INTRODUZIONE
La psichiatria è una branca della medicina specializzata nello studio, nella diagnosi, e
nella terapia dei disturbi mentali. Il termine deriva dal greco psyché () =
spirito/anima, e iatros (
) = medico. Letteralmente la disciplina si dovrebbe
occupare della cura dell'anima. Lo psichiatra è un medico che può prescrivere
farmaci generici e/o psicofarmaci, con regolare ricetta medica, e richiedere e valutare
esami clinici. Le pratiche della psichiatria non nascono dalla semplice esperienza, ma
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si fondano su conoscenze e teorie.
Questa descrizione potrebbe far apparire il campo d’indagine della psichiatria come
corrispondente a qualsiasi altra disciplina medica. In realtà, la psichiatria presenta
alcune peculiarità che la mettono in una posizione particolare nel campo della
medicina. La sua particolarità classica sta nel fatto che si pone sulla linea di confine
tra le scienze della natura e le scienze dell’uomo. Rispetto ad altre branche della
medicina, infatti, la psichiatria è quella che più risente della carenza di basi
scientifiche solide nella classificazione nosografica, nelle teorie eziologiche delle
malattie mentali, nella conoscenza dei meccanismi molecolari dei farmaci che
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utilizza.
La polemica intorno a questa materia è particolarmente accesa soprattutto a causa dei
retroscena di una disciplina che si presenta come cura, ma nasconde stereotipi,
cronicità e routine.
Lo stereotipo è <<l’insieme delle caratteristiche che si associano a una certa
categoria di oggetti>> ma che più spesso è considerato come <<un insieme coerente
e abbastanza rigido di credenze negative che un certo gruppo condivide rispetto ad
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un altro gruppo o categoria sociale>>. Il termine stereotipo è stato coniato dal
giornalista Lippman nel 1922, il quale si soffermava per lo più sulle preconcezioni,
identificandole come vere e proprie immagini della realtà di gruppi di persone che la
mente considera difficilmente distinguibili l’uno dall’altro. Per una più corretta
definizione di stereotipo in ambito psichiatrico è necessario riferirci agli stereotipi
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http://www.medicitalia.it/
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Prina F., Devianza e politiche di controllo. Scenari e tendenze nelle società contemporanee. Carocci
editore 2003. (p. 100).
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come esito di un processo di categorizzazione che permette di esprimere più
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facilmente un giudizio sociale.
Va ricordato che lo stereotipo è il nucleo cognitivo del pregiudizio, il cui significato
etimologico è “giudizio precedente all’esperienza o in assenza di dati empirici”. Il
pregiudizio è una disposizione psicologica che riesce a influenzare ed ad orientare
non solo le azioni, ma anche i sentimenti, le opinioni, gli atteggiamenti attraverso i
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quali ogni individuo orienta le proprie azioni quotidiane.
La costruzione del pregiudizio va di pari passo con la costruzione dell’identità.
L’identità è il senso del proprio essere, duraturo nel tempo e nello spazio, come
entità distinguibile da tutte le altre. Più la società diventa complessa, più l’identità
diviene mutevole e dubbia, lasciando l’individuo nell’incertezza. Quest’incertezza
scatena meccanismi di difesa, che non fanno che accrescere l’astio verso i soggetti
“diversi”. Questi individui, in quanto “anormali”, minacciano l’identità delle persone
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“normali”.
Le persone che soffrono di disturbi mentali sono sempre state sottoposte a pregiudizi;
questo tipo di pregiudizio ha determinato la cronicità.
Qualunque dizionario medico- psicologico definisce il termine cronico come malattia
che si prolunga lentamente per un tempo indeterminato, facendo riferimento al
termine greco kronos=tempo. La malattia cronica (diversamente dalla malattia acuta,
che può essere considerata un fenomeno episodico e completo in sé) non è spiegabile
solo in base al meccanismo fisiopatologico della malattia (Cassel, 1998) bisogna
tener conto anche dell'esperienza del paziente. Tale esperienza include anche
l'impatto sulla vita di ogni giorno, il danno a funzioni necessarie per svolgere il
proprio lavoro, il cambiamento delle prospettive future del malato, una pesante
influenza sul suo patrimonio economico. Il rapporto tra crisi e cronicità costituisce da
sempre uno dei nodi concettuali della psicopatologia e della psichiatria, sia come
teoremi, sia come gestione della cura. Si oscilla tra il considerare la crisi psicotica
4
Arcuri L., Cadinu M.R., Gli stereotipi. Dinamiche psicologiche e contesto delle relazioni sociali. Il
Mulino. Bologna 1998.
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Prina F., Devianza e politiche di controllo. Scenari e tendenze nelle società contemporanee. Carocci
editore 2003.
