Mutazioni
L’inserimento dei media nell’operare arti-
stico utilizzati a fine estetico negli ultimi
trent’anni ha creato una situazione inedita,
rimettendo così in argomento diverse pro-
blematiche portate avanti con forza dalle
avanguardie e cioè le ridefinizioni dell’arte
come un operare creativo
diffuso e la sua conse-
guente volontà di portare
l’operare estetico nella
vita quotidiana, metten-
do così in risalto un’este-
tizzazione dei media.
I linguaggi artistici dun-
que, oggi devono conti-
nuamente confrontarsi
con il paesaggio rigurgi-
tante dai media e sce-
glierne così l’utilizzo delle
nuove tecnologie come
strumento per il nuovo
pensiero contemporaneo.
Come all’inizio del secolo le nuove tecnolo-
gie (treno, machina, telegrafo, radio, volo
aereo ecc…) oltre a trasformare le nostre
percezioni, sconvolgono e mutano (oltre a
ridefinire) il territorio dell’arte, oggi, que-
ste stesse nuove tecnologie provocano dei
trasferimenti, materializzazioni, multime-
dialità create dai vari linguaggi del medium
digitale, mutando così i rapporti fra indivi-
duo e produzione, individuo e realtà perce-
zione e rappresentazione.
Oggi per definire il ruolo delle “arti tecno-
logiche” bisogna collocare il pensiero
nuovo delle tecnologie in un contesto di
fare creativo, problematiche non sempre
definibili da un pensiero, quello della cultu-
ra tecnologica, che è progettuale, attivista,
filosofico, scientifico.
I nuovi media possono cambiare, trasfor-
mare, mutare, estendere.
Cambiare la percezio-
ne, trasformare i ruoli
culturali, mutare il rap-
porto far uomo e natu-
ra, estendere le cono-
scenze in spazi inesplo-
rati.
La multimedialità
diventa così la parte di
un vasto dispositivo
estendibile ai vari pro-
cessi di comunicare,
informare, creare,
inventare, cambiando
così di senso, dimen-
sione, estensione.
Se finora vi è stata lontananza fra le aree
dell’arte contemporanea e le sperimenta-
zioni elettroniche, ora avviene un incontro,
una percezione dei linguaggi elettronici che
si propongono in maniera aggressiva e
contraddittoria.
I linguaggi estetici si esprimono così attra-
verso le nuove tecnologie e chiedono di
essere inseriti nell’area delle arti visive,
chiedendone a volte anche la cessazione in
favore delle nuove promesse di quest’arte
6
Man Ray, Lacrima, 1930
Tecnologie e produzione artistica
modernista.
L’arte moderna, di conseguenza, si è ride-
finita con le avanguardie storiche iniziando
a interrogare le nuove realtà tecnologiche
e comunicative e i suoi ruoli in uno scena-
rio in continua mutazione.
È stata proprio la fotografia a provocare
una frattura nei linguaggi visivi. Frattura
che ben si paragona a quanto sta avvenen-
do oggi con la comparsa dei linguaggi elet-
tronici e telematici.
Il suo percorso è significativo per valutare
i nuovi scenari e i processi di crescita che i
nuovi linguaggi propongono con rapida
successione.
I nuovi media infatti investono oggi il
mondo dell’immagine e della comunicazio-
ne in modi simili a quelli della fotografia
nel secolo scorso: soluzioni inedite, inter-
ferenze, mutamenti nel ruolo dei linguag-
gi: sorprendenti possibilità di nuove confi-
gurazioni artistiche che trovano così una
esatta collocazione estetica.
Se la fotografia non è nell’Ottocento il solo
medium a “interferire” nel campo delle arti
plastiche, resta però l’esperienza, iniziale e
traumatica, del rapporto fra arte e linguag-
gi di massa e in qualche modo un modello
della relazione fra i due campi paralleli e
contrastanti: è la fotografia a porre impor-
tanti problemi di ruolo all’artista visivo, e
insieme a modificare lo scenario percettivo
in cui questo si muove, per esempio poten-
ziando alcune funzioni della raffigurazione,
come l’inventare, il collezionare, il registra-
re, l’identificare, l’informare.
Ed è proprio la fotografia che mette in
evidenza la contraddizione apertasi fra tec-
nica, linguaggio e ruolo creativo e, ancora,
7
Man Ray, Rayografia, 1922
"La fotografia non è un'immagine in tempo reale. essa mantiene il
momento del negativo, la suspense del negativo, quella leggera sfasatura che per-
mette all'immagine di esistere, prima che il mondo o l'oggetto scompaiano nell'im-
magine… La fotografia preserva il momento della scomparsa, e dunque il fascino del
reale come di una vita anteriore".
