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Il primo capitolo, infatti, evidenzia il punto di partenza del nostro lavoro, cioè il sistema di
reporting relativo al controllo di gestione, e fornisce una generale indicazione dei contributi più
importanti sul tema, che si sono ritrovati nella letteratura relativa alla corporate social
responsibility. Il fine perseguito è stato quello di presentare una panoramica della materia, per
permettere un rapido riconoscimento dell’oggetto di studio.
Nel secondo capitolo lo studio si focalizza sulle aziende di credito, considerando la posizione
delle banche relativamente ad argomenti quali la responsabilità sociale e il bilancio sociale.
Obiettivo prioritario del capitolo è la descrizione e l’analisi approfondita del modello di
redazione del bilancio sociale delle aziende di credito, proposto dall’Associazione Bancaria
Italiana (ABI), in collaborazione con l’Istituto Europeo per il Bilancio Sociale (IBS). Per fare
ciò, si è reso necessario un breve approfondimento del modello IBS di bilancio sociale, sul
quale il modello analizzato si basa e dal quale trae spunto. Il secondo capitolo pone le basi
teoriche per l’analisi pratica di un bilancio sociale affrontata nell’ultimo capitolo del presente
lavoro.
Il terzo capitolo, infatti, propone lo studio approfondito del Bilancio Sociale 2005 del Gruppo
San Paolo IMI, con l’obiettivo principale di verificare se il modello di redazione del bilancio
sociale per le aziende di credito, proposto dall’ABI, viene rispettato o meno.
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Capitolo 1
La responsabilità sociale d’impresa e il bilancio sociale
In questo primo capitolo del nostro lavoro si intende fornire un quadro teorico di riferimento
dell’argomento trattato, evidenziando i tratti più salienti del contributo della letteratura.
Il tema della responsabilità sociale dell’impresa e del bilancio sociale presente innumerevoli
sfaccettature e la tematica può essere sicuramente analizzata sotto moltissimi punti di vista, in
primis considerando la valenza sociale del concetto. Si è reso necessario dunque, riassumere
tutta una serie di questioni articolate, che trovano ampio spazio nella letteratura, soprattutto in
campo internazionale.
1.1 Il processo del controllo direzionale
Qualsiasi tipo di organizzazione persegue degli obiettivi, cioè viene costituita per realizzare
qualcosa di determinato.
L’organizzazione, attraverso il processo di formulazione delle strategie, imposta una teoria su
come conseguire gli obiettivi che ha scelto.
Il processo del controllo direzionale assume come prefissati gli obiettivi da perseguire e le
strategie implementate e ha lo scopo di favorire l’attuazione delle strategie da parte
dell’organizzazione.
Formalmente, il controllo direzionale, detto anche management control, è il processo attraverso
il quale si influenza il comportamento dei membri dell’organizzazione allo scopo di
implementare efficientemente ed efficacemente le strategie aziendali.
Molto frequentemente il processo del controllo direzionale si affida a comunicazioni informali
che assumono la forma di riunioni, conversazioni, memorandum e altro, tuttavia la maggior
parte delle organizzazioni dispone di un sistema formale di controllo direzionale, che si articola
in quattro fasi principali:
1. la pianificazione strategica
2. il budget
3. la misurazione e il reporting
4. la valutazione.
Ciascuna fase del processo conduce alla successiva, quindi nel complesso le fasi costituiscono
un processo circolare.
La pianificazione strategica è il processo decisionale attraverso il quale si stabilisce quali
programmi porre in atto e quante risorse assegnare a ciascun programma.
Il budget è un piano quantitativo espresso in termini monetari, relativo ad uno specifico periodo
di tempo, generalmente un anno.
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La misurazione e il reporting è la fase che prevede il rilevamento dell’ammontare delle risorse
effettivamente consumate e dei ricavi realizzati durante lo svolgimento delle attività.
Infine, sulla base dei dati ottenuti nella fase precedente, i manager valutano se e quali azioni
correttive è necessario intraprendere.
1
L’oggetto dello studio si concentra sulla terza fase del processo di controllo direzionale, cioè
sulla fase di misurazione e reporting.
