2
altri e così, di fatto, influendo prepotentemente sullo spostamento delle
quote di mercato ed incidendo sull’andamento della domanda e dell’offerta
di beni e servizi, variabili su cui si regge un’economia di mercato.
Dietro la costruzione di un messaggio pubblicitario, anche di breve
durata, si cela un lungo e delicato lavoro di analisi che rivolge la propria
attenzione ai bisogni dei consumatori, in modo tale da esaltare una
caratteristica del prodotto piuttosto che un’altra.
Tuttavia, nel momento in cui un messaggio pubblicitario contiene
informazioni inesatte e/o non corrispondenti a quella che effettivamente è
la realtà, la pubblicità, da veritiera e corretta, si trasforma in pubblicità
ingannevole.
E’ opportuno fin da ora sottolineare come i soggetti danneggiati da
una pubblicità ingannevole non siano solamente i normali consumatori, ma
anche le imprese produttrici di beni e servizi concorrenti a quelli che
vengono reclamizzati in modo ingannevole.
Nel corso degli anni, grazie alla crescita economica del mondo, alla
globalizzazione ed allo sviluppo dei mezzi di comunicazione, il fenomeno
pubblicitario ha assunto una rilevanza ed una incidenza tali da rendere
necessaria una normativa a livello comunitario ed europeo che lo
disciplinasse e che stabilisse regole da rispettare per garantire la tutela dei
consumatori e dei concorrenti.
Il lavoro della presente tesi è quindi volto ad analizzare l’insieme
delle norme che tendono a disciplinare il fenomeno pubblicitario partendo
da una ricostruzione di carattere storico relativa ai prodromi della
normativa comunitaria per arrivare a quella che costituisce la vera
disciplina in materia di pubblicità ingannevole ovvero la Direttiva
Comunitaria n. 450/84/CEE, per poi concludere con la normativa italiana in
materia di pubblicità ingannevole.
3
In particolare, il primo capitolo sarà dedicato all’evoluzione del
fenomeno pubblicitario ed alla ricostruzione dell’iter che ha portato
all’attuazione della Direttiva del Consiglio del 10 settembre 1984 relativa
al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole.
La nascita della Direttiva n. 450/84/CEE sarà analizzata richiamando
i lavori svolti in ambito comunitario dal Consiglio Europeo, dal Parlamento
Europeo e dal Comitato Economico e Sociale, organi che hanno di volta in
volta espresso il loro motivato parere tecnico sulle varie proposte di
direttiva in materia di pubblicità ingannevole al fine di creare una disciplina
di tutela idonea a difendere in maniera appropriata ed efficace gli interessi
del consumatore
Una visione completa della disciplina sulla pubblicità ingannevole
non può prescindere da un’analisi dettagliata della Direttiva Comunitaria,
delle lacune in essa ricomprese nonché delle facoltà da essa attribuite ai
vari Stati membri in modo da apprezzare le diverse scelte operate dai
singoli legislatori nazionali.
Nel secondo capitolo quindi la mia attenzione sarà focalizzata su alcuni
aspetti particolari come l’identificazione degli interessi tutelati dalla
Direttiva e la definizione dei rimedi adottati contro un messaggio
pubblicitario considerato ingannevole.
Infine, nel terzo capitolo intendo analizzare il Decreto Legislativo n.
74/1992 con il quale l’Italia ha dato attuazione della Direttiva n.
450/84/CEE all’interno del proprio ordinamento nazionale.
A tal riguardo, il lavoro si incentrerà sulle scelte operate dal
legislatore nel recepimento della Direttiva Comunitaria e sugli elementi
innovativi in tema di pubblicità ingannevole inseriti nel quadro normativo
italiano.
4
CAPITOLO I
LE PREMESSE PER UNA LEGISLAZIONE
COMUNITARIA
IN TEMA DI PUBBLICITA’ COMMERCIALE
SOMMARIO: 1. Analisi storica della pubblicità; 2. La pubblicità nel XX secolo; 3. Lavori in ambito
comunitario; 4. La proposta di Direttiva; 5. Pareri del Parlamento Europeo e del Comitato Economico
Sociale sulla proposta di Direttiva.
1. Analisi storica della pubblicità.
La pubblicità commerciale si inserisce nell’ambito della più generale
figura della comunicazione pubblicitaria.
Generalmente, ed in via approssimativa, la pubblicità commerciale viene
intesa come una comunicazione, che può assumere le forme più varie,
rivolta al pubblico ed avente la funzione di informare gli acquirenti dei
prodotti commercializzati o dei servizi offerti dalle imprese, al fine di
favorirne la vendita.
