perché scontrosi ed anche arroganti, ma anche da aiutare e
sostenere nella conquista del loro “spazio di vita” proprio
attraverso la comunicazione.
ξ La seconda motivazione nasce dalla mia esperienza di tirocinio
presso la Key & Key Communications del Dr. Koffi Dossou,
durante la quale ho collaborato, seppure in minima parte, ad un
progetto co-finanziato dalla Commissione Europea e
denominato SPICES, acronimo per Social Promotion of
Intercultural Communication Expertise and Skills (Promozione
Sociale di Conoscenze e Abilità in Comunicazione
Interculturale). Il punto di partenza di questo progetto, del
quale parlerò più ampiamente nell’ultimo capitolo, è la
considerazione che gli stranieri hanno molto spesso problemi
comunicativi nei luoghi burocratici ed istituzionali. In queste
sedi il tempo a disposizione è poco per creare delle situazioni
comunicative idonee a risolvere positivamente i problemi degli
immigrati stessi; una ulteriore considerazione è che i libri di
testo per stranieri non si soffermano ad analizzare quelli che
sono veramente i bisogni linguistici e di comunicazione legati
alle situazioni burocratico-istituzionali. L’obiettivo del
progetto SPICES è quello di superare queste difficoltà,
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promuovendo appunto conoscenze, esperienze ed abilità in
comunicazione interculturale.
ξ Infine, la spinta decisiva nella direzione della comunicazione
interculturale, mi è stata data dalla lettura, casuale, di una
toccante pagina tratta da “L’immigrazione straniera in Italia”
di Corrado Bonifazi, il quale scrive: “lo scrittore francese,
figlio di ebrei polacchi, Georges Perec realizzò, alla fine degli
anni settanta del secolo scorso, insieme al regista Robert
Bober, un film su Ellis Island. L’isola, ora trasformata in
museo, rappresentò dal 1892 al 1924 una delle principali porte
di ingresso negli Stati Uniti; qui circa 16 milioni di immigrati
provenienti dall’Europa furono trattenuti ed esaminati prima di
poter entrare nel paese. Il film venne intitolato Racconti di
Ellis Island, storie di erranza e di speranza, a voler
sottolineare come, nell’evocare ‘queste storie ormai vecchie’
che appartengono
a tutti coloro che dall’intolleranza e dalla miseria sono stati cacciati via e
ancora vengono cacciati via dalla terra dove sono cresciuti, [gli autori
abbiano] la certezza d’aver fatto risuonare le due parole che furono il
cuore stesso di questa lunga avventura: queste due parole molli,
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irreperibili, instabili e sfuggenti, che si rinviano senza tregua le loro luci
tremule, e che si chiamano l’erranza e la speranza. (Perec 1996, cit. in:
Bonifazi 1998: 9)
Queste due parole erano, credo, nel cuore dei milioni di
europei che lasciarono i propri paesi alla ricerca di un destino
migliore in America e degli italiani che lo cercarono nelle
miniere del Belgio o ancora nelle fabbriche tedesche. Due
parole che immagino essere anche nel cuore di coloro che
sbarcano continuamente sulle nostre spiagge alla ricerca di una
vita dignitosa; sono persone che non hanno fatto i conti con le
difficoltà che trovano poi nell’inserirsi in società spesso ostili,
dove sono costretti a ridefinire i propri progetti alla luce di una
realtà molto meno propizia di quanto non avessero sperato.
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INTRODUZIONE
Il fenomeno migratorio è un processo dinamico che, mettendo in
comunicazione differenti realtà geografiche, andrebbe considerato
come un aspetto particolare di quell’insieme molto più vasto di
legami, collegamenti e relazioni di diversa natura ed intensità che
connette gli ambiti territoriali. Più questi insiemi relazionali si
arricchiscono in forza e in numero, più la trama dei contatti e delle
connessioni si infittisce sullo spazio mondiale, e più complesso si fa,
di conseguenza, il processo migratorio.
“Il quindicennio appena trascorso ha rappresentato, per le
migrazioni internazionali, uno dei periodi di più intensa crescita e
sviluppo sulla scena mondiale, almeno dalla fine del secondo
conflitto ad oggi.” (Bonifazi 1998: 229)
I processi di globalizzazione economica e la caduta del muro di
Berlino hanno prodotto nuovi flussi migratori e l’allargamento delle
aree d’emigrazione. L’Italia, a lungo paese d’emigrazione, è ormai
diventata una delle principali destinazioni nello scenario europeo, ma
non c’è paese che non sia interessato dal fenomeno migratorio tanto
che nell’era della globalizzazione la convivenza delle culture è un
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tema più che mai attuale. Ormai i migranti rappresentano una
componente importante della nostra società, non solo per quello che
riguarda il mondo del lavoro e della scuola, ma anche per la vivacità
delle cosiddette seconde generazioni nelle attività economiche,
politiche, culturali.
