) e “strumento di intervento nel mercato del lavoro per
combattere la disoccupazione giovanile”, il secondo (introdotto dalla L. 19 dicembre 1984, n.
863).
11
Comunicando all’apprendistato gli incentivi normativi all’inizio tipici ed esclusivi del CFL,
ossia la richiesta nominativa ed il non computo dei giovani assunti e trasferendo al CFL gli
incentivi economici del primo, ossia la modulazione e/o l’azzeramento degli obblighi contributivi.
12
Il legislatore, mentre aveva soltanto ritoccato, con l’art. 15 , la disciplina dei CFL (rafforzando
gli incentivi per la stabilizzazione nelle aree svantaggiate), rinnovava profondamente, con l’art. 16,
l’apprendistato, (innalzando sensibilmente il limite massimo di età per l’assunzione ed imponendo
l’obbligo della formazione esterna all’azienda come condizione per poter usufruire degli
incentivi).
12
l’altro, sanciva l’imminente riforma della materia degli speciali
rapporti di lavoro con contenuti formativi
13
.
Se quello di ricomporre il rapporto tra finalità formative e finalità
occupazionali sembra destinato a rimanere un obiettivo perennemente
irrisolto, notevoli evoluzioni si sono avute nel tentativo di rafforzare
l’istituto dell’apprendistato in una prospettiva di integrazione con gli
altri percorsi formativi
14
. Su questo versante l’art. 68 della legge 17
maggio 1999, n. 144 inseriva la modifica di maggior rilievo istituendo
per i giovani, una volta assunto l’obbligo di istruzione
15
, l’ulteriore
obbligo di partecipare ad attività formative fino al diciottesimo anno
di età individuando nell’apprendistato uno dei canali per assolvere a
tale obbligo
16
.
A questa situazione di netto favore normativo per l’apprendistato, ha
infine contribuito incisivamente il legislatore comunitario che,
applicando con estrema severità quanto disposto dal regime
comunitario degli aiuti di Stato all’occupazione, ha largamente
svuotato il CFL degli originari incentivi.
13
Art. 16, co. 5° che imponeva, pertanto, di interpretare tale riforma come transitoria.
14
La riforma dell’apprendistato realizzata con l’art. 16 trovava il suo pendant nel riordino della
formazione professionale annunciato dall’art. 17, L. n. 196/1997, permeato sulla “integrazione del
sistema di formazione professionale con il sistema scolastico ed universitario e con il mondo del
lavoro”.
15
A sua volta provvisoriamente innalzato pochi mesi prima a 9 anni, dalla L. 20 gennaio 1999, n.
9.
16
Accanto ai due canali tradizionali del sistema scolastico e del sistema regionale di formazione
esterna aggiuntiva.
13
1.3 – IL PERCORSO NORMATIVO DELLA RIFORMA
La riforma dei contratti formativi si colloca all’interno di un disegno
di politica legislativa perseguito da anni da autorità di governo e dalle
differenti parti sociali. La sua genesi, infatti, sembra rinvenirsi in due
deleghe contenute nel c.d. pacchetto Treu, e in una terza delega
contenuta nel collegato lavoro alla legge finanziaria del 1999.
Il punto di avvio dell’intervento riformatore è l’art. 16, co. 5° della
legge 196/1997 che prevedeva l’emanazione di disposizioni
regolamentari in materia di speciali rapporti con contenuti formativi
quali l’apprendistato ed il CFL per pervenire ad una
omogeneizzazione dei due istituti ed alla configurazione di una
disciplina organica
17
. I nove mesi concessi all’esecutivo per
l’adozione delle norme regolamentari sono, tuttavia, trascorsi
inutilmente.
Una nuova disciplina dei profili formativi di apprendistato e CFL era
inoltre prevista, nell’ambito del riordino del sistema di formazione
professionale, dall’art. 17 della stessa legge, ma è rimasta sulla carta.
17
Gli obiettivi ed i criteri della delega contenuta nel Pacchetto Treu erano quelli di “pervenire ad
una disciplina organica della materia secondo criteri di valorizzazione dei contenuti formativi, con
efficiente utilizzo delle risorse finanziarie vigenti, di ottimizzazione ai fini della creazione di
occasioni di impiego delle specifiche tipologie contrattuali, nonché di semplificazione,
razionalizzazione e delegificazione, con abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti”, con
particolare attenzione alla definizione di “un sistema organico di controlli sull’effettività
dell’addestramento e sul reale rapporto tra attività lavorativa e formativa, con la previsione di
specifiche sanzioni amministrative per l’ipotesi in cui le condizioni previste dalle legge non siano
state assicurate”.