Oramai la pubblicità fa parte della vita quotidiana della popolazione
1
,
basti pensare ai grandi manifesti che campeggiano sui muri delle città
diventati quasi un arredo urbano, ai messaggi promozionali veicolati dai
grandi mezzi di comunicazione di massa e, ancora, alle promozioni
telefoniche, nonché alle réclame della rete telematica.
1
Si è calcolato che, in media, ogni persona riceve circa 3000 messaggi pubblicitari giornalieri: cfr. F.
TROTTA, La pubblicità, Napoli, 2002, p. 15.
5
La pubblicità, oggi giorno, è passata dal costituire un mero insieme di
iniziative volte a favorire la vendita di prodotti commercializzati da
un’impresa, ad un più complesso fenomeno sociale e di costume, capace di
coinvolgere l’intera società influenzandone i bisogni e gli stili di vita,
suscitando, per tale motivo, l’interesse di varie discipline fra cui
l’economia, la sociologia e la psicologia.
L’evoluzione economica e commerciale costante negli anni,
accompagnatasi alla nascita di nuove tecnologie, ha reso possibile la
divulgazione di marchi e prodotti ben oltre i confini statali, arrivando ad
assumere il ruolo di vero propulsore della globalizzazione del commercio.
Solo nel secolo scorso, però, iniziano ad intravedersi in Europa le prime
discipline normative aventi ad oggetto la pubblicità commerciale e, in
particolare, il messaggio promozionale ingannevole e sleale. Dalla metà del
XX secolo, infatti, si assiste, inizialmente, a timide discipline normative ad
opera dei vari legislatori nazionali, ma, stante la disomogeneità e
l’incoerenza riscontrabile da Stato a Stato, ben presto si manifestò
l’esigenza di una normativa sopranazionale che promanasse direttamente
dalla Comunità Economica Europea.
Sino ad allora, invece, la pubblicità, o meglio, l’informazione
ingannevole e sleale, non trovava considerazione e tutela alcuna nel diritto
in quanto i rapporti commerciali ed economici erano regolati secondo lo
schema contrattuale di impostazione romana.
Nel diritto romano vigeva infatti il principio omnis mercator mendax,
per cui incombeva all’acquirente di un prodotto commerciale prestare la
massima attenzione, dovendo vagliare la veridicità della comunicazione
commerciale. L’acquisto del bene, anche se dovuto ad un’informazione
ingannevole ad opera del commerciante, non avrebbe dato diritto alcuno
alla restituzione della somma pagata dall’acquirente in quanto all’epoca
6
una certa dose di mendacità, il cd. dolus bonus, era considerata una
caratteristica connaturata del commercio
2
.
L’impostazione del diritto romano permane per tutto il periodo
medievale. Si registrano soltanto delle regole contenute negli statuti delle
Arti e Corporazioni
3
che avevano, però, il precipuo ed unico fine di limitare
la concorrenza.
Ma se in quegli anni la pubblicità era ancora un fenomeno piuttosto
marginale, con l’avvento della rivoluzione industriale essa inizia ad
assumere un ruolo ed una centralità paragonabile, anche se in via
embrionale, a quelle che riveste oggi.
La réclame, diffusa su larga scala grazie all’avvento della stampa, inizia
a diventare parte integrante del processo produttivo, informando i
potenziali acquirenti circa l’esistenza di nuovi prodotti commerciali
rispondenti alle loro esigenze.
Ben presto, però, cominciano a manifestarsi delle problematiche
giuridiche sottese al fenomeno pubblicitario non più tutelabili attraverso il
ricorso allo schema contrattuale di impostazione romana, ma che
richiedono una rimeditazione degli interessi in gioco ed una reimpostazione
delle tutele da apprestare agli stessi.
Da una parte, infatti, si riscontra la necessità di una tutela degli interessi
delle imprese commerciali a non essere lese da réclame inveritiere dei
concorrenti e, dall’altra, una tutela per i potenziali acquirenti di prodotti
commerciali volta a scongiurare disposizioni patrimoniali ad essi
pregiudizievoli.
La necessità di un intervento normativo e le nuove esigenze di tutela
degli interessi di cui sopra, vennero però disattesi, anche perché i legislatori
2
Cfr. M. MARRONE, Lineamenti di diritto privato romano, Torino, 2001, pp. 85-86.
3
Cfr. R. FRANCESCHELLI, Trattato di diritto industriale, Milano, 1966, p. 67.
