5
degli atti normativi comunitari, formalmente svincolati dall’obbligo del loro rispetto
sancito soltanto in sede nazionale, mettendo pertanto in pericolo il fondamentale principio
del primato del diritto comunitario
5
. Nelle sue prime pronunce, quasi condividendo una
concezione essenzialmente economica dell’integrazione comunitaria, la Corte rifiutava di
valutare la conformità delle norme comunitarie ai diritti fondamentali quali riconosciuti e
garantiti nelle Costituzioni degli Stati membri, dichiarando di non avere competenze in
ordine al rispetto di norme interne, anche costituzionali, in vigore nell’uno o nell’altro
Stato membro, ma unicamente di vegliare sul rispetto del diritto comunitario. Questo
iniziale orientamento riduttivo era evidentemente funzionale all’intento della Corte di
affermare la propria autonomia dalle giurisdizioni nazionali, e il primato dell’ordinamento
comunitario rispetto agli ordinamenti nazionali. La “prudenza” della Corte era cioè
giustificata dal timore che, non essendo ancora chiaramente definito il principio del
primato del diritto comunitario, “la protezione dei diritti fondamentali potesse divenire il
cavallo di Troia mediante il quale il diritto comunitario e l’attività delle istituzioni
potessero essere subordinati alle disposizioni costituzionali o legislative degli Stati
membri”. In un secondo tempo, con tre storiche sentenze ( CGE, Stauder, 1969;
Internationale Handelsgesellschaft, 1970; Nold, 1974), la Corte mutava radicalmente il
proprio orientamento, convinta che se il riferimento ai diritti garantiti da costituzioni
nazionali poteva essere un fattore di “disgregazione” per un ordinamento giuridico (qual
era quello comunitario) ancora in fase di formazione, di converso la definizione di un
sistema comunitario di tutela dei diritti fondamentali avrebbe potuto costituire un
importante elemento di integrazione e di legittimazione delle istituzioni comuni.
5
Con la sentenza Solange (sentenza n.18 del 29 maggio 1974, 2 Senat) il Tribunale costituzionale tedesco
(Bundesverfassungsgericht, Bvg) affermava la propria competenza a sindacare la costituzionalità dei
regolamenti comunitari in riferimento alle norme costituzionali che garantiscono i diritti fondamentali,
“fintantoché [Solange] il Trattato non conterrà un catalogo di diritti fondamentali il cui contenuto sia posto
in modo adeguato a quello previsto dalla Legge fondamentale [tedesca]”, e approvato da un Parlamento
democraticamente eletto. Inoltre, il Bvg affermava che il trasferimento di poteri dallo Stato tedesco alla
Comunità non autorizzava una violazione dei diritti costituzionali dei cittadini tedeschi. Con una seconda
sentenza Solange (sentenza n.10 del 22 ottobre 1986, 2 Senat), intervenuta dopo l’introduzione dell’e
lezione diretta del Parlamento europeo e l’affermazione in sede comunitaria della tutela dei diritti
fondamentali, il Bvg affermava che, fintantoché la giurisprudenza comunitaria avesse continuato a
garantire i diritti fondamentali, esso si sarebbe astenuto dal controllare la costituzionalità dei regolamenti
comunitari in riferimento a tali diritti. La giurisprudenza costituzionale tedesca ha subito un’evoluzi one
ulteriore con la sentenza del 12 ottobre 1993 sulla costituzionalità del trattato di Maastricht: qui il Bvg si
dichiara competente - in coordinazione con la Corte di Giustizia- a verificare che gli atti delle istituzioni
comunitarie non intacchino il nucleo essenziale dei diritti fondamentali garantiti dalla Legge fondamentale.
Il rilievo giuridico-istituzionale di questa sentenza interpretativa di rigetto sta nel recuperare alle sedi (non
solo) giurisdizionali nazionali il controllo e la decisione circa l’integrazione europea. Così facendo, il Bvg
continua a non accettare in toto il principio del primato del diritto comunitario, creando un precedente
pericoloso, che consiste nel differire l’applicazione del diritto co munitario, minacciando per ciò stesso
l’unità del diritto comunitario. Infatti, poiché uno dei principi del diritto comunitario è quello della sua
applicazione uniforme in tutti gli Stati membri, la sentenza del Bvg può essere percepita come una
minaccia diretta all’esistenza della Comunità nel suo insieme.
6
Con la prima delle citate sentenze, (la sentenza Stauder
6
), afferma che “i diritti
fondamentali fanno parte dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce
l’osservanza in ambito comunitario”. Non diversamente l’anno successivo, nel caso
Internationale Handelsgesell-schaf
77
,la tesi dell’incorporazione dei diritti fondamentali tra
i principi generali dell’ordinamento comunitario viene ribadita dalla Corte, che si
preoccupa anche di precisare che il giudizio sulla validità e legittimità degli atti emanati
dalle istituzioni della Comunità deve essere effettuato alla luce del diritto comunitario allo
scopo di preservarne “l’unità e l’efficacia”. Tra le altre pronunce della Corte che gettano
le basi per la tutela dei diritti fondamentali c’è la sentenza Nold, in cui la Corte afferma che
i diritti fondamentali, pur protetti in quanto principi generali dell’ordinamento, non
costituiscono però prerogative assolute, essendo sottoposti a limiti giustificati dagli
obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità
8
. “Non si può negare che
all’interno della Ce i diritti fondamentali abbiano finito per ricevere tutta l’adeguata
protezione attraverso il judical activism della Corte di Giustizia
9
”, ma il ruolo della Corte,
oltre ad avere innegabili aspetti positivi, ha anche vincoli legati al suo modo di operare. Sul
tema Treu
10
ha affermato che “il ruolo della Corte di Giustizia (…) ha tutti i vantaggi della
6
Sentenza Stauder/ Città di Ulm, del 12 novembre 1969, causa 29/69, in Racc., 1970, pag.419. La Corte
affermava che “la disposizione di cui è causa non rivela alcun elemento che possa pregiudicare i diritti
fondamentali della persona, che fanno parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, di cui la
Corte garantisce l’osservanza” (punto 7).
