7
saranno spot dedicati a bambini e ragazzi nel loro momento di svago pomeridiano e la sera messaggi pubblicitari alla
famiglia che si ritrova a tavola o sul divano del salotto. Già dalle sue prime apparizioni sulla scena sociale ed economica, la
pubblicità, che in Italia si chiamava ancora réclame, cominciò ad attingere ai più svariati ambiti della lingua trasformando
di volta in volta il materiale linguistico a sua disposizione secondo la finalità primaria della persuasione. Un messaggio
pubblicitario può essere raffinato, divertente, ammiccante, originale, e si potrebbe aggiungere un lungo elenco di aggettivi
tra i più diversi, ma ciò che ne determina il successo è la sua capacità di convincere, di farsi largo più o meno subdolamente
nei pensieri - e, si badi bene, nella loro parte più inconscia - del possibile consumatore. Tutti noi ci imbattiamo
quotidianamente in immagini e slogan pubblicitari che catturano la nostra attenzione, sentiamo jingle o tormentoni
televisivi di cui difficilmente riusciamo a liberarci o per la strada ci fermiamo qualche attimo a riflettere incuriositi sul
significato delle parole scritte a caratteri cubitali su un cartellone pubblicitario che, chissà per quale ragione, ci ha
"sedotti"
2
. Quando questo avviene, la parola pubblicitaria cessa di essere semplicemente parola e va a fondersi e
confondersi con altri elementi visivi, iconici e sonori per dare vita al messaggio pubblicitario in cui ogni particolare è
studiato con la massima attenzione non, come ormai molti sostengono, per informare o presentare un prodotto al pubblico,
ma per creare un oggetto del desiderio attraverso un sapiente uso delle immagini, dei suoni e, soprattutto, delle parole
tanto da riuscire a far coincidere nell'immaginario collettivo l'idea di felicità o di successo con un certo aperitivo, make-up
o deodorante che dir si voglia. Le cose sono molto cambiate da quando il Carosello, le riviste o i manifesti la facevano da
padroni, ed è per questo motivo che ho deciso di analizzare le campagne pubblicitarie più significative della Coca-Cola.
2
V.Codeluppi, Che cos’è la pubblicità, Carocci, Roma 2001.
8
Il presente elaborato è diviso in due parti.
La prima più teorica, dove saranno analizzate, partendo da un breve percorso storico riguardante la nascita della pubblicità,
le teorie e le tecniche del linguaggio pubblicitario.
La seconda parte è basata essenzialmente sull’analisi delle campagne pubblicitarie della Coca-Cola, dove ho tentato di
individuare i valori fondanti, gli elementi di continuità e le ideologie promosse. Inoltre, alla luce degli idealtipi di
pubblicità individuati nella prima parte dell’elaborato, seguirà una riflessione sull’ “effetto rispecchiamento” delle
campagne analizzate.
9
Parte I
Le nuove tendenze pubblicitarie tra richiamo alla tradizione e ricerca dell’innovazione
10
Capitolo I
La storia della pubblicità
1.1 Una crescita in costante evoluzione
La pubblicità, secondo la definizione più nota e concisa, è l'anima del commercio. Ciò vuol dire, in altre parole, che senza
la pubblicità diventa molto difficile stabilire un contatto tra chi produce, chi vende e chi compra. Appare evidente che essa
non è soltanto quella che vediamo alla televisione o sui giornali e che riguarda soprattutto le grandi marche, ma è anche il
richiamo di un venditore ambulante, l'insegna o la vetrina di un negozio, la scritta su un sacchetto di plastica o su una
maglietta. La comunicazione pubblicitaria
3
- come noto - nasce e cammina parallelamente alle esigenze economiche,
sociali, politiche e culturali di un paese. Dalla metà del XV secolo, dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili ad
opera di Giovanni Gutenberg, fu possibile affiggere nelle strade delle principali città europee i primi manifesti stampati.
