IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
6
Il presente lavoro è stato svolto con l’intento di fare luce su un fenomeno molto
complesso, che provoca un notevole scompenso per le esigenze di gettito dello Stato
e, di conseguenza, per la collettività intera.
L’elusione è un fenomeno di difficile repressione e le difficoltà nel debellarla
risiedono nella stessa natura del comportamento elusivo, che viene pensato, studiato
ed applicato per non incorrere nella violazione delle norme, come invece accade nella
fattispecie evasiva, ma nel loro aggiramento.
L’aggiramento comporta il pieno rispetto delle norme per quanto riguarda la forma, la
lettera ed una loro lesione, invece, riguardo all’aspetto della sostanza.
La mancata violazione diretta delle norme e la messa in atto di un comportamento del
tutto lecito, rende incompatibile l’elusione con la previsione di sanzioni (almeno di
tipo penale).
La nostra clausola antielusiva, l’art. 37-bis D.P.R. n. 600/1973 elenca, al comma 3
tutte le fattispecie considerate potenzialmente elusive.
La volontaria previsione di un principio antielusivo a fattispecie predeterminate come
il nostro art. 37-bis e non di un principio antielusivo generale, sull’esempio della
Generalklausel contenuta nel § 42 dell’Abgabenordnung tedesco ha spesso costituito
un limite alla repressione dei fenomeni elusivi non codificati.
Alcune pratiche elusive sono state perpetrate per anni, data la loro mancata inclusione
tra le operazioni potenzialmente elusive ricomprese al comma 3, con un importante
danno per le casse dello Stato; un esempio rilevante in questo senso ha riguardato i
casi di dividend washing e dividend stripping, molto diffusi all’inizio degli anni ’80
del secolo scorso.
L’emanazione di tre sentenze della Corte di Cassazione che si riproponevano di
debellare i fenomeni in questione attraverso il ricorso ad istituti civilistici presenti nel
nostro ordinamento, quali la nullità del contratto per mancanza di causa e per contratto
in frode alla legge, hanno generato un acceso dibattito fra dottrina e giurisprudenza.
Le varie scuole di pensiero si sono confrontate sulla possibilità di applicare al diritto
tributario gli istituti della nullità civilistica e di poter perciò estrapolare un principio di
portata generale dagli strumenti presenti nel nostro ordinamento.
Una simile previsione è stata, come vedremo, ampiamente confutata, attraverso la
dimostrazione delle incoerenze che lo strumento della nullità del contratto possiede
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
7
nei confronti del fenomeno elusivo, nonché della necessita di mantenere e non
annullare gli effetti dell’operazione, in modo tale garantire il recupero l’imposta elusa.
Le fattispecie elusive del dividend washing e dividend stripping hanno potuto
espandersi grazie alla presenza di una lacuna, presente nel nostro sistema tributario,
che è stata colmata solo in seguito, grazie all’introduzione di una norma correttiva ad
hoc.
I tentativi di ricavare un principio antielusivo di portata generale, applicabile in caso
di necessità, qualora dovessero sorgere nuove fattispecie non “coperte” dall’art. 37-
bis, dimostrano che l’esigenza di contrastare tutte le fattispecie, anche quelle nuove o
non ancora sorte non si è ancora placata.
Basti pensare ad una recente sentenza della Commissione Regionale della Lombardia,
risalente al 4 febbraio 2008, in cui i giudici hanno riconosciuto all’art. 37-bis il
carattere di clausola antielusiva con valenza generale e la non esaustività, né
tassatività delle operazioni elencate nel comma 3.
Anche questo intento è stato fonte di critiche.
D’altro canto una norma antielusiva a valenza generale è stata volutamente evitata dal
nostro legislatore, per il timore che un principio di tale portata potesse essere fonte di
applicazioni distorte, o di abusi da parte degli organi del nostro sistema
amministrativo finanziario, considerato non ancora maturo per una simile
responsabilità.
Il problema risiede perciò nel trovare un modo per conciliare la tipizzazione delle
fattispecie elusive, - per cui ha optato il nostro legislatore -, con l’esigenza di
contrastare i comportamenti elusivi messi in atto attraverso operazioni escluse dalle
fattispecie predeterminate, senza dover necessariamente introdurre una Generalklausel
anche nell’ordinamento italiano.