14
Il precedente più immediato è rinvenibile nell’art. 45, co. 1°, lett. b),
della legge 144/1999, con il quale il Governo era stato delegato alla
“revisione e razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto
formativo in conformità con le direttive dell’Unione europea e anche
in relazione a quanto previsto dall’art. 16, co. 5°, della legge 24
giugno 1997, n. 196”, ma il termine per l’esercizio delle deleghe
18
,
ancora una volta, è stato lasciato scorrere invano.
Con la pubblicazione del “Libro Bianco” sul mercato del lavoro in
Italia, nella parte in cui vengono indicati gli obiettivi del Governo nel
settore congiunto della formazione e lavoro si sottolinea la necessità di
adempiere al riordino
19
dei contratti formativi.
Bisognerà, tuttavia, attendere il febbraio del 2003 per vedere la
riforma tradotta in un’ unica disposizione normativa: l’art. 2, della
legge 30/2003, infatti, contiene la “Delega al governo in materia di
riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio”. La
soluzione scelta è quella di confermare “l’apprendistato come
strumento formativo anche nella prospettiva di una formazione
superiore in alternanza tale da garantire il raccordo tra i sistemi della
istruzione e della formazione, nonché il passaggio da un sistema
18
Identificato nel 31 dicembre 1999 e poi prorogato fino al 30 aprile 2000.
19
Si afferma testualmente che il riordino “è stata una delle maggiori inadempienze riscontratesi
nel corso della passata legislatura” pertanto “occorre por mano senza ulteriori ritardi a questo
adempimento”.
15
all’altro” e di specializzare “il CFL al fine di realizzare l’inserimento e
il reinserimento del lavoratore in azienda”.
Concludendo, sembra possibile affermare, che il corpo e la sostanza
dello specifico disegno riformatore affondano le loro radici in un
terreno profondissimo già solcato più volte in precedenza.
1.4 – IL NUOVO ASSETTO DEI CONTRATTI FORMATIVI
Considerando il nomen del Titolo VI - “Apprendistato e contratto di
inserimento”-
l’idea di fondo della delega di specializzare le due tipologie negoziali
sembra aver ricevuto completa attuazione. Infatti, ciò che si desume
dal dettato legislativo è una netta separazione funzionale tra
l’apprendistato, che realizza una preparazione professionale per il
mercato ed il contratto di inserimento, che fa vertere, piuttosto, la
preparazione professionale del lavoratore all’impiego produttivo in
azienda
20
.
Per dar vita alla riforma il legislatore delegato parla di
“semplificazione, razionalizzazione e delegificazione, con
abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti”.
20
La stessa “Proposta di iniziativa popolare promossa dalla CGIL per la salvaguardia
dell’occupazione, la qualità del lavoro e la garanzia dei redditi” in Riv. Giur. Lav. 2003, I, 439 e
ss., diversifica il contratto di apprendistato ed il contratto di inserimento lavorativo, ai quali dedica
rispettivamente il Capo I ed il Capo II del titolo IV (rubricato “Promozione della qualità del
lavoro”), corrispondente agli artt. 53-67.
16
Per quanto riguarda il CFL, il rimedio al suo utilizzo improprio è dato
dall’abolizione di questo tipo contrattuale e dalla sua apparente
sostituzione con il contratto di inserimento, il quale non ha più alcuna
specifica connessione con l’occupazione giovanile, essendo rivolto a
svariate categorie di lavoratori svantaggiati. Tuttavia, a tal riguardo,
bisogna sottolineare che non si parla di abrogazione: a regime il CFL
sarà inapplicabile al lavoro privato, ma, come si vedrà, resterà
applicabile al lavoro pubblico
21
.
Per quanto concerne l’apprendistato esiste, nella normativa,
un’intricata rete di deleghe
22
e di rinvii ad altre fonti che, affidando il
perfezionamento delle norme attuative ad un gran numero di soggetti
istituzionali – in primis Regioni e parti sociali - complicano
oltremodo la chiarificazione della relativa disciplina.
A complicare ulteriormente la fattispecie in considerazione interviene
l’espressa volontà del legislatore di intrecciare la riforma
dell’apprendistato con la riforma dei cicli scolastici precedendo
quest’ultima anziché seguirla
23
.
21
In tal senso dispone l’art. 89, co. 9°.
22
Si veda, ad esempio, la questione delle risorse economiche da destinare alla formazione.
23
La riforma dell’apprendistato è, infatti, parte integrante del riordino del sistema scolastico e
formativo. In particolare, il legislatore, catalogando tre tipologie di apprendistato definisce la
prima all’art. 48 del testo normativo come diretta all’ “espletamento del diritto – dovere di
istruzione e formazione”. Qui l’apprendistato rappresenta una delle forme di fruizione dell’offerta
di istruzione e formazione pubblica come delineata nelle sue grandi linee dalla riforma della scuola
del Ministro Moratti (legge delega n. 53/2003)
e si inserisce nel “sistema duale” (licei, da una
parte, formazione professionale, alternanza scuola-lavoro ed apprendistato, dall’altra).