Nel seicento, grazie all’evoluzione delle tecniche di stampa, nei principali paesi europei iniziò la diffusione delle gazzette,
3
Si vedano le definizione riportate in Morelli, (2005), op. cit.; particolarmente convincente è quella di C.L Boove il quale sostiene che
“la pubblicità è una comunicazione non personale di informazioni su prodotti, servizi o idee, normalmente effettuata a pagamento, di
solito di natura persuasiva, realizzata da sponsor utilizzando i diversi media disponibili” (p.304).
11
che generalmente uscivano una volta la settimana. Con le gazzette nacque anche la réclame, quella che si può considerare
la prima vera forma di pubblicità, ancora priva di illustrazioni e basata su un testo simile a quello degli articoli giornalistici.
Bisognerà aspettare però il settecento per vedere la réclame sui giornali, soprattutto quelli inglesi. La pubblicità accelerò il
suo sviluppo dal 1833, grazie all’espansione economica determinata dalla seconda rivoluzione industriale. Nella pubblicità
ottocentesca s’incominciò ad utilizzare la forma verbale dello slogan: una frase sintetica in grado di sorprendere e catturare
l’attenzione. Lo slogan ottenne però un vero riconoscimento nell’ambito pubblicitario soltanto nel Novecento, quando al
modello libresco fu sostituita l’immagine, capace di comunicare con grande immediatezza, semplificando il linguaggio
verbale utilizzato sino ad allora.
Sino a tutto l’Ottocento i manifesti pubblicitari possedevano caratteristiche che li mantenevano legati alla tradizione della
pittura della società borghese. Il progressivo sviluppo di un intenso processo d’urbanizzazione riguardante grandi masse di
persone provenienti dal mondo contadino trasformò la strada nel luogo centrale d’espressione della comunicazione
pubblicitaria. Nacque così il poster che permise alla pubblicità di invadere la città con immagini gigantesche. La Pubblicità
in questo periodo non solo aumentò le sue dimensioni, ma moltiplicò i luoghi nei quali comparire, dando così inizio ad un
processo d’invasione degli spazi sociali indefinito. A partire dagli anni ’20 e ’30 del Novecento, la pubblicità assunse la
natura di un vero e proprio apparato industriale che contribuì alla creazione di una cultura di massa per la nascente società
dei consumi. Nei primi anni del Novecento, il mondo della pubblicità fu influenzato dai risultati dei nuovi studi condotti
dagli psicologici sulla mente umana e ciò portò alla produzione di manifesti ricercati, che cercavano di stimolare gli
elementi istintuali dell’individuo. Sia lo sviluppo del marketing sia l’adozione della psicologia, portarono in quegli anni ad
12
un cambiamento della concezione vigente nelle aziende a proposito del ruolo del manifesto commerciale. Alla pubblicità
artistica, tendente ad affermare e a far ricordare una marca o un prodotto, subentrò un orientamento più rigoroso tendente
a mostrare ed esaltare le qualità del prodotto. Il messaggio pubblicitario diventò così meno immediato, ma più articolato e
completo e quindi maggiormente efficace sul piano della proposta di uno stimolo all’acquisto. Negli anni successivi alla
prima guerra mondiale il ruolo della pubblicità fu modificato dalla diffusione degli apparecchi radio, in quanto i messaggi
si introdussero pienamente all’interno delle abitazioni. L’utilizzo della radio per fare pubblicità permise una rivalutazione
dell’uso della parola anche nei manifesti. L’intero mondo della pubblicità fu rivoluzionato dall’arrivo della televisione, la
quale proseguì e perfezionò le esperienze che erano state avviate con il mezzo radiofonico.
Il primo spot televisivo fu mandato in onda nel 1941 in una televisione newyorkese affiliata alla rete NBC, durava dieci
secondi e sponsorizzava gli orologi Bulova.
13
1.2 Il Carosello
Per quanto riguarda la pubblicità televisiva, l’Italia preferì seguire una strada originale: iniziò a trasmettere pubblicità il 3
febbraio del 1957 solamente all’interno della trasmissione Carosello, ignorando le possibilità offerte dalla sponsorizzazione.