7
Sentenza Internationale Handelsgesellschaft GmbH/Einfurth und Vorratstelle fuer Getreide und
Futermittel del 17 dicembre 1970, causa 11/70, in Racc.1970. pag.1125. La Corte afferma che “la tutela dei
diritti fondamentali costituisce parte integrante dei principi giuridici generali di cui [essa] garantisce
l’osservanza” (punto 4).
8
Con questa terza pronuncia la Corte precisava la portata delle due pronunce precedenti, dichiarando di
essere “tenuta ad ispirarsi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e non [potendo], quindi,
ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalle Costituzioni
di tali Stati” (Cge, Nold, punto 13). “I Trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo, cui gli
Stati membri hanno coope rato o aderito possono del pari fornire elementi di cui occorre tenere conto
nell’ambito del diritto comunitario. È alla luce di tali principi che verranno esaminate le censure
addottedalla ricorrente” (Cge, Nold, 1974, punto 13).
9
M. BIAGI “L’Europa sociale e il diritto del lavoro: il ruolo della “European Social Charter”, in Lav.giur.,
2000, 1, 415.
10
T. TREU, “Diritti sociali europei: dove siamo”, in Lav.dir., 2000, 3, 434 ss. Ampiamente denunciati dagli
esperti che si sono occupati del tema e che sono stati chiamati a più riprese dalle istituzioni europee a fare
proposte ufficiali per pervenire a un assetto costituzionale più soddisfacente (Sciarra 1999, p.489). l’opera
meritoriamente avviata dalla Corte di giustizia si misura in tutta la sua difficoltà se si considerano le
diversità delle tradizioni nazionali in materia di diritti fondamentali, sociali in particolare, e la profondità
dei nodi teorici e politici tuttora esistenti nelle attuali configurazioni. L’obiettivo di una ar monizzazione in
materia (qui la convergenza non basta e forse non ha senso) si profila alquanto ardua anche per un
costituente determinato e provvisto di poteri normativi più consistenti di quelli propri dell’attuale Unione
europea. Difficilmente può essere affidato alle deboli, anche se autorevoli, indicazioni di una Corte di
giustizia. Tale difficoltà è accresciuta dalle controversie che investono le prospettive e le concezioni stesse
del welfare, sotto la spinta dei forti mutamenti sociali e della globalizzazione dei mercati: e che stanno
mettendo in crisi gli equilibri delle più consolidate politiche sociali nazionali. (l’ovvio ri lievo che la Corte
di giustizia ha il compito di applicare i diritti e non di crearli acquista particolare peso a fronte delle
incertezze politiche e di principio presenti nel dibattito sul modello sociale europeo).
7
progressività e della riflessività (…), ma d’altra parte quei limiti di visibilità, di certezza e
quindi anche di organicità e di incisività”.
Per riassumere, una volta affermato il principio che i diritti fondamentali della persona
umana fanno parte dei principi generali del diritto comunitario di cui essa garantisce
l’osservanza, che, nella tutela di tali diritti, la Corte “deve ispirarsi alle tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri”. La CGE, grazie anche all’ampia competenza che
le deriva dall’art.164 (ora 220, testo cons.), ha fatto in modo di collegare la tutela in
questione anche ai trattati internazionali
11
.
Una volta acquisita sufficiente autonomia nei confronti delle giurisdizioni, dei principi e
degli ordinamenti nazionali, la Corte ha dunque potuto mutuare da quelli i valori
comunitari, affermando come principi generali del diritto comunitario (o “principi
costituzionali immanenti all’ordinamento comunitario”), il principio di eguaglianza e di
parità di trattamento, il diritto alla difesa, il rispetto delle garanzie procedurali, il principio
di proporzionalità, la libertà di domicilio, il diritto di proprietà, la libertà di iniziativa
economica privata, ecc.
12
.Questo riconoscimento era però funzionale -e subordinato- a
“interessi generali”
13
; il che giustifica la differente tutela e il diverso riconoscimento di
11
Questo ancoraggio (sia alle costituzioni degli Stati che) alle convenzioni e ai trattati internazionali sui
diritti dell’uomo, è stato progressivamente consolidato in varie pronunce successive (CGE, Prais, 1976;
Hauer, 1979; Schraeder, 1989; Wachauf, 1989), mediante più precisi riferimenti a specifiche disposizioni
della Cedu: nella causa Prais, in particolare, la Corte constatando che la Convenzione era stata ratificata da
tutti gli Stati membri, ha infatti ritenuto che “i diritti sanciti dalle norme ivi contenute vanno considerati
alla stessa stregua dei diritti fondamentali che il diritto comunitario tutela” (Cge, Prais, 1976, punto 8). A
partire dalla Prais, la Corte si è richiamata costantemente alla Cedu- “come è detto nella dichiarazione
comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, in data 5 aprile 1977 […], si deve
tener conto, nell’ambito del diritto comunitario, dei prin cipi ai quali è informata la Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”(CGE, Johnston, 1986). “Nella
Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto dei diritti dell’uomo in tal
modo riconosciuti e garantiti (CGE, Elleniki Radiophonia Tileorasi, 1991). Affermando con crescente
determinazione il principio di tutela dei diritti fondamentali, e riconoscendo la capacità dei trattati
internazionali di introdurre principi e diritti fondamentali nel diritto comunitario. Grazie al contributo della
giurisprudenza comunitaria, i diritti fondamentali entrano dunque a far “ parte integrante dei principi
giuridici generali di cui la Corte garantisce l’osservanza, conformemente alle tradizioni costituzionali cui
gli Stati membri hanno cooperato o aderito”. “La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, […], assume a tal proposito un significato particolare” (C GE,
Hoechst, 1989; Dow Benelux, 1989, Dow Chemical Iberia, 1989).
