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Gerusalemme. Una questione geografica_____________________________
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A Gerusalemme inizia e finisce il mondo.
Gerusalemme è sita nel luogo dove alcuni credono tutto, il globo, ha avuto
origine, ovvero nel paradiso terrestre e dove tutto finirà, nell’armageddon, nella
battaglia tra il Bene ed il Male. Gerusalemme è stata per molti secoli il centro delle
mappe e quindi il centro del mondo occidentale. Gerusalemme è una città tre volte santa
per le principali religioni monoteistiche. Gerusalemme è il cuore di un lungo conflitto e
cento altre volte è stata teatro di violenza. Gerusalemme è una delle chiavi del conflitto
geopolitico in Medio Oriente. Gerusalemme è una e molte città; contraddittoria,
simbolicamente potente, enigmatica. Gerusalemme, Al-Quds, Yerushalaim: tante
oggettivazioni, pietrificazioni attraverso nomi e rappresentazioni di un unico soggetto
sfuggente. Gerusalemme è una città da studiare incredibilmente affascinante, capace di
suscitare emozioni intense e contrastanti, di stregare, rapire e financo fare impazzire chi
la osserva ed attraversa.
Scegliere di studiare Gerusalemme è un onore ed un onere, per la sua
importanza, bellezza e per il rischio che comporta il trattare un argomento così delicato
e complicato dove ad ogni passo si rischia di cadere in accuse di anti-semitismo o filo-
sionismo, pessimismo o eccessivo ottimismo. Il mio punto di vista non può che cercare
di stare sul filo di queste facili accuse, ben conscio della possibilità di essere mal
interpretato o frainteso, ma saldo nella convinzione che un forte rigore accademico ed
una dose di umanità e di rispetto nei confronti di qualunque parte possano sortire un
effetto proficuo per l’analisi di Gerusalemme e del conflitto che la interessa.
Quale è la direzione che ci guiderà attraverso Gerusalemme e, come ricorda il
titolo di questo testo, attraverso questo conflitto irrisolvibile che la produce e ne è
prodotto? Come i veri viaggiatori insegnano non si può ragionare in termini di spazio,
ovvero non possiamo partire da un punto A per arrivare linearmente ad un punto B
secondo la logica del minor tempo possibile di percorrenza. Più che giungere ad una
meta, in questo caso, gireremo intorno ed attraverso la città, senza fretta, certi – come
spesso si ripeterà – di perdersi. Occorrerà soffermarsi su dettagli, prendere la questione
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alla larga, attraverso varie prospettive: geografiche certamente, ma anche sociologiche,
politiche, urbanistiche, giuridiche, antropologiche, teologiche e persino culinarie.
Lo scopo della ricerca è descrivere il conflitto per Gerusalemme, attraverso i
vari livelli in cui si manifesta, al fine di descrivere la sua insolvibilità e il come esso si
autoalimenta e ripropone senza requie. Essendo un conflitto con una forte componente
territoriale dovuta alla reciproca irrinuciabilità sulla città da parte di israeliani e
palestinesi, la prospettiva geografica può rivelarsi proficua per analizzare le logiche
territoriali che costituiscono le basi su cui la contesa si articola. Il conflitto su
Gerusalemme è alimentato da uno scontro a molti livelli. Interessa la sfera del politico,
nella forma dello stato nazione, in quanto essa è capitale contesa per sovranità e titolo;
la sfera delle tecniche di governo per organizzare la popolazione e le tattiche di
resistenza; la sfera del quotidiano e delle narrative produttrici d’identità. Ognuno di
questi livelli s’articola attraverso il territorio. Dalla questione dei confini, essenza di un
territorio, al titolo che esso viene insignito (sovranità), dalla creazione dell’identità
nazionale al dispositivo su cui massimizzare altri dispositivi di potere per rendere la
popolazione una superficie governabile, cioè per controllarla. Il territorio in questa
prospettiva diviene una logica primaria di produzione dell’alterità e del conflitto, un
dispositivo (nel senso di insieme agente di saperi e tecniche) per la produzione del
controllo e la costruzione del soggetto. I palestinesi e gli israeliani non preesistono la
creazione del territorio, essi sono altro. Non si determinano come gerosolimitani finché
il territorio non li fagocita, titola (quindi anche nomina) e controlla. Può risultare
eccessivo, ma è fondamentale da tenere a mente durante la lettura del testo.