7
ed il pensiero giuridico dell’epoca si rivelarono impreparati di fronte ad un
fenomeno di tale portata, cosicché si assistette ad un atteggiamento di
sostanziale inerzia.
2. La pubblicità nel XX secolo.
Nel periodo intermedio alle due guerre, iniziò a delinearsi quella che,
dopo la fine del secondo conflitto mondiale, venne definita la “società dei
consumi”: il boom economico di quegli anni portò ad una grande
espansione di beni e servizi e, di conseguenza, la pubblicità mutò volto,
passando dalla forma semplicistica e per certi versi estemporanea della
réclame ad una forma di comunicazione programmata, il cd. marketing,
sensibile alle esigenze di mercato, capace di impiegare tecniche sempre più
sofisticate e di divulgare il messaggio promozionale, grazie anche ai grandi
mezzi di comunicazione e ad un numero di potenziali acquirenti sempre più
vasto
4
.
Fino agli anni ’50, dato il diffuso e prevalente sistema economico di tipo
liberista in Europa, i tempi non si rivelarono ancora maturi per una
rivisitazione della materia, posto che un provvedimento legislativo avente
ad oggetto la pubblicità significava aver operato scelte precise da un punto
di vista di politica economica e sociale.
Non solo persisteva un dubbio di fondo circa l’opportunità o meno di
un’ingerenza statale in un campo da sempre regolato dal mercato, ma anche
sul tipo di tutela più adeguato per fronteggiare un advertising illecito: uno
strumento di tutela di tipo preventivo (quale la censura) avrebbe potuto
limitare infatti lo sviluppo del commercio ma, dall’altra parte, uno
4
Cfr. M. FUSI, P. TESTA e P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole, Milano, 1993, p. 8.
8
strumento di tutela a carattere sanzionatorio con funzione anche deterrente
avrebbe avuto possibilità di dispiegarsi solamente ex post, una volta già
verificatosi un danno nei confronti delle imprese.
Queste ed altre motivazioni fecero si che in quegli anni non si assistette
ad alcuna disciplina statale e, ancor meno, sopranazionale, che regolasse la
materia della pubblicità commerciale, divenuta un fenomeno sempre di più
vaste dimensioni che trovava alimento continuo nel vuoto legislativo di
quegli anni.
La mancanza di una puntuale normativa in materia pubblicitaria indusse
gli operatori del settore a creare dei regolamenti di autodisciplina allo
scopo di colmare, almeno in parte, il vuoto legislativo proprio di quegli
anni e trovare così una soluzione comune a problematiche già manifestatesi
ma che non avevano ancora trovato una soluzione normativa appagante.
In particolare, già nel 1937, la Chambre de commerce internationale
aveva pubblicato il primo Code de pratiques loyales en matiére de
pubblicité, il quale prevedeva una serie di regole deontologiche fra cui
l’obbligo per gli operatori di osservare i principi di “verità, non
ingannevolezza e decettività” nella redazione di messaggi promozionali
5
.
In quasi tutti i paesi della CEE, gli operatori pubblicitari si sottoposero
volontariamente all’autodisciplina di cui sopra e, nel secondo dopoguerra,
nacquero e si diffusero numerosi regolamenti interni ispirati al Code
6
,
diventando dei veri e propri ordinamenti sussidiari al diritto statuale
7
.
5
Il Code prevedeva inoltre la creazione di un organo di autocontrollo, il Jury, con funzioni equiparabili a
quelle del giudice d’onore. Cfr., sulla nascita dell’autodisciplina pubblicitaria nel mondo, M. FUSI e P.
TESTA, L’autodisciplina pubblicitaria in Italia, Milano, 1983, p. 22.
6
In Italia, sull’esempio del Code della Chambre de Commerce Internationale, appare nel 1951 il primo
“codice morale della pubblicità” varato dall’Upa (Utenti pubblicitari associati), allo scopo, come si legge
nella premessa, di ovviare alle mancanze della legislazione italiana in materia, fissando regole etiche
desunte dall’osservazione di quelle che sono le consuetudini più uniformemente seguite dal ceto dei
migliori utenti di pubblicità, delle norme contenute in legislazioni straniere, e tenuto conto della casistica
giurisprudenziale in materia di proprietà artistica, intellettuale ed industriale e di concorrenza sleale: v. M.
FUSI e P. TESTA, L’autodisciplina pubblicitaria in Italia, cit.,p. 30.