12
Per una approfondita ricostruzione degli orientamenti della giurisprudenza della Corte sui diritti
fondamentali, si v. Marinelli, 1994, p.958.
13
“I diritti fondamentali riconosciuti dalla Corte risultano […] essere prerogative assolute e devono essere
considerati in relazione alla funzione da essi svolta nella società. È pertanto possibile operare restrizioni
all’esercizio di detti diritti [in particolare nell’ambito di un’organizzazione comune di mercato] purché
dette restrizioni rispondano effettivamente a finalità di interesse generale perseguite dalla Comunità e non
si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato ed inammissibile che
pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti (CGE, Wachauf, 1989; Kuehn 1992); i diritti fondamentali
“non appaiono […] come delle prerogative assolute, ma possono subire restrizioni, a condizione che esse
rispondano effettivamente a degli obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non
costituiscano, in relazione al fine perseguito, un intervento smisurato e intollerabile che mini la sostanza
stessa di tali diritti. Tra gli obiettivi suscettibili di giustificare tali restrizioni figurano la protezione della
salute pubblica e della vita delle persone” (CGE, Commissione c. Germania, 1992).
8
quei principi e diritti nell’ordinamento interno e in quello comunitario
14
. La giurisprudenza
comunitaria in materia di diritti fondamentali ha avuto ( e continua ad avere) un duplice,
sostanziale effetto: da un lato, supplisce alle lacune dei trattati istitutivi, consentendo la
protezione dei diritti fondamentali ad un livello ritenuto “più soddisfacente” persino dalle
Corti Costituzionali italiana e tedesca, dall’altro, proprio attraverso il riconoscimento dei
diritti fondamentali, la Corte di Giustizia ha rafforzato l’effettività del diritto comunitario,
obbligando gli Stati membri a garantire il rispetto di tali diritti
15
. Oltre ai principi contenuti
nelle sentenze della Corte accumulatesi dai primi anni ’60, i diritti fondamentali trovano
spazio in modo frammentario all’interno di alcune Carte europee. La Convenzione Europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
16
, firmata poco meno
di due anni dopo la fondamentale Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
17
,
riunisce tutti i diritti umani, tutelandoli attraverso la Corte Europea dei Diritti di
Strasburgo.
La tutela dei diritti sociali, invece, è affidata alla Carta Sociale Europea
18
, la Carta dei
Diritti Fondamentali dei Lavoratori
19
e la Carta dei Diritti Sociali Fondamentali
20
. Tuttavia,
14
Infatti, mentre nel diritto nazionale il punto di equilibrio tra la titolarità del diritto individuale ed i limiti
frapposti al suo esercizio in nome di interessi pubblici e/o collettivi è realizzato per lo più mediante il
contemporaneo operare della norma costituzionale (che, attribuendo il diritto stabilisce in nome di quali
interessi può subire limiti ad opera della legge) e di quella legislativa (che definisce materialmente i confini
tra l’una e l’altra), nel diritto comunitario l’e quilibrio tra i diritti individuali e interessi pubblici è affidato
solo al prudente apprezzamento della Corte di Giustizia. Il che comporta, con tutta evidenza, una sensibile
difficoltà di comparazione tra la tutela statale e quella comunitaria dei medesimi diritti. Nella ricerca e
nell’individuazione di diritti fondamentali, funzionale anche al conferimento di un’autonoma legittimità al
sistema comunitario, la Corte di Giustizia ha seguito due direzioni, che si intersecano in più punti. Con la
prima, essa ha ricavato dal Trattato principi e diritti fondamentali specificatamente comunitari di cui
pretende la applicazione in-mediata degli Stati. Con la seconda, essa ha tratto – dalle “tradizioni e dai
principi costituzionali comuni agli Stati membri” nonché dai trattati internazionali – dei diritti fondamentali
comuni, indicandoli come parametrici della legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie. Questo
secondo profilo ha influenzato il diritto primario e l’atti vità delle istituzioni comunitarie.
15
In altre parole, la Corte di Giustizia si è “servita” dei principi e dei diritti fondamentali, il cui rispetto -
come detto- era richiesto con forza proprio dagli organi giurisdizionali degli Stati membri, per allargare e
rendere più efficace la tutela offerta ai singoli dal diritto comunitario. Attraverso il riconoscimento dei
diritti fondamentali, la Corte ha potuto procedere all’interpretazion e estensiva di alcune norme del diritto
derivato che riconoscono determinati diritti ai titolari di libertà riconosciute dal Trattato. Così è stato
certamente per il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo, diritto previsto sia dalle direttive sulla parità
di trattamento uomo-donna sia dalle norme in materia di libera circolazione, che la Corte ha collegato agli
artt.6 e 13 della CEDU. Elevando tale diritto al rango di principio fondamentale, la Corte ha, in sostanza,
rafforzato la protezione vantata dai singoli in virtù di norme comunitarie (CGE, Johnston, 1986; Heylens,
1987; Vlassopoulou, 1991, punto 22; Emmott, 1991, punto 22).
16
CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e modificata con Protocollo n.11 firmato a Strasburgo l’11
maggio 1994 ed entrato in vigore il 1 novembre 1998.