Nel primo capitolo si descriveranno gli eventi storici che hanno portato alla
costituzione del territorio urbano, dell’identità israeliana palestinese, alla creazione dei
luoghi sacri contesi ed al moderno conflitto etno-nazionale per la sovranità sulla città.
L’obbiettivo è offrire le basi per la genealogia del conflitto che affonda le proprie
origini in eventi che risalgono a più di 3000 anni fa. Si mostrerà la natura complessa
della città di Gerusalemme ed il legame storico e simbolico che popoli e religioni, che
oggi si contendono il territorio, hanno tessuto con essa.
Nel secondo capitolo si illustrerà la prospettiva teorica che s’intende adottare per
svolgere questa analisi. Il punto di partenza sarà la profonda revisione del concetto di
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territorio e territorialità, e delle logiche in essa contenute. In tal senso si farà riferimento
al testo di Robert Sack, Human territoriality, per mostrare come il teritorio sia
finalizzato al controllo dei soggetti e dei fenomeni in esso contenuti attraverso
determinate tecniche e dispositivi di controllo. Inoltre la territorialità sarà la base con
cui si costruisce l’identità ed il mezzo attraverso il quale il potere può rendere i soggetti
governabili. Successivamente si tratterà la sovranità in rapporto al territorio e come essa
sia un punto centrale del conflitto per Gerusalemme, specialmente nella distinzione tra
sovranità giuridica e fattuale. Infine verrà introdotto il concetto di “governamentalità”,
ovvero le modalità con cui il potere, attraverso l’utilizzo di determinati dispositivi,
controlla e disciplina i soggetti, normalizzandoli, sfruttando le logiche di controllo ed
organizzazione offerte dalla territorialità
Nei capitoli successivi si procede attraverso una serie di questioni
problematiche, di aree tematiche di analisi. La prima di queste, che occupa gran parte
del terzo capitolo, concentra tutta l’attenzione su un problema classico, caro a tutti i
gerosolimitisti, che pone le fondamenta dell’insolvibilità del conflitto gerosolimitano: la
questione della sovranità. Nel paragrafo 2.3 si afferma, forse con eccessiva sicurezza
che la questione di Gerusalemme è la questione della sovranità. Sebbene possa
sembrare un’affermazione riduttiva, non può nemmeno dirsi falsa, almeno se
consideriamo la percezione stessa del conflitto da parte della grande maggioranza
d’israeliani e palestinesi, percezione ovviamente influenzata da una visione del mondo
determinata dal modello europeo degli stati nazione. Gerusalemme, per entrambi i
popoli, deve essere titolata come capitale del reciproco stato. Si vedrà però come la
struttura della sovranità contenga, in rispetto all’organizzazione del potere territoriale e
sulla popolazione ed al suo modello occidentale, delle anomalie che decretano quello
che poco sopra si è proposto di chiamare le fondamenta dell’insolvibilità del conflitto.
La questione della sovranità e dei negoziati per il controllo e la spartizione della città ed
il loro fallimento saranno descritti attraverso la storia dei partiti politici e delle figure
dell’elite politica e della società civile che da un lato – quello israeliano – hanno
continuamente rinforzato il controllo e fatto fallire i negoziati e dall’altro – quello
palestinese – non hanno saputo organizzarsi per contrastare l’occupazione israeliana ed
ad imporsi come capaci negoziatori.