Iniziò l’epoca delle scenette, che non sempre risultò efficace perché sia la scenetta presentata sia il personaggio attiravano
l’attenzione dello spettatore tanto da far passare in secondo piano il prodotto pubblicizzato. La rigida struttura della RAI
imponeva ai filmati di Carosello 100 secondi di spettacolo, dove il prodotto non poteva essere presente e 35 secondi per il
codino commerciale. Gli italiani rimasero sedotti da quell’originale connubio di scenette comiche e canzoni. È evidente
che il Carosello
4
era una forma ibrida di pubblicità: i messaggi pubblicitari erano inseriti in un contesto di tipo teatrale,
introdotti dall’apertura di un sipario con accompagnamento di trombe e mandolini alternati a brevi spettacoli di varietà.
Mentre gli italiani si divertivano con le scenette di Carosello, nel resto del mondo la pubblicità proseguiva il suo processo
di sviluppo; al festival internazionale del film pubblicitario, nato nel 1954, tutti i paesi si presentavano con filmati brevi e
molto spesso a colori, gli italiani invece, arrivavano con lunghi filmati in bianco e nero, divertenti si, ma soltanto per loro,
in quanto gli unici a comprenderne la comicità.
A partire dagli anni ’70, in Italia, il mondo della televisione incominciò un processo di cambiamento che ebbe profonde
conseguenze su tutta la pubblicità. Il primo segnale arrivò il 1° gennaio 1977 quando la RAI fece scomparire il Carosello:
4
Lo spettacolo che nascondeva o contrabbandava la pubblicità, il divertimento come fine dichiarato e il messaggio consumistico come
appendice trascurabile.
14
troppo limitato rispetto alle nuove esigenze della comunicazione. Un mese dopo iniziò a trasmettere a colori, una scelta
che portò non solo la possibilità di rappresentare più vivacemente la realtà sociale, ma anche un insieme di significati che
complessivamente esprimevano abbondanza, benessere e piacere del consumo. Si può dunque dire che “la televisione a
colori permise il costituirsi di un ambiente culturale ideale per il successivo sviluppo delle televisioni commerciali”
5
.
Negli anni ’80, con l’incremento del numero di canali, e soprattutto con l’adozione del telecomando e la possibilità
conseguente di effettuare lo zapping saltando da un canale all’altro, è nata quella che diversi autori hanno chiamato
“neotelevisione”
6
: il rapporto tra il mezzo e il suo destinatario si è ribaltato poiché il ruolo di quest’ultimo è diventato
fondamentale.
Nei primi anni ’90 si verificò inoltre la crisi della marca industriale
7
, in quanto il consumatore era più attento e selettivo
nella scelta e nella valutazione della qualità dei prodotti, e nel verificare cosa una marca era in grado di offrirgli. Nel giro di
poco tempo, però, le marche industriali sono state in grado di recuperare buona parte del terreno perduto, dando vita a
messaggi sempre più sofisticati e affascinanti. Esemplare è il grande successo ottenuto da marche come: Nike, Adidas,
Coca-Cola, Chanel e Calvin Klein.
5
G.L.Falabrino, Pubblicità serva padrona, Il sole 24 ore, Milano 1999.
6
V.Codeluppi, (2001), op.cit.
7
Ibidem.
15
1.3 Perché pubblicizzare
Le origini della pubblicità risalgono all’esigenza di far conoscere ed apprezzare ciò che si offriva sul mercato primitivo. È
necessario il ricorso alla pubblicità non solo per far conoscere i prodotti e per promuovere lo smercio, ma anche per
esercitare sui consumatori una pressione in grado di creare un mercato di proporzioni analoghe a quelle della produzione,
con consumi adeguati alle potenzialità e ai ritmi produttivi. La pubblicità commerciale è diventata lo strumento
indispensabile della strategia imprenditoriale propria di un mercato dal volto completamente nuovo. Parlare della
pubblicità moderna significa fare riferimento ad una forma di comunicazione che è chiamata a svolgere anche una
pressione più incisivamente persuasiva, volta a stimolare la domanda oltre la sua dimensione spontanea. La pubblicità
adempie un importante e spesso essenziale funzione economica come strumento di raccordo tra le imprese e il mercato.