17
Proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
18
Firmata a Torino il 18 ottobre 1961 dai paesi membri del Consiglio d’Europa
19
Firmata il 9 dicembre 1989 nell’ambito de l vertice di Strasburgo, la Carta ha carattere simbolico. In tale
data il Regno Unito non ha firmato il documento, decisione poi modificata dal governo Blair (1998).
Rispetto a questa Carta sociale, quella del 1961, contiene un catalogo di diritti più analitico e completo.
Infatti proprio la carta del 1961 dà un primo riconoscimento ad alcuni diritti collettivi, che sono trascurati
dall’approccio prevalentemente individualist ico della Convenzione europea dei diritti umani del 1950. La
debolezza della carta del 1989 è un segno dei tempi, cioè della difficoltà dell’Europa sociale di trovare
risposte adeguate alle proposte e alle politiche liberiste di quegli anni. Questa cautela in ogni caso, si
9
la netta preminenza delle politiche nazionali in materia sociale non viene sostanzialmente
scalfita sino all’emanazione dell’Atto Unico europeo
21
ed alla firma del Trattato di
Maastricht
22
, che ampliano sensibilmente gli spazi di politica sociale comune fra i paesi
membri. Di particolare rilievo è l’Accordo sulla politica sociale
23
, allegato al Trattato
tramite apposito Protocollo. L’accordo, infatti, ispirandosi alla Carta Comunitaria dei
Diritti Sociali Fondamentali dei Lavoratori del 1989, non solo conferisce alla Comunità
Europea competenze sociali più ampie, ma allarga, altresì, i casi in cui è possibile
procedere con deliberazioni a maggioranza qualificata. Così la Comunità acquisisce nuove
competenze in materia di condizioni di lavoro, informazione e consultazione dei lavoratori,
parità professionale tra uomini e donne, integrazione delle persone escluse dal mercato del
lavoro, nonché miglioramento dell’ambiente lavorativo, per proteggere la sicurezza e la
salute dei lavoratori.
Così il Consiglio può adottare direttive a maggioranza qualificata. La ripartizione delle
competenze operata a Maastricht tra le istituzioni comunitarie e quelle nazionali è ispirata
chiaramente all’istanza di porre fine al “blocco politico”
24
rappresentato dal principio di
deliberazione all’unanimità. Tuttavia in tale ripartizione è anche implicita l’idea che la
politica sociale comunitaria abbia una natura complementare rispetto a quelle sociali
nazionali. Il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 e ratificato il primo maggio 1999,
modifica sia il Trattato dell’Unione Europea, sottoscritto a Maastricht il 7 febbraio 1992 e
in vigore dal 1 novembre 1993, sia i Trattati istitutivi delle tre Comunità europee (CEE,
CEEA, CECA). Oltre al capitolo sull’occupazione il Trattato integra la normativa
comunitaria in materia di politica sociale
25
, allo scopo di promuovere l’occupazione, il
riscontra nei rapporti degli esperti comunitari sia del 1996 sia del 1999, dove è ben presente la
preoccupazione di rispondere alle critiche nei confronti di una eccessiva espansione dello Stato sociale. La
Carta comunitaria del 1989 riuniva con “calcolata imprecisione giuridica”, in un testo del tutto sprovvisto
di efficacia vincolante, diritti, principi e meri obiettivi di politica sociale, non di rado riformulati in termini
più deboli di quelli sanciti dalle principali convenzioni dell’OIL o della Carta sociale europea del 1961.
Essa ha potuto costruire un’utile base programmatica per le iniziative di politica sociale assunte in una
temperie particolarmente sfavorevole dalla Commissione nella prima metà degli anni Novanta, sfruttando
gli esigui spazi offerti, prima, dall’art.118A del TCE e, pi ù tardi, -ma sempre col grave limite
dell’autoesclusione del Regno Unito- dall’A ccordo sulla politica sociale (APS).
20
All’interno della dichiarazione del Consiglio europeo emessa a Vienna nel dicembre del 1998, in
occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
21
Documento di revisione dei Trattati di Roma, entrato in vigore il 1 luglio 1987. L’Atto Unico ha dato vita
all’Unione ec onomica e monetaria tra i paesi che fino a quel momento avevano operato nel Sistema
Monetario Europeo (SME).
22
Firmato a Maastricht nel 1992, in modifica del Trattato CE.
23
Accordo sulla politica sociale concluso tra gli Stati membri della Comunità Europea ad eccezione del
Regno Unito (Aps), allegato mediante Protocollo n.14 al Trattato di Amsterdam.
24
Cfr. G. ARRIGO, “Il diritto del lavoro nella Unione europea”, Giuffrè, 1998, Milano.
25
M. V. BALLESTRO , Una Costituzione per l’Europa: Italia, in Lav.dir., 2000, 4, 561.
La qualificazione dei diritti sociali come diritti fondamentali compare ufficialmente sulla scena europea
con il Trattato di Amsterdam, e precisamente nel preambolo del Tue (“attaccamento ai diritti sociali in esse
sanciti”) e nel paragrafo 1 dell’art.136 del Tce (“ tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli
definiti” nelle Carte sociali europea e comunitaria”). La qualificazione risale dunque alle carte sociali: ma
10
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, una protezione sociale adeguata, il
dialogo sociale e la lotta contro l’emarginazione, anche con la consultazione delle parti
sociali a livello comunitario da parte della Commissione
26
.