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La seconda problematica, che viene analizzata estensivamente nel quarto
capitolo, è stata individuata nelle tecniche di governamentalità, secondo la prospettiva
proposta da Michel Foucault, ovvero i processi di normalizzazione del controllo sui
soggetti in relazione con il potere attraverso istituzioni e tecnologie, rispetto a
determinati saperi. Il controllo del territorio diviene un aspetto del controllo della
popolazione al fine di governare e di mantenere la sovranità israeliana sopra
Gerusalemme, attraverso determinate tecnologie della governamentalità. Queste
tecnologie sono pratiche ed istituzioni che si svolgono su ed attraverso il territorio: la
demografia, la statistica, le politiche urbane, la pianificazione, l’abitazione,
l’organizzazione dei servizi urbani, la polizia. Queste sono alcune delle principali
tecniche di governamentalità che vengono descritte per produrre il controllo sull’altro.
Allo stesso tempo esiste una pratica di controgovernamentalità, di resistenza che si
oppone alla normalizzazione e controllo del soggetto, sfuggendo alle istituzione,
attraverso pratiche semi-illegali, mascherando identità, mentendo, disturbando, agendo
di nascosto, evadendo. Per studiare Gerusalemme, sia come conflitto che come sistema
urbano è fondamentale vedere come queste istituzioni e tecniche hanno organizzato la
popolazione e lo spazio al fine di perseguire le logiche governamentali del controllo.
L’ultima questione problematica, a seguito dell’analisi del conflitto materiale
per la città, si sposta nel quinto capitolo sul livello simbolico del conflitto. In questo
capitolo s’analizzeranno le modalità con cui si producano gli stessi soggetti del conflitto
e le loro identità, talmente contrastanti da allontanare qualsiasi soluzione. Una soluzione
equa di un conflitto, secondo senso comune, si basa su una visione bilaterale
soddisfacente per entrambe le parti ed accettata da parti terze, dove possibilmente le due
parti in conflitto tendono per un momento ad identificarsi come un uno, un uno
vincitore e soddisfatto dalle risoluzioni adottate. In questo caso la continua produzione e
differenziazione dell’identità dell’israeliano e del palestinese, quindi della Gerusalemme
israeliana e palestinese, produce e rinforza l’alterità e la distanza tra i popoli determinati
dalle narrative storiche religiose e secolari. Narrative che attivamente si costruiscono
attraverso l’archeologia, la storia, l’educazione, i simboli nazionalisti, la lingua, le
narrative identitarie della vita quotidiana, la geografia e le mappe.
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Si potrebbe argomentare che di libri su Gerusalemme ne sono stati scritti molti,
forse troppi. Dato il rilievo politico e simbolico che la città ha ovunque nel mondo,
moltissimi accademici, politici e scrittori si sono adoperati a descriverla attraverso
saggi, racconti, articoli e mappe. Raccontata da geografi arabi dell’anno mille, dai bardi
delle crociate, dai viaggiatori occidentali, accecati dalla propria visione eurocentrica
nell’Ottocento; una colata d’inchiostro si è versata su di essa e per essa nel Novecento
da accesi sionisti (Herzl, Jabotinskj, Kollek), da intellettuali palestinesi (Said, Khalidi,
Abudl Hadi), influenti politici (Carter, Ben-Ami, Arafat, Husseini), abili negoziatori
(Klein, Lapidoth), geografi ed urbanisti (Bolles, Khamaisi e Nasrallah, Margalit),
sociologi (Kimmerling, Segal) e molti altri accademici provenienti dalle discipline più
disparate.
Cosa mancava da aggiungere allo stato dell’arte degli studi gerosolimitani
incentrati sulla questione del conflitto? Tre cose principalmente: In primo luogo, uno
sguardo aggiornato ed attento non solo alla politica fatta dalle elite ma anche alla
politiche della quotidianità, dell’amministrazioni locali e della gente comune ed al
legame tra le due. Questa prospettiva, che ritengo potrà essere sviluppata in seguito da
me o da altri giovani studiosi di Gerusalemme attenti all’impostazione poststrutturalista
e a quella offerta dai new historian post-sionisti, è uno dei punti innovativi di questa
questione geografica.
