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liturgiche per lo spazio riservato all‟Assemblea Santa. Perciò nell‟elaborato non ho espresso
pareri per quanto riguarda l‟estetica o il gusto esteriore architettonico, ma ho voluto
concentrarmi solo sulla funzionalità dello spazio sacro, lasciando al lettore di queste pagine,
con il supporto delle fotografie e dei progetti in allegato, di formulare un suo personale
giudizio in merito a tale Chiesa.
Nel primo capitolo dell‟elaborato si è accennato al cammino percorso, nella storia
dell‟umanità, per definire e sempre meglio delineare i luoghi e i tempi sacri.
Fin dall‟antichità, l‟uomo ha cercato di dare forma ad uno spazio, per poter celebrare il
proprio incontro con la divinità. La realtà esiste e l‟uomo si percepisce nel tempo: può agire
liberamente solo nel suo presente, il passato è “fossilizzato” e immutabile, il futuro può essere
solo immaginato. L‟essere al centro della realtà è dunque esperienza immediata ed
ineliminabile. L‟uomo, di fatto, oltre alla percezione temporale, vive anche un rapporto
personale con lo spazio circostante; egli si identifica sempre come al centro di questo spazio.
Quando, infine, prende coscienza che la vita scorre in un tempo creato, se ne appropria
trasformando i luoghi in cui abita in spazi sacri ed il tempo che scorre verso l‟eterno, che in
qualche misura, già è presente.
Nel secondo capitolo, si è centrata l‟attenzione sull‟importanza dello spazio sacro nella
liturgia cattolica. Si sono così delineate le tappe della formazione liturgica dal Concilio di
Trento al Concilio Ecumenico Vaticano II. Lo spazio sacro si manifesta, per la teologia
cattolica post-conciliare, il luogo simbolico maggiore per esprimere l‟appartenenza e l‟identità
cristiana.
Nel terzo capitolo si sono presi in esame in modo più dettagliato i Documenti post-conciliari
emanati dalla Conferenza Episcopale Italiana riguardanti La progettazione di nuove chiese e
L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica. Tali Documenti hanno posto
l‟accento sul bisogno di ritrovare un dialogo fecondo tra i progettisti degli spazi sacri e i
liturgisti, custodi del Mistero di Cristo da comunicare in tale luoghi.
Oltre all‟analisi delle Note pastorali in questione, abbiamo voluto evidenziare le normative
vigenti: civili, liturgiche e canoniche, che il progettista deve rispettare per realizzare una
Chiesa-edificio.
Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, si è focalizzata l‟attenzione sull‟Assemblea
liturgica. È stato analizzato il cammino che la teologia ha intrapreso nella storia della salvezza
per descrivere l‟Assemblea: dal popolo d‟Israele alla Chiesa delle origini fino ad arrivare ai
cristiani d‟oggi. Per poter dare maggior rilievo alle riflessioni post-conciliari, abbiamo infine
preso in esame, dal punto di vista architettonico e liturgico una Chiesa parrocchiale costruita
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nel 1994 a Ferrara: san Giuseppe Lavoratore. Nell‟Appendice ed in Allegato sono raccolti
infine i documenti, le fotografie e i progetti definitivi della Chiesa presa in esame.
Al termine di questo lavoro che segna la conclusione di un cammino di sei anni, come
studente presso lo Studio Teologico Sant‟Antonio, sento il dovere di esprimere i sentimenti
della mia gratitudine. Anzitutto siano rese grazie al Signore e Dio Datore di ogni bene. Grazie
poi ai superiori del Seminario di Ferrara che hanno accresciuto e sostenuto il mio cammino di
formazione.
Grazie allo Studio Teologico Sant‟Antonio di Bologna, al suo preside il Rev.do Padre Guido
Ravaglia, ai professori che mi hanno aiutato a portare a termine questi anni di formazione
teologica, ai compagni di studio per l‟amicizia e la parte del cammino condiviso.
Un ringraziamento speciale va infine al prof. don Lodovico Maule: la sua formazione
teologica, il suo zelo nell‟insegnamento e la sua disponibilità al dialogo e al confronto mi
hanno entusiasmato ed aperto la mente ed il cuore al Mistero di Cristo
Ferrara, 23 Aprile 2008
Solennità di San Giorgio, martire
Patrono della Città di Ferrara.