Il dialogo fra le parti sociali può condurre a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi. Il
Trattato comporta importanti innovazioni nell’ambito della politica sociale che viene con
esso inserita nel titolo XI: “Politica sociale, istruzione, formazione e gioventù” che si
articola nel Capo I relativo alle
Disposizioni sociali (artt.136-145)
27
, nel Capo II relativo al “Fondo sociale europeo”
(artt.146-148), e nel Capo III su “Istruzione, Formazione e Gioventù” (artt.149-150)
28
.
nessuno dei due documenti faceva parte del diritto comunitario in senso stretto, e neppure dopo Amsterdam
ne fa parte, se è corretta l’opinione, che esclude dal paragrafo 1 dell’art.136 Tce possa dedursi l’avvenuta
incorporazione de lle Carte sociali nel Trattato. Certamente è vero che il richiamo ai diritti fondamentali
definiti dalle Carte sociali non è privo di conseguenze giuridiche: come la dottrina ha più volte sottolineato,
il richiamo è infatti sufficiente a orientare l’interpretazione della Co rte di giustizia , nel senso che la
priorità, che deriva ai diritti sociali dall’essere qualificati come fondamentali, possa fare da contrappeso alla
realizzazione degli obiettivi, eventualmente contraddittori, della competitività delle imprese e della libera
concorrenza. ( A tal fine la comunità e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della
diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la
competitività dell’economia della Comunità). Ammesso che questo possa essere effettivamente l’esito del
richiamo alle Carte sociali, restano tuttavia aperti i problemi di “visibilità” dei diritti e di certezza del
diritto, che aveva indotto il Consiglio europeo di Colonia a predisporre la redazione di un progetto di Carta
dei diritti fondamentali, poi sfociata nella Carta di Nizza.
26
Si tratta di obiettivi enunciati secondo la via tracciata dalla Carta sociale europea di Torino 1961, nonché
dalla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, che fanno ingresso nel
Trattato di Amsterdam.
27
Per conseguire gli obiettivi previsti dall’art.136, la Comunità sostiene e completa l’azione degli Stati
membri in vari settori. Migliorando ad esempio l’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute
dei lavoratori, le condizioni di lavoro, l’informazione e consultazione dei lavoratori,la lotta contro
l’esclusione sociale, parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed
il trattamento sul lavoro. A tal fine il Consiglio (art.137, modificato dal Trattato di Nizza) può adottare
misure destinate a incoraggiare la cooperazione tra Stati membri attraverso iniziative volte a migliorare la
conoscenza, a sviluppare gli scambi di informazioni e di migliori prassi, a promuovere approcci innovativi
e a valutare le esperienze fatte, - è emblematica infine la chiusura - ad esclusione di qualsiasi
armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. In base all’art.138 si
assegna alla Commissione: il compito di promuovere la consultazione delle parti sociali a livello
comunitario. Infatti si specifica che la Commissione, prima di presentare proposte nel settore della politica
sociale, consulta le parti sociali, queste ultime trasmettono alla Commissione un parere o, se opportuno,
una raccomandazione. Il dialogo fra le parti sociali a livello comunitario può condurre, se queste lo
desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi (art.139, modificato dal Trattato di Nizza). Per
conseguire gli obiettivi dell’articolo 136, la Commissione incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri e
facilita il coordinamento della loro azione in tutti i settori della politica sociale presenti in questo capo, in
particolare per le materie riguardanti: l’occupazione, il diritto del lavoro e il perfezionamento professionale,
la sicurezza sociale, la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali , l’igiene del lavoro e il
diritto di associazione e la contrattazione collettiva tra datori di lavoro e lavoratori (art.140). Si prevede
l’assicurazione dell’applicazione in ciascuno Stato membro del principio della parità di retribuzione tra
uomo e donna per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (art.141). Infine si prevede la
costituzione di un Comitato per la protezione sociale a carattere consultivo, al fine di promuovere la
cooperazione in materia di protezione sociale tra gli Stati membri e con la Commissione. (art.144,
modificato poi dal Trattato di Nizza).
28
L’azione della Comunità è intesa a facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali, in particolare
attraverso la formazione e la riconversione professionale (art.150), migliorando la formazione iniziale e la
formazione permanente […] sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei
sistemi di formazione degli Stati membri, a facilitare l’accesso alla formazione professionale, favorendo la
mobilità degli istruttori e delle persone in formazione. Il Consiglio delibera secondo la procedura di cui
11
I diritti sociali come diritti fondamentali
Per la qualificazione dei diritti sociali si può utilizzare la distinzione in due sole
generazioni -per non ripercorrere tutta la generazione dei diritti- collocando i diritti (civili e
politici) di libertà nella prima, i diritti sociali nella seconda, e lasciando fuori dal discorso
la terza generazione, nella quale si collocano i “nuovi diritti”. La distinzione tra la prima
generazione e la seconda allude non solo alla vicenda storica della consacrazione dei diritti
nelle carte fondamentali, ma anche ad una gerarchia: la gerarchia istituita dai sostenitori
delle tesi che, pur non sostenendo una assoluta incompatibilità tra i diritti civili e politici e,
rispettivamente, diritti sociali, prospettano tra di essi una compatibilità solo relativa.
Secondo questo modo di vedere, i diritti di matrice liberale mantengono una necessaria
priorità rispetto ai diritti sociali (ed eventualmente ai “nuovi diritti” di terza generazione),
in quanto solo i primi condizionano l’essenza della democrazia, mentre gli altri si
collegano inscindibilmente solo alla forma assunta dalla democrazia nello stato sociale
29
.
La seconda generazione è quella dei diritti sociali
30
, che a questa generazione appartengono
a causa della priorità storica dei diritti (civili e politici) di libertà, e della loro più tardiva
consacrazione, e perciò sono ancora spesso collocati in una situazione di “minorità”. Il loro
scopo è l’eguaglianza sostanziale (sociale) attraverso il soddisfacimento dei bisogni, in
assenza del quale molte persone non sarebbero in grado di esercitare i diritti civili e
politici.
