II
Il secondo capitolo ha invece lo scopo di presentare i principali strumenti
utilizzati in fase di diagnosi, compresi questionari e test di vario tipo.
Questo capitolo permetterà di avere una visione completa degli strumenti
necessari per fare una diagnosi di ADHD vera e propria e di comprendere la
necessità di avere fonti di informazione e strumenti aggiuntivi per poter
effettuare diagnosi precoci sempre più accurate che fungano da input per
approfondimenti clinici\professionali e come ulteriore aiuto per una diagnosi
successiva.
L’idea di questa tesi nasce proprio allo scopo di aggiungere un ulteriore
tassello per il conseguimento di questo obiettivo, cercando di includere tra le
fonti di informazione, coloro che più di altri dovrebbero essere considerati gli
attori principali nella valutazione del disturbo: i bambini stessi.
Vedremo più avanti le modalità con le quali si è cercato di rendere questa idea
una realtà concreta, nella speranza di raggiungere gli obiettivi desiderati.
La prima parte è stata così strutturata per permettere un graduale
avvicinamento al principale lavoro svolto nella tesi proposta, cercando
comunque di non trascurare quelle conoscenze teoriche e quelle problematiche
pratiche che inevitabilmente costituiscono tutta la realtà ADHD nella sua
complessità.
Nella seconda parte vengono definiti i principali obiettivi della tesi proposta e
le modalità con le quali si è proceduto alla costruzione di un test a vignette
da somministrare direttamente a bambini/ragazzi di età compresa tra gli 8 e i
12 anni e da affiancare a questionari per genitori e insegnanti in una fase
preliminare di raccolta descrittiva dei comportamenti sintomatologici
dell’ADHD.
Nella parte successiva (parte terza) viene descritto li metodo di
somministrazione del test, volto ad effettuare un primo adattamento dello
strumento.
Nella parte quarta sono presentati i risultati ottenuti con l’indagine, attraverso
il supporto di tabelle e grafici che agevolino la lettura, discussi poi nella parte
successiva (parte quinta), ovvero quella dedicata alla discussione e alle
conclusioni.
III
Quest’ultima parte, ha lo scopo anche di riassumere tutto il lavoro svolto nella
tesi, specificando gli obiettivi raggiunti e i possibili futuri punti di
approfondimento, nonché analizzando criticamente la possibile rilevanza
teorica ed empirica che la costruzione del test e i risultati ottenuti dalla sua
somministrazione possono avere nell’ ambito dell’ ADHD.
- 1 -
PARTE 1
INTRODUZIONE
Cap. 1 Definizione del disturbo
L’ ADHD (attention deficit hyperactivity disorder) viene definito come un
<<disturbo evolutivo dell’autocontrollo di origine neurobiologica che interferisce
con il normale sviluppo psicologico del bambino e ostacola lo svolgimento delle
comuni attività quotidiane: andare a scuola, giocare con i coetanei, convivere
serenamente con i genitori e, in generale, inserirsi normalmente nella società>>
(American Academy of Pediatrics , 2000; Marzocchi, 2004).
Da quanto emerge dalla definizione quindi, questo disturbo diviene enormemente
invalidante per il bambino e per coloro che quotidianamente si ritrovano a gestire
una situazione inevitabilmente stressante e che porta col tempo ad una vera e
propria usura delle figure di accudimento.
Il disturbo è caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività: questi
sintomi, come vedremo più avanti, non sempre sono presenti nella solita misura in
tutti i soggetti (Hill, 2005).
Prima di continuare l’esposizione di ciò che caratterizza l’ADHD, è bene
soffermarci ad una riflessione più approfondita sui sintomi sopra elencati.
Inattenzione:
Il bambino che presenta un deficit di attenzione viene descritto dai genitori
come un bambino che “sogna ad occhi aperti”, “perde sempre le sue cose” ,
“si distrae facilmente”.
La distrazione mostrata diviene ancor più evidente qualora i compiti o le
attività da svolgere siano lunghe e monotone, caratteristica questa certo non
solo dei bambini con ADHD, ma che in questi soggetti diviene notevolmente
accentuata e si presenta con una frequenza di gran lunga maggiore rispetto ai
propri coetanei (Sergeant, Van der Meere, & Oosterlaan, 1999).