Muovendo da tali considerazioni, nel primo capitolo, dopo un
breve riferimento alle cause strutturali dei fenomeni migratori, si
affronta il tema dell’interconnessione delle culture e di come il
dialogo giochi un ruolo fondamentale nella comunicazione tra le
culture. Il dialogo permette la realizzazione di soglie di passaggio tra
forme culturali che, manifestando reciproco apprezzamento, evitano
assimilazioni o fusioni sotto l’egida di una cultura dominante. A
conclusione del capitolo, vengono elencati i modelli di relazione tra
le culture, modelli che emergono nello scenario culturale
contemporaneo.
Nel secondo capitolo, dopo aver chiarito il concetto di
comunicazione, si sottolinea come la comunicazione non verbale
eserciti un ruolo importante nella comunicazione interculturale: la
capacità di codificare e decodificare in modo giusto ed efficace i
segnali non verbali, può evitare fraintendimenti ed il fallimento della
comunicazione. Diventa così necessario conoscere le regole del
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linguaggio non verbale nei diversi contesti culturali. La seconda parte
di questo capitolo affronta la tematica centrale di tutto il lavoro, la
comunicazione interculturale. Dopo una breve storia della disciplina,
si mettono a confronto e si analizzano le definizioni che vari autori
danno di comunicazione interculturale. Ciò che emerge è il comune
intendere, da parte di questi autori, la comunicazione interculturale
come una comunicazione che avviene tra culture diverse e proprio
tale diversità implica la produzione di sforzi necessari al
riconoscimento dell’Altro. Questo è possibile introducendo nelle
pratiche educative il concetto di alterità che si esprime attraverso il
diritto riconosciuto ad ogni individuo di essere uguale agli altri pur
nella sua diversità e di svilupparsi a partire da ciò che egli è. Il
capitolo si conclude con l’analisi dei principali ostacoli alla
comunicazione interculturale e con l’indicazione, da parte di un
autorevole docente universitario, della “filosofia giusta” nella quale
collocarsi per affrontare il discorso sulla comunicazione
interculturale.
Il terzo capitolo è dedicato all’esame dell’offerta formativa
italiana, presente in Internet, circa la comunicazione interculturale; in
particolare il secondo paragrafo analizza i piani formativi delle
Università italiane relativamente a tale argomento. Viene anche
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affrontato il problema della formazione interculturale “on-line”,
problema che in un’era nella quale l’uomo ha ribaltato
completamente il significato dei concetti di spazio e tempo, risulta
essere ancora spinoso per coloro che vogliono far diventare
l’apprendimento e la formazione una condizione costante nella
propria vita pur senza tralasciare gli impegni lavorativi e familiari
assunti in precedenza.
Nel quarto capitolo viene presentato il Progetto SPICES,
acronimo per Social Promotion of Intercultural Communication
Expertise and Skills (cioè Promozione Sociale di Conoscenze e
Abilità in Comunicazione Interculturale). Questo progetto, co-
finanziato dall’Unione Europea, si basa sulla considerazione che gli
stranieri hanno spesso problemi comunicativi nei luoghi burocratici
ed istituzionali, luoghi dove il tempo a disposizione è poco per creare
situazioni comunicative idonee a risolvere positivamente i problemi
degli immigrati. L’obiettivo del progetto SPICES è quello di superare
queste difficoltà promuovendo conoscenze, esperienze ed abilità in
comunicazione interculturale.
Le costanti di questo lavoro sono l’eliminazione dei confini che
dividono le culture e la valorizzazione della ricchezza dell’incontro
interculturale, a mio parere, uniche vie per rendere possibile il
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dialogo tra culture. Allo stesso tempo tali costanti rappresentano
anche il modo per far sì che la comunicazione interculturale diventi
strumento indispensabile nella formazione e nell’educazione degli
individui della società in cambiamento, una società dove il
multiculturale è già esistente e l’interculturale rappresenta l’obiettivo
verso cui tendere e a cui educare.
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CAPITOLO I
LA SOCIETA’ MULTICULTURALE E I PROCESSI
COMUNICATIVI
1.1 Dinamiche migratorie e globalizzazione
Per la comprensione del fenomeno migratorio, che in Italia sta
acquisendo una configurazione stabile relativamente al numero
dei migranti, “una buona base di partenza può essere individuata
nella definizione di ‘migrante’ che le Nazioni Unite hanno
proposto nel 1998 per stabilire un criterio di uniformità su cui
basare, principalmente, le rilevazioni statistiche a livello
internazionale. Secondo questa accezione, il migrante è una
persona che soggiorna in un paese di cui non è cittadino/a per
almeno 12 mesi.” (Nazioni Unite 1998, cit. in: Colella/Grassi
2007: 30)
“Nella Convenzione ONU sulla protezione dei Diritti dei
Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie, vengono
considerati lavoratori migranti tutte le persone che eserciteranno,
esercitano o hanno esercitato un’attività retribuita in uno Stato di
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