Una possibile risposta al problema è stata fornita dalla giurisprudenza comunitaria.
Uno spiraglio sembrerebbe infatti essersi aperto nel panorama comunitario, in seguito
alle sentenze con le quali la Corte Europea si è pronunciata in materia di abuso del
diritto.
Con la sentenza Halifax, in particolare, la Corte Europea ha definito per la prima
volta l’elusione, come espressione dell’abuso del diritto.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
8
Dalla causa C-255/02 Halifax è emersa la correlazione con l’orientamento della Corte
di Cassazione italiana, secondo la quale, le operazioni attuate senza perseguire uno
scopo economico, devono essere considerate un “abuso del diritto”.
Le pronunce della Corte Europea hanno aperto la strada verso una possibile risposta al
problema tutto italiano della mancanza di una clausola antielusiva di portata generale.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
9
Capitolo 1
SOMMARIO: I.1 Definire l’elusione. - I.1.1 La distinzione tra elusione ed evasione - I.1.2
La distinzione tra elusione e simulazione. - I.1.3 La distinzione tra elusione ed
interposizione fittizia di persona. - I.2 Evoluzione della normativa: dall’art. 10 1°
comma della l. n. 408/1990 all’art. 37-bis D.P.R. 600/1973. - I.3 Le disposizioni
antielusive. - I.3.1 L’analisi dell’art. 37-bis. - I.3.2 Elusione come insieme di
operazioni coordinate. - I.3.3 Le disposizioni antielusive speciali. - I.3.4 Il rapporto tra
norma antielusiva “generale” e disposizioni antielusive speciali.
I.1 Definire l’elusione
L’art. 37-bis D.P.R. n. 600/1973 identifica l’elusione d’imposta con “ gli atti , i fatti
ed i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad
aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni
d’imposte o rimborsi altrimenti indebiti ”.
L’operazione che viene messa in atto per il raggiungimento di un fine elusivo,
presenta degli elementi caratteristici, fra i quali primeggia l’anormalità della
concatenazione degli atti, rispetto a ciò che, in una situazione normale, gli operatori
che si trovano nella medesima situazione, con le stesse esigenze del contribuente
elusore, avrebbero realizzato.
L’altro elemento caratterizzante il comportamento elusivo risiede nella volontà di
raggiungere attraverso quella concatenazione di atti, un vantaggio fiscale (una
riduzione, oppure un rimborso d’imposta), che, senza l’aggiramento di una norma
tributaria, il sistema non avrebbe mai previsto né consentito; data la sua “non
spettanza”, tale vantaggio viene definito “indebito”
3
.
In seguito si vedrà che la volontà di conseguire questo preciso vantaggio permette di
distinguere la fattispecie elusiva da un diverso istituto, denominato “simulazione”.
Secondo la communis opinio, l’elusione fiscale occupa uno spazio intermedio tra
risparmio (lecito) d’imposta ed evasione
4
.
3
Gaspare Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2007, 101.
4
Francesco Tesauro – Compendio di diritto tributario, Torino, 2004, 135.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
10
E’ necessario quindi distinguere l’elusione dal risparmio (lecito) d’imposta e
dall’evasione.
Il risparmio d’imposta può essere lecito, quando è il risultato di comportamenti
incoraggiati dal legislatore, oppure elusivo.
Una norma antielusiva come il nostro articolo 37-bis, che non ha portata generale, ma
definisce nello specifico le operazioni considerate potenzialmente elusive, presuppone
che tutte le fattispecie non contemplate dalla norma, non appartengano all’area
dell’elusione fiscale; dove la clausola non “arriva”, vige il principio della
tendenziale libertà delle scelte economiche imprenditoriali e nulla potrà impedire
al contribuente d’impostare le proprie preferenze in base alla maggiore convenienza,
anche sotto il profilo del carico tributario
5
.
La norma antielusione non può quindi vietare la scelta, tra “vari comportamenti posti
dal sistema fiscale su un piano di pari dignità
6
”, di quello fiscalmente meno oneroso.