Collegati con il principio di eguaglianza in senso sostanziale, e definiti come “diritti a
prestazioni”, i diritti sociali non hanno tuttavia quel carattere di universalità che è tipico dei
diritti di libertà (negativi) e di quelli politici (di fronte ai quali tuttavia si tende
all’articolo 251, […] e adotta le misure atte a contribuire alla realizzazione degli obiettivi di cui al presente
articolo, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati
membri.
29
M. V. BALLESTRO , Una costituzione per l’Europa, in Lav.dir., 2000, 4, 558. La prima generazione è la
generazione dei diritti inviolabili dell’uomo: diritti ritenuti naturali, che diventano positivi, “con il
passaggio dallo stato di natura allo stato civile e con la creazione del potere politico”. I diritti liberali della
prima generazione sono caratterizzati dall’universalità, e si collegano all’eguaglian za in senso formale
(“eguale trattamento di tutti i soggetti, equiparati senza tener conto delle circostanze reali in cui si trovano”:
G. PECES-BARBA MARTINEZ). Questa generazione di diritti si è arricchita con l’inclusione dei diritti
politici: nati come diritti dei cittadini, essi sono divenuti diritti di tutti come risultato dell’equiparaz ione tra
l’uomo e il cittadino. I diritti della prima generazione rientrano nella categoria dei diritti fondamentali, in
ragione del loro carattere universalistico e del loro collegamento con il principio di eguaglianza in senso
formale, che trova riconoscimento in pressoché tutte le costituzioni e nelle dichiarazioni dei diritti a livello
internazionale
30
L’espressione “diritti sociali” è stata sottoposta recentemente a critica da GIORGIS, che la sostituisce con
“diritti all’eguaglianza sostanziale”, considerando la prima imprecisa, ma soprattutto riflesso di una
concezione (la vulgata liberista) che tende a configurare il mercato e la proprietà come istituzioni spontanee
e indipendenti dall’intervento regolativo dello Stato. Anche la concezione dei “diritti sociali” come diritti
dell’homme situé, pur cogliendo un aspetto proprio dei diritti all’eguaglianza (la pretesa di essere posti in
una situazione di eguaglianza), secondo GIORGIS, finisce per mettere insieme diritti diversi per struttura e
fondamento giuridico delle pretese.
12
frequentemente a dichiarare uguali in modo generico mentre la realtà dei fatti si muove in
direzione opposta): sono diritti della persona “concreta e situata in un determinato
contesto”, nel quale, per ragioni culturali, sociali, fisiche o sociologiche, essa viene a
trovarsi in condizioni sfavorevoli rispetto a quelle di altre persone o gruppi di persone.
I diritti sociali, dunque, non sono diritti di tutti, in quanto “tengono conto” delle diverse
condizioni dalle quali dipende il bisogno di protezione; istituiscono a favore dei loro
titolari l’aspettativa di una prestazione, che può essere realizzata attraverso l’intervento
pubblico diretto, o attraverso l’attività dei privati ( sempre che ciò ne consenta l’effettiva
soddisfazione).
L’inserimento dei diritti sociali nella categoria dei diritti fondamentali è problema di diritto
costituzionale
31
, nel senso che intanto tale inserimento avviene in quanto questi diritti
riposino “su norme giuridiche a loro volta fondamentali”. Con l’inserimento dei diritti
sociali nella categoria dei diritti fondamentali, i diritti divengono “indivisibili”, nel senso
che tutti i diritti consacrati in costituzione hanno eguale rango, e risulta perciò superata la
tradizionale contrapposizione tra diritti di libertà e “diritti a prestazioni”, dalla quale
tradizionalmente si faceva derivare la priorità assiologica dei primi, e la “minorità” dei
secondi. Alla definizione dei diritti sociali come diritti fondamentali (“a prestazioni”)
32
si
collegano due questioni non trascurabili, specie nel contesto di una riflessione intorno alla
qualificazione di questi diritti nell’ ordinamento della UE.
La prima questione attiene all’individuazione della sfera dei destinatari. Se la “liberazione
dal bisogno” costituisce il “fondamento di valore” dei diritti sociali, e il diritto consiste
nella pretesa di una prestazione positiva del potere pubblico, la sfera dei destinatari non
potrà che essere limitata a chi sia privo dei mezzi necessari per soddisfare i propri
bisogni
33
.
31
I diritti fondamentali sono inviolabili, nel senso che non possono essere violati, nel contesto
costituzionale, e in particolare nel contesto di una costituzione rigida, sono inviolabili quei diritti (positivi)
che sono sottratti a revisione costituzionale: la Corte costituzionale include fra di essi i diritti inalienabili
della persona. Resta da vedere quali siano questi diritti, se solo quelli che la Costituzione medesima
qualifica espressamente come inviolabili, o tutti i diritti conferiti dalla Costituzione. I diritti inviolabili sono
talora considerati come implicitamente indisponibili, nel senso della loro sottrazione alle decisioni della
politica e del mercato.
32
Ma occorre tenere conto che questa definizione non coglie la complessità della struttura dei diritti che
spesso sono insieme diritti di libertà e diritti a prestazione.