Senza la pubblicità, le imprese non potrebbero far conoscere i loro prodotti e servizi, sollecitandone l’acquisto, il consumo
e l’utilizzo, non potrebbero svolgere quella che è chiamata la loro mission. Allo stesso tempo anche per i consumatori la
pubblicità può assumere un importante valore economico, quando fa conoscere la realtà del mercato e il quadro delle scelte
possibili. Questa utilità è legata alla funzione informativa della pubblicità, oggi largamente dominata dalla tendenza a
suscitare emozioni e a provocare suggestioni. Quanto più la si tenta di analizzare, tanto più ci si può accorgere che essa
rappresenta uno strumento immateriale, uno strumento che opera per produrre senso. La pubblicità può essere vista come
16
essa stessa un mercato: vende idee e di conseguenza prodotti, “estetizza il prodotto”
8
trasformandolo in un valore d’essere
per il consumatore che a sua volta viene estetizzato attraverso l’acquisto. Preferisce la stimolazione di un contesto mentale
che favorisca una fedeltà all’oggetto, più che indurre ad una specifica scelta per l’uso di un determinato oggetto in un
determinato lasso temporale. Il bisogno funzionale per un prodotto infatti, non è il solo che muove le preferenze di un
consumatore, vari significati sociali intercorrono nella definizione stessa di uso: successo, potere, considerazione sociale,
bellezza, etc.
I significati mediati dalla pubblicità non sempre sono disponibili con facilità nella definizione di un prodotto (li offre per
esempio un prodotto specifico quale un detersivo per piatti), non sempre essi sono reperibili in un immaginario sociale già
consolidato: più spesso (e aggiungo, volentieri) essi sono creati ad hoc associando all’oggetto stesso un’identità sociale o
affiancandone la sponsorizzazione a volti, situazioni o prodotti che ne dispongano di già pronte.
8
V.Codeluppi, (2001), op.cit.
17
Capitolo II
Teorie e tecniche pubblicitarie
2.1 I primi modelli teorici
La forza della tecnica di comunicazione pubblicitaria risiede nella capacità di offrire, in uno spazio o tempo molto ridotti,
una notevole quantità di informazione e di emozioni attraverso l’integrazione di due forme espressive: quella verbale e
quella visiva. Il risultato è un messaggio fruibile a più livelli in quanto l’immagine viene percepita istantaneamente e serve
a catturare l’attenzione, mentre il testo serve a fermarla.
Nel suo primo periodo di esistenza, la pubblicità, forniva annunci elementari e puramente informativi che parlavano a
pochi privilegiati, cercava di promuovere le vendite attraverso delle argomentazioni razionali o illustrando il contenuto
tecnico dei prodotti. Veniva spesso impiegato il “meccanismo del test”
9
, cioè la dimostrazione delle possibilità d’impiego
del prodotto. Il modello teorico che si è sviluppato in questa prima fase dell’evoluzione storica della pubblicità è
9
V.Codeluppi, La pubblicità, guida alla lettura dei messaggi, Franco Angeli, Milano, 1997.
18
probabilmente stato individuato intorno al 1900 da St. Elmo Lewis e porta il nome di AIDA
10
che deriva dalle quattro fasi
che lo caratterizzano: attenzione, interesse, desiderio, acquisto. In questa fase si è anche sviluppata la filosofia della copy-
strategy
11
, che ha individuato i contenuti del messaggio pubblicitario a partire da quella promessa di base che deve
motivare il consumatore ad acquistare. Bernard Cathelat ha indicato questo periodo come fase della pubblicità persuasiva.
Per quanto riguarda la seconda fase è stata fortemente influenzata dalle teorie di Pavlov relative al “riflesso condizionato”
12
e dal pensiero behaviorista
13
. In questa fase il consumatore veniva considerato come un soggetto passivo vulnerabile e
facilmente condizionabile, perché dotato di una sfera incosciente sulla quale è possibile agire per produrre un effetto di
shock. Per questo motivo, nella comunicazione pubblicitaria, veniva potenziato soprattutto il valore d’uso del prodotto e si
ricercava l’impatto anziché una convinzione razionale, cercando di instaurare, attraverso la ripetizione ossessiva dei
messaggi, un rapporto diretto di causa-effetto con il consumatore. Inoltre, si riteneva che il messaggio pubblicitario doveva
essere semplice e di facile comprensione: per questo motivo venivano usati i logotipi, i grafismi di marca e gli slogan.