La ricerca di un risparmio d’imposta previsto dalla legge, (per es. la previsione di
agevolazioni fiscali per determinate zone), non comporta l’aggiramento di obblighi o
divieti: in tali casi non sussiste elusione, ma si ha la cosiddetta “erosione”
7
.
Il risparmio d’imposta raggiunto con l’elusione ha carattere indebito, perché è stato
ottenuto grazie all’aggiramento delle norme tributarie e non si sarebbe realizzato in
alcun modo, se non fossero stati aggirati obblighi o divieti.
Ad essere aggirati sono i regimi fiscali tipici, cioè i regimi impositivi propri di forme
negoziali, di cui il contribuente abusa, anche mettendo in atto una combinazione di più
negozi, ai quali avrebbe dovuto essere sottoposto se non avesse perseguito un
vantaggio fiscale indebito
8
.
Il comportamento elusivo può manifestarsi attraverso due modalità: l’unione “insolita
od inutilmente complessa” di forme contrattuali diverse (vedi il caso di un aumento di
capitale cui consegue la cessione dei diritti di opzione per la sottoscrizione dello
5
Franco Latti, “La nullità civilistica come strumento generale antielusivo: riflessioni a margine di
recenti orientamenti della Cassazione civile”, atti del convegno svoltosi a Padova il 15 settembre 2006,
cap. 8.
6
Dalla Relazione governativa di accompagnamento alla disposizione di cui all’art. 37-bis D.P.R. n.
600/1973.
7
Baldassarre Santamaria, Diritto tributario – parte generale, Giuffrè, 2006, 153.
8
Pasquale Russo, “Brevi note in tema di disposizioni antielusive”, in Rassegna tributaria n. 1 di
gennaio-febbraio 1999, 68.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
11
stesso, effettuato al solo scopo di non incorrere nella diretta cessione di azioni o quote
della società, che comporterebbe un trattamento fiscale più elevato
9
), oppure mettendo
in atto un’operazione, appartenente ad un preciso istituto giuridico, ma a cui viene
distorta la funzione tipica, (per esempio nel caso di una fusione che viene utilizzata
non per la creazione di sinergie fra imprese, ma al solo fine di ottenere un vantaggio
fiscale)
10
.
Il contribuente è libero di fare scelte di convenienza fiscale, nei limiti di ciò che non è
vietato dall’ordinamento ed è certamente libero di trovare il modo per evitare una
situazione in cui l’imposta è dovuta, raggiungendo il proprio obiettivo senza
necessariamente seguire la strada più onerosa.
Prendiamo come riferimento il trasferimento di un complesso aziendale: esso potrà
avvenire attraverso due modalità: mediante la cessione diretta dell’azienda, oppure
mediante la cessione delle quote societarie. La scelta dell’una o dell’altra modalità
implicherà, nei confronti del contribuente, la sottoposizione a differenti regimi di
tassazione: rispettivamente, quello dei redditi diversi, oppure quello delle plusvalenze
generate nel reddito d’impresa.
Il contribuente può scegliere tra le due strade e non è tenuto a sottostare all’alternativa
fiscalmente più onerosa, se non si è servito di artifizi o stratagemmi
11
.
Altri strumenti giuridici fungibili, perfettamente leciti, tra i quali il contribuente è
libero di scegliere la soluzione che più si avvicina alle proprie esigenze, possono per
esempio consistere nel periodo d’imposta in cui incassare proventi o pagare spese,
nella misura degli ammortamenti, degli accantonamenti e delle altre valutazioni di
bilancio, in cui sono le stesse norme a lasciare un margine di flessibilità che permette
di ottenere anche vantaggi in termini di convenienza fiscale
12
.
Il problema è quello di stabilire con chiarezza fino a che punto sia consentito al
contribuente spingersi alla ricerca della soluzione fiscalmente meno onerosa.
9
Per evitare l’utilizzo di questo schema elusivo, il legislatore è successivamente intervenuto ad
equiparare i due regimi fiscali di cessione dei diritti di opzione e cessione delle azioni o quote.