Jean Baudrillard, 1996
Duchamp, Anemic Cinema, 1926
Impronte
ad aprire un percorso che si ripropone per
ogni nuovo dispositivo meccanico capace
di interagire con le nostre acquisite capaci-
tà di visione e di rappresentazione.
Percorrendo tutto il secolo: dai collage
cubisti al cinema dell’avanguardia, dal
Teatro Elettrico di Prampolini al videotea-
tro, da Anémic Cinèma di Duchamp alle
videoinstallazioni di Nam June Paik, dall’ar-
te su supporti immateriali dei futuristi alle
comunicazioni via internet di artisti con-
temporanei.
Uno sguardo al passato
Nel lavoro dei cubisti, tutto incentrato
sulla rappresentazione dello spazio, si
introducono elementi visivi, significativi e
concordanti insieme, presenti, in modo
diverso e inatteso, in moltissime nature
morte o ritratti.
Materiali seriali e reali: biglietti del cinema,
etichette, pubblicità, ritagli di giornale; il
loro inserimento indica che, se il centro
dell’affermazione plastica del cubismo è lo
spazio, il problema del rapporto fra realtà
e rappresentazione viene giocato sulla
natura fisica dei materiali proposti.
Le icone di origine industriale rimandano
necessariamente alla realtà e al moltipli-
carsi delle immagini mediatiche. Anche il
cinema diventa uno strumento interessan-
te di sperimentazione nella problematica
cubista.
Il quadro schermico è visto come un luogo
adatto in cui si può trattare la molteplicità
dei punti di vista, il movimento cinetico, il
modellamento della luce, i mutamenti del
colore nello spazio, l’inserimento nel lin-
guaggio plastico di dettagli presi dalla real-
tà.
L’intera trama propositiva del futurismo è
costruita invece su una vasta e articolata
attivazione di complessi temi riguardanti i
linguaggi di massa con una estesa ed
esauriente assunzione di conoscenze e di
possesso di praticamente tutti i media,
dalla stam-
pa al cine-
ma, dalla
fotografia
alla radio,
dalla posta
al manife-
sto.
Questa
inclinazio-
ne verso i
media è
espressa
con forti
prese di
posizione
chiara-
mente
identificate
8
Locandina Futurista, 1926
Pablo Picasso, Collage, 19xx
attraverso il rapporto fra industria, comu-
nicazione e linguaggi estetici, indicando
così i media come terreno d’azione dell’ar-
tista moderno.
L’opera d’arte non è più oggetto solido, bi
o tridimensionale, ma un dispositivo di
complessa natura tecnologica allo stesso
modo debitore verso l’industria il cinema e
lo scenario urbano con i suoi manifesti e
insegne luminose.
La storia dei rapporti fra arte e media fino
ad oggi è riconosciuta, definita e prevista
per massima parte dal futurismo con ipo-
tesi alquanto significative nel contesto dei
nuovi media.
Un percorso sulle interazioni fra media e
futurismo copre quindi ogni possibile appli-
cazione dell’arte sui linguaggi di massa.
Il film modello di libertà creativa e di auto-
nomia dai codici espressivi ma ancor più
dispositivo tecnologico complesso in grado
di proporre situazioni percettive complesse
e di ampliare nello spazio oltre l’aspetto
visivo anche quello sonoro, proprio nel
futurismo si definisce come un “oggetto
nuovo” che ritorna ancora oggi all’attenzio-
ne nello spazio creato dall’elettronica dove
l’opera si attua attraverso complessi dispo-
sitivi che sembrano muoversi verso un
coinvolgimento di tutti i sensi.
L’atteggiamento dadaista verso i nuovi
media discende in parte dal futurismo, ma
ne contrasta un aspetto alquanto impor-
tante: l’assoluta fiducia verso la macchina
e la sua capacità “salvifica” e produttrice di
una società nuova.
Dada punta invece sul rifiuto del sistema
culturale e artistico tradizionale, della sua
iconografia, dei suoi valori, dei suoi codici,
in una globale proposta di destrutturazione
culturale e di libertà e autonomia sociale.
I lavori di molti artisti testimoniano la
vasta pratica espressiva del collage multi-
mediale e dell’uso ormai acquisito della
fotografia come ready-made.
