2
anni tutti i club si sono fissati: l’autofinanziamento. E in quest’ottica lo stadio, il
centro sportivo, il merchandising, lo store verranno utilizzati non solo come validi
strumenti di comunicazione con i quali diffondere immagine e valori del club, ma
anche come fonte di introiti. Ne risulterà un circolo virtuoso in grado di
autoalimentarsi: uno stadio efficiente, comodo, moderno attirerà più pubblico che a
sua volta attirerà un maggior numero di sponsor e contratti televisivi i quali
permetteranno l’ingaggio di superstar che, di nuovo, attireranno appassionati e altri
partner commerciali.
L’epoca dell’Inter di Herrera e del Milan di Rocco sembra proprio lontana
anni luce.
3
PARTE PRIMA
I FONDAMENTI TEORICI
4
Capitolo 1
LE ORIGINI DEL CALCIO MODERNO
1.1 GLI ANTENATI
La pratica del calcio, così come di altri sport, ha origini molto antiche. Già
tra i celtici, i Maya e gli indiani d’America erano svariati i giochi che prevedevano
l’uso di una palla. In particolare, però, il calcio moderno deve le sue origini ai
giochi greco-romani e a quelli britannici.
Secondo Ghirelli addirittura nel canto VI dell’Odissea si può trovare la
cronaca di una partita di calcio:
“La palla lanciò la regina a un’ancella, fallì l’ancella, scagliò la palla nel
gorgo profondo. Quelle un lungo grido gettarono: e si svegliò l’Odisseo luminoso”.
Ma il gioco che riscosse più successo fu l’harpastrum, che consisteva
nello strappare la palla a una folla di contendenti, tanto che venne esportato dai
legionari dell’Impero Romano fino in Inghilterra.
Come ricordano Dunning e Elias, “rimandi piuttosto attendibili a un gioco
a palla chiamato football si possono trovare in fonti inglesi a partire dal XXIV
secolo, ma la coincidenza del nome non significa assolutamente coincidenza nel
gioco “ (Dunning, E. – Elias, N., 1998, pag. 223).
Ed è proprio in Inghilterra che, a livello rurale, ebbe origine nelle due
versioni conosciute un gioco che non può essere considerato antenato del calcio
moderno, ma che per la sua impostazione può ricordarlo: lo hurling (oggi l’hockey
irlandese). In particolare erano due le versioni: lo hurling at goal che prevedeva un
numero di giocatori che si contendevano il pallone per buttarlo nella porta
avversaria e lo hurling to the country che consisteva in una “battaglia” per portare
la palla nel villaggio avversario.
5
Quello che avevano in comune tutti i giochi riconducibili al calcio era la
violenza: nel tentativo, infatti, di entrare in possesso del pallone si scatenavano vere
e proprie zuffe che terminavano con feriti e malconci.
Ed è sia a causa dei danni fisici che si procuravano i giocatori, sia a causa
del folto numero di spettatori che già all’epoca le partite richiamavano attorno al
“terreno di gioco”, ben presto sia l’hurling sia gli altri giochi con la palla divennero
oggetto di proibizioni da parte delle autorità che li ritenevano minaccia dell’ordine
pubblico e li vedevano in “concorrenza con l’addestramento militare al tiro con
l’arco” (Dunning, E. – Elias, N., 1998, pag. 224) ritenuto più importante.
Solo a partire dalla metà del XIX secolo poi, iniziò a svilupparsi quello
che da subito venne definito football, l’antenato vero e proprio del calcio moderno.
In seguito alla progressiva regolamentazione dei giochi popolari della
tradizione medievale inglese, tra i quali lo hurling, le public school iniziarono ad
integrarli e a considerarli come un fattore di disciplina e moralità. Innanzitutto
vennero specificate le regole basilari: l’uso delle mani fu eliminato assieme al
contatto fisico, l’obiettivo era quello di buttare la palla tra due pali, il numero di
giocatori per squadra fu fissato a una dozzina. Era nato il calcio.