- 2 -
Tutto questo porta ad una notevole difficoltà nel terminare le attività assegnate
e qualora esse siano portate a termine, la distrazione mostrata durante lo
svolgimento porta ad una lunga serie di errori nel lavoro svolto (Strock, 2006).
Quanto sopra descritto può essere maggiormente compreso, considerando i
due principali meccanismi attentivi, (uno di tipo automatico ed un altro
controllato), che vengono utilizzati per mantenere nel tempo la vigilanza, per
selezionare le informazioni necessarie all’esecuzione di un certo compito o per
orientare il fuoco attentivo in una certa direzione nello spazio. Le ricerche di
neuropsicologia cognitiva hanno molto spesso riscontrato che i bambini con
ADHD presentano problemi attentivi soprattutto in compiti che richiedono
l’applicazione di processi altamente controllati (processi essenziali in compiti
lunghi e/o difficili) (Sergeant et al., 1999 ).
Per comprendere fino in fondo le situazioni che si vengono a creare in questi
casi, si provi a pensare alla dualità di pensiero che presumibilmente si ha nel
bambino e in chi si prende cura di lui:
-da un lato il bambino sente di non riuscire a continuare a lungo l’attività, si
sforza, ma è più forte di lui e, quando finalmente riesce a terminare il proprio
lavoro, gli errori sono inevitabilmente molti: il risultato è quello di fare tanta
fatica per avere poi successi minimi.
- dall’altro lato, il genitore investe tutte le proprie energie per riuscire a
mantenere la calma, a seguire i tempi del figlio ma, dopo ore passate a cercare
di non far perdere la concentrazione al bambino, lo sconforto ha la meglio e le
idee si confondono tra la rabbia verso il piccolo e quella verso se stessi; rabbia
che poi si trasforma in frustrazione che coinvolge non solo i due “attori” ma
l’intero nucleo famigliare.
Come detto, il deficit di attenzione si evidenzia maggiormente qualora le
attività siano lunghe, noiose e ripetitive, mentre mostrano un notevole
miglioramento qualora tali attività siano alternate da brevi e frequenti pause.
Riflettendo su questa variabilità di prestazioni attentive in base al compito
presentato, è probabile che i processi di attenzione siano mediati da altri
fattori, forse di tipo motivazionale.
- 3 -
In base alle ricerche di Edmund Sonuga-Barke (2002) si rileva che il problema
principale dei bambini con ADHD è proprio il deficit motivazionale.
A questo punto però, è importante chiarire cosa si intende per motivazione e
cioè: “sistema di processi psicologici che consentono a una persona di
orientare le proprie risorse cognitive e comportamentali al fine di raggiungere
un certo obiettivo considerato gratificante” (Marzocchi, 2004).
Per riuscire a realizzare tutto questo è necessario:
1. Determinare la meta da raggiungere;
2. Valutare la probabilità di successo o insuccesso;
3. Avere uno schema per spiegare eventuali successi o fallimenti;
4. Controllare l’avvicinamento o allontanamento dall’obiettivo;
5. Perseverare per raggiungerlo;
Dalla lettura di questi cinque punti, diviene subito chiaro che non essere
motivati, non significa semplicemente essere svogliati o pigri, ma bensì non
riuscire a sviluppare processi di pensiero che permettano di raggiungere
l’obiettivo finale (Marzocchi, 2004).
A questo punto potrebbe risultare utile analizzare quanto detto da Pelham nel
1981: “molti bambini con ADHD, se non addirittura la maggioranza, sono
certamente in grado di mantenere una buona attenzione per un notevole
periodo di tempo, ma solo su attività di grande interesse per loro, come ad
esempio guardare la televisione o giocare con i videogame” (Pelham, 1981).
Ad una prima lettura, l’affermazione di Pelham, sembrerebbe un’ulteriore
conferma all’ipotesi motivazionale che starebbe alla base del deficit di
attenzione: ma è veramente così?
Pelham fa riferimento ad attività alle quali il bambino riuscirebbe a prestare
attenzione perché più motivato, rispetto ad attività meno coinvolgenti, quali
per esempio fare i compiti.
Ad un esame più approfondito però, ci si rende conto che le attività alle quali
l’autore si riferisce necessitano di uno sforzo cognitivo di gran lunga inferiore
rispetto ad altre attività tanto attraenti quanto faticose;
- 4 -
Questa affermazione è in parte confermata da uno dei sintomi che il DSM-IV
(2002) riconosce al deficit dell’attenzione: il bambino ha spesso difficoltà a
mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco.