Per questo l’impiego della fotografia da
parte di Duchamp e altri artisti che si col-
legano con il dadaismo è particolarmente
significativo per un senso nuovo del
medium.
La fotografia è il mezzo per messaggi tra-
sversali che escludono l’intervento del
mezzo pittorico, da Duchamp, ad esempio,
viene rifiutato e rimpiazzato da oggetti tro-
vati e da oggetti composti in modo multi-
mediale, come in numerosi autoritratti, in
cui la propria immagine diventa il significa-
to che l’artista propone e la fotografia il
medium ideale per rappresentarlo.
L’uso dadaista dei media evita dunque la
teorizzazione e il progetto, quest’ultimi
scavalcati da rapido gioco di improvvisa-
zione nelle possibilità dei linguaggi.
Le pratiche dada dell’assurdità visiva, della
sorpresa e dello spiazzamento saranno
infatti il terreno di crescita della conquista
filmica e video degli anni Sessanta.
Neodada è la definizione di artisti che a
New York prima del 1960 ricominciano ad
utilizzare strumenti tipici delle avanguar-
die: il collage multimediale, l’azione per-
formativa, l’interesse per l’environment
urbano e per i linguaggi di riproduzione
meccanica e di comunicazione di massa.
L’assemblaggio si inserisce sempre più
nello spazio e si configura come un ogget-
to oltre il quadro, muovendosi all’esterno
del supporto bidimensionale. In queste reti
9
di comunicazione trovano proseguimento
le tematiche di collaborazione interlingui-
stica fra musica e arti plastiche, l’utilizza-
zione di tecniche fotografiche e cinemato-
grafiche e l’interesse per soluzioni tecnolo-
giche collegate a problemi artistici. Si crea
dunque un contesto in cui vengono nuova-
mente messi in questione umori, idee,
strategie e tattiche delle avanguardie sto-
riche, di preferenza il dadaismo, che rico-
mincia ad evidenziarsi fra Stati Uniti ed
Europa intorno alla metà degli anni
Cinquanta.
Contesto che diviene un territorio delle
immagini per il quale non si ha più un pro-
getto di cambiamento e in cui si vive con
un atteggiamento di aspra convivenza
come in un ambiente naturale, ostile e sti-
molante insieme. L’obiettivo non è solo la
forma-opera, quanto il ricreare un spazio
di dialogo fra segni estetici e reperti della
vita quotidiana e della comunicazione (i
riferimenti a Schwitters e al suo Merzbau
sono evidenti). Il crescente uso di materia-
li diversi dalla pittura inseriti sulla tela e
più tardi estesi oltre i suoi limiti, indicano
la sfuggente intenzione di questo tipo di
pittura di lanciarsi in una dimensione tridi-
mensionale.
In Germania il gruppo Fluxus aggrega
all’inizio degli anni Sessanta una vasta
area di artisti interessati alle linee di ricer-
ca non oggettuale e alle pratiche perfor-
mative, coinvolti con il movimento degli
happening e con il revival dadaista che
10
Rauschenberg, Letto, 1955
Schittwers, Merzabau, 1923-1932
attraversa lo scenario
artistico di quel periodo.
Agendo all’insegna della
distruzione delle barriere
fra i linguaggi, le azioni
utilizzano persino la
destrutturazione dell’or-
dine musicale per artico-
lare gesti e materiali atti-
nenti anche alle arti visi-
ve.
Secondo la strategia sto-
rica dei ready-made, gli
oggetti di produzione
industriale, le fotografie,
il collage, il cinema ridi-
ventano efficace mezzo
di espressione di un
movimento che cresce
sull’umore contestativo e
che caratterizza il decen-
nio.
Il cinema, dunque, per
Fluxus è uno strumento
libero dalle ipotetiche
estetiche della pittura, si
presta ad un uso libero
della realtà, gli artisti flu-
xus inglobano frammenti
della dimensione mediatica
e sperimentano il cinema.
Il cinema diventa così indi-
pendente e spinge gli arti-
sti fluxus a utilizzarlo come
memoria e come rappre-
sentazione, partecipando
personalmente alle realiz-
zazioni. Il cinema come
modello linguistico, alter
ego dell’arte nuova sui pro-
blemi della rappresentazio-
ne, del tempo e dello spa-
zio, ha, nell’immaginario
degli artisti della prima
metà del secolo, un preciso
peso di cui non si trova
adeguato confronto con il
nuovo mezzo televisivo.