1.2 Il sistema di reporting
Il reporting può essere definito come una funzione interna all’azienda, adibita alla produzione di
un insieme di documenti, i reports, che sintetizzano delle informazioni destinate a soggetti
particolari.
Con il termine reporting si indica anche l’insieme di questi documenti che informano i manager
sulle prestazioni conseguite e li mettono in condizione di tenere sotto controllo la gestione,
verificando gli scostamenti che si sono verificati rispetto ai risultati attesi.
2
I reports sono quindi gli strumenti attraversi i quali si comunicano i risultati del processo di
programmazione e controllo e il reporting può essere considerato la sintesi di tutte le rilevazioni
finalizzate al controllo di gestione.
Il sistema di reporting è quindi strettamente collegato al sistema informativo aziendale, che ha il
compito di produrre informazioni utili ai soggetti interni e ai soggetti esterni all’azienda per la
valutazione dell’andamento della gestione.
1.2.1 Alcuni possibili criteri di classificazione dei reports
Chiarito il ruolo del sistema di reporting all’interno di un’organizzazione, possiamo introdurre
alcune possibili classificazioni dei reports, anche se è necessario precisare che il concetto si
presta a svariate e non quantificabili modalità di classificazione, essendo un concetto eterogeneo
e flessibile, in quanto influenzato dalle caratteristiche specifiche e dai cambiamenti che
interessano l’organizzazione.
1
R.N. Anthony, D.F. Hawkins, D.M. Macrì, K.A. Merchant, “Sistemi di controllo. Analisi economiche
per le decisioni aziendali”, McGraw Hill, II edizione, 2004.
2
S. Terzani in “Lineamenti di pianificazione e controllo” Cedam, Padova, 1999, afferma che
“«reporting» rappresenta il processo sia di redazione dei prospetti, che di comunicazione dei loro
contenuti”.
L. Brusa in “Sistemi manageriali di programmazione e controllo” Giuffrè, Milano, 2000, si occupa di
reporting inteso come “ insieme strutturato di report (cioè di rendiconti periodici di controllo), messi a
disposizione dei manager ai vari livelli della struttura, per informarli sull’andamento della gestione, sia
essa «corrente» o «strategica». Il reporting può essere considerato la sintesi di tutte le rilevazioni
finalizzate al controllo di gestione, in quanto è il modo di presentare le informazioni più rilevanti per la
gestione.”
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Una prima distinzione che può essere citata è quella tra reports di tipo economico-finanziario e
reports manageriali, detti anche rispettivamente financial reports e managerial reports.
Il reporting tradizionale, l’unico conosciuto fino a qualche anno fa, è il reporting economico-
finanziario cioè quello basato su dati e informazioni prettamente contabili che comunicano
sostanzialmente la prestazione economica e i risultati operativi raggiunti dall’impresa. I
financial reports sono spesso costruiti sulla base dell’analisi degli scostamenti tra i risultati
previsti o programmati e i risultati effettivi. L’analisi viene poi tradotta in termini monetari, così
da evidenziare il ruolo che ciascun elemento ha avuto nella variazione del profitto.
Questo tipo di reports presenta una serie di limiti e difetti che rendono limitata la portata
informativa di questa modalità di reporting, primo fra tutti il fatto che il reporting tradizionale si
focalizza su variabili che riguardano la redditività di breve periodo e quindi non permette
un’analisi di lungo termine, necessaria però ai livelli direzionali dell’impresa. Inoltre la
traduzione in termini monetari dell’analisi degli scostamenti limita molto la portata informativa
dei dati raccolti, in quanto un indicatore non monetario ha sicuramente un’efficacia maggiore di
quella che ha un indicatore monetario che riassume una situazione articolata e ricca di sfumature.
Di questo primo tipo di reports fa parte sicuramente il bilancio d’esercizio, cioè il documento
nel quale, a fine anno, vengono rappresentati il reddito (dell’esercizio) e il capitale (di fine
esercizio)
3
, che è obbligatorio per tutti gli imprenditori come stabilito dall’art. 2217 del Codice
Civile, affinché sia reso noto il risultato della gestione a tutti gli interessati (fornitori,
finanziatori e altri).