Ben presto però si presentò il problema dell’uniformità delle regole.
Nonostante, infatti, le linee generali fossero state tracciate, “ dato che non
esistevano né regole scritte né organizzazioni centrali che unificassero il modo di
giocare (Dunning, E. – Elias, N., 1998, pag. 233) le prime partite e i primi tornei tra
le università vedevano l’applicarsi di norme abbastanza soggettive: “il modo in cui
la gente giocava dipendeva dai costumi locali (Dunning, E. – Elias, N., 1998, pag.
233).
L’uniformazione delle regole però non fu facile poiché incontrò l’ostacolo
di due diversi filoni di pensiero: chi voleva conservare l’uso di piedi e mani, nonché
il contatto fisico; chi voleva escludere sia l’uso delle mani sia il contatto fisico.
Le divergenze portarono alla nascita di due associazioni distinte: nacque
così nel 1863 la Football Association e nel 1871 la Rugby Union.
È del 1855 la prima società calcistica del mondo: lo Sheffield Club. E da lì
tutti gli altri club che sorsero dalla passione degli imprenditori, dei ceti medi e degli
operai. Il Manchester nacque nel 1885 ad opera di ferrovieri, il Coventry nel 1883
6
da operai di una fabbrica di biciclette, il West Ham United e l’Arsenal da operai del
settore industriale.
1.2 E IN ITALIA?
Anche in Italia il calcio ebbe origine tra gli sport medievali. In particolare
fu il calcio fiorentino quello che riscosse più successo tra le aree urbane e signorili
dell’Italia comunale.
Si giocava nelle piazze della città e consisteva in uno scontro tra due
squadre di ventisette giocatori che dovevano condurre un pallone oltre la meta
avversaria, utilizzando piedi e mani (queste fasciate con un bracciale di legno
utilizzato per colpire con forza la palla).
Sul finire del Rinascimento il calcio fiorentino perse il suo appeal ma non
scomparse del tutto: venne ereditato dal “gioco del pallone”. E fu questo nuovo
gioco che ebbe la capacità per la prima volta di mettere gli uni contro gli altri
nobili, borghesi e popolani.
Fu così che, all’inizio dell’Ottocento, il gioco della palla raggiunse la sua
popolarità più alta, tanto che prese il via la massiccia edificazione degli sferisteri
allo scopo di ospitare partite. “La loro costruzione non solo risolveva i problemi di
ordine pubblico nelle piazze, ma sanzionava definitivamente e ufficialmente il
gioco del pallone all’interno dello spazio urbano e sociale” (Pivato S., 1991, pag.
68). Già dal 1618 esisteva uno sferisterio a Firenze, poi venne costruito a Torino e
di seguito in tutte le altre città: Faenza (1788), Cesena (1809), Roma (1813), Rimini
(1816), Treja (1818), Cingoli (1819), Perugia (1821), Bologna (1821). Alla prima
metà dell’Ottocento risale anche la costruzione degli sferisteri del Granducato di
Toscana, fra i quali quelli di Firenze, Pisa, Lucca, Livorno, Prato e Poggibonsi. In
Piemonte quello di Alba venne eretto nel 1856 e quello di Torino nel 1866.
E dall’ubicazione degli sferisteri risulta semplice risalire a quali fossero
allora le zone classiche del gioco del pallone: Piemonte, Toscana, Marche, Emilia
Romagna. A eccezione di Roma nel centro-sud il gioco del pallone non era per
nulla diffuso, benché fosse praticato nei secoli precedenti a Napoli.
7
Ma dopo qualche decennio il gioco della palla iniziò il suo declino, sia
causa dall’affermazione del movimento ginnastico, sia a causa dell’arrivo
dall’Inghilterra del football.