Nel corso degli anni ’50 e ’60 ci troviamo di fronte alla fase della pubblicità suggestiva che ha indicato ai pubblicitari la
possibilità di sfruttare la capacità della pubblicità di produrre sogni e simboli d’evasione, rispondendo così ai desideri più
10
Vedasi infra.
11
Documento che definisce quale dovrà essere l’evoluzione della marca nella mente dei consumatori nel corso del tempo.
12
Vedasi infra.
13
Vedasi infra. La teoria behaviorista partiva dall'assunto che l'azione umana fosse determinata da eventi esterni. In tal senso ci fu un
ampio campo di ricerca, a partire dagli esperimenti di Pavlov sull'apprendimento di un comportamento sulla base dello schema:
stimolo - risposta; l'importanza, secondo Watson, delle ricompense e punizioni come influenzanti il comportamento umano ed il
contributo di Allport che espresse, con enfasi, la fiducia nel potere dell'ambiente come determinante l'azione umana.
19
profondi e irrazionali del soggetto. Questa è anche la fase che ha fatto ricorso al contributo della teoria della Gestalt
14
che
metteva in luce come “la pubblicità sia uno strumento che consente di creare uno stato di tensione nel consumatore
mostrandogli la presenza di un disequilibrio sgradevole nel suo campo percettivo e quindi la possibilità di correggerlo
attraverso l’acquisto del bene di consumo pubblicizzato”
15
.
Negli anni ’60 è nata, la rivoluzione creativa di coloro che possono essere considerati i personaggi più significativi della
storia della pubblicità: Bill Berbach, Raymond Rubicam, Leo Burnett e David Ogilvy. L’approccio adottato in questa fase
funzionava per quei prodotti particolarmente coinvolgenti e tendeva ad eliminare le differenze tra i prodotti che sono
comuni all’intera categoria merceologica, inoltre aveva la tendenza nel considerare il consumatore come individuo singolo
e non come soggetto sociale inserito in un ambiente culturale e dotato di un determinato status. Con questa quarta fase ci
troviamo di fronte alla concezione più attuale e moderna della pubblicità. “Nei decenni, queste teorie, si sono
14
La teoria della Gestalt, che si contrappone nettamente alle concezioni riflessiologiche-behavioriste (Pavlov, Watson), mette
l'accento sulla tendenza degli insiemi percettivi o delle rappresentazioni del pensiero nel presentarsi al soggetto sotto forma di unità
coerenti. Tali unità si strutturano spontaneamente nel campo dell’ esperienza del soggetto ogni volta che gli elementi di un insieme
presentano determinate caratteristiche, identificate dagli psicologi della Gestalt come leggi dell'organizzazione della forma. La
tendenza a organizzare elementi semplici in forme regolari, chiuse, costituite da parti simili o contigue, viene considerata dagli
psicologi della Gestalt come una caratteristica innata, con un conseguente ridimensionamento dell'influenza dell'apprendimento e
dell'esperienza personale. Una "forma" viene considerata un'organizzazione che non può essere ricondotta alla somma degli elementi
che lo costituiscono e nella quale la modificazione di uno solo di questi elementi può modificare l'intera "forma".
15
V.Codeluppi, (1997), op. cit.
20
progressivamente sovrapposte e ancora oggi sono tutte operanti, nonostante l’evidente invecchiamento e la perdita
d’importanza di quelle comparse per prime”
16
.
Attualmente, gli studiosi, tendono a considerare la pubblicità come uno strumento che stimola il crearsi di un ambiente
mentale, un contesto culturale e una disposizione d’animo favorevole che poi successivamente si tramuteranno nell’azione
desiderata: l’acquisto.
16
Ibidem.