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1. LO SPAZIO ED IL TEMPO SACRI
1.1. Premesse etimologiche
L‟ambito della relazione dell‟uomo col divino è denominata, dagli antropologi e dagli storici
delle religioni, il mondo del sacro: sacralità. Il termine sacro indica una realtà, uno spazio, un
tempo, un oggetto, che l‟uomo sceglie e deputa a realtà medianica per incontrarsi col divino;
in altri casi indica la stessa realtà divina, o il tempo e il luogo di sua appartenenza.
È il contrario del termine profano1 cioè ogni realtà che non ha rapporto col divino in quanto
altra da Dio; indica perciò ogni realtà umana contingente. La sacralità è una qualità estrinseca
di una cosa, che le è attribuita dall‟uomo, per significare il suo rapporto con Dio. Il linguista
francese Emile Benveniste afferma che il termine sacro esprime:
«una nozione di segno duplice: positivo “ciò che è carico di presenza divina”, e negativo “ciò
che è proibito al contatto degli uomini”».2
Anche Eliade distingue nel sacro questa ambivalenza:
«il sacro è, nello stesso tempo, “sacro” e “contaminato”. Commentando il detto di Virgilio:
auri sacra fames, Servio nota giustamente che sacer può significare tanto “maledetto” che
“santo”. Eustazio nota il medesimo significato doppio di haghios, che può esprimere
contemporaneamente l‟idea di “puro” e di “contaminato”».3
Benveniste, ne Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, dedica vari paragrafi allo studio di
un gruppo di parole «che, oggi, sotto la loro forma moderna, denotano la nozione del
«sacro».4 Per quanto riguarda l‟uso della lingua latina, le parole sono: sacer e sanctus.
«Il latino sacer ingloba la rappresentazione per noi più precisa e specifica del “sacro”. È in
latino che si manifesta meglio la divisione tra il sacro e il profano; è ancora in latino che si
rivela il carattere ambiguo del “sacro”: consacrato agli dèi e carico di una colpa incancellabile,
augusto e maledetto, degno di venerazione e che suscita l‟orrore. Questo duplice valore è
proprio di sacer».5
«Per sanctus abbiamo una definizione nel Digesto (I 8.8): […] “si indica propriamente come
sancta l‟insieme delle cose che non sono né sacre né profane, ma che sono confermate da una
certa sanzione, come per esempio sono sanctae delle leggi; ciò che è sottomesso a una
sanzione, quello è sanctum, benché non consacrato agli dèi”. […] Si vede in ogni modo che
sanctum non è né ciò che è consacrato agli dèi, che si dice sacer; né ciò che è “profano”, ciò
che si oppone a sacer; è ciò che, non essendo né l‟uno né l‟altro, è stabilito, affermato da una
sanctae, ciò che è proibito con una pena contro ogni attacco, come le leges sanctae».6
1
Dal latino pro-fanum, che sta fuori del tempio. Il tempio nella simbologia religiosa è il luogo dove abita il dio.
2
BENVENISTE E., Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1976, 419.
3
ELIADE M., Trattato di storia delle religioni, Universale scientifica Boringhieri, Torino 1976, 19.
4
BENVENISTE E., Op. cit., 426.
5
Ivi.
6
Ibidem, 426.
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I due termini greci relativi alla nozione di sacro sono hieros e haghios.
«Se prendiamo successivamente i sensi che ogni passo impone immediatamente constatiamo
una diversità di uso tale che alcuni studiosi hanno voluto distinguere tre diversi hieros in
Omero. Nella lingua epica hieros si applica in effetti a cose e ad esseri che non sembrano aver
rapporti con il sacro. Troviamo ancora questa opinione in Boisacq: ci sarebbe uno hieros che
significa “sacro”, un altro che significa “forte”, un terzo che significa “vivo”. Oggi si riconosce
che questa divisione è artificiale; tutti si accordano sull‟unità di senso».7
Successivamente Benveniste fa vari esempi omerici nei quali l‟aggettivo hieros è accostato a
svariati oggetti (per esempio: hieros che accompagna designazioni di culto come “altare” o
“sacrificio”; o ancora “l‟olivo hieros”), e giunge alla conclusione che
«ovunque hieros appartiene all‟area del “sacro”, sia che questa qualità appartenga alla nozione
naturalmente sia che vi venga associata dalle circostanze. Altrimenti non si sarebbe chiamato
tà hierà l‟atto sacrificale».8
Relativamente al termine haghios, questo è collegato al verbo hàzomai (un verbo di timore) e
all‟aggettivo hagnòs (che «evoca la nozione di un territorio “proibito” o di un luogo difeso dal
rispetto per il Dio»9).
Inoltre esso corrisponderebbe al sanscrito yaj- “sacrificare”. Benveniste conclude affermando
che:
«il rapporto di hieros e haghios in greco sembra proprio equivalere a quello di sacer e sanctus,
più o meno. Sacer e hieros “sacro” o “divino”, si dicono della persona o della cosa consacrata
agli dei, mentre haghios come sanctus indicano che l‟oggetto è difeso contro ogni violazione,
concetto negativo, e non, positivamente, ciò che è carico della presenza divina, che è il senso
specifico di hieros».10
Dopo questi chiarimenti relativi alla nozione di sacro, resta da vedere il contesto nel quale il
sacro si manifesta. Eliade introduce il concetto di ierofania nell‟opera Il sacro e il profano:
«l‟uomo prende coscienza del sacro perché esso si manifesta, si mostra come qualcosa del tutto
diverso dal profano. Per tradurre l‟atto di questa manifestazione del sacro abbiamo proposto il
termine ierofania, che è comodo, tanto più in quanto non implica alcuna precisazione
supplementare: non esprime niente di più di quanto è intrinseco al suo contenuto etimologico,
vale a dire che qualcosa di sacro ci si mostra. Si potrebbe dire che la storia della religioni, dalle
più primitive alle più elaborate, è costituita dall‟accumularsi di ierofanie, ossia dalle
manifestazioni di realtà sacre».11
7
Ibidem, 427.
8
Ibidem, 433.
9
Ibidem, 438.
10
Ibidem, 439.
11
ELIADE M. , Trattato…Op. cit., 18-19; cf. ELIADE M. , Miti, sogni e misteri, Rusconi, Milano 1985, 145-148.
16
Peculiarità fondamentale della ierofania è l‟alterità:
«è sempre lo stesso atto misterioso: la manifestazione di qualcosa di completamente diverso, di
una realtà che non appartiene al nostro mondo, in oggetti che fanno parte integrante del nostro
mondo “naturale”, “profano”».12
«una pietra sacra rimane una pietra; apparentemente (o più esattamente: da un punto di vista
profano) nulla la distingue da tutte le altre pietre. Al contrario, per coloro ai quali una pietra si
rivela sacra, questa tramuta la sua realtà immediata in realtà soprannaturale».13
È più consueta di quanto si pensi la tendenza, da parte dell‟uomo delle società arcaiche, di
vivere nel sacro o nell‟intimità degli oggetti consacrati; tale tendenza è comprensibile solo se
ci si rende veramente conto di quanto il sacro, per l‟uomo arcaico, coincida con la realtà per
eccellenza.
Nonostante l‟esperienza religiosa presupponga, come affermato sopra, una bipartizione del
mondo in “sacro” e “profano”, la tesi di Eliade è che tale bipartizione non costituisce un
“dualismo” embrionale, dal momento che «il profano è trasformato in sacro dalla dialettica
della ierofania».14
1.2. Lo spazio sacro
L‟uomo percepisce lo spazio attorno a sé come circolare e lo chiama appunto circo-stante;
egli si percepisce sempre come al centro di questo spazio che lo circonda, inoltre chiama il
limite circolare di questo spazio con il nome orizzonte. L‟essere al centro di tutta la realtà è
dunque un‟esperienza sensoriale originaria, immediata ed ineliminabile.
La percezione spaziale dell‟orizzonte (che de-limita) e del centro, configura l‟identificazione
fisica e culturale di un popolo, che, per la propria identificazione e affermazione, esige sempre
una terra sulla quale stare (esser-ci), delimitata da confini sicuri, accerchianti tutt‟intorno, e
fonda una città (cioè una convivenza stabile e localizzata) detta capitale (da caput che vuol
dire testa) e dunque fondante l‟identità del popolo stesso, collocata fisicamente o almeno
idealmente al centro di tutto lo spazio abitato. La struttura sociale e politica che ne segue
risponde a una identità di centralizzazione.
Tale percezione e identificazione è talmente importante che inevitabilmente la città
capitale, che sta al centro della terra appartenente al popolo, non può essere che al centro del
mondo, perché ogni popolo, a sua volta, si percepisce come popolo centrale rispetto a tutti gli
altri. Tale centralità dell‟individuo e del popolo è tuttavia continuamente minacciata
dall‟esperienza di centralità di altri individui e di altri popoli; è in-fondata e in-sicura. Per
12
ELIADE M. , Trattato…Op. cit., 19.
13
Ivi.
14
ELIADE M. , La nostalgia delle origini, Morcelliana, Brescia 1972, 151.
17
questo nelle esperienze religiose, anche le più primordiali, si va alla ricerca di una fondazione
e di una sicurezza offerta dal rapporto con la potenza superiore, garante e custode della
territorialità. Accade così che quando si ha l‟intuizione di una ierofania, il luogo dove questa
avviene diventa sacro (cioè separato e distinto dallo spazio circostante) e viene de-limitato,
spesso proprio anche in forma circolare, e dedicato alla presenza della divinità. A questo
punto quel luogo diventa il nuovo centro, il luogo cioè in cui l‟orizzonte spaziale vitale non è
più percepito e delimitato dalla propria esperienza sensibile, ma è percepito e delimitato dalla
potenza divina, e così diviene fondato e sicuro, stabile per sempre.
Come afferma Eliade vi è una stretta relazione fra ierofania e spazio sacro: «uno
spazio sacro trae la propria validità dalla permanenza della ierofania che una volta l‟ha
consacrato».15 Quest‟ultima, poi, non solo ha avuto «l‟effetto di santificare una data frazione
dello spazio profano omogeneo, ma assicura anche per l‟avvenire il perdurare di questa
sacralità».16 Lo spazio sacro, poi, non è mai “scelto”, ma “scoperto”: «lo spazio sacro si rivela
a lui in un modo o nell‟altro».17 Riguardo alla costruzione degli spazi sacri per eccellenza
(come altari o santuari), questi hanno sempre per fondamento:
«una rivelazione primordiale, che in illo tempore svelò l‟archetipo dello spazio sacro,
archetipo copiato e ripetuto poi all‟infinito per l‟erezione di ciascun nuovo altare, tempio o
santuario».18
Accanto alla percezione della terra abitata come centro di tutto ciò che sta intorno, si aggiunge
la sperimentazione della terra come centro anche della spazialità verticale e che dunque sta al
centro fra ciò che sta sopra e ciò che sta sotto. Nella simbologia collettiva il cielo è il luogo
delle potenze celesti, mentre il sottoterra è il luogo di tutto ciò che è negativo, cioè della
morte e delle potenze malefiche. Così è per l‟Ade dei greci, per gli Inferi (cioè quanto sta
sotto) dei romani, per lo Sceol degli ebrei e per l‟Inferno per i cristiani.
Nelle religioni la simbologia di ciò che sta in alto o di ciò che va in alto è diffusissima
fin dai primordi dell‟umanità. Basti pensare al cielo come dimora di Dio, alle potenze celesti
che governano il mondo e la storia, all‟abitudine di costruire i luoghi di culto sui monti,
oppure con imponenti gradinate di accesso, la ziqqurat mesopotamica era in realtà una
montagna cosmica, o ancora con cupole, che richiamano la volta celeste, o con torri,
campanili e pinnacoli, con la volontà d‟attingere la divinità.
15
ELIADE M. , Trattato…Op. cit., 378.
16
Ivi.
17
Ibidem, 380.
18
Ibidem, 382.