33
Il fondamento di valore di questi diritti della persona “specifica” (vale a dire considerata nella specificità
dei suoi diversi status sociali: di donna, di bambino, di anziano, di malato, di handicappato, di privo di
capacità contributiva, e così via) può essere tuttavia collocato in una nozione più aggiornata di eguaglianza
sostanziale (riassumibile con la formula: “pari dignità tenuto conto delle diversità”: [i principi di
eguaglianza in senso formale e in senso sostanziale sono autonomi l’uno dall’altro, ma non irrelati: mentre
il principio di eguaglianza in senso formale ha un contenuto essenzialmente negativo, perché impone di
fare astrazione dai fattori di differenziazione vietati, il principio di eguaglianza in senso sostanziale ha un
contenuto essenzialmente positivo, poiché implica la presa in considerazione di quegli svantaggi (o
disparità) che pesano su classi di persone o gruppi sociali diversi, e che giustificano le “deviazioni”
dall’eguaglianza formale]. Se il principio di eguaglianza sostanziale è inteso ad impedire che la pari dignità
sia lesa dalle diversità subite (cioè dalle disparità sfavorevoli), allora i diritti sociali sono diritti di tutti gli
13
L’individuazione dei titolari dei diritti sociali si connette ad una seconda, ma non
secondaria, questione: quella della relazione tra risorse finanziarie disponibili e livello di
protezione dei diritti sociali. È ricorrente l’affermazione che la richiesta di generalizzare i
diritti sociali, oltre che determinarne lo snaturamento, si pone in contrasto con l’esigenza
stessa di difendere lo stato sociale
34
.
I diritti fondamentali nell’Europa sociale
Parlando di diritti sociali è fondamentale in primis partire dalle due generazioni dei quali
fanno parte ovvero: quelli civili- politici e quelli sociali .
Tale distinzione in due generazioni è nata dalla consacrazione dei diritti nelle carte
fondamentali; ma non dobbiamo dimenticare che esiste una distinzione anche dal punto
gerarchico poiché si è soliti riconoscere un’assoluta diversità tra diritto civile/politico
(diritto di libertà), e quello sociale intravedendo tra di essi una relazionabilità solo relativa.
Tale visione lascia intuire quanto il diritto civile, di prima generazione appartenente la
categoria dei diritti fondamentali, inviolabili dell’uomo, caratterizzati dall’universalità e
dal loro collegamento con il principio di eguaglianza in senso formale; che trova
riconoscimento in pressoché tutte le costituzioni e nelle dichiarazioni dei diritti a livello
internazionale; sia da considerarsi superiore, prioritario rispetto i diritti sociali.
I diritti sociali dunque per la loro successiva consacrazione vengono fatti rientrare nella
seconda generazione e di conseguenza in una condizione di inferiorità.
Recentemente tale categoria del diritto è detta anche “diritto all’eguaglianza sostanziale”
proprio a voler esplicitare lo scopo di tale diritto ovvero l’eguaglianza sociale tramite
l’assolvimento dei bisogni dell’uomo, senza i quali un gran numero di individui non
avrebbero “gli strumenti” per esercitare i propri diritti civili e politici.
esseri umani che si trovino nelle condizioni di diversità di cui i diritti “tengono conto”. Questa
riformulazione del fondamento dei diritti sociali supera la dicotomia diritti dell’uomo/di ritti del cittadino, e
quindi la concezione della “statualità dei diritti”, ma non propone ancora l’universalizzazione dei diritti
sociali: un’utopia che nasce dall’idea che la cittadinanza debba essere soppressa, essendo “l’ultimo relitto
premoderno delle disuguaglianze personali in contrasto con la conclamata universalità e uguaglianza dei
diritti fondamentali”.
34
M. V. BALLESTRERO, I diritti sociali come diritti fondamentali, in Lav.dir., 2000, 4, 561. Quando
eccede una certa misura, travalicando in forme di tutela non rispondenti a situazioni di bisogno (in atto o
potenziali) […] lo Stato non solo diventa un peso insopportabile per l’economia di libero mer cato, ma si
rovescia in nuove forme di dipendenza che diseducano i singoli all’eser cizio della libertà […], ne
ottundono lo spirito di iniziativa e il senso di responsabilità, scatenando per contrappasso un crescendo di
pretese di maggiori prestazioni. Credo che siano assai meno enfatiche e più ragionevoli le ipotesi formulate
da quanti affrontano la questione del “costo” della generalizzazione dei diritti sociali in chiave di
“bilanciamento” tra le ragioni dei diritti sociali e quelle dell’efficienza economica, te nendo conto di due
punti essenziali: che il rapporto tra le due cose è, secondo la nostra Costituzione, “ineguale”, perché diritti
sociali ed efficienza economica non stanno sullo stesso piano; che i cosiddetti diritti delle generazioni
future, chiamati spesso in causa come argomento a favore della riduzione del costo dei diritti sociali, non
possono essere coinvolti nel bilanciamento, che riguarda il rapporto tra i bisogni delle generazioni presenti
e le effettive risorse con cui possono essere soddisfatti
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Tali diritti nonostante l’importanza che ricoprono non rientrano nelle caratteristiche di
universalità proprie invece del diritto di libertà.
Giunti a questo punto dovremmo rivolgere la nostra attenzione sul possibile inserimento di
tali diritti sociali nei diritti fondamentali, ma di tale questione se ne deve occupare il diritto
costituzionale, il quale include fra di essi i diritti inalienabili della persona.
Resta dunque da analizzare quali siano questi diritti, se solo quelli che la Costituzione
medesima qualifica espressamente come inviolabili, o tutti i diritti conferiti alla
Costituzione.
Con l’inserimento dei diritti sociali nella categoria dei diritti fondamentali, i diritti
divengono “indivisibili”, ovvero tutti i diritti consacrati in costituzione hanno eguale rango,
e risulta dunque superata la tradizionale divergenza tra diritti di libertà e diritti sociali, dalla
quale, come detto precedentemente, derivava la superiorità dei primi e l’inferiorità dei
secondi.
Dopo aver trattato dell’evoluzione delle due generazioni del diritto specifici dell’Unione
Europea è importante parlare dei destinatari stessi di tali diritti sociali.