10
P. Russo, op.cit., 68.
11
Giovanni Cremona, Maria Rosaria Grossi, Paolo Monarca, Nicola Tarantino, L’elusione fiscale.
Evoluzione della normativa, prevenzione del fenomeno e prassi ministeriale, edizione aggiornata alla
Manovra-bis, Il Sole 24 ore, 2006, 15.
12
Fabio Gallio, “La fusione, il riporto delle perdite e l’elusione fiscale”, in rivista online il fisco (banca
dati tributaria fisconline), < www.ilfisco.it >, n. 43 del 20 novembre 2006, 1-6668.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
12
Non vi è elusione tutte le volte che il contribuente consegua un risparmio d’imposta
servendosi, per raggiungere un determinato risultato pratico, di una delle vie
alternative che lo stesso legislatore tributario riconosce.
L’ elusione consiste in una forma di risparmio, conforme alla lettera, ma non alla ratio
delle norme tributarie: si ha elusione quando il contribuente ricorre all’uso improprio
– vale a dire all’abuso – delle forme giuridiche, evitando di applicare la normativa
fiscale appropriata, ottenendo così un vantaggio fiscale non perché gli spetta di diritto,
ma attraverso la strumentalizzazione della forma delle norme, a cui consegue la
distorsione delle loro finalità sostanziali
13
.
Non esiste una definizione accettata di elusione: il fenomeno è variabile e in continuo
divenire, in quanto evolve contestualmente al concetto di “buon costume” sulla base
non solo “dell’evoluzione della disciplina tributaria, ma anche della sensibilità -
dell'Amministrazione finanziaria e del contribuente - nel recepirla e attuarla
14
”.
Il fatto che il nostro ordinamento non abbia ancora ben delimitato il fenomeno
dell’elusione, costituisce sicuramente un problema
15
.
Ad oggi l’elusione è considerata come un comportamento diretto al perseguimento di
un vantaggio fiscale, non esplicitamente vietato dalla legge, ma incompatibile con
l’ordinamento tributario, in quanto si avvale di “alchimie finanziarie” o “architetture
giuridiche” – spesso articolate e artificiose -, quali lo sfruttamento di lacune
legislative, la strumentalizzazione d’ istituti giuridici o l’abuso dell’autonomia
negoziale.
Viene considerata come un “risparmio d’imposta patologico”, derivante
dall’aggiramento di disposizioni, spesso lacunose e malriuscite, riguardanti casi
particolari, come per esempio in tema di cessione di diritti di opzione, di distribuzione
del sovrapprezzo azioni o di versamenti a fondo perduto
16
.
13
G. Cremona, M. Rosaria Grossi, P. Monarca, N. Tarantino, op. cit., 4.
14
Roberto Lunelli, “Normativa antielusione”, in rivista online il fisco (banca dati tributaria fisconline),
< www.ilfisco.it >n. 30 del 28 luglio 1997, 8484.
15 Agostino Nuzzolo, “Profili problematici in materia di elusione fiscale alla luce dei principali
orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, Premessa. Elusione, evasione e risparmio d'imposta. La
natura delle norme antielusive”, in Fiscooggi (Notiziario fiscale dell’Agenzia delle Entrate),
< www.fiscooggi.it >, edizione dell’ 8 agosto 2003.
16
Raffaello Lupi, “Elusione e legittimo risparmio d’imposta nella nuova normativa”, in Rassegna
tributaria, n. 5, settembre-ottobre 1997, 1099.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
13
Attraverso operazioni economiche lecite, il soggetto si sottrae in tutto o in parte al
pagamento del tributo. L’elusione nasce dalla particolare struttura della norma
tributaria, incentrata sulla determinazione del presupposto d’imposta e, pertanto,
costretta all’esaustività e alla tipizzazione delle fattispecie impositive
17
: essa
acquisisce rilevanza giuridica solamente quando le operazioni effettuate siano
specificamente previste da una disposizione legislativa
18
; solo in tal caso, una serie di
atti, fatti o negozi messi in atto al solo fine di conseguire un risparmio d’imposta,
rientrerà a far parte delle fattispecie elusive. Il nostro sistema impositivo è infatti
impostato in maniera tale che il fenomeno elusivo possa essere considerato illecito
solo in presenza di un’espressa disposizione di legge in contrario: l’operazione elusiva
potrà pertanto essere considerata lecita, fintantoché una norma – generale o particolare
che sia, ma comunque antielusiva –, non la renda illecita. In mancanza di una norma
antielusiva, nessuna ragione impedisce al contribuente di seguire la strada fiscalmente
meno gravosa, con la conseguenza che, se la soluzione adottata è civilisticamente
corretta, non può che considerarsi lecita ai fini fiscali.