Il cinema diviene strumen-
to tecnologico, linguaggio
della manipolazione pubbli-
citaria, linguaggio pervasi-
vo senza essere esplosivo,
missaggio e manipolazione
di materiali docu-
mento, materiali
divenuti col tempo
un metatesto, un
archivio di imma-
gini significanti
che si trovano in
un contesto tecno-
logicamente vasto
e realizzato e dove
le strategie comu-
nicative sono una
realtà dominante.
11
Yoko Ono, Fluxfilm, 1963
Lichtestein, Apri il fuoco, 1964
L’arte pop si differenzia dalle altre corren-
ti artistiche nella pratica di un’immersione
totale dentro i linguaggi di massa. È la
prima corrente artistica dopo i futuristi ad
evidenziare ogni forma di comunicazione,
ogni significante dettaglio nell’universo dei
segni comunicativi della società moderna.
L’atteggiamento della pop art non condivi-
de in nessun modo l’ottimismo e l’impegno
del futurismo. L’ironia, l’oggettività e il
distacco, il disincanto verso la macchina e
la tecnologia, la semplice constatazione
sono gli atteggiamenti riconoscibili degli
artisti pop.
Le realtà che
vengono alla
ribalta attraverso
il linguaggio
“freddo” della
pop art sono
quella del consu-
mo e dell’inva-
sione dei lin-
guaggi di massa,
ma anche la
celebrazione del
potere espressi-
vo dell’immagine
mediatica e della
sua capacità
d’interferire con
il linguaggio del-
l’arte.
La pop art crea una situazione di finto con-
senso verso i media che le permette di
vivere l’aggressività dei manifesti cinema-
tografici, la stilizzazione figurativa del
fumetto, l’ottimismo stereotipato della
pubblicità.
Così come le avanguardie prendevano a
modello il linguaggio dello spettacolo urba-
no quali il cabaret e il teatro di varietà, i
linguaggi estetici degli anni Sessanta utiliz-
zano elementi di nuove forme culturali rea-
lizzate dalla comunicazione di massa.
Si ridefinisce così in forma indifferente e
critica un atteggiamento di analisi e di con-
fronto con i media. La comunicazione e le
sue leggi sono evidenziate sulle possibilità
vincenti della diffusione e persuasione dei
vari linguaggi, mentre l’arte si interroga
non tanto sul loro valore morale ed etico
ma sulla natura della loro forza carismati-
ca.
Mentre il gruppo
Fluxus continua a
svilupparsi negli
anni Sessanta
parallelamente
alla pop art, altre
correnti si sinto-
nizzano con le
tematiche
destrutturati del
linguaggio artisti-
co.
I mass media
vengono spesso
considerati
espressione di
una saturazione
tecnologica che
allontana da un rapporto autentico con la
natura e alllontana le coscienze dal rappor-
to con la realtà.
Le Correnti Sperimentali usano strategie
di analisi e di destrutturazione dell’arte,
come land art, che ridisegna il rapporto
uomo terra, o come l’arte concettuale che
definisce in modo nuovo la conoscenza del-
12
Douglas Davis, The Florence Tapes, 1974
l’arte riportandola ai suoi processi mentali
e ai suoi concetti informativi. La tecnologia
dei media e i suoi processi sono in genera-
le estranei alle nuove tendenze, ma lo spo-
stamento dell’arte visiva verso azioni effi-
mere e pratiche non oggettuali richie-
de l’uso di fotografia, cinema e video
come testimonianza.
Nello sviluppo della ricerca elettronica
ogni nuovo elemento tecnologico
porta a una nuova definizione delle
strategie di indagine che a loro volta
comportano il nascere di nuove fun-
zioni ed espressioni. Il videotape,
rende così possibile inedite forme di
documentario, su cui lavorano nume-
rosi gruppi fra gli anni Sessanta e
Settanta.
Le correnti concettuali riscoprono
direttamente o indirettamente le tec-
nologie comunicative. Si configura e
cresce un’area che riestetizza foto,
film e video, aprendo a quest’ultimo
uno spazio dove sono possibili tutte le
forme di sperimentazione e applicazione,
dal video come memoria al video come
opera.
Si utilizza il video per sperimentazioni sul
rapporto fra corpo e ambiente, come
esplorazione sensoriale operando sui gesti
e sulla tattilità.