Se il principio di eguaglianza sostanziale è inteso ad impedire che la pari dignità sia lesa
dalle diversità subite (cioè dalle disparità sfavorevoli), allora i diritti sociali sono diritti di
tutti gli esseri umani che si trovino nelle condizioni di diversità di cui i diritti “tengono
conto”.
Con tale riformulazione del fondamento dei diritti sociali viene superata la dicotomia diritti
dell’uomo/diritti del cittadino, e quindi la concezione della “statualità dei diritti”, senza
proporre ancora l’universalizzazione dei diritti sociali: un’utopia che nasce dall’idea che la
cittadinanza debba essere soppressa, essendo “l’ultimo relitto premoderno delle
disuguaglianze personali in contrasto con la conclamata universalità e uguaglianza dei
diritti fondamentali”.
Dopo essersi soffermati sui destinatari di tali diritti si collega una seconda questione che
chiama in causa il rapporto tra risorse finanziarie disponibili e il livello di protezione di tali
diritti.
Tale argomentazione porta tutti noi a diverse riflessioni, valutazioni, critiche più o meno
congruenti. Ma ritengo che il punto di svolta sul quale dovremmo porre la nostra attenzione
faccia riferimento alle parole di coloro che affrontano la questione del “costo” della
generalizzazione dei diritti sociali in chiave di “bilanciamento” tra le ragioni dei diritti
sociali e quelle dell’efficienza economica, tenendo conto di due punti essenziali: che il
rapporto tra le due cose è, secondo la nostra Costituzione, “ineguale”, perché diritti sociali
ed efficienza economica non stanno sullo stesso piano; che i cosiddetti diritti delle
generazioni future, chiamati spesso in causa come argomento a favore della riduzione del
costo dei diritti sociali, non possono essere coinvolti nel bilanciamento, che riguarda il
15
rapporto tra i bisogni delle generazioni presenti e le effettive risorse con cui possono essere
soddisfatti.
La Carta dei diritti fondamentali di Nizza
La Carta di Nizza
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raccoglie molti spunti delle costituzioni contemporanee e dei Trattati
internazionali, li modifica e li rielabora a suo modo, presentando ai cittadini europei e agli
Stati dell’Unione come un’unica “comunità giuridica e culturale”. Le norme comunitarie,
dei trattati e del diritto derivato, non possono più essere lette senza i diritti fondamentali. Si
può affermare che la Carta contiene non solo i principali diritti civili e le libertà essenziali
della tradizione liberale, nonché i più importanti diritti socio - economici, ma anche molti
diritti “nuovi” o di “terza generazione” come quelli riguardanti la bioetica, le tecnologie
dell’informazione, l’ambiente. Alcuni diritti affermati nella Carta sono oltretutto ignorati
da Costituzioni, come la nostra, che pure contengono un ampio catalogo di diritti
fondamentali, e di diritti sociali in particolare: si pensi alla “tutela in caso di licenziamento
ingiustificato” (art.30)
36
; o nel diritto a forme elementari di partecipazione dei lavoratori,
come quelle che si concretano nel “diritto dei lavoratori all’informazione e alla
consultazione nell’ambito dell’impresa”
37
(art.27 nel capo IV sulla solidarietà). Una buona
parte dei principi affermati nella Carta è già nota all’ordinamento comunitario. Infatti la
Convenzione, contravvenendo al mandato restrittivo conferitole, ha trascritto o riscritto
alcuni principi enunciati in altre Carte dei diritti emanate da organismi internazionali.
Questi principi sono in gran parte acquisiti nel patrimonio giuridico dell’Unione europea
grazie all’interpretazione della Corte di Giustizia e alla loro riscrittura in testi di diritto
derivato (costituendo per l’appunto aquis comunitario, derogabile solo in meglio dalle
normative nazionali). I limiti connessi alla natura giuridica della Carta non impediscono di
affermare che la formulazione, di alcuni specifici diritti può contribuire sia ad una positiva
35
S. GIUBBONI, “Da Roma a Nizza. Libertà economiche e diritti sociali fondamentali nell’Unione
europea”, in Quad.dir.lav.rel.ind., 27, 2004, 9 ss. Solennemente proclamata al vertice di Nizza dal
Parlamento, dalla Commissione e dal Consiglio alla presenza dei membri del Consiglio europeo, la Carta
europea dei diritti fondamentali risponde effettivamente all’auspicio della ri unificazione e della
equiordinazione, in un catalogo che è per la prima volta specifico e proprio dell’intera Unione europea, dei
valori e dei diritti assunti come fondamentali e fondanti della stessa legittimità dell’ordine comunitario.
36
R. DEL PUNTA, I diritti sociali come diritti fondamentali: riflessioni sulla Carta di Nizza, in Dir.rel.ind.,
2001, 3, 343. Quest’articolo rappresenta una assoluta novità, su scala europea, di una previsione del genere
(integrata dall’art.33, comma 2, che proscrive il licenziamento irrogato per un motivo legato alla
maternità), che conferma la volontà della Carta di penetrare nella sfera dei rapporti interprivati, ed in
particolare di incidere, attraverso l’imposizione di re gole di corretto uso delle prerogative
dell’imprenditore (la cui libertà è garantita dall’art.16), sulle situ azioni caratterizzate dal formarsi di poteri
privati, come quelle che inevitabilmente si creano nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinato.
37
L’art.27 a differenza dell’art .18 della Carta di Strasburgo, si limita a garantire ai lavoratori o ai loro
rappresentanti, ai livelli appropriati, un diritto all’informazione ed alla consultazione (la c.d. partecipazione
debole) in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal diritto comunitario e dalle legislazioni e prassi
nazionali. Il rinvio alle normative comunitarie e nazionali è pressoché integrale, anche se è da supporre che
esse non potrebbero mettere completamente nel nulla il diritto qui riconosciuto.