I processi cognitivi necessari allo svolgimento di un gioco di gruppo sono
certamente maggiori del guardare la TV, anche se non sempre quest’ultima
attività può essere preferibile ad un gioco tra coetanei.
Si potrebbe pertanto concludere più correttamente che i compiti per i quali i
soggetti con ADHD sembrano essere più motivati sono quelli che non
richiedono affatto uno sforzo strategico e cognitivo considerevole.
A questo punto è necessario fare un passo avanti nell’inquadramento del
deficit di attenzione chiarendo cosa si intende per attenzione, attenzione
sostenuta e attenzione divisa, permettendoci così di introdurre un altro
termine di notevole importanza nel quadro delineato: quello di funzione
esecutiva.
L'attenzione è il processo cognitivo della mente che permette di concentrarsi
selettivamente su un particolare stimolo, ignorandone altri (Pasini, Paloscia,
Alessandrelli, Porfirio, & Curatolo, 2007).
L’attenzione sostenuta è la capacità di mantenere una certa prestazione
durante un’attività prolungata; l’attenzione sostenuta dipende dal
mantenimento della vigilanza, dalla capacità di ignorare gli stimoli e dalla
resistenza alla distrazione (Pasini et al., 2007).
L’attenzione divisa è la capacità di elaborare contemporaneamente stimoli
provenienti da diverse fonti esterne, tenendole distinte (Pasini et al., 2007).
Questi tre termini assumono una rilevanza particolare qualora si venga a
conoscenza che numerosi studi recenti hanno mostrato come le funzioni
esecutive dipendano in modo rilevante da processi cognitivi quali: attenzione,
percezione, categorizzazione e memoria (Geurts, Vertè, Oosterlaan, Roeyers,
& Sergeant, 2004; Scheres et al., 2004).
- 5 -
Con il termine funzioni esecutive (EFS), si intende un modulo della mente che
regola i processi di pianificazione, controllo e coordinazione del sistema
cognitivo e che governa l’attivazione e la modulazione di schemi e processi
(Geurts et al., 2004).
Le EFs includono cinque principali domini: inibizione delle risposte
impulsive, progettazione, flessibilità cognitiva (set shifting), memoria di
lavoro, scorrevolezza verbale.
Pasini e coll. (2007), a tale riguardo, hanno investigato la presenza di
specifiche funzioni esecutive nei soggetti con ADHD con sottotipo disattento.
I risultati ottenuti da queste ricerche (2007) hanno evidenziato come
l’attenzione divisa, l’inibizione delle risposte impulsive e la memoria di
lavoro, assieme alla variabilità dei tempi di reazione, costituiscano le abilità
neuropsicologiche che differenziano i soggetti con ADHD da quelli di
controllo.
Questi risultati però portano alla luce un ulteriore aspetto: mentre il deficit di
inibizione delle risposte impulsive permette di predire bassi punteggi ai test
per la misurazione della memoria di lavoro, non può altresì predire i deficit
nell’attenzione divisa, nella flessibilità cognitiva e nell’attenzione sostenuta.
Ciò permette di supporre l’esistenza di circuiti neurali indipendenti che
controllano l’inibizione e l’attenzione divisa nel soggetto con ADHD.
Per concludere, la capacità di predizione dell’inibizione delle risposte
impulsive sulla memoria di lavoro, è risultata tale solo nei soggetti con ADHD
sottotipo disattento e non nel tipo combinato (Pasini et al., 2007). Questo
processo serve a evitare che risposte salienti ma inappropriate (es. azioni già
eseguite) o abitudinarie interferiscano con il compito, e ciò aiuta a
comprendere quanto importante sia il ruolo che può avere l’inibizione delle
risposte impulsive nell’ ADHD, producendo effetti che ricalcano quanto
esposto precedentemente.
- 6 -
Difficoltà nel controllo degli impulsi:
"Sai mamma è come se io avessi due cervelli: uno dove ce l'hanno tutti e l'altro
nella bocca, ma il problema è che quello che ho nella bocca, non lo controllo io
e dice cose che non vorrei dire...".
Un bambino ADHD, Roma 17/02/2003
Il sintomo dell’impulsività è strettamente connesso al terzo sintomo principale
dell’ADHD (che tratteremo più avanti): l’iperattività.