Furono gli equipaggi della marina britannica che sul finire del XVII
secolo iniziarono a organizzare partite occasionali nei porti delle nostre città
costiere. Uomini d’affari e commercianti stranieri (soprattutto svizzeri) diedero poi
il via a una rapida diffusione del nuovo gioco tra tutte le classi sociali.
È datata 1891 la nascita della prima società calcistica italiana:
l’International football club, seguita poi nel 1893 dal Genoa Cricket and Athletic
Club che da qualche anno più tardi iniziò a praticare anche il calcio.
Per merito della Federazione Ginnastica Nazionale, invece, il calcio si
diffuse a livello amatoriale poiché gli atleti iscritti venivano invitati a praticare il
calcio come allenamento.
E a partire dai primi del Novecento il football divenne un fenomeno
culturale e sociale tra gli italiani. Iniziarono, infatti, a prendere il via i primi
campionati e tornei che vedevano scontrarsi un numero sempre crescente di
squadre. È dell’8 maggio 1898 il primo campionato ufficiale: la Coppa Duca degli
Abruzzi che si giocò a Torino.
Visto il numero cospicuo di club iscritti dopo qualche anno fu necessario
dar vita a un campionato di seconda categoria (1905) e in seguito anche a uno di
terza, ma la vera “unità d’Italia del pallone” (A. Papa – G. Panico, 2002, pag 69)
venne raggiunta nel 1907, quando nacque la Federazione Italiana Giuoco Calcio
(FIGC).
E da quegli anni ad oggi il calcio ha avuto l’onore di diventare parte
costitutiva della cultura nazionale degli italiani, diventando il lo sport più praticato
nonché il più seguito. Non solo: può probabilmente essere considerato il fenomeno
d’aggregazione più consistente dell’ultima parte del Novecento.
8
Capitolo 2
DA GIOCO A SOTTOCULTURA
2.1 IL CALCIO COME FATTO SOCIALE
Negli ultimi anni il gioco del calcio ha attratto un numero crescente di
studiosi fino al punto di costituire l’oggetto di una nuova disciplina sociologica. Dal
Lago individua tre motivi che possono spiegare tanto interesse. In primo luogo il
calcio è lo sport più seguito al mondo (con l’eccezione degli USA e di alcune ex
colonie dell’Inghilterra come il Canada e l’Australia) mobilitando di conseguenza
non solo notevoli risorse economiche ma anche l’attenzione dei mezzi di
comunicazione di massa. In secondo luogo è uno sport che genera un problema
sociale rilevante e sentito: la violenza dei tifosi organizzati. Infine il gioco del
calcio costituisce per un gran numero di appassionati un’autentica sottocultura
ovvero un sistema di simboli che orienta riti specifici, dotato di linguaggi specifici e
capace di promuovere comportamenti specifici.
Il calcio è sicuramente nella sua essenza un gioco, ma oggi è soprattutto
un fatto sociale. È un’attività economica, è un campo di investimenti simbolici, è
“un vero e proprio oggetto di desiderio, su cui un numero enorme di attori sociali
investe passioni ed emozioni, proietta più o meno inconsapevolmente immagini del
mondo, in base al quale riorganizza il significato di una parte della propria
esistenza” (Dal Lago, A., 1991, pag.25).
Le stesse società di calcio sono divenute socialmente rilevanti: in primo
luogo perché per essere società di calcio occorre investire milioni di euro; poi
perché gli stessi giocatori diventano personaggi pubblici, acquisiscono uno status; e
per gli appassionati che, supportando entità ormai globali, si impongono sulla scena
mondiale; infine per i mass media che hanno a disposizione quantità smisurate di
realtà da amplificare, elaborare, inventare.
