rischiosa deve essere affrontata assumendosi la responsabilità anche relativamente alle
conseguenze negative, quindi dannose per sé e per gli altri, che potrebbero verificarsi.
Il gioco d’azzardo, proprio per le conseguenze negative a cui può dare origine, è sempre
stato considerato un problema sociale. Un approccio proibizionistico al gioco d’azzardo,
avrebbe favorito il carattere illegale del fenomeno. Una politica di contenimento invece,
che legittima il gioco d’azzardo in specifici luoghi e secondo determinate regole, è
sembrato, sin da tempi antichi, il modo migliore per arginare il fenomeno e tenerlo sotto
controllo. Ai nostri giorni però, stiamo assistendo ad una fase di estrema legalizzazione
del gioco d’azzardo: gli interessi economici che coinvolge, hanno incoraggiato gli Stati a
promuovere politiche di incentivazione al gioco, facendone così una delle maggiori
industrie del nostro pianeta per volume di denaro investito. Questa incentivazione sta
corrispondendo ad un incremento e una diversificazione dell’offerta di giochi pubblici,
accompagnati dal moltiplicarsi dei luoghi dove si può giocare. Se prima degli anni
Novanta la spesa degli italiani per il gioco era costante, circa 8 mila miliardi di lire, ed
era quindi un fenomeno contenuto, nel 2006 si è giunti ad una spesa notevole: 33,4
miliardi di euro3. L’estrazione settimanale del lotto, la lotteria di Capodanno,
l’appuntamento con il totocalcio e poco altro, sono stati sostituiti da ben tre estrazioni
settimanali del lotto, dal superenalotto, dal gratta e vinci, da luoghi specifici per le
scommesse sportive e molte altre nuove forme di gioco d’azzardo. Una delle più diffuse e
attrattive è il video poker, presente ormai ovunque, nei bar, nelle tabaccherie e persino nei
ristoranti. Quella che quindi prima era un’abitudine per una ristretta fascia di persone, è
di fatto alla portata di tutti. Il fenomeno del gioco d’azzardo per molti aspetti sembra
ripetere, con qualche decina d’anni di ritardo e in maniera meno acuta, ciò che è stato per
le dipendenze da droga in Italia: il passaggio da un fenomeno confinato in una ristretta
cerchia di persone, in gruppi e luoghi sociali particolari, a un consumo di ampia
diffusione4, che ha visto un incremento delle persone a rischio dipendenza, dei dipendenti
da sostanze e dei tossicodipendenti conclamati.
3
Gioco d’azzardo. Un fenomeno in crescente e silenziosa diffusione, Speciale allegato a SIR n 11 Febbraio
2007
4
M. Croce, R. Zerbetto, Il gioco e l’azzardo. Il fenomeno, la clinica, le possibilità di intervento, Ed. Franco
Angeli Milano
Il cambiamento dell’offerta non è solo di tipo quantitativo, ma anche qualitativo: oggi i
giochi sono per lo più caratterizzati dalla velocità, dall’immediatezza della vincita, dalla
semplicità e sono sempre più solitari, hanno perso in parte la loro funzione di
socializzazione. La ricchezza di giochi nella maggior parte dei locali pubblici risulta
essere una grande attrattiva per le persone e questo può rappresentare un ostacolo a quel
gioco socialmente responsabile che si sta cercando di promuovere attraverso un costante
controllo sul settore, riducendo il gioco illegale e cercando di tutelare il più possibile i
giocatori (Cap. 3).
In Italia sono circa 30 milioni gli scommettitori nelle varie categorie di giochi5. Per la
maggior parte di queste persone il gioco d’azzardo rappresenta uno dei tanti passatempi,
rimane una semplice attività sociale, ma per una minoranza di esse, diventa
progressivamente una malattia, diventa gioco d’azzardo patologico.