Nel DSM-IV l’impulsività è definita come “ l’incapacità nel resistere ad un
impulso, spinta o tentazione a compiere un atto dannoso per la persona o per
altri” (American Psychiatric Association, 2000).
Nell’ambito dell’ADHD, è forse più appropriato definire impulsività come
una difficoltà ad organizzare azioni complesse, con tendenza al cambiamento
rapido da un’attività ad un’altra e difficoltà ad aspettare il proprio turno in
situazioni di gioco e/o di gruppo (Masi, & Zuddas, 2002).
Questa definizione rispecchia abbastanza fedelmente l’impulsività presente nel
bambino con ADHD, ma, per quanto sia chiara ed esplicativa, allo stesso
tempo tralascia la soggettività che il vissuto personale porta con sé; ecco
perché è da sottolineare il fatto che ciò che rende i bambini con ADHD
veramente comuni tra loro in questo tratto, è la tendenza a fare, prima di
pensare:
vi è un’incapacità di anticipare ciò che un loro gesto, comportamento o parola
può provocare in loro o alle persone vicine.
Tale atteggiamento diviene più pressante ed evidente nel caso in cui il
bambino si trovi in situazioni di attesa, dove l’incapacità ad aspettare è
talmente forte che niente può fermarlo dall’agire!
Succede così che la fila venga scavalcata regolarmente, la strada attraversata
senza guardare e il pericolo venga ad assumere una dimensione sconosciuta
per il piccolo con ADHD.
Oltre a questo tipo di insofferenza, i bambini con ADHD non riescono a
inibire i comportamenti inopportuni in certe situazioni sociali e non riescono a
controllare i propri impulsi (Marzocchi, 2004).
- 7 -
Lisa, una ragazza di 17 anni, ricorda così una delle tante situazioni in cui la
sua forzata incapacità a regolare gli impulsi, le aveva causato l’ennesimo
imbarazzo:
i suoi genitori avevano deciso di portarla al ristorante per il suo decimo
compleanno.
Giunti al momento delle ordinazioni, ricorda imbarazzata la ragazza, si era
distratta a tal punto nell’osservare i capelli rossi della cameriera, che suo padre
si trovò costretto a chiederle diverse volte cosa volesse ordinare.
Quando finalmente la richiesta del padre fu accolta da Lisa, ancor prima che
se ne rendesse conto, “spifferò” ad alta voce: “La sua tinta di capelli è
veramente terribile!”, rivolgendosi chiaramente alla cameriera (Strock, 2006).
Quello che emerge in questa descrizione, è un esempio classico di come i
diversi sintomi dell’ADHD possano manifestarsi in concomitanza,
influenzandosi reciprocamente: il deficit attentivo aveva portato Lisa a non
prestare attenzione alle parole del padre e subito dopo l’impulsività aveva
portato la bambina a pronunciare parole che nemmeno lei avrebbe voluto dire
ad alta voce.
Lisa sapeva bene che quello che aveva detto aveva provocato imbarazzo a lei e
alla sua famiglia ma, ormai, era troppo tardi!
Quello che precedentemente non è emerso nella definizione di impulsività è
proprio l’aspetto emotivo che fa da cornice a questo disturbo; emozioni come
imbarazzo e senso di inappropriatezza che, pur non essendo esperite in ugual
misura da tutti i bambini con ADHD, permettono di comprendere il punto di
vista (troppo spesso trascurato) di chi, dei suoi comportamenti e delle sue
parole di troppo, farebbe volentieri a meno.
- 8 -
L’iperattività:
“ Il legame con Giovanni, diveniva via via più forte e coinvolgente anche
perché nella sua disabilità (fatta d'impulsività, disattenzione, difficoltà del
linguaggio) sapeva e sa esprimere in modo profondo il suo amore per noi con
baci, abbracci e sorrisi meravigliosi.”
Madre di un bambino ADHD
Come detto precedentemente, l’impulsività è strettamente connessa
all’iperattività, ed anche in questo caso il problema concerne l’incapacità di
controllare i comportamenti.
Mark attualmente ha14 anni. La sua famiglia lo descrive come un ragazzo
molto vivace, molto più dei suoi coetanei. Fin dall’età di tre anni, Mark era
considerato dai genitori come un “tornado umano” che gettava e distruggeva
tutto al suo passaggio, passando da un’attività all’altra e lasciando giocattoli
sparsi ovunque dietro di lui.