9
Pare quindi superfluo ribadire che “chi oggi assiste a una partita di calcio,
diversamente da vent’anni fa, partecipa a uno spettacolo sociale che può divenire
simbolo di ben altri giochi sociali e politici” (Dal Lago, A., 1991, pag. 26). In
questo senso la vittoria del Napoli sul Milan nella stagione 1989/1990 rappresentò
una rivalsa del sud contro il nord tanto che Maratona si appellò alla città per essere
sostenuti nella loro lotta per il riscatto. E questo dimostra come una squadra di
calcio possa divenire il simbolo di un’intera città o comunità. Non solo: che il
calcio rivesta un ruolo di primaria importanza nella società attuale è dimostrato
anche dal fatto che i cittadini si identificano con i proprio paese più attraverso
squadre e simboli piuttosto che attraverso le istituzioni statali.
E fu Mussolini uno dei primi a capire dove poteva arrivare il calcio: è
arcinoto, infatti, come le vittorie della nazionale italiana negli anni trenta furono un
efficiente strumento propagandistico per il fascismo.
2.2 I MOTIVI DELLA PASSIONE
I motivi principali della rapida affermazione del calcio e dello “scoppio”
di una passione planetaria sono stati individuati da Bromberger.
In primo luogo l’immutabilità delle regole nel tempo, che sono rimaste
pressoché le stesse dalla fine dell’800 permettendo agli appassionati di non perdere
le caratteristiche distintive del gioco. In secondo luogo la semplicità sia delle regole
stesse, sia dei gesti tecnici essenziali come correre e calciare. La spettacolarità del
gioco è dovuta anche dal fatto che più di altri sport è soggetto al caso. Sono, infatti,
tante le variabili che possono determinare l’esito di un incontro: la condizione
fisica, gli errori, la coesione di squadra, il supporto del pubblico. Questi fattori di
incertezza generano quindi degli episodi diversi per ogni partita che contribuiscono
a aumentare l’attesa e la suspance da parte degli interessati.
Dalla passione per il calcio in generale occorre però passare ad analizzare
la passione per un determinato club che viene in genere dimostrata attraverso il
sostegno e il tifo.
10
Secondo Dal Lago le ragioni di un’identità calcistica, il fatto che si tifi per
una squadra o per un'altra, sono del tutto arbitrarie ovvero non rientrano in una
matrice fissa. Alcune squadre vengono tifate perché rappresentano un vero e
proprio modello trans-regionale (Juventus), altre perché esprimono la cultura di una
città (Napoli). In altri casi una squadra viene associata a determinate classi sociali
come la classe operaia e la piccola borghesia (Torino). Oppure si tifa una squadra in
opposizione al club dominante della città (Torino-Juventus).
Di opinione simile è Bromberger. Egli aggiunge che l’affiliazione a una
particolare squadra fa parte di un processo complesso che risale al periodo
dell’infanzia e dell’adolescenza, nel quale spesso si sposano le tradizioni familiari.
Ritiene anche che in questi ultimi anni la cultura sportiva dei tifosi si sia banalizzata
e abbia perso i suoi caratteri di identità con un luogo e con lo spirito di una città.
È rilevante sottolineare quanto siano importanti nel processo di
identificazione collettiva i colori del club. Questi sono andati a creare un codice
universale di riconoscimento conosciuto su tutto il territorio nazionale e, per quanto
riguarda i club più importanti, anche internazionale.
Per concludere, significativa e riassuntiva appare la frase di Giovanni
Raboni “ si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita, di se
stessi, di quello che si è stati, di quello che si spera di continuare ad essere. È un
segno, un segno che ognuno riceve una volta per sempre, una sorta di investitura
che ti accompagna per tutta la vita, u simbolo forte che si radica dentro di te,
insieme con la tua innocenza, tra fantasia, sogno e gioco.”.
1
2.3 IL TIFO E LE SUE CLASSIFICAZIONI
Il tifo calcistico in Italia è un fenomeno straordinariamente diffuso e
variegato. Sono, infatti, diverse le tipologie di tifosi e spaziano da chi non è mai
entrato in uno stadio ma si identifica con una squadra, all’ultrà fanatico e militante
che segue le partite in curva sia in casa sia in trasferta.
1
In Giangreco Flavio, La fabbrica del pallone, Rubettino, 2006.