Cinema e video diventano così documento
di azioni rese visibili ed esistenti attraver-
so il medium, medium usato a volte come
evidenziatore di punti significativi della
realtà dove l’azione si compie, siano essi lo
spazio o il corpo.
Gli anni Ottanta si aprono su una situazio-
ne contraddittoria. Profonde mutazioni
avvengono nel sociale: entrano in crisi i
movimenti generazionali, la ricerca dell’ar-
te sperimentale, del suo uso creativo dei
media della sua attenzione e della sua ana-
lisi. L’inizio del decennio vede così uno sce-
nario di mutamenti improvvisi e inattesi,
inedite accelerazioni e convergenze fra
arte e media.
Si assiste ad un nuovo ed enorme salto
tecnologico che ha per protagonisti il
video, la televisione e l’informatica.
L’iconografia del cinema si frantuma nei
molteplici linguaggi televisivi.
L’informatica si diffonde con una crescita
continua sulle sue possibilità di applicazio-
ne sia nella produzione dell’immagine
autonoma o collegata alla tecnologia del
video.
Il salto tecnologico unitamente composto
dalle tecniche elettroniche e informatiche
crea una vitalità dell’idea di tecnologia e di
scienza come non accadeva dagli inizi del
13
Nam June Paik, Butterfly, 1986
secolo, divenendo così, quella tecnologica,
un’immagine seducente, spingendo al
nuovo e rimettendo in sintonia la tecnolo-
gia e la scienza nell’immaginario artistico.
Il rinnovamento della tecnologia porta a
ridefinire la percezione anche della città
come montaggio di infinite azioni comuni-
cative diverse l’una dall’altra e collegate
dal diffondersi di linguaggi elettronici, una
nuova sensibilità della produzione d’imma-
gine di cui vediamo l’esempio nel graffiti-
smo.
In un contesto dove la multimedialità
diventa il punto focale di un’area di ricerca
che si muove svincolata da confini cultura-
li, si diffonde la sperimentazione video
prendendo a modello insieme il cinema
sperimentale e i linguaggi emergenti della
televisione.
Connotazioni importanti sono anche la
manipolazione dell’immagine attraverso gli
effetti speciali, la manipolazione del colore
e il trattamento digitale. Come le avan-
guardie storiche si modellizzavano sulla
stampa o la pubblicità, il video cita e utiliz-
za i linguaggi rapidi della televisione come
spot, sigle, videoclip per esprimere conte-
nuti sperimentali. Ora la tecnologia video è
il centro dell’attenzione dell’artista per le
possibilità inesplorate aperte dalla nuova
manipolabilità del mezzo, definendo così la
legittimazione del medium video e l’ingres-
so sulla scena della comunicazione dei
nuovi media collegati al computer.
È questo un percorso, dunque, che le
avanguardie estetiche compiono dall’inizio
del secolo fino ad oggi, ridefinendo conti-
nuamente i confini dell’arte attraversando
continuamente i territori occupati dai lin-
guaggi di massa.
L’arte deve quindi percepire e assorbire le
qualità nuove e rivoluzionarie dei media,
che permettono di ampliare il linguaggio
creativo sulla totalità dell’ambiente e
all’artista di ampliare e diversificare il pro-
prio ruolo. I problemi della rappresentazio-
ne e della percezione si investono in un
processo che sconvolge l’ordine visivo
preesistente e pone il problema del tra-
pianto fra mente e media: trapianto o
ristrutturazione che parte dalla messa in
causa dei confini della percezione in una
realtà ampliata da forti processi mentali e
dalle nuove tecnologie.
Gli ultimi quindici anni testimoniano l’effer-
vescenza provocata dalla straordinaria
presenza dei linguaggi elettronici, dalle
inedite applicazioni del computer nel
campo dell’immagine e il suo articolarsi
con il video in modo da creare dei disposi-
tivi più complessi rispetto a quelli consen-
titi da cinema e televisione, da un’esten-
sione della comunicazione che si fa interat-
tiva alla possibilità di partecipazione e
interscambio con implicazioni nuove e dif-
ficili conseguenze da prevedere.
14
Il cinema Underground
Il cinema underground è un’area di sperimentazione che si colloca sia in una dimensio-
ne vicina alle arti plastiche, con le quali condivide obiettivi comuni, sia nel riferimento
alla tradizione del cinema delle avanguardie storiche diffusosi attraverso i musei e i cine-
club e attraverso l’attività di artisti trasferitisi negli Stati Uniti durante la guerra come
Richter, Fischinger e i surrealisti.