7
In tal senso, v. M. FUSI, P. TESTA e P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole, cit., p. 23.
9
Le imprese che risultassero essere state lese potevano tutelare i propri
interessi ricorrendo alle azioni concorrenziali, eventualmente finendo
alcune volte a realizzare una sorta di tutela indiretta anche per gli interessi
dei consumatori, non sempre coincidenti con quelli dei primi: la posizione
giuridica dei consumatori non assurge ancora a centro di interesse
autonomo meritevole di tutela.
A partire dagli anni ’50, le mutate condizioni socioeconomiche
determinarono un diffuso senso critico nei confronti di un advertising
sempre più invadente, manifestandosi l’esigenza di una disciplina
normativa che incentivasse e privilegiasse più l’informazione che non la
mera suggestione.
Nacque così il movimento noto come consumerismo, ovvero la
diffusione a livello di massa di associazioni e movimenti di tutela dei
consumatori che, soprattutto nei paesi occidentali quali gli Stati Uniti
8
ed il
Nord Europa, avranno un’influenza notevole e determinante per le scelte
legislative degli anni futuri.
Sul finire degli anni ’60, nella maggior parte dei paesi del Nord Europa,
le politiche legislative caratterizzate dalla visione liberale dell’ottocento si
evolsero a tal punto da favorire l’emanazione di norme che regolassero la
disciplina pubblicitaria e che possono ricondursi a tre modelli legislativi:
ξ il modello pubblicistico che mira a reprimere la pubblicità
attraverso la predisposizione, in caso di violazione, di sanzioni
penali od amministrative demandandone l’applicazione,
rispettivamente, all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella
amministrativa;
8
Né è esempio il “messaggio sulla protezione del consumatore” in cui il Presidente statunitense
J.F.Kennedy, nel 1962, accennava “al diritto del cittadino ad essere informato, di essere protetto contro
l’informazione, l’advertising, l’etichettatura o altre pratiche fraudolente, recettive o grossolanamente
ingannevoli, e di ricevere i dati di fatto di cui ha bisogno per effettuare scelte consapevoli”: M. FUSI, P.
TESTA e P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole, cit., pp. 12-13.
10
ξ il modello privato-civilistico, il quale si avvale, per reprimere la
pubblicità ingannevole, delle normali norme civilistiche in
materia di concorrenza sleale, riconoscendo la legittimazione ad
esperire l’azione davanti ai tribunali ordinari anche ai
consumatori e/o alle associazioni in rappresentanza dei primi;
ξ il modello scandinavo dell’Ombudsman, una sorta di difensore
civico i cui inviti a desistere, se non osservati, comportano il
deferimento all’autorità giudiziaria
9
.
La pubblicità, però, inizia ad assumere il ruolo di vero propulsore della
globalizzazione del commercio, non essendo più relegata negli stretti
confini nazionali, ma arrivando a ricoprire contesti spaziali sempre più
ampi.
Un fenomeno di tale portata ben presto rivela l’inadeguatezza delle varie
e disomogenee discipline statali e la necessità di una normativa in grado di
operare a livello internazionale, capace di apprestare un’efficace tutela, non
solo alle ditte concorrenti lese da messaggi pubblicitari mendaci ma, anche
ai fruitori della pubblicità: essa dovrebbe svolgere oltre ad una funzione di
promozione dei prodotti commerciali anche una funzione di corretta e
veritiera informazione ai cittadini.
Per quanto riguarda l’ambito comunitario, l’adozione di una disciplina
in subjecta materia si è avuta a seguito di un lungo iter di discussione in
seno al Consiglio Europeo, iniziato sul finire degli anni ’60 e culminato
solo nel 1984 con l’emanazione della Direttiva n. 450/84/CEE dal titolo
“Ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole”
10
.
9
Cfr. M. FUSI, P. TESTA e P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole, cit., p. 14.
10
In G.U.C.E n. L 250 del 19 settembre 1984, pp. 17 ss.
11
3. Lavori in ambito comunitario
Considerata la rilevanza a livello transnazionale dei rapporti
economici e commerciali, sul finire degli anni ’60 la pubblicità ingannevole
inizia ad essere oggetto di studio e discussione in ambito comunitario, al
fine di valutare l’opportunità o meno di una disciplina sopranazionale
11
.
Nel 1972 il Consiglio Europeo adottava una prima delibera sulla
“Tutela dei consumatori nei confronti della pubblicità ingannevole”, nella
quale si invitavano le istituzioni comunitarie a rafforzare e coordinare le
misure di autodisciplina
12
. Seguiva poi, nel 1973, la “Carta della
protezione del consumatore”
13
.