In Italia, se si opera un confronto con gli altri paesi, esistono pochissimi studi relativi al
gioco d’azzardo, sia come attività sociale sia come patologia: il termine non è presente
nei dizionari e nelle enciclopedie, non abbiamo dati o statistiche sul fenomeno, dobbiamo
fare riferimento alle ricerche oltreoceano e la popolazione tende ancora a considerarlo un
vizio o una cattiva abitudine. Ma quando il gioco diventa eccessivo, può assumere la
forma di una vera dipendenza, che si manifesta nell’incapacità di resistere all’impulso di
giocare, la rincorsa al denaro perso diventa sempre più intensa e il gioco sempre più
solitario e centrale nella vita del giocatore. Il gioco d’azzardo patologico è una malattia
cronica e progressiva, che può portare a gravi conseguenze nell’ambito familiare, può
avere ripercussioni sull’ambiente di lavoro e può avere legami con disturbi fisici ma
soprattutto mentali, che possono sfociare in tentativi di suicidio. Sono molte le analogie
con le altre forme di dipendenza e in alcuni casi può verificarsi una situazione di
comorbidità, ovvero una doppia o tripla diagnosi (Cap. 4).
Come le altre dipendenze, anche questa quindi colpisce le varie dimensioni della vita del
soggetto e per questo necessita di un intervento a più livelli, che vede protagonista il
giocatore, motivato al cambiamento, con l’appoggio delle persone per lui più
significative e l’intervento integrato dei vari servizi specifici, secondo un’ottica di rete.
Nell’ultimo capitolo della tesi, ho analizzato la modalità di intervento della Società
5
Cfr. http:// www.siipac.it
Italiana per l’Intervento sulle Patologie Compulsive, fondata da Guerreschi nel 1999, e
del Servizio per le Tossicodipendenze. Mi sono soffermata in modo particolare
nell’analisi dell’InformaGioco, modulo operativo del Ser.T. di Mestre, che si occupa di
fornire assistenza ai giocatori patologici, di sviluppare iniziative di prevenzione e volte
alla sensibilizzazione della popolazione sui rischi del gioco e di promuovere un gioco
socialmente responsabile. Nel descrivere l’utenza e la modalità di lavoro
dell’InformaGioco, ho utilizzato anche dei grafici a torta con dati ricavati dalla Relazione
annuale sull’utenza del Ser.T. Venezia Terraferma - Anno 2006 - e dalla documentazione
del servizio, mentre ho riportato, in formato di allegato alla fine della tesi, gli strumenti
utilizzati dagli operatori del servizio nella fase di valutazione del giocatore.
Capitolo 1
Un gioco aleatorio
Nel capitolo che segue, dopo un breve excursus storico volto a mostrare come il gioco
d’azzardo abbia sempre fatto parte della storia dell’uomo, mi sono proposta di definire il
fenomeno del “gioco d’azzardo”, partendo dall’analisi dei due termini che compongono
l’espressione.
Il “gioco” svolge un ruolo fondamentale nella vita delle persone, in quanto permette loro di
conoscersi e di esplorare il mondo circostante, oltre a soddisfare specifici bisogni. Esso può
assumere varie forme: ci sono i giochi di ruolo, quelli di vertigine, i giochi di competizione
e infine i giochi di alea. Il termine “alea”, che significa “gioco di dadi”, è utilizzato per
indicare i giochi di rischio, quelli dove l’uomo agisce in modo avventato e quindi azzarda.
L’”azzardo” è un insieme di circostanze che possono sfociare in un pericolo, dato dal
dominio del caso. Uno degli elementi caratterizzanti il fenomeno del gioco d’azzardo,
accanto all’aspetto dell’azzardo e quindi del rischio, concetto che ho approfondito nel
capitolo successivo, è il ruolo svolto dal caso.