Durante gli anni Cinquanta-Sessanta molti giovani creativi scelgono il cinema come lin-
guaggio di espressione e di ricerca. Interpretando gli umori Antiestablishment della beat
generation, quello che viene prodotto è un cinema estraneo alle preoccupazioni spetta-
colari, che si propone come di ripartire da zero nella ricerca sul linguaggio filmico. il cine-
ma underground lavora sulla struttura del mezzo cinematografico in maniera anche più
radicale rispetto agli artisti degli anni Venti: ricerca un diverso tempo filmico, insegue
l’obiettivo di un linguaggio libero dalle imposizioni del mercato, teorizza una creatività al
di fuori dei canoni prestabiliti.
L’idea di un cinema come ricerca visiva si ricrea nella cultura americana e trova terreno
fertile nell’atteggiamento di apertura e di studio sull’incrocio linguistico che artisti come
John Cage mediano dalle avanguardie europee e diffondono nell’arte americana. La tra-
dizione del cinema d’artista europeo diventa una pratica diffusa fra film-maker coscien-
ti della ricerca sperimentale delle arti visive, di cui sviluppano una sezione dentro il lin-
guaggio filmico.
La pratica multimediale delle performance utilizza il cinema per ampliare l’impatto per-
cettivo e per documentare; il tetro sperimentale mutua queste soluzioni e le ritrasmet-
te.
Dagli anni Sessanta l’interscambio fra teatro, musica e arti visive si fa sempre più fitto:
Neodada, Pop Art, Arte Concettuale, Land Art utilizzano e scambiano idee e stili con il
cinema sperimentale. George Maciunas porta l’esperienza filmica nella pratica Fluxus,
prestandosi anche come operatore per gli artisti del gruppo.
Il cinema underground realizza un’area di missaggio linguistico che prepara l’uso del cin-
ema prima e del video poi nel campo delle arti plastiche. E, in prospettiva, le attrezza
per i problemi della visione che i nuovi media continuano ad aprire.
Ciò che questi filmaker consacravano nella manipolazione della pellicola vista come sig-
nificante era la sua frantumazione quasi placentare nello stesso gesto di schernirla o di
riconnotarla, nella prospettiva di svuotare i simboli già esistenti della tradizione narrati-
va.
La pellicola del cinema underground subiva lo stesso processo dissacratorio che, né più
né meno nell’arte degli stessi anni in Italia, induceva Lucio Fontana nel 1958 a squar-
ciare la tela seguendo i suoi concetti spaziali e, nello stesso periodo, trascinava Alberto
Elementi
15
16
Elementi
Burri a bruciare le sue plastiche.
Era la sintomatologia di un sentire slegato dalle convezioni già stabilite e svuotate ormai
di ogni interesse. Questo cinematismo deraciné, nonostante tutto, nasceva dalle cesure
già inferte dalle avanguardie europee e si intrecciava al contesto di disordine simbolico
dell’epoca provocato dalla trasformazione sociale ed economica postindustriale e,
soprattutto, dell’atmosfera caotica degli
anni della controcultura. In questa caleido-
scopica espansione della galassia under-
ground rifulge, accattivante e fiammeg-
giante, la mitica figura di Jack Smith
1
,
astro carismatico della più deviante intru-
sione celluloidica di quegli anni.
Il film The Flaming Creatures è un innesco
visivo, un deflagrante contenitore di pulsio-
ni selvagge, di emozioni indomite, un
demoniaco e graffiante scarto della
coscienza che liquefà le già alte temperatu-
re del New America Cinema. Uscito nel 1965,
e subito sequestrato dalla polizia newyorkese, il film era una sorta di mitologia delle
oscenità inserite nella carne. Perversioni come slittamenti progressivi del piacere dila-
zionati nella bellezza estatica della usa esaltazione fantastica, dei suoi luminosi passag-
gi linguistici. Distrofico e conturbante con qualcosa di miticamente irrazionale.
Il cinema dunque diventa come un meccanismo dispotico da sovvertire, come un ogget-
to d’amore da penetrare, come un sistema denaturalizzato di trasgressione del reale è
l’idea maniacale che attraversa quella sorta di rivolta linguistica che rappresentò il nuovo
orizzonte dove viene coniugato un diverso sistema di unità linguistica nell’indolente
avversione verso il cinema della tradizione visiva.
1
Si veda Teresa Macrì, 1998
Jack Smith, Flaming Creatures, 1965