La seconda peculiarità di questo studio è la ricerca di spunti per risolvere questo
conflitto partendo non da una visione ottimista della soluzione basata su una politica
tradizionale di negoziati ma piuttosto focalizzando su come il conflitto, per come ora è,
tenda irrimediabilmente verso l’insolvibilità. Attenzione, questo non significa che solo
una bomba atomica possa schiarire gli orizzonti della Città Santa. Piuttosto ricorda che
qualsiasi azione adottata fino ad oggi non ha portato a nessun passo decisivo per una
civile convivenza e spartizione di sovranità tra palestinesi ed israeliani. Esso è una
condanna verso tutte quelle pratiche, tecniche politiche e narrazioni che hanno solo
rinforzato e giustificato lo scontro territoriale. Ovvero è una condanna verso un
modello, una mappa, che costruisce un mondo ed una Gerusalemme divisa, determinata
da confini e differenze simboliche e materiali. Un modello che fa dimenticare che
Gerusalemme, oltre che santa verso monoteismi che drogati dai nomi non si accorgono
di venerare uno stesso dio, è una città che per definizione (Ur Shalem [shalom], in
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lingua semita città di pace) si realizza nella pace, giustizia ed armonia (si veda § 1.1).
Dunque il conflitto è realmente irrisolvibile proprio perché si ragiona in una sola
maniera, dove si distingue attraverso il territorio e dove l’alterità è prodotta e riprodotta
da due popoli con lo stesso dio e la stessa origine semitica (alla faccia delle condanne
ignoranti di antisemitismo) che in fondo, sebbene abitino due territori diversi, mangino i
frutti della stessa terra, bevano la stessa acqua e defechino sullo stesso suolo.
Il terzo punto originale si basa sul primato territoriale nell’analisi, ovvero la
prospettiva geografica di cui si fa menzione nel titolo. Lo spunto trae ispirazione da un
grande pensatore israeliano, Baruch Kimmerling, morto recentemente rispetto al
momento in cui scrivo
1
. Kimmerling è stato primo ad individuare i principi territoriali e
demografici del sionismo e a fare una vera critica della politica coloniale sionista, ben
prima del movimento dei new historians e della vague post-sionista. Kimmerling
presenta la questione territoriale come strategia centrale della colonizzazione sionista e
della costruzione dello Stato Ebraico (Kimmerling B., 1983). Osservare le dinamiche
del conflitto di Gerusalemme da questa prospettiva, che a ragione si può dire geografica,
ci permette di cogliere sia l’importanza della terra per cui si combatte sia gli effetti che
la territorialità, secondo il modello di Robert Sack (Sack R., 1986) , produce e le logiche
che essa, in ogni tipo di territorio, genera e rinforza. Logiche basate quasi sempre sul
controllo coercitivo, sulla produzione dell’alterità e sulla costituzioni di narrative per
comunicare e giustificare il territorio, come più sopra già s’accennava.
La prima volta che arrivai a Gerusalemme fu quasi per caso. Nel 2003, nel bel
mezzo della seconda Intifada, mi trovavo a Nablus, a quaranta chilometri da
Gerusalemme, per lavorare come operatore umanitario per una ONG. Restio
inizialmente a vivere a Gerusalemme, vi ho fatto ritorno cinque volte, ogni volta
abbandonandomi sempre di più al suo fascino ed alla sua bellezza. Lavorando e facendo
volontariato ho avuto l’opportunità di conoscere studiosi ed attivisti che mi hanno
guidato nel percorso della conoscenza della questione israelo-palestinese e della
questione di Gerusalemme in particolare. Ammaliato da questa città, ho deciso di
sceglierla come oggetto di studio per capire e conoscere a fondo le innumerevoli
dinamiche che producono il conflitto, nonchè le ragioni che ne impediscono una
1
Il 22 maggio 2007.