L’obiettivo di questo capitolo è quello di comprendere che cosa sia il caso e in che modo il
giocatore d’azzardo lo fronteggia, o meglio, si illude di poter controllare qualcosa che per
definizione è incontrollabile. Il giocatore generalmente viene tratto in inganno dalle
cosiddette “fallacie cognitive”, errori di ragionamento che lo portano a crearsi l’illusione di
poter controllare il caso (“Illusione del controllo”) e a manifestare la convinzione che
eventi tra loro indipendenti siano in realtà legati (“Fallacia di Montecarlo”).
1.1 Cenni storici
Il gioco d’azzardo è una pratica riscontrabile in ogni epoca della storia dell’uomo. Già nel
3000 A.C., nella civiltà egizia, gli astragali predicevano il futuro utilizzando un particolare
osso della pecora e di altri animali, l’astragalo, che rappresenta la forma primitiva del dado
moderno6. I dadi, assieme al cibo, alle armi e agli oggetti preziosi, venivano posti accanto
alle tombe dei faraoni, all’interno delle piramidi: si credeva che la vita dello spirito fosse
legata al tramite del corpo e quindi era necessario lasciare accanto alla mummia tutto ciò
che poteva servire al faraone per continuare la sua vita nel regno dei morti. Nella mitologia
egizia si narra che Mercurio, giocando con la Luna, abbia vinto un pò della sua luminosità
e quei cinque giorni in più che si sono andati ad aggiungere ai 360 dell’anno, che venivano
celebrati come il compleanno degli dei7.
In India, Giappone e Cina, antichi manoscritti portano testimonianze di scommesse al gioco
dei dadi e alle corse con i carri come usanze diffuse. Nelle tribù a nord del Rio-Grande in
India, in occasione della preparazione ad una guerra, venivano fatte delle scommesse tra
villaggi per stabilire da che parte stavano gli dei.
Lo storico olandese Huizinga, ci racconta che nel 300 A.C. la società Ellenica ”era così
profondamente imbevuta dell'elemento ludico, in tutte le sue manifestazioni, che questo
riaffiorava ormai a malapena alla coscienza come cosa eccezionale.”8: il tempo
cronologico era misurato con il succedersi delle Olimpiadi, celebri giochi sportivi che il
sociologo Callois, nella sua classificazione dei giochi, farebbe rientrare nella categoria
Agon (competizione). Le olimpiadi si tenevano ogni 4 anni, presso il santuario di Zeus e
avvenivano in un contesto solennemente sacralizzato. La passione popolare per i giochi era
molto forte e la vittoria in una gara olimpica, ricompensata con una corona d’alloro, faceva
del giocatore un eroe.
Anche nella Roma Imperiale il gioco occupava una posizione rilevante, sia nella vita dei
ricchi, che in quella del cittadino comune: sui combattimenti dei gladiatori era possibile
scommettere con delle puntate, chiamate “munera”. Gli imperatori Claudio, Nerone e
Caligola, avevano la fama di essere grandi scommettitori9. Tacito ci racconta come nello
stesso periodo, presso le popolazioni germaniche, si arrivava anche a mettersi in gioco la
moglie e i figli, e a volte anche la propria libertà.
Il gioco è stato scoraggiato durante l’epoca cristiana: il teologo e filosofo Sant’Agostino
6
M. Dickerson, La dipendenza da gioco. Come diventare giocatori d’azzardo e come smettere, Ed. Gruppo
Abele Torino 1993
7
Ibidem
8
J. Huizinga, Homo Ludens, trad. It. Ed. Einaudi Torino 2002
9
M. Dickerson, La dipendenza da gioco. Come diventare giocatori d’azzardo e come smettere, Ed. Gruppo
Abele Torino 1993
definiva il gioco d’azzardo come una forte tentazione da condannare duramente. Nel 1212
il Consiglio Lateranense ha proibito qualsiasi forma di gioco d’azzardo, considerando
sacrilego l’atto di ricorrere al divino o al maligno per ottenere risultati. Tuttavia nel
Medioevo questo è riemerso: il gioco più diffuso era quello con i dadi in legno, osso o
avorio, chiamato “zara”: si giocava con tre dadi e vinceva colui che otteneva il numero
proclamato ad alta voce prima di gettare i dadi. In seguito, però, molti statuti hanno
proibito severamente i giochi d’azzardo e molti giochi di abilità che avevano posta di
denaro e che si svolgevano al di fuori di specifici luoghi adibiti al gioco, le baratterie. Chi
non rispettava questo divieto, andava incontro alle più diverse pene10.
