2
Scabia, docente presso il Dams di Bologna, ad Andrea Mancini, da Pilade Cantini, ad Andrea
Giuntini e Sergio Bulleri.
Questo elaborato è suddiviso in quattro capitoli più un’appendice dove sono riportate le interviste
che ho realizzato ai principali protagonisti di questo ventennio di attività teatrali e che, dal momento
che il materiale sull’argomento è decisamente scarso, debbono essere considerate parte integrante
ed imprescindibile della ricerca, oltre che fonte inedita di riferimento.
Nel primo capitolo, dapprima, verranno affrontate le principali esperienze, teorie e metodologie
relative all’utilizzo del teatro come strumento terapeutico (Moreno, Landy Robert, Pitruzzella,
Orioli, Nava) per poi ripercorrere sinteticamente la storica esperienza di Giuliano Scabia
nell’Ospedale psichiatrico di Trieste e le esperienze legate al Teatro Carcere, con particolare
attenzione al panorama toscano degli ultimi anni, in cui l’attività dell’OPG di Montelupo si inscrive.
Nel secondo capitolo, invece, sarà tracciato un quadro sintetico della struttura degli OPG italiani in
generale e di quella di Montelupo in particolare e saranno inoltre introdotti elementi
contestualizzanti l’evoluzione normativa e legislativa degli OPG, dalla loro istituzione nel
diciannovesimo secolo, sotto il nome di manicomi criminali, ad oggi.
Poi nel terzo capitolo verranno documentate ed analizzate tutte le attività teatrali dell’OPG di
Montelupo dal 1986 al 2006, metre nel quarto capitolo verranno descritte le attività teatrali,
all’interno ed all’esterno dell’Istituto, che ho avuto la possibilità di seguire personalmente, da
settembre a dicembre del 2006, grazie al permesso concessomi dalla Direzione e dal Magistrato di
sorveglianza.
3
CAPITOLO 1
ATTIVITÀ ARTISTICO-ESPRESSIVE, CARCERE, TERAPIA
1.1 La terapia attraverso il teatro e l’arte: riferimentistorici ed esperienze
L’arte teatrale nella sua storia millenaria, fin dalle sua origine all’interno delle cerimonie rituali
delle civiltà antiche, ha sempre avuto un forte legame con la società e con gli individui che delle
diverse forme sociali facevano parte. Nel secolo scorso il teatro, oltre ai fini prettamente artistici e
spettacolari, ha raggiunto anche molti altri ambiti - scuole, ospedali psichiatrici, carceri - ponendosi
obiettivi che travalicavano la semplice produzione di spettacoli. Le diverse esperienze di questo
“teatro sociale”, come lo definirebbe Claudio Bernardi
1
o, meglio, di “interazione sociale”, secondo
la definizione proposta da Claudio Meldolesi, hanno avuto, di volta in volta, istanze educative,
politiche, terapeutiche, ricreative o socializzanti.
In questo panorama generale del teatro che interagisce con la società si sono inscritte anche quelle
esperienze che il teatro lo hanno pensato ed usato come strumento terapeutico.
Trattando questa tesi delle attività teatrali svolte presso l’Ospedale psichiatrico giudiziario di
Montelupo Fiorentino dalla metà degli anni ottanta sino ad oggi, ho ritenuto indispensabile avere
degli strumenti di riferimento per una migliore comprensione e una più approfondita analisi delle
attività svolte in un contesto come quello di Montelupo, che coniuga malattia mentale e reclusione.
Da qui la necessità di descrivere almeno le principali teorie terapeutiche a mediazione teatrale
sviluppate nel Novecento, in modo da poter leggere le attività teatrali fatte in OPG anche alla luce
delle principali teorie teatrali in ambito di salute mentale.
Così nei paragrafi successivi verranno affrontati dettagliatamente teorie, metodi e campi di
applicazione del vasto lavoro di Jacob Levi Moreno - padre del Teatro della Spontaneità, del Teatro
Terapeutico e dello Psicodramma - della Drammaterapia di Landy Roberts e di Salvo