Tuttavia, è a partire dalla metà degli anni ’70 che si assiste ad una
prima definita forma di tutela nei confronti del consumatore.
In attuazione dell’art. 2 del Trattato di Roma del 1957, ove si
sottolinea il fine della Comunità di “promuovere uno sviluppo armonioso
delle attività economiche, un’espansione continua ed equilibrata, una
stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di
vita”, il Consiglio Europeo varò un programma preliminare della CEE per
una politica di tutela e di informazione dei consumatori, adottato con
Risoluzione 14 aprile 1975
14
, prevedendo quale priorità l’adozione di mezzi
appropriati a protezione dei consumatori dalla “pubblicità falsa ed
ingannevole”.
Il consumatore, grazie a queste prime iniziative intraprese dal
Consiglio Europeo e a fortiori con la Risoluzione 14 aprile 1975, inizia ad
11
Il tema della pubblicità ingannevole fu inserito nel programma del Consiglio Europeo negli anni 1967-
1968. Cfr. M. FUSI, P. TESTA e P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole, cit., p. 25; A. F. M.
BONSIGNORE, Alcune note di attuazione della direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità
ingannevole, in Dir. Aut., 1992, p. 211.
12
Cfr. A. F. M. BONSIGNORE, Alcune note di attuazione della direttiva 84/450 CEE in materia di
pubblicità ingannevole, cit., p. 211.
13
Cfr. A. F. M. BONSIGNORE, Alcune note di attuazione della direttiva 84/450 CEE in materia di
pubblicità ingannevole, cit., p. 211.
14
In G.U.C.E. n. C 92 del 25 aprile 1975, pp. 1 ss.
12
avere una considerazione da parte del legislatore comunitario sconosciuta
negli anni addietro
15
o, comunque, non tradottasi in alcun provvedimento
normativo.
Egli viene considerato non più come mero compratore e utilizzatore
di beni e servizi per il proprio uso personale, familiare o collettivo, ma
quale individuo interessato ai vari aspetti della vita sociale che possono
direttamente o indirettamente danneggiarlo.
L’adozione del suddetto programma preliminare per una politica di
tutela e di informazione dei consumatori, venne considerata, dal Consiglio
Europeo, una valida “… risposta alle condizioni, talora fonte di abusi e di
frustrazioni, in cui si è trovato il consumatore dinanzi alla sempre maggiore
abbondanza e complessità dei beni e servizi offerti da un mercato in
espansione”
16
.
In una prospettiva generale, l’evoluzione delle condizioni del
mercato, dovuta alla scoperta di nuovi materiali, l’attuazione di nuovi
metodi di fabbricazione, lo sviluppo dei mezzi di comunicazione,
l’allargamento dei mercati e, in ultimo, l’apparizione di nuovi metodi di
vendita, ha fatto sì che il consumatore di un tempo, compratore in un
mercato locale di modeste dimensioni, si è venuto a trasformare in “…
elemento di un mercato di massa […] oggetto di campagne pubblicitarie e
di pressioni da parte di gruppi di produzione e di distribuzione
estremamente organizzati”
17
.
15
In questo senso, G. ALPA, Consumatore (tutela del) – II) Diritto della Comunità Europea, in Enc.
Giur. Treccani, Roma, 1995, vol. VIII, p. 1.
16
Vedi allegato al “Programma preliminare della Comunità Economica Europea per una politica di
protezione e di informazione del consumatore”, in G.U.C.E. n. C 92, cit., p. 3.
Il rafforzamento ed il coordinamento delle azioni per proteggere i consumatori all’interno della CEE
furono obiettivi già sottolineati dai Capi di Stati o di governo nel vertice tenutosi a Parigi nell’ottobre del
1972.
17
Vedi allegato al “Programma preliminare della Comunità Economica Europea per una politica di
protezione e di informazione del consumatore”, in G.U.C.E. n. C 92, cit., p. 3.
13
Nonostante detto nuovo mercato offrisse taluni vantaggi, il
consumatore non era più in grado di svolgere pienamente, come utente,
quella funzione di fattore d’equilibrio propria di un tempo.
Per far fronte al crescente squilibrio del mercato a favore dei
produttori e fornitori di beni e servizi, il Consiglio Europeo, con la
Risoluzione 14 aprile 1975, ritenne necessario promuovere e garantire una
sempre maggiore informazione ai consumatori, tale da consentire agli stessi
una scelta più libera e consapevole circa i vari prodotti o servizi offerti,
potendo, se del caso, esercitare un’influenza sui prezzi, sull’evoluzione dei
prodotti e sulle tendenze del mercato.