In Spagna, il Re di Castiglia, Alfonso X, ha fatto pubblicare una serie di libri sulle
discipline più significative dell'epoca: oltre all'astronomia e alla matematica, non è mancato
un volume sui principali giochi. Nello stesso periodo hanno fatto la loro comparsa le corse
con i cavalli, con le relative scommesse annesse, che in Inghilterra erano chiamate lo “sport
dei re”, ma successivamente si sono diffuse anche al resto del popolo.
La pratica del gioco d’azzardo era diffusa anche nelle popolazioni indigene d’America, sin
da prima che fosse scoperta.
Tommaso Moro (1516) è stato il primo autore che ha proposto lo sradicamento dalla
società della pratica del gioco d’azzardo: gli abitanti di “Utopia” non avrebbero dovuto
conoscere i dadi, le carte e tutti gli altri giochi d’azzardo, considerati pericolosi e stupidi.
Nel XVI secolo, su volontà della regina Elisabetta I di Inghilterra, sono nate le lotterie,
termine che deriva da a lot of che tradotto significa “tanto di..”, che sono diventate presto
popolari in tutta Europa.
Nel 1638 a Venezia è nata la prima casa da gioco al mondo, cui sono seguiti il casinò di
Montecarlo, inaugurato nel Principato di Monaco nel 1861, il casinò di Sanremo nel 1906 e
il casinò di Las Vegas nel 1946, destinata a diventare capitale mondiale del gioco
d’azzardo. Tra il XVIII e il XIX secolo sono nati anche i primi club privati per il gioco
delle carte, frequentati esclusivamente dai nobili e da personaggi importanti. Nello stesso
periodo sono stati inventati altri due noti giochi popolari: la roulette, a cui si deve
l’invenzione al filosofo Pascal e la poker machine, nota come slot machine, opera dello
statunitense Fay.
10
C. Guerreschi, Il gioco d’azzardo patologico. Liberati dal gioco e dalle altre nuove dipendenze, Ed. Kappa
Il gioco d’azzardo, come mostra questo breve excursus storico, è un’attività che fa parte di
ogni epoca e anche ai nostri giorni è molto diffuso e in continua crescita tra la popolazione.
Negli ultimi anni si è assistito alla nascita di nuove forme di gioco, che permettono di
scommettere in modo facile e veloce, anche da casa attraverso il telefono e internet. Ma
allo stesso tempo vi è un aumento delle persone che perdono il controllo giocando, non
hanno più il senso del limite e manifestano una vera e propria forma di dipendenza. Questo
ha portato alla creazione di specifici dispositivi che cercano di intervenire, da un punto di
vista psicologico, sociale ed economico, sulle problematiche che emergono nei giocatori
patologici.
Un aspetto interessante da sottolineare è come sia cambiata nel tempo la percezione del
gioco d’azzardo: inizialmente la condanna del gioco è stata di pertinenza della chiesa, che
lo considerava una tentazione da condannare. E’ seguita una fase di proibizionismo, dove il
gioco è diventato di competenza del diritto, e quindi un reato, mentre oggi prevale un
duplice punto di vista: il gioco d’azzardo appare sempre più dominio della medicina e della
psicologia, che lo definiscono come una patologia da curare, e di dominio dell’economia,
secondo la quale il gioco è business, in quanto produce ricchezza, porta lavoro e profitto
alle comunità locali.
1.2 Il gioco e l’azzardo
Prima di giungere ad una definizione di “gioco d’azzardo”, mi sembra opportuno
soffermarmi a comprendere cosa si intende con il concetto di “gioco” e con quello di
“azzardo”, arrivando, attraverso l’analisi di questi, a comprendere quando e come il
semplice “gioco” diventa “gioco d’azzardo”.
Il gioco ricopre una posizione rilevante nella vita di tutti gli esseri viventi, uomini e
animali. Galimberti lo definisce come “un’attività spontanea, che possiede un aspetto
gratificante in sé e non nel fine che raggiunge o produce.”11. Il gioco si presenta come una
via per esplorare e conoscere il mondo esterno, ma allo stesso tempo permette di scoprire
anche il proprio Sé. Nell’individuo, bambino o adulto, svolge una funzione molto
importante nel processo dello sviluppo della mente e della personalità, perché coinvolge la
11
U. Galimberti, Dizionario di psicologia, Ed. Garzanti Torino 2004
dimensione intellettuale, creativa ed emotiva, oltre ai processi di socializzazione ed
educazione. Il gioco è un’attività ludica che provvede a soddisfare determinati bisogni
umani, quali il confermare la propria esistenza e l’affermare il proprio valore. Il primo
viene soddisfatto attraverso stimoli cognitivi, emozionali e fisici che scaturiscono
dall’esperienza ludica, il secondo deriva da sentimenti di efficacia personale e dalla
consapevolezza di essere coinvolti in un contesto rischioso, che implica l’uso delle proprie
abilità per affrontarlo.
Lo storico olandese Huizinga considera il gioco una qualità costitutiva fondamentale, tanto
che accosta al concetto di “Homo faber”, uomo produttore, quello di “Homo ludens”12.
Secondo l’autore, chi ritiene che il gioco sia un’attività secondaria o addirittura inutile,
commette un grave errore di giudizio, perché ogni attività umana e ogni aspetto della vita
può essere ricondotto ad esso. Il gioco non è più inteso come un antagonista del lavoro, ma
assume un ruolo fondamentale all’interno della società umana, la quale sorge e si sviluppa
nel gioco e come gioco. Attraverso esso, l’uomo realizza il fare, il costruire, il creare,
coinvolgendosi nella sua dimensione interiore e sociale. Il gioco assume diverse funzioni
nella persona:
è una sorta di esercizio preparatorio ai diversi compiti esistenziali: biologici, sociali,
relazionali e culturali
serve ad appagare i bisogni fondamentali del controllo sulle cose, del bisogno di
competere e misurarsi, del bisogno di dominare, di autoaffermarsi attraverso la sfida
serve anche a concedersi dei momenti di svago.
Il sociologo Callois sostiene la necessità di considerare il gioco in tutte le sue sfaccettature:
ritiene che l’analisi di Huizinga esclude completamente i giochi d’azzardo, che tuttavia
costituiscono una parte importante della vita delle persone. L’autore ha elaborato una
classificazione dei principali giochi, che l’uomo può incontrare nel corso della sua
esistenza13:
12
J. Huizinga, Homo Ludens, trad. It. Ed. Einaudi Torino 2002
13
R. Callois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Ed. Bompiani Milano 1981
Mimicry: con questo termine l’autore intende l’attitudine di simulare la realtà attraverso
le infinite forme di travestimento e simbolizzazione che compaiono frequentemente nelle
attività di gioco. Sono i cosiddetti giochi di ruolo dove si diventa “altro”.
Ilinx: sono i giochi di vertigine, legati alla ricerca del brivido, a rituali di iniziazione, alla
dimostrazione di coraggio.
Agon: sono i giochi di competizione, che soddisfano il bisogno umano di autoaffermarsi,
di avere il controllo sulla realtà, di sentirsi forti. Questo bisogno, assieme all’aggressività,
è strettamente legato ai bisogni fondamentali dell’uomo (sopravvivenza, nutrizione,
riproduzione): una persona capace di buona efficienza nel raggiungere questi obiettivi,
avrà maggiori possibilità di sopravvivere e riprodursi, potrà difendersi efficacemente,
fuggire dai pericoli che incontra e procurarsi il cibo.