Il reporting direzionale, detto anche managerial reporting, è invece un insieme strutturato di
rendiconti sulla base del quale il management rivede periodicamente le proprie azioni. Esso
consiste quindi nella predisposizione di documenti di sintesi necessari ai dirigenti aziendali per
conoscere e gestire efficacemente le dinamiche gestionali dell’impresa.
Questo tipo di reports quindi, non segue una normativa contabile esterna all’azienda, ma segue
le direttive e i principi definiti all’interno, per offrire alla direzione aziendale una visione
completa della situazione dell’azienda che permetta di capire gli errori commessi nel passato e
correggerli.
Questa prima classificazione dei reports di un’impresa introduce un’altra distinzione, che è
quella tra report volontario e report obbligatorio.
Quando parliamo di reports volontari ci riferiamo alla maggior parte dei documenti di
rendicontazione che vengono utilizzati oggi nelle imprese, compresa la rendicontazione sociale
e il bilancio sociale di cui andremo a parlare in seguito.
Al contrario, quando parliamo di reports obbligatori ci riferiamo sostanzialmente al bilancio
d’esercizio come definito sopra.
3
La definizione è stata ripresa da: C. Caramiello, “Ragioneria generale e applicata. Ragioneria
applicata”, a cura di A. Musaio, Mursia, Milano, 2004.
12
Un’altra distinzione che sarà utile alla nostra analisi è quella che classifica i reports in base ai
soggetti ai quali si rivolgono, distinguendo quindi tra reports per l’interno e reports per l’esterno.
Quando si parla di reporting verso l’interno ci si riferisce alla predisposizione di documenti e
sintesi informative necessarie a tutti i livelli operativi e ai livelli direzionali per il controllo. Un
reporting di questo tipo favorisce l’implementazione del concetto di accountability cioè della
necessità di rendere conto a livelli superiori del lavoro svolto, responsabilizzando in questo
modo tutti i livelli operativi dell’organizzazione.
Quando si parla invece di reporting verso l’esterno ci si riferisce ad un insieme di
comunicazioni, per la maggior parte periodiche, destinate ad interlocutori che non fanno parte
direttamente della struttura organizzativa, ma sono fortemente interessati all’andamento
economico, patrimoniale e finanziario dell’azienda, come ad esempio i fornitori, i clienti, gli
azionisti, i terzi finanziatori, la Pubblica Amministrazione, ecc..
Negli ultimi anni il reporting verso l’esterno ha assunto una valenza più ampia di quella appena
descritta, in seguito all’introduzione e alla diffusione del concetto di responsabilità sociale delle
imprese. Oggi infatti destinatari della rendicontazione non sono più solamente gli shareholder
cioè coloro che sono portatori di interessi economici specifici (sostanzialmente i possessori
delle azioni), ma destinatari del reporting verso l’esterno sono gli stakeholder, letteralmente i
portatori di interessi generali (ad esempio il personale dipendente, le comunità locali, le
associazioni di volontariato, i giovani, gli ambientalisti, ecc.), oltre a quelli finanziari.
Un sistema di reporting o rendicontazione, così inteso si pone quindi il fine di creare una
relazione tra l’azienda e i portatori di interessi generali (stakeholder relationship) attraverso un
processo di comunicazione.
1.3 La “stakeholder theory”
Il concetto di “stakeholder” apparve per la prima volta nella letteratura manageriale in un
memorandum interno formulato dallo Stanford Research Institute (SRI) nel 1963. Letteralmente
il termine “stake” significa “posta”, “scommessa” e il termine stakeholder era utilizzato per
indicare tutti coloro che hanno un interesse nell’attività dell’azienda e che sono in grado di
condizionarne le scelte strategiche e operative.
La definizione classica del concetto di stakeholder è quella proposta da R.E. Freeman nel 1984
nell’opera “Stategic Planning: a stakeholder approach”, il quale utilizza il termine per
indicare “those groups without whose support the organization would cease to exist”.
E ancora, secondo Freeman “A stakeholder in an organization is (by definition) any group or
individual who can affect or is affected by the achievement of the organization’s objectives.”
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“Gli stakeholder primari, ovvero gli stakeholder in senso stretto, sono tutti quegli individui e gruppi ben
identificabili da cui l’impresa dipende per la sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori e