4
Si cercherà quindi di utilizzare il riferimento kantoriano al fine di porre un
po’ di chiarezza sul percorso intrapreso da Emma Dante e, per non cadere nel
rischio di un “comparativismo da operazione contabile”
2
si proverà ad operare
senza l’intenzione di delineare alcuna filiazione poetica. Del resto non essendoci
alcuna trasmissione diretta (l’esperienza di Emma Dante, al di là dello studio
attento e appassionato di questa importante figura, si limita infatti a quella di
spettatrice de La macchina dell’amore e della morte al teatro Biondo di Palermo)
di quell’insieme di pratiche che formano l’essenza stessa di ogni opera teatrale, si
tenterà di utilizzare l’arbitrarietà di quest’ipotesi al solo fine di porre le basi per un
approccio sistematico del lavoro della Sud Costa Occidentale. Questo approccio,
trattando dello studio di una compagnia relativamente giovane ma soprattutto
contemporanea, sembra necessitare sì di confronti, anche storici, ma soprattutto di
un’attitudine che si proponga di capire in quale senso e con quali conseguenze
Emma Dante interpreta l’esperienza kantoriana che pure non ha vissuto o esperito
in maniera diretta.
L’interesse di questo confronto è stato d’altra parte avvalorato e
ulteriormente evidenziato dalla stessa regista, la quale rendendosi disponibile a
rispondere ad alcune domande (necessarie all’elaborazione di questo lavoro), ci
dice: “Secondo me lui [Kantor] è il maestro spirituale un po’ di tutti quelli che
fanno teatro di ricerca dopo di lui, perché lui ha segnato un cammino in tutti noi,
non solo mio. Ha rivoluzionato il modo di fare teatro nel Novecento, ha
destabilizzato questo teatro, ha creato una rottura importante mettendo in
discussione tutta una serie di cose; per questo non penso che sia soltanto il mio
maestro spirituale, penso sia il maestro spirituale un po’ di tutti quelli che
intendono il teatro non come un punto di arrivo ma come un punto di partenza per
fare una ricerca seria, per aprire più domande possibili senza trovare quasi mai una
risposta”
3
.
Analizzando il processo creativo realizzato da Emma Dante, cercheremo
quindi di comprendere quali siano gli elementi, estetici e pratici, che la regista
sceglie arbitrariamente di rielaborare dalla suggestione kantoriana nella
realizzazione dei propri spettacoli. A tal fine, altrettanto arbitrariamente, abbiamo
deciso di focalizzare la nostra attenzione su un numero limitato di elementi che
2
Samuel BECKETT, Dante…Bruno. Vico..Joyce., in Dsiecta, Egea, Milano, 1991, p. 20.
3
E. DANTE, Il lusso della memoria (Conversazioni su T. Kantor), il testo completo dell’intervista
tenutasi a Cascina il 19-01-2007 è riportato in allegato a questa tesi.
5
secondo noi costituiscono l’essenza stessa dell’operato della Sud Costa
Occidentale, ovvero il testo ed il linguaggio, l’ attore ed il personaggio, lo spazio e
l’oggetto.
Vorremmo così ripercorrere processo creativo che attraversa la trilogia
palermitana della Sud Costa Occidentale, intendendo in questo modo la prassi con
cui si giunge alla realizzazione di uno spettacolo; tuttavia prima di addentrarci
negli argomenti specifici, crediamo opportuno soffermarci sull’importanza del
concetto di laboratorio, essendo questa una pratica fondamentale nel teatro di
Emma Dante, controversa in quello di Kantor e di assoluta rilevanza nel contesto
storico del Novecento teatrale.
La scelta di operare proprio attraverso la suggestione kantoriana, è inoltre
avvalorata dal fatto che l’opera e le riflessioni teoriche di Kantor hanno inciso
profondamente sulla realtà e sulla storia del teatro al punto da assumere una
centralità indiscussa nel campo degli studi teatrali, e questo poiché l’ampiezza e la
portata della poetica kantoriana è stata in grado di analizzare e ridefinire (e
rivoluzionare) tutti gli elementi di questa arte.
Sembra a questo punto doveroso premettere che, non essendo questa una
tesi su Tadeusz Kantor, non sarebbe in alcun modo possibile affrontare i molteplici
aspetti che contraddistinguono la sua importante e complessa esperienza in materia
teatrale, altresì è però necessario considerare che un simile tentativo non può certo
prescindere dall’assumere le ormai note contraddizioni-tensioni kantoriane. Kantor
per l’appunto, artista che fin dagli inizi delle sue attività figurative e teatrali, non ha
mai smesso di esporre con decisione accanimenti e suggestioni, corollare principi a
realizzazioni, scrivere manifesti teorici in prosa poetica
4
.
“Kantor ne construit pas son propre développement. La logique de son
développement est celle d’un collage ou’ d’un assemblage”
5
, ed è da qui,
4
“Tutti i caratteri di sviluppo del teatro Cricot 2 si contengono già nel Teatro clandestino che è
durato dal ’42 al ’44.Il ’55 è la fondazione del Cricot e le prime manifestazioni. Il ’61 è il Teatro
informale, è la prima tappa definita, il riallacciamento al Teatro clandestino, cioè la realtà del
rango più basso, cioè la realtà povera; questo è connesso anche alla pittura, all’arte informale. Il
’63 si prende le conseguenze più spinte dell’arte informale, cioè il Teatro zero, cioè il gioco, la
recitazione con il vuoto, con il nulla. Nel ’67 c’è la tappa del Teatro di happening in Polonia e in
Europa, una specie di conclusione di tutto questo, perché sempre la tappa successiva è un trarre le
conclusioni da quella precedente. Allora ’72 Teatro impossibile e ’75 Teatro della morte. Per
quanto riguarda questa tappa non ho ancora il nome.” T. KANTOR,Una partita tra la finzione e la
realtà, intervista di Gianni Manzella pubblicata in «Artò»,, Bologna, n. 7 ottobre 2000 p.17.
5
H.PTASZKOWSKA, Who is Kantor, manoscritto inedito in inglese comunicato dallo stesso
Kantor per la realizzazione di T.Kantor n.1, Les Voies de la Création Théâtrale 11, Parigi, Cnrs,
1990, p. 36.
6
collegandosi a questa riflessione, che Denis Bablet, fonte autorevole a cui faremo
spesso riferimento perché primo studioso ad aver realizzato un’analisi completa ed
approfondita su Kantor e la sua opera, individua la ragione del gioco delle
opposizioni interne, delle rotture e la permanenza delle contraddizioni kantoriane:
“Réalisme et irréalisme, raison et instinct, spiritualisme et matérialisme, rire et
tragique, rite et blasphème. A l’image de notre monde : harmonie et chaos”
6
.
Già da quando, nel 1942, Kantor fonda a Cracovia, in piena occupazione
nazista, il Teatro Indipendente, molti dei principi del suo impegno artistico sono
chiari, talmente privi di riserve da essere immediatamente seducenti. L’esperienza
tracciata è grande e complessa perché Kantor ha esplorato tratti accademici,
avanguardisti e rivoluzionari tanto nel percorso plastico quanto in quello teatrale.
Grande importanza hanno avuto poi sia gli incontri, vuoi reali vuoi artistici, che
hanno lasciato un segno e sono stati elaborati in un’estetica unica (per l’appunto
perché l’opera kantoriana trascende quella di coloro che l’hanno in parte
alimentata), sia il quadro storico in cui questa si è realizzata, perché se da un lato
esso ha un inequivocabile valore contestualizzante, dall’altro fa si che (poiché,
come dice Bablet “l’arte non vive che dei suoi rapporti con la realtà”
7
) utilizzando i
materiali e i mezzi presi da quella realtà, Kantor spinge la materia presa dallo choc
della storia a dispiegarsi al punto da integrarsi in sistemi estetici formalizzati: gli
objet-trouvés non sono altro che oggetti catturati all’interno della realtà in cui si
trovano, a cui viene poi privata l’abituale funzione d’uso ed il simbolismo che li
distingue al fine di ridurli alla neutralità della loro concreta autonomia. Questa
modalità operativa, dopo gli studi all’Accademia delle Belle Arti di Cracovia, viene
realizzata da Kantor progressivamente attraverso la pittura, l’attività scenografica,
quella teatrale, la creazione di imballaggi, happening e cricotage (forme brevi che,
a differenza degli happening, strutturano con precisione i materiali e le azioni
lasciando poco spazio al caso) e senza dubbio si concretizza con progressiva
chiarezza da quando, nel 1955, Kantor fonda il Teatro Cricot 2 ed entra in contatto
con l’arte informale.
Ora, immaginando di poter scegliere un ipotetico primo fulcro di attrazione
che ci consenta, da qui, di avvicinare Emma Dante ed il suo lavoro, ci piacerebbe
sceglierne uno che non abbia a che fare con una relazione di carattere estetico, ci
6
D.BABLET e B. ERULI, , T. Kantor n.1, Les Voies de la Création Théâtrale 11, Parigi, Cnrs,
1990, p.36.
7
D.BABLET, Tadeusz Kantor, il teatro della morte, Milano, Ubulibri, , 1979 p. 25
7
piacerebbe tentare di comunicare un’immagine: quella di un pastello italiano
realizzato da Kantor, uno schizzo preso tra Scilla e Cariddi accompagnato dal
commento :
“Sicilia! Era come irraggiungibile, e libera, come
dall’altraparte”
8
Sensazione di alterità quella che da sempre confina la Sicilia di ogni tempo; zona
liminale dello spazio, della cultura e dell’anima, perché “è il sud del mondo ad
essere una condizione dell’anima”
9
, laddove il dolore, l’immobilità e la nostalgia si
esprimono in una rivolta stretta tra i denti in un urlo soffocato, dove le mitologie e
le magnifiche cerimonie di una religiosità barocca sono già teatro. E libera, zona
dell’anima libera perché sopravvissuta, ancora svincolata da quel modello di
potere, campione di riferimento che tutto fagocita e che Carmelo Bene chiamerebbe
“l’invasione turca.” Condizione dell’anima o “sud del sud” allora, dove tanti San
Giuseppe Desa da Copertino possono volare senza sapersi, a “boccaperta”, liberi da
se stessi e dal pensiero, gratuiti, liberi. Così può piacere pensarla quell’ “altra
parte”, seppure si tratta anche della reale eccezione storica che rilegge negli
accadimenti della Sicilia la regola non scritta del destino polacco, quello segnato da
innumerevoli invasioni. Ma per chi vi nasce, in quei luoghi, dall’”altra parte” è
fuori, gli stranieri sono gli altri, e la sete di un contatto che riveli l’esistenza di
tragitti artistici apparentemente impercettibili muove di pari passo con il bisogno di
conoscere le fonti che determinano il sistema culturale prevalente. E se
quest’ultimo Emma Dante lo aveva già soddisfatto quando dalla Sicilia si era
spostata nel “continente” per studiare all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio
D’Amico”, il primo invece si fece urgenza anni dopo, quando dopo aver fondato
nel 1999 a Palermo la compagnia Sud Costa Occidentale ed avervi realizzato
laboratori finalizzati alla creazione di spettacoli e performance (abbandonando
progressivamente l’attività di attrice), decise di tornare nell’“aldilà” della realtà
culturale italiana per portarvi l’”aldilà” della proposta artistica maturata in Sicilia.
8
Riproduzione del pastello e citazione nella monografia di K. PLEŚNIAROWICZ, Kantor. Artista
końca wieku [Kantor. Artista di fine secolo], Wroclaw, 1997, p.299.
9
E. DANTE, intervista di Ivana Margarese, Entrevista a Emma Dante, in “Intramuros”, 2005,
http://www.grupointramuros.com.
8
Dunque l’incontro con “gli stranieri”
10
: la decisione di varcare lo stretto di
Messina per partecipare al premio Scenario ma con uno spettacolo che parla
siciliano, realizzato con un percorso laboratoriale contraddistinto da non pochi
disagi legati al territorio (primo fra tutti perché emblematico quello dell’acqua, che
diventerà genitore di una delle scene più suggestive dell’opera) e che si chiama
appunto mPalermu. Uno spettacolo che per forma, fabula, contenuti e talune
caratteristiche del contesto in cui si è elaborato il suo processo creativo (le quali,
come si è detto, di necessità virtù -e con intelligenza- si fanno materiale poetico),
affonda le sue recenti radici nella cultura siciliana ma che diventa emblema e
rappresentazione simbolica di una certa condizione dell’animo umano. Lo
spettacolo vince l’edizione 2001 del premio Scenario e dopo poco si guadagna
anche il premio Ubu 2002 come migliore novità italiana e migliore ricerca
drammaturgica.
Scenario dunque cambia le sorti della compagnia che, con il successivo
lavoro, Carnezzeria, inizia ad affermarsi nel panorama italiano contemporaneo.
10
E. DANTE, La strada scomoda del teatro, op. cit., p.55
9
CAPITOLO I
Laboratorio e Ricerca
Nell’introduzione di questa tesi abbiamo solamente accennato al motivo per cui si è
scelto di attribuire, all’interno dell’elaborato, un ruolo tanto importante all’analisi
della pratica laboratoriale.
Quella del laboratorio teatrale è una questione urgente in ragione del fatto
che crediamo non sia possibile prescindere dal valore che tale prassi ha assunto nel
contesto del Novecento teatrale (ed in particolare in Polonia) e ci troveremo spesso
a contestualizzare il lavoro di Emma Dante attraverso i presupposti che la
distinguono. Questo fenomeno, più solido e meno recente di quanto si immagini, è
per certi versi ancora soggetto a tante diverse interpretazioni, anche storiche, ed il
nostro tentativo tenderà in primo luogo proprio a passare in rassegna alcune delle
caratteristiche che ne determinano la specificità (il carattere temporale e spaziale, il
rapporto con la nozione di sperimentazione, il lavoro dell’attore e via dicendo).
I teatri laboratorio del panorama contemporaneo sembrano aver perlopiù
aver assunto la forma di piccole dimensioni, Mirella Schino le chiama Cittadelle
perché sono spesso periferiche e costituite da minoranze che hanno operato una
scelta profonda, una scelta di vita. Se già abbiamo premesso la rilevanza che ciò
assume nel processo creativo della Sud Costa Occidentale va da sé che nostro
compito vorrebbe essere anche quello di comprenderne le ragioni, così come
comprendere le ragioni della dissonanza che invece sembra scorrere tra
l’interpretazione dell’ esperienza laboratoriale operata da Kantor ed il suo effettivo
manifestarsi o meno nella pratica del Cricot 2.
1.1
La questione del Laboratorio
Secondo Mirella Schino, autorevole storica del teatro, docente in Discipline dello
spettacolo presso l’Università dell’Aquila e membro dell’équipe scientifica
dell’ISTA, quella del laboratorio teatrale è una realtà che è possibile ritrovare
persino prima del Novecento, anche se chiaramente non condivide pienamente la
natura della nota categoria storica inaugurata da Jerzj Grotowski. A rendere
10
equivalenti questi percorsi vi sarebbero alcuni elementi quali la serietà
dell’impegno, la riflessione, l’elaborazione di qualcosa, la continuità e la
collettività. La consapevolezza dell’idea del laboratorio teatrale andrà poi
progressivamente determinandosi proprio nel corso del secolo appena concluso. I
primi concreti impulsi che a posteriori crediamo mossero importanti passi verso
questa pratica del lavoro teatrale provengono da alcune grandi esperienze della
prima metà del Novecento: soprattutto quelle di Konstantin Stanislavskij, Vsevolod
Mejerchol’d, Jacques Copeau e Etienne Decroux ; ma fu soprattutto a partire dalla
seconda metà del secolo, dagli interventi di Jerzj Grotowski, Eugenio Barba e
Arianne Mnouchine che si iniziò davvero a definire l’idea ed il significato del
laboratorio teatrale, anche se tutt’oggi sarebbe impossibile cercare di ritrovare delle
peculiari caratteristiche che possano fungere da assoluto ed infallibile comune
denominatore. Ciò che si può però forse fare è ricercare quali sono solo i tratti
fondamentali che ci consentono di considerare una pratica come laboratorio.
A questo scopo ci sembra importante considerare alcuni fattori, quali quello
del tempo, dello spazio e della relazione che l’attività laboratoriale assume in
rapporto alla sperimentazione. Ci sono poi altri fattori che sembra necessario
considerare quando si tratta il laboratorio teatrale, come ad esempio il lavoro
dell’attore, il rapporto con l’idea di rappresentazione e con le logiche produttive
dell’evento spettacolare.
Nel vocabolario della lingua italiana, alla voce “laboratorio” possiamo
trarre dalla definizione i seguenti passi: “1. Locale o edificio fornito di apposite
installazioni e apparecchi per esperienze e preparazioni fisiche, chimiche,
farmaceutiche o, in genere, per studi, ricerche ed esperimenti tecnici o scientifici
[…] Esperienze o esperimenti di l., ricerche, studi di l., misurazioni di l., quelli
eseguiti in laboratorio, e quindi in condizioni controllate e riproducibili […] 2.b.
Qualsiasi locale o insieme di locali dove più persone attendono ai lavori di un’arte
o mestiere: l. di sartoria; l. artigiano; l. di ebanisteria, ecc.”
11
Questa definizione ci suggerisce come in primis, al termine laboratorio,
venga relazionato un concetto spaziale di luogo; parliamo in linea di massima della
necessità di operare in una condizione fisica, attrezzata o meno, accogliente o
meno, ma comunque dedicata all’esercizio di queste pratiche. In materia teatrale
questo requisito spaziale sembra destinato anche alla costituzione di una
11
Vocabolario della lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni
Treccani, Roma, 1987, p. 1034.