Alea: questo termine in latino significa “gioco di dadi” e Callois lo utilizza per designare
tutti quei giochi basati sul rischio, che producono eccitazione e una successiva
gratificazione se si vince. L’abilità del giocatore è ininfluente, il caso è dominante. L’alea
rappresenta la negazione del lavoro, della qualificazione personale e appare come una
derisione del merito, proprio perché reca al giocatore fortunato più di quanto possano
procurargli il lavoro e la fatica.
Il confronto tra Agon e Alea risulta particolarmente interessante perché ne risalta
l’opposizione: mentre i giochi di competizione sono basati sull’abilità individuale, i giochi
di rischio sono completamente abbandonati al destino, non hanno nulla a che fare con la
bravura e le capacità della persona. Nel momento in cui il gioco da magico, da momento di
svago e di felicità, diventa talmente coinvolgente da risultare “demoniaco”, allora si parla
di gioco d’azzardo: è caratterizzato da una dimensione attraente che porta l’individuo al
desiderio di dominare il caso, a provare emozioni particolarmente forti, ma allo stesso
tempo presenta una dimensione instabile che lo espone al rischio14.
14
Cfr. http:// www.stpauls.it
La parola “azzardo” deriva dal termine francese hasard, che a sua volta deriva dall’arabo
az-zahr e significa “dado da gioco”. L’azzardo è definito come un complesso di circostanze
casuali che implica, fra gli esiti possibili, rischi e pericoli: azzardare significa esporsi ad un
rischio, agire in modo avventato.
Giungiamo così ad una definizione di gioco d’azzardo inteso come un’attività ludica che si
caratterizza per il rischiare una più o meno ingente somma di denaro, in vista di una vincita
in denaro, strettamente legata al caso e non all’abilità individuale15. I due aspetti
caratterizzanti il gioco d’azzardo sono quindi il dominio del caso e l’atto del rischiare.
1.3 Il dominio del caso
Nella mitologia romana, inizialmente Fortuna era la dea della fertilità. In seguito la dea
veniva invocata soltanto per essere favoriti dalla sorte, consultandola sul futuro mediante i
suoi oracoli nei templi di Antium (oggi Anzio) e di Praeneste (oggi Palestina): Fortuna era
diventata così dea del caso. I Romani ne attribuivano l’introduzione del culto a Servio
Tullio, il Re che più fra tutti, è stato favorito dalla Fortuna. Si racconta che lei lo avesse
amato, anche se lui era un comune mortale, e che avesse l’abitudine di entrare a casa sua
attraverso una finestrella.
Fortuna è solitamente raffigurata con una benda sugli occhi e con un timone in mano, come
si può vedere nel disegno nella pagina successiva, appartenente ad un manoscritto del XV
secolo. Fortuna è arbitra del destino degli uomini, ai quali distribuisce ciecamente ora
felicità, ricchezza e benessere, ora infelicità e sventure. Si nutre della capacità degli esseri
umani di attrezzarsi per affrontare lo sconosciuto che li circonda: il caso.
Nel termine “caso” risuona l’antica derivazione dal verbo latino “cadere”, per cui il caso è
ciò che ci “ac–cade”, l’”accidentale”. La sua grandezza è direttamente proporzionale
all’incapacità della ragione dell’uomo di padroneggiare il mondo in cui vive. Tanto
maggiore è questa incapacità, più è la difficoltà di determinare, attraverso la ragione, il
futuro. Il caso rappresenta la cecità degli esseri umani e l’augurarsi Fortuna è il supplicare a
proprio favore proprio quella casualità che non si è in grado di controllare.
15
C. Guerreschi, Il gioco d’azzardo patologico. Liberati dal gioco e dalle altre nuove dipendenze, Ed. Kappa