Il contribuente, approfittando di tale punto debole dell’ordinamento, “aggira” la norma
impositiva, ponendo in essere uno o più atti o negozi civilisticamente validi ed
efficaci, ma in funzione atipica o anomala, in modo tale da realizzare un risultato
economico-sostanziale equivalente a quello del diverso atto o negozio assunto dalla
norma a presupposto d’imposizione; in tal modo eviterà d’integrarne gli estremi da un
punto di vista giuridico-formale. Da questo ragionamento deriva che “ l’elusione non
sarebbe da ricercare nell’utilizzo anormale di negozi e atti giuridici ma, piuttosto,
nella strumentalizzazione delle regole fiscali; il fenomeno dell’elusione non dipende,
quindi, dalla libertà negoziale o dall’autonomia privata, ma è il frutto dell’esistenza
stessa di regole e della loro imperfetta formulazione
19
”.
17
Luigi Meraviglia, “Il sottile confine tra evasione ed elusione”, in Fiscooggi (Notiziario fiscale
dell’Agenzia delle Entrate), < www.fiscooggi.it >, edizione del 16 maggio 2007.
18
A. Nuzzolo, op. cit.
19
G. Chinellato, op. cit., 25, cita Raffaello Lupi, “L’elusione come strumentalizzazione delle regole
fiscali”, in Rassegna tributaria, 1994, 226.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
14
Sfruttando le lacune dell’ordinamento, il contribuente riesce a trovare “una mancata
corrispondenza, nella fattispecie normativa, tra il contenuto logico della legge – la
ratio – ed il suo significato legislativo
20
”
L’elusione comporta numerosi problemi di tipo sociale, data la violazione del
principio costituzionale di “capacità contributiva” contenuto nell’art. 53 Cost.: in
presenza di un medesimo risultato economico-patrimoniale, infatti, un soggetto si
sottrae ai “giusti” tributi, che altri, invece, pagano. Anche sotto il profilo erariale essa
crea ingenti danni, in quanto produce rilevanti perdite per l’Erario, il quale dovrà
reperire la materia imponibile sottratta, attivandosi con nuove imposizioni nei
confronti della generalità dei contribuenti.
Il fenomeno va’ perciò contrastato: anche se la legge non proibisce quello specifico
comportamento, non è opportuno consentire che i soggetti più “scaltri” conseguano un
vantaggio, non impedito da specifiche disposizioni, ma non spettante, in base alla
volontà del Legislatore.
21
Quello di cercare una definizione di elusione tributaria è stato un compito complesso:
spesso sono stati utilizzati termini atecnici, incombendo in numerose “confusioni
terminologiche”: in passato veniva infatti concepita come evasione legale.
Per ottenere un concetto più chiaro sul significato di elusione (ambito della liceità), è
utile il confronto col concetto di evasione (ambito dell’illiceità), con la quale viene
spesso erroneamente confusa.
L’elusione va’ inoltre distinta dalla simulazione e dall’interposizione fittizia di
persona.
I.1.1 La distinzione tra elusione ed evasione
Nell’ordinamento giuridico italiano non è rinvenibile una specifica nozione di
elusione fiscale. Il problema implica l’esigenza di distinguere la fenomenologia
elusiva dalla più nota evasione fiscale
22
.
20
G. Chinellato, op. cit., 251 cita Kruse, Il risparmio d’imposta, l’elusione fiscale e l’evasione, 1121.
21
I saggi Lunelli, cit. ,“L’elusione tributaria”, cap. I.