Quando era intento a giocare con gli altri bambini, la sua principale attività era
quella di prendere i suoi coetanei e sbatterli di qua e di là.
La sua sfrenatezza era incontrollabile e non permetteva ai familiari di rilassarsi
nemmeno per un minuto (Strock, 2006).
Questa è la descrizione dell’iperattività vista dalla parte di chi,
quotidianamente, si trova a dover gestire un bambino con ADHD: anche in
questo caso la componente familiare entra di prepotenza nella dinamica del
disturbo, costituendo contemporaneamente, come vedremo più avanti, il punto
di forza e di debolezza del quadro clinico.
Il termine iperattività si riferisce a un eccesso di movimenti, anche secondari,
irrilevanti rispetto al compito (es. agitazione) o grandi movimenti che
riguardano il corpo (es. irrequietezza) e non sono determinati da una
predisposizione del soggetto alla motricità (Prior, 1991).
Il fatto che i bambini con ADHD siano più attivi degli altri, è stato dimostrato
da numerosi studi. Alcuni studiosi, per esempio, utilizzando le misure
meccaniche dei movimenti di bambini iperattivi, hanno dimostrato che questi
soggetti fanno più movimenti di quelli non iperattivi (Graham, Seth, &
Coghill, 2007).
- 9 -
Inoltre, questo eccesso di movimenti, sembra non essere una funzione
secondaria della distraibilità, poiché è stato osservato lo stesso eccesso di
movimenti durante il giorno e durante le ore di sonno, (ovvero quando non
viene richiesta attenzione o non viene richiesto nessun controllo
comportamentale) (American Psychiatric Association, 2000).
Tannock (1998), in particolare, utilizzando speciali sensori, ha dimostrato che
il movimento delle braccia di un bambino con ADHD è doppio rispetto a
quello dei bambini di controllo, mentre l’attività delle gambe è quattro volte
superiore a quella dei bambini senza iperattività. Nonostante questa ricerca
abbia confermato il fatto che i bambini con iperattività siano indubbiamente
più attivi dei coetanei senza iperattività, vi è una differenza sostanziale tra gli
studi fatti in questa occasione e gli studi precedenti, evidenziando come i
bambini con ADHD tendano ad aumentare la loro attività verso la fine della
mattinata e nei pomeriggi di scuola; è come se il bambino con ADHD tentasse
così di contrastare le cadute attentive: nel momento in cui il prestare attenzione
diviene più faticoso, il bambino risponderebbe con una maggiore attività, in
modo tale da sopportare meglio lo sforzo cognitivo.
Anche la Tannock quindi, riconosce la presenza costante di una maggior
attività motoria in bambini con ADHD, (il che non esclude una maggior attività
motoria anche durante la notte), rispetto a bambini non affetti da tale disturbo;
tuttavia l’autrice sottolinea che tale attività, costantemente più elevata,
dimostra un aumento aggiuntivo durante alcuni momenti della giornata.
Sinteticamente, possiamo dire che la maggior attività di questi bambini è
presente indipendentemente dalla distraibilità, ma, in presenza dell’aumento di
quest’ultima, aumenterebbe anche l’attività motoria del soggetto in esame. E’
essenziale precisare che l’eccesso di attività varia notevolmente, sia tra
differenti bambini, sia nello stesso bambino in differenti contesti ambientali o
momenti dello sviluppo, ed è importante ricordare, inoltre, che i problemi
comportamentali del soggetto iperattivo sono sempre di natura transazionale,
riguardano cioè, l’interazione tra il bambino ed i vari aspetti del suo ambiente
sociale e di apprendimento (Prior, 1991).
- 10 -
Le caratteristiche dell’iperattività sopra elencate devono quindi essere viste
come aspetti fenomenologici generalizzati: affermazioni come “sembra mosso
da un motorino” sono sicuramente efficaci a rendere l’idea del quadro clinico
in esame, ma è essenziale tenere sempre presenti le differenze personali e
situazionali che ogni bambino porta con sé.
Concludendo, il “motorino” che muove il bambino con ADHD, può seguire
strade differenti, passando da un attivismo “distruttivo” ad espressioni
esagerate e incondizionate di affetto e amore; questo è forse l’aspetto più
disarmante dell’ADHD, dove emozioni diverse si fondono tra loro,
mescolandosi continuamente, creando confusione, ma nello stesso tempo
permettendo all’amore per questi bambini di mantenersi in vita: frustrazione e
fatica, spesso dirompenti, riescono con un solo forte abbraccio a scomparire
per interminabili secondi nel buio del ricordo.