Solo una tutela contro la pubblicità ingannevole, infatti, avrebbe
potuto far sì che i consumatori svolgessero nel modo più idoneo la loro
funzione di arbitri ultimi nell’economia di mercato e, a tal fine, azione
prioritaria di ogni direttiva comunitaria in tema di pubblicità ingannevole
fu quella di contrasto verso un utilizzo abusivo dei media pubblicitari.
Sempre al fine di conseguire l’obiettivo primario di tutela del
consumatore, proprio della suddetta politica comunitaria, veniva
riconosciuta a questo anche la facoltà di organizzarsi in associazioni, e ciò
sulla semplice constatazione che queste istituzioni risultavano essere
meglio deputate, per peso politico nonché forza economica, a far valere i
diritti e gli interessi propri dei consumatori.
In definitiva, nella Risoluzione 14 aprile 1975, vengono considerati
quali diritti fondamentali del consumatore e come tali meritevoli di tutela:
1. il diritto alla protezione della salute e della sicurezza;
2. il diritto alla tutela degli interessi economici;
3. il diritto al risarcimento dei danni;
4. il diritto all’informazione e all’educazione;
5. il diritto alla rappresentanza (i.e. diritto ad essere ascoltato).
14
Come è stato sottolineato in dottrina
18
, con la Risoluzione 14 aprile
1975, il problema della tutela del consumatore è stato inserito in un vasto
quadro organico di disciplina dell’attività produttiva e, con riguardo alla
regolamentazione della pubblicità commerciale ingannevole oggetto della
presente tesi, accanto a programmi intesi a tutelare la salute e la sicurezza
del consumatore, ad assicurare forme adeguate di consulenza, di assistenza
e di risarcimento dei danni, si dispone la protezione degli interessi
economici del consumatore e il diritto di questo ad essere informato ed
educato.
Nell’allegato al “Programma preliminare della Comunità Economica
Europea per una politica di protezione e di informazione del
consumatore”
19
veniva richiesta la predisposizione di adeguati
provvedimenti, quale azione prioritaria per un’efficace protezione degli
interessi economici del consumatore contro la pubblicità falsa o
ingannevole.
Nella Risoluzione 14 aprile 1975 si individuava nella Commissione
Europea l’organo comunitario preposto allo studio delle problematiche
inerenti la pubblicità ingannevole e alla presentazione di una proposta di
direttiva che seguisse le seguenti linee direttrici:
ξ stabilire principi che consentissero di valutare il carattere falso,
ingannevole o sleale di una pubblicità;
ξ prendere provvedimenti volti ad evitare che gli interessi
economici del consumatore fossero lesi da una pubblicità falsa,
ingannevole o abusiva;
18
M. CASSOTTANA, Nuovi orientamenti CEE in tema di disciplina della pubblicità commerciale, in
Riv. Soc.,1979, p. 204.
19
In G.U.C.E. n. C 92, cit., pp. 1 ss.
15
ξ studiare le procedure per far cessare rapidamente le campagne di
pubblicità falsa ed ingannevole e per assicurare la verità dei
messaggi;
ξ studiare la possibilità di eliminare gli effetti di una pubblicità
falsa e ingannevole, soprattutto con la pubblicazione di messaggi
di rettifica;
ξ studiare i problemi posti dall’inversione dell’onere della prova.
Alla fine del 1975, la Commissione Europea presentava un primo draft
di direttiva sulla repressione della pubblicità ingannevole.
Il testo del progetto preliminare di direttiva risultava, però, essere
fortemente influenzato dal cd. consumerismo, suscitando vivaci critiche da
parte degli operatori pubblicitari, già perplessi circa l’opportunità di una
disciplina comunitaria che regolasse la materia, anche alla luce dei codici
di autodisciplina ritenuti un valido ed efficace sistema di controllo della
pubblicità e di repressione di quella ingannevole
20
.
Le critiche mosse dagli operatori pubblicitari si tradussero in
richieste di modifiche ed emendamenti al testo del progetto preliminare di
direttiva, volte ad eliminare l’ingiustificato squilibrio a favore dei
consumatori ed a vedere riconosciute e tutelate le prerogative proprie delle
imprese commerciali.
20
In questo senso, M. FUSI, P. TESTA e P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole, cit., p. 26.