22
Ibidem.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
15
Entrambe le fattispecie sono caratterizzate dalla inopponibilità all’Amministrazione
Finanziaria degli atti privi di una valida ragione economica e aventi il fine di aggirare
obblighi e divieti.
L’elusore è colui che ricorre legittimamente alle possibilità offerte dal sistema, per
ottenere attraverso operazioni negoziali formalmente lecite, la riduzione o
l’annullamento del carico fiscale, oppure il rimborso di quanto già pagato, o ancora
particolari agevolazioni; l’evasore è invece colui che risparmia sulle imposte, ma
violando le norme tributarie
23
.
Nessuna norma di legge proibisce il comportamento elusivo
24
.
Con l’evasione, i soggetti passivi si sottraggono all’obbligo di corrispondere le
imposte, violando la legge, occultando la ricchezza prodotta o riducendone
artatamente l’entità, valendosi anche di artifizi o raggiri e, spesso, utilizzando
documentazione materialmente e/o ideologicamente falsa (nel qual caso si ha non solo
evasione, ma anche frode)
25
.
Il comportamento dell’evasore tende ad occultare all’Amministrazione finanziaria il
presupposto d’imposta, che non viene volutamente indicato in dichiarazione: l’evasore
auspica infatti a lasciare il presupposto realizzato sconosciuto al Fisco
26
.
L’evasione è determinata quindi dal “volontario inadempimento” di una pretesa
tributaria già validamente sorta in base a specifiche disposizioni legislative.
L’elusione, al contrario, evita addirittura il verificarsi dei presupposti impositivi
27
,
oppure pone in essere presupposti fiscalmente meno onerosi o, al limite, più
vantaggiosi.
28
23
Ennio Fortuna, “L’abuso di diritto come principio generale antielusione anche agli effetti penali”, in
rivista online il fisco (banca dati tributaria fisconline), < www.ilfisco.it >, n. 15 del 16 aprile 2007, 1-
2105.
24
Agusto Fantozzi, Il diritto tributario, 2003, 159.
25
I saggi Lunelli, cit. ,“L’elusione tributaria”, cap. I.
26
Mauro Beghin, “L’elusione tributaria tra clausole “generali” e disposizioni “correttive”: alcune
chiavi di lettura della vigente disciplina”, in rivista online il fisco (banca dati tributaria fisconline),
< www.ilfisco.it >, n. 24 del 17 giugno 2002, 1-3804.
27
Secondo Paolo M. Tabellini, in L’elusione della norma tributaria, Milano, 2007, tale definizione
“non si adatta al nostro sistema tributario” e “rischia di diventare fuorviante”, in quanto “non potrà mai
considerarsi abusivo il comportamento che abbia impedito il sorgere della pretesa tributaria per
l’assorbente ragione che, in tale ipotesi, non essendosi costituita nessuna fattispecie imponibile, nessuna
imposta potrebbe mai essere dovuta e l’ufficio mancherebbe di qualsiasi titolo per pretenderne il
pagamento.”
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
16
Perciò, se l’evasione consiste certamente in un comportamento illecito, tale certezza
decade quando si parla di elusione, dato il fatto che le norme antielusive evocano
immagini incerte, in cui lecito ed illecito sembrano coesistere.
La differenza principale tra le due fattispecie risiede nel momento in cui sorge la
pretesa tributaria: mentre nell’evasione l’inadempimento colpevole riguarda una
pretesa tributaria già validamente sorta, nell’elusione viene impedito il sorgere di
quest’ultima; quindi, mentre l’evasione è contra legem (e va’ quindi repressa),
l’elusione è extra legem (e va’, pertanto, prevenuta).
Inoltre, con l’evasione, i soggetti passivi puntano all’occultamento della ricchezza
prodotta, riducendone ad arte l’entità. Nel caso in cui tali soggetti utilizzassero o
producessero anche documentazione materialmente e/o ideologicamente falsa, si
rientrerebbe addirittura nella fattispecie della frode fiscale.