1.1. Differenza tra le classificazioni e incidenza.
L’argomento dell’ incidenza dell’ ADHD è uno dei temi più controversi e difficili
che riguardano l’aspetto descrittivo di questa patologia.
Per comprendere le variabilità statistiche relative all’ADHD è necessario prendere
innanzitutto in considerazione i due più importanti manuali psicodiagnostici
esistenti; il Diagnostical and Statistical manual, quarta edizione (o DSM- IV)
(American Psychiatric Association, 2000) e l’ International classification of
diseases, decima edizione (o ICD-10) ( World Health Organization, 1992).
Secondo il DSM-IV l’incidenza del disturbo risulta essere pari al 5-8% dei
bambini in età scolare, mentre considerando l’ ICD-10, essa scende all’1,5% di
tutti i bambini in età scolare (Graham, Seth, & Coghill, 2007).
L’analisi di tale differenza, ci porta ad osservare quelli che ormai sono i punti
comuni e le differenze tra l’ICD-10 e il DSM-IV nel classificare l’ADHD.
Entrambi i manuali prendono in considerazione gli stessi 18 comportamenti
(sintomi) caratteristici dell’ADHD:
- 11 -
-Disattenzione:
1. Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette
errori di distrazione nei compiti scolastici o in altre attività;
2. Spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle
attività di gioco;
3. Spesso sembra non ascoltare quando gli si parla direttamente;
4. Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti
scolastici o i propri doveri, non a causa di un comportamento in
opposizione alle regole sociali;
5. Spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività;
6. Spesso evita di impegnarsi in compiti che richiedono sforzo
mentale prolungato;
7. Spesso perde gli oggetti necessari per i compiti e le attività
quotidiane;
8. Spesso è facilmente distratto da stimoli estranei;
9. Spesso è sbadato nelle attività quotidiane;
-Iperattività:
10. Spesso muove con irrequietezza mani e piedi o si dimena sulla
sedia;
11. Spesso lascia il proprio posto in classe o in altre situazioni in cui ci
si aspetta che resti seduto;
12. Spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni
in cui è fuori luogo;
13. Spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo
tranquillo;
14. Spesso si muove come se fosse guidato da un motorino;
15. Spesso parla eccessivamente;
-Impulsività:
16. Spesso spara le risposte prima che le domande siano state
completate;
- 12 -
17. Spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno;
18. Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per
esempio si intromette nelle conversazioni o nei giochi) (American
Psychiatric Association , 2000).
Sia il DSM-IV che l’ICD-10 inoltre, affermano che per poter formulare una
diagnosi di ADHD, è necessario che un insieme di sintomi (il numero cambia,
come vedremo, da manuale a manuale) si manifesti in almeno due contesti( di
solito a casa e a scuola, o al lavoro), da almeno sei mesi, e soprattutto che siano
interferenti con la normale vita della persona; è cioè essenziale constatare che è
proprio a causa di quei comportamenti che una persona manifesta un rendimento
scolastico, sociale e professionale non adeguato rispetto a quanto atteso in base
all’età, all’intelligenza e alle condizioni socio-affettive.
È fondamentale quindi considerare il parametro “compromissione funzionale”, e
non solamente i sintomi: molti ragazzini hanno sintomi dell’ADHD, ma non
hanno l’ADHD, perché il loro funzionamento è adeguato, ed i loro sintomi non
comportano conseguenze significative (Marzocchi, 2004).
Come abbiamo visto, i comportamenti sintomatologici del Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività considerati dall’ICD-10 sono all’incirca gli stessi di quelli
considerati dal DSM-IV, ma gli algoritmi diagnostici sono piuttosto diversi,
determinando una categoria dell’ICD-10 più rigidamente definita;
infatti, mentre quelli del DSM-IV richiedono o 6 sintomi di disattenzione o 6 di
iperattività-impulsività, i criteri diagnostici per la ricerca dell’ICD-10 richiedono
almeno 6 sintomi di disattenzione, almeno 3 di iperattività, ed almeno un sintomo
di impulsività (American Psychiatric Association , 2000). Inoltre, per il DSM-IV,
il disturbo deve comparire prima dei sette anni, mentre per l’ICD-10, è necessario
riscontrare i primi sintomi verso i tre anni.