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soluzione definitiva ed equa. La possibilità di lavorare sul campo e di conoscere
personalmente molti studiosi mi ha permesso un accesso privilegiato a moltissime fonti
primarie.
Le ricerche bibliografiche per questa tesi si sono svolte principalmente in tre
città: Gerusalemme, Bologna e Los Angeles. In particolare a questo scopo sono state
fondamentali moltissime pubblicazioni tecniche in inglese di ONG di Gerusalemme che
lavorano sulla città, sia per promuovere i processi negoziali, sia per migliorare la qualità
della vita a Gerusalemme attraverso innovative politiche urbane e nuove metodologie di
pianificazione partecipata. A Bologna ho reperito i principali testi per sviluppare i lavori
preparatori per la ricerca sul campo e per strutturare la base teorica del frame di lavoro
grazie all’apporto fondamentale del mio relatore prof. Franco Farinelli. A Los Angeles
ho potuto sfruttare le immense banche dati di articoli accademici dell’University of
California; sotto la guida del prof. John Agnew dell’UCLA, la cui impostazione ha
sicuramente lasciato un impronta fondamentale sulla scelta del quadro teorico di
riferimento, in particolare sulla parte della sovranità e territorialità, ho effettuato
specifiche ricerche bibliografiche legate alla parte teorica. A Gerusalemme, grazie ai
centri di ricerca PASSIA (Palestinian Academic Society for the Study of International
Affair), IPCC (International Peace and Cooperation Center), JIIS (Jerusalem Institute
for Israel Studies), ARIJ (Associate Research Institute Jerusalem) e JSC (Jerusalem
Studies Center) ho potuto raccogliere molti dati e pubblicazioni specialistiche, non
reperibili in Europa. Ho avuto modo di accedere alla Jerusalem University ed alle
banche dati municipali (in ebraico) di Gerusalemme, oltre che poter spendere ore da
rigattieri ebrei di libri e nelle fornitissime librerie palestinesi di sharea Salah ad-din.
La ricerca sul campo a Gerusalemme è stata svolta seguendo tre metodologie di
tipo qualitativo. Nei tre mesi spesi in Palestina/Israele ho condotto interviste mirate
specialmente a figure professionali che ruotano intorno alle questione
dell’amministrazione e della pianificazione della città. Fondamentali sono state le
interviste svolte al municipio di Gerusalemme, in particolare con Uli Ullmann, capo
della divisione pianificazione strategica e Ofer Manor, architetto della sezione
pianificazione e sviluppo. Ho avuto modo di ottenere interviste con pianificatori e
geografi palestinesi che hanno sviluppato ottime critiche e segnalato documenti in modo
da controllare, verificare e confrontare le interviste rilasciate dai tecnici israeliani. Di
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grande rilievo sono state le interviste con Menachem Klein, promotore degli accordi di
Ginevra ed inguaribile ottimista – lo ringrazio per la solida litigata a colazione al
American Colony dove sono giunto ad elaborare la tesi del conflitto irrisolvibile – e gli
incontri con il decano dell’archeologia palestinese Ibrahim al-Fanni, resi speciali dalle
sue fantastiche leggende sugli scavi intorno all’Haram al Sharif (“Well whaz just right
this wall? The Ark of the Covenant! They know, they dunno where to dig”) e le lezioni
sul ruolo dell’archeologia in Israele.
Il secondo metodo di ricerca sul campo si è basato sulla raccolta di reperti
fotografici per la città in modo da ottenere una serie di materiale, sia da allegare al
lavoro di ricerca, sia da utilizzare una volta lontano da Gerusalemme per analizzare in
particolare la costruzione dell’identità urbana da parte dei differenti gruppi. Il terzo
metodo è consistito in lunghi détournements attraverso la città, derive, attraversamenti,
camminate senza metà, viaggi notturni in automobile, al fine di cogliere semplicemente
sensazioni, impressioni, nuove prospettive della città. Per appropriarmene forse, certo
per praticare una psicogeografia conoscitiva, per attraversare lentamente, lasciandomi
alle spalle tutta la fretta che ci affanna, dandomi il tempo per gustare, odorare, toccare e
sentire.
Dunque non rimane che iniziare a percorrere questa tesi, che in fondo si può
leggere dalla fine, da metà, dall’introduzione, dalla bibliografia o scegliendo uno dei
paragrafi dal sommario. Solo alla fine si ricostruirà lo scenario di questo conflitto e di
questa incredibile, unica città. Solo in fondo, sebbene tutto il testo ne trasudi di esempi,
si comprenderà come questo conflitto, per come è costruito e alimentato, è irrisolvibile e
condannato dal modello, dalla mappa del territorio a ripetersi, ripetersi, ripetersi,
ripetersi, ripetersi…
Capitolo Primo
Gerusalemme/Storia
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Gerusalemme. Una prospettiva geografica___________________________
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1.1 Per una genealogia di Gerusalemme
Ogni territorio, ha una sua genealogia, articolata, complessa, del quale si fatica a
vedere l’inizio delle radici della sua storia e come esse s’intersecano ed intrecciano. Al
contrario di un luogo, un territorio, come si vedrà in dettaglio in seguito, è il risultato di
uno scontro, di un atto politico, per imporre un dominio sovrano su una determinata
estensione geografica. La storia di un territorio è spesso costellata di lotte politiche, di
guerre e di violenza, al fine di controllarlo per renderlo abitabile ed identificabile, da un
unico gruppo ben preciso nel ambito ideologico della nazione o da più gruppi correlati
in altri ambiti. Possiamo anche dire che ogni territorio è una storia. Ovvero una serie di
eventi legati che si sviluppano dall’istituzione del territorio fino alla sua probabile
conclusione– in quanto umano il territorio è caduco e perituro– e di tutte le narrative dei
fatti e degli attori che lo sviluppano, difendono, assaltano e distruggono. Questa è una
storia, la genealogia del territorio di Gerusalemme conteso tra lo stato Israeliano e la
nazione Palestinese. Tuttavia, come nelle più grandi epiche, ad essa si succedono una
serie di storie antecedenti –gli antefatti– che contengono molti elementi fondamentali
per fare una genealogia del conflitto. Questo capitolo, apparentemente slegato dal resto
del libro ha, infatti, questa funzione: raccontare da dove e come, non tanto il perché,
questo conflitto si è formato..
Lo scopo è quello di mostrare, prima di tutto, la natura complessa della città di
Gerusalemme ed il legame storico e simbolico che popoli e religioni, che oggi si
contendono il territorio, hanno tessuto con la città. Usare la storia come un’arma non è
un’orwelliana fantasia ma una strategia ben precisa, in particolare per il controllo del
territorio. Determinare chi e come abitava un territorio in passato può determinare chi lo
abiterà nel futuro, mentre chi controlla il territorio nel presente può controllare il
passato secondo la visione della geografia critica che critica le modalità del potere
d’imporre la sua storia e la sua definizione del mondo. Per questo è anche necessario
rivisitare la storia di Gerusalemme. Tuttavia è importante vedere anche il significato
sacro che essa ha avuto per le varie religioni e come esse hanno strutturato lo spazio
sacro e quello politico. Per finire questo capitolo sulla storia di Gerusalemme, ovvero
sugli antefatti dell’istituzione del territorio della città di Gerusalemme, presenta gli
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eventi che dalla fine del XIX secolo hanno portato alla creazione dello stato d’Israele ed
alla costituzione di un identità nazionale palestinese, oltre che a mostrare gli interessi
sul controllo della città da parte di forze straniere.
Perché questa operazione è però così necessaria per analizzare il territorio? In
inglese il verbo territorialize designa propriamente un’azione, un fenomeno, vale a dire,
che procede per gradi, si sviluppa attraverso lotte, discorsi, idee, modelli culturali,
mitologie ad esso antecedenti. Un territorio seppure può essere determinato
arbitrariamente, ed essere messo in esistenza di punto in bianco – ad esempio
l’istituzione dello stato d’Israele– si fonda sempre su degli antefatti. Se prendiamo il più
noto esempio di territorialità nella storia moderna Occidentale, lo Stato Europeo, basato
sullo Ius Publicum Europum, esso nasce ben prima dello stato post-westfaliano. I
confini si rifanno al sacro romano impero, la tradizione giuridica è quella romana, la
lingua diplomatica è il latino, un insieme di consuetudini, regole sociali, elementi
culturali, e religiosi, sviluppati ben prima del 1648, ne vanno a delineare il carattere
peculiare. Proviamo invece ad immaginare la storia di una territorialità a livello locale,
un’area privata, un giardino, ben delimitato da un muro, con una scritta: keep out, un
sistema dove l’accesso è limitato tramite dei marcatori che ben comunicano la natura
del territorio. Ad esso è sottesa una storia che risale anche oltre la creazione della
territorialità, legata al valore del territorio, all’eventuale importanza simbolica
precedente e pre-costituita, alla storia dei soggetti individuali o collettivi altrettanto
interessati all’usufrutto o al possesso del territorio o di elementi in esso contenuto. Tutti
fenomeni antecedenti alla nascita della territorialità. Dunque fare la storia di ciò che
precede una territorialità – la storia della territorialità è stata introdotta altrove da
Robert Sack (1986) – è per prima cosa fare la storia dei singoli e dei gruppi sociali e di
tutti quei dispositivi simbolici, culturali e religiosi, che essi possiedono o costruiscono,
e della relazione con il controllo di un determinato territorio.
La radice di territorio si può ritrovare nel vocabolo latino terrere, che significa
spaventare, terrorizzare. Si tratta di narrare quindi le paure di un gruppo sociale o di un
popolo, quelle paure che hanno messo in pericolo le identità sociali, culturali, religiose,
nazionali, individuali legate alla presenza di forze antagoniste altre che hanno portato al
controllo del territorio e dunque alla territorialità. Il controllo sul territorio nel caso dei
moderni Stati europei nasce dalla necessità di liberarsi dal terrore intestino legato alle
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guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa nel Medioevo e dal timore di ciò
che sta fuori, dalla barbarie, l’Altro indistinto, sempre pronto ad attaccare e mettere in
repentaglio lo status quo. Allo stesso modo nel territorio privato di cui prima la nascita
d’antagonismi sul possesso di un’area ha instaurato un terrore tra i vari pretendenti, un
terrore si ripete generato da un’eventuale perdita di controllo o possesso di un territorio,
o delle genti o delle cose o delle idee che esso racchiude possiede o incarna. Occupare
un territorio è “esercitare la violenza. Il territorio è una terra occupata con violenza”
(Connolly W., 1996, pag. 141). Violenza generata da terrore, cioè da quella incapacità
di dialogare con l’altro che non si conosce.
Per comprendere la territorialità bisogna conoscere la storia di questi attori, la
provenienza, la cultura, l’organizzazione sociale. Nel secondo esempio chiunque può
delimitare un territorio, ma analizzare il semplice fait accompli non spiega il perché un
attore delimiti, attraverso quale autorità, con quali modalità e quali relazioni possiede –
e se le possiede- con il luogo in questione. Non illustra il perché l’attore opponente lo
assedi, come lo assedi, quale rischio comporta al possessore. Un’area ricca d’acqua in
una zona desertica può interessare vari clan, ma solo uno di questi se ne impossessa
poiché oltre che possedere la forza per controllarlo, ne possiede un’eventuale autorità,
sia essa divina, tribale, politica. Inoltre il nostro clan è impostato su un’organizzazione
sociale verticale e trae il proprio sostentamento da un’agricoltura stanziale, dove l’acqua
presente è strettamente necessaria. La struttura del clan è il risultato di un’evoluzione
della tecnologia posseduta, da un aumento della burocratizzazione sociale e da un
potenziamento del carisma religioso nella regione: la territorialità dell’area diventa
imprescindibile dalla comprensione delgi eventi storici che hanno segnato la storia degli
attori e del loro modello culturale e sociale.
Ogni soggetto microsociale o macrosociale possiede una propria identità
culturale con un proprio codice, una propria visione escatologia, una simbologia ed una
mitologia con cui abita il mondo e lo interpreta. Questo processo di formazione
d’identità culturale può intercorrere in un breve periodo, si pensi a culture come quella
beat o punk, che già si esauriscono ed hanno un’area limitata d’influenza, o può avere
millenni di tradizione e di trasformazione ed evoluzione resistendo nel tempo e
attraverso il globo, come ben vedremo la cultura ebraica. Ciò comporta la creazione di
valori sacri intorno a numerosi luoghi o ad elementi contenuti in un territorio, i quali
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diventano il significato stesso di un territorio. Questi valori si possono riprodurre e
trasformare, incastonandosi nelle pietre, celebrati nei templi, rielaborati nei libri e
conservati menti delgi individui. Simboli d’immessa potenza e di grande valore storico
identitario, che rischiano di essere distrutti e persi continuamente. È questo continuo
rischio che fa sì che il terrore della perdita e dello smarrimento fa conseguire come
strategia la volontà di territorialità, cioè – come si vedrà bene nel secondo capitolo – di
costruire uno spazio con dei confini, sul quale esercitare il controllo al fine di riprodurre
le strutture sociali ed i valori culturali, oltre che asservirlo ai propri fini individuali ed
utilitaristici. Il territorio nell’esempio di prima, oltre che fornire acqua per funzioni di
sopravvivenza, ha un‘importanza notevole per il clan in quanto la fonte è considerata
sacra secondo un loro credo animista. Non solo è una fonte d’acqua ma è una fonte
d’acqua sacra con capacità curative, secondo un’antica credenza orale che narrava
dell’esistenza di un simile prodigio, insostituibile da qualunque altra fonte. La storia
della simbologia di un luogo impatta prepotentemente la storia di un territorio e le
motivazioni del controllo. In esso si contengono le passioni, i desideri le credenze le
ideologie, i simboli che lo hanno investito nel corso della storia.
In questo modo si vuole procedere nel fare la storia della territorialità che
interessa oggi Gerusalemme, una storia che affonda le sue radici nella notte dei tempi,
radici ben solide, che ancora oggi nutrono i desideri, le passioni, le ideologie e,
soprattutto, le paure, i terrori di tutti i soggetti inclusi nella questione di Gerusalemme e
dell’intera regione. Una storia millenaria, complessa che verrà analizzata attraverso una
serie d’eventi chiave nella costituzione delle identità culturali, della politica e della
complessa identità territoriale della città. Il capitolo si snoderà attraverso l’analisi di sei
periodi. Il primo include i regni giudaico-israeliti, dalle origini della città attraverso la
costruzione dell’identità storica e religiosa di Yerushalayim, la Gerusalemme santa
degli ebrei e delle fortune alterne dei vari regni giudaici, la costituzione della geografia
sacra e della mitologia biblica, sino alla distruzione da parte dei Romani nel 70 d.C. e
l’allontanamento degli ebrei. Il secondo periodo segnerà il sorgere di Ælia Capitolina,
cioè il temporaneo tramonto di Gerusalemme sotto il governo dei Romani, ridotta a
semplice centro di commercio; vedrà il nascente interesse cristiano da parte di
Costantino ed Elena sulla città e la creazione dei luoghi santi e della simbologia che essi
ricopriranno nel cristianesimo e la centralità che la santa gerusalemme avrà fino