La distinzione tra elusione ed evasione rileva anche dal punto di vista delle sanzioni:
l’elusione, infatti, a differenza dell’evasione, non dovrebbe comportare conseguenze
sul piano penale, mentre in caso di evasione, l’Amministrazione, oltre al recupero
dell’imposta non versata sarà tenuta all’irrogazione di sanzioni amministrative ed
eventualmente anche penali.
In sostanza, evasione è sinonimo di illecito (amministrativo o penale), realizzato
attraverso l’occultamento del presupposto d’imposta; la violazione della norma
tributaria è diretta e pone in essere il presupposto d’imposta, per poi sottrarsi alle
conseguenze fiscali che ne derivano.
Chi elude, invece evita di porre in essere la fattispecie propria di un dato risultato
economico, ponendo invece in essere una fattispecie equivalente, ma a cui compete un
trattamento fiscale più favorevole
29
.
L’ elusore agisce “alla luce del sole”, dal momento che non v’è occultamento del fatto
imponibile, come nell’evasione, e le norme non vengono violate direttamente, bensì
aggirate
30
.
28
Giuseppe Vanz, “L’elusione fiscale tra forma giuridica e sostanza economica”, in “Rassegna
tributaria”, n. 5 di settembre-ottobre 2002, 1606, nell’ambito di rivista online il fisco (banca dati
tributaria fisconline), < www.ilfisco.it >.
29
F. Tesauro, op. cit., 136.
30
Enrico De Mita, Principi di diritto tributario, Giuffrè, 2007, pagina
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
17
L’elusore mette in atto un comportamento certamente doloso, in quanto organizzato e
preordinato per l’unico fine di ottenere un risparmio d’imposta: chi elude è
consapevole di rispettare formalmente le norme, traendo vantaggi che non gli
sarebbero spettati ove le disposizioni fossero state redatte adeguatamente e in
coerenza con l’impianto legislativo generale
31
.
L’evasore, al contrario, spesso viola colposamente la norma tributaria, per ignoranza o
negligenza
32
.
I.1.2 La distinzione tra elusione e simulazione
Si è in presenza di simulazione quando le parti vogliono conseguire un risultato
diverso da quello che “appare” dagli atti e dai negozi (formalmente) posti in essere,
per cui si configura una violazione diretta della normativa
33
.
Gli elementi caratteristici della simulazione sono tre:
o l’intenzione ingannatoria nei confronti dei terzi;
o la divergenza voluta, cioè un consapevole contrasto tra dichiarazione (volontà
manifestata) ed effettiva intenzione (volontà effettiva) di chi la pone in essere;
o l’accordo simulatorio, cioè un’ intesa, precedente o contemporanea alla
dichiarazione reciproca delle parti, sulla divergenza tra negozio stipulato e rapporto
effettivo: elemento, questo, che distingue la simulazione dalla “riserva mentale” (nella
quale manca un’intesa tra i soggetti).
Dietro alla stipulazione di un contratto di locazione con facoltà di riscatto del bene al
termine del rapporto, si può celare una cessione a titolo oneroso che i contraenti non
vogliono far risultare, per non dover dichiarare il ricavo derivante dalla vendita
34
.
Questo è un esempio di simulazione relativa.
La simulazione può essere assoluta o relativa: è assoluta quando le parti pongono in
essere un dato negozio, ma in realtà non vogliono concludere alcun negozio; è relativa
31
I saggi Lunelli, op. cit., cap. II.
32
Tabellini, op. cit., cita Rotondi, “Gli atti in frode alla legge”, Torino, 1911, passim, ma soprattutto a
p. 6 la concezione di Thibaut, system des Pandektenrechts, I, ss 58, che identificava i negozi in frode
alla legge come “intrapresi per eludere dolosamente la legge”.
33
I saggi Lunelli, cit., “L’elusione tributaria”, cap. I.
34
M. Beghin, op. cit., 1-3804.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
18
quando le parti manifestano la volontà di concludere un dato negozio, ma in realtà
vogliono realizzarne uno diverso.
La simulazione relativa è anche oggettiva, quando è constatabile la presenza di due
contratti, uno apparente, l’altro reale
35
.