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Adamo P., Relazione: Pregiudizi, identità, diversità, valori (considerazioni critiche ed aspettative
alla luce dei cambiamenti socio-culturali). XII convegno nazionale sul tema: Il lungo cammino
dell’integrazione delle persone con disabilità (a 30 anni dalla 517/77: quale integrazione?).
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come appartenente all’ambito della coscienza e la cronicità come appartenente alla
patologia della persona (e quindi due ambiti epistemici separati), e il considerare,
invece, la cronicità in psichiatria come un artefatto. In quest’ambito il concetto di
cronicità assume significato bivalente; a volte riferito al tempo lineare, altre al
passaggio da esperienze psicopatologiche a modificazioni strutturali della persona.
La cronicità può essere considerata anche come una sequenza di crisi, nel tentativo di
stabilizzare comunque un modo di essere. Questi diversi modi di pensare la cronicità
costituiscono lo sfondo, ora espresso ora tacito, di strutturazioni diverse
dell’assistenza psichiatrica. L’assistenza psichiatrica ha prima prodotto, e
consolidato, realtà asilari le quali, a loro volta portavano cronicità; in seguito si è
trovata nella difficoltà di gestire una deistituzionalizzazione che prevedeva nuovi
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servizi, nuovi luoghi, nuovi metodi, nuove cure, ma che produceva i “lungo
assistiti”.
La cronicità ha comportato diverse problematiche, tra cui il consolidarsi di una
routine psichiatrica, soprattutto da parte degli operatori coinvolti. Dal punto di vista
etimologico la routine è il modo pratico e consueto di procedere nell'attività
quotidiana, ma nel caso della psichiatria può assumere connotazione negativa, come
"monotona" ripetizione. Tutti i tipi di lavoro, dopo essere stati svolti per lungo
periodo, rischiano di sprofondare nella ripetitività, nella meccanicità nella quale ogni
cosa può apparire scontata. Quando accade ciò in psichiatria, le conseguenze possono
essere sfavorevoli per i pazienti. Lo psichiatra che cade nel baratro della routine
rischia di cadere facilmente nell’errore. Ogni decisione dipende, infatti, da un
numero elevato di variabili che hanno un peso sempre diverso, caso per caso. Lo
stesso Joseph Berke, nel “Viaggio attraverso la follia”, afferma che gli psichiatri
spesso vanno alla ricerca di un linguaggio razionale e omologato, tralasciando
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completamente ogni personale emozione. E’innegabile che non sia concepibile farsi
trasportare completamente dai sentimenti, tuttavia è altrettanto impossibile escluderli
da una disciplina che dovrebbe “curare la mente” dell’individuo. Laddove i pazienti
divengono “tutti uguali” o “tutti cronici, quindi inguaribili”, rischiano di subire cure
inadeguate, o peggio di ricevere psicofarmaci anche se non sono necessari. In
7
http://www.grusol.it/index.asp
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Barnes M., Berke J., Two account of a journey throught madness, trad. Viaggio attraverso la follia
da F. Saba Sardi, Rusconi, 1981.
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passato, una volta classificati come “malati di mente”, i pazienti erano costretti ad
entrare nei manicomi, nei quali era possibile rimanere anche per tutta la vita. Oggi si
entra in nuove logiche post-manicomiali, che restano, comunque, il regno di una
pseudo-scienza che tende ad identificare l’individuo nella sua malattia e non nella
sua soggettività. Dobbiamo tener presente che chi ha avuto un’istruzione medica
(dalla compilazione di una ricetta all’atteggiamento da mantenere), incontra notevoli
difficoltà a distaccarsi da questo ruolo. Possiamo tranquillamente affermare che la
figura dello psichiatra molto spesso soffre di “deformazione professionale”. Sempre
Berke ritiene che il rischio di essere confusi con i malati di mente, ci permetta di
spiegare perché la maggior parte degli enti si conforma ad uno standard rigido per
quanto riguarda indumenti e comportamenti che resistono alla deistituzionalizzazione
in corso.
Il testo si divide in tre parti, dove sono ampiamente illustrati: stereotipi, cronicità e
routine, in altre parole il lato oscuro della psichiatria.
Nei primi capitoli vi è un breve excursus storico che descrive il mutamento della
concezione della “follia”: dalla figura del “posseduto” alla concezione della malattia
mentale; dalla creazione dei manicomi alla deistituzionalizzazione.
Nella seconda parte si analizza la stigmatizzazione della malattia mentale, che
continua a persistere, benché la stessa diagnosi psichiatrica non sia così valida come
si è abituati a pensare.
Nella terza parte descriverò i metodi di cura psichiatrica, differenziando tra sistemi
organicistici e non organicistici, per terminare con un esempio di un nuovo luogo
dove si svolge la psichiatria, il Centro di Salute Mentale (CSM) in particolare il CSM
di Cariati (CS). Il tutto è arricchito dalle interviste al personale del centro.
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