L’elusione è più simile alla simulazione relativa, dato che in entrambi i casi, le parti
pongono in essere un negozio giuridico (mentre nella simulazione assoluta il negozio
non viene ad esistere); ma, mentre nell’elusione il negozio è l’espressione della
volontà reale delle parti, nella simulazione viene rappresentata una realtà diversa e
appunto simulata rispetto a quella effettiva; per questo motivo la simulazione può più
propriamente inquadrarsi nella categoria dell’evasione
36
.
Elusione e simulazione sono, perciò, istituti non assimilabili; la differenza tra le due
fattispecie sta nel fatto che il comportamento manifestato da parte di chi elude è
proprio quello voluto nel contenuto, non c’è la violazione dell’ordinamento legislativo
e le operazioni che fanno parte del disegno elusivo sono realmente concluse tra le
parti; ciononostante, l’attività simulatoria non sarebbe finalizzata esclusivamente
all’evasione, in quanto idonea a fungere anche da strumento per porre in essere
disegni elusivi
37
.
La simulazione può esser fatta valere in ogni momento dinanzi al giudice tributario,
senza necessità di previo ed autonomo accertamento dinanzi al giudice civile
38
.
I.1.3 La distinzione tra elusione ed interposizione fittizia di persona
Nell’interposizione fittizia di persona, le parti “vere” dell’operazione sono diverse da
quelle risultanti dagli atti o dai negozi: sono quindi diverse da quanto appare dal
contratto.
L’interposizione è un caso di simulazione ed è anche denominata “simulazione
relativa soggettiva”.
35
G. Falsitta, op. cit., 101.
36
G. Chinellato, op. cit., 206-207.
37
G. Chinellato, op. cit., 207, cita Bartolini, Elusione e simulazione, in Il fisco, 1998, 9337.
38
G. Falsitta, op. cit., 100.
IL CONTRASTO ALL’ELUSIONE NELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO ITALIANO
19
Nella fattispecie in questione accade che una delle parti (l’interposto, cioè il titolare
apparente), interviene nel negozio con lo scopo esclusivo di dissimulare l’effettivo
contraente (l’interponente, vero titolare del reddito), nella cui sfera personale si
produrranno gli effetti del negozio
39
.
I soggetti estranei all’operazione vengono a conoscenza del contratto tra il venditore e
l’interposto (titolare apparente), quando, in realtà, l’operazione commerciale è
avvenuta tra venditore ed interponente, (vero titolare del reddito).
L’interponente è quindi il reale soggetto passivo del tributo e gode degli effetti del
negozio giuridico; l’interposto, invece, è parte contrattuale solo in apparenza, dato
che, in realtà, risulta estraneo alla pattuizione
40
.
Il soggetto interposto dichiara il reddito e paga la relativa imposta, come se quel
reddito fosse suo; in realtà l’Amministrazione Finanziaria potrebbe scoprire che il
vero titolare di quel reddito è l’interponente e, di conseguenza, accerterà il reddito ad
esso attribuibile, imputandolo a quest’ultimo.
I casi d’interposizione si realizzano attraverso l’emissione di fatture o altri documenti,
recanti indicazioni di nomi diversi da quelli veri
41
; non è necessario, per aversi reato,
che la reale identità del soggetto a cui si riferiscono le fatture sia stata in qualche
modo occultata
42
.
Dal momento che un medesimo reddito non può appartenere contemporaneamente a
più soggetti, l’interposto potrà richiedere all’interponente il rimborso di quanto da lui
versato.
All’interposizione fittizia di persona, si applica l’art. 37, D.P.R. n. 600 del 1973, che,
al terzo comma, stabilisce: “ in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio, sono
imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti (nel rispetto,
perciò, del principio di capacità contributiva), quando sia dimostrato, anche sulla base
di presunzioni gravi, precise e concordanti che egli ne è l’effettivo possessore per
interposta persona ”.
39
G. Chinellato, op. cit., 210.
40
Fabio Antonacchio, “Interposizione fittizia e reale nel delitto di frode fiscale”, in rivista online Il
fisco (banca dati tributaria fisconline), < www.ilfisco.it >, n. 36 del 3 ottobre 2005, 1-5670.
41
F. Antonacchio, ibidem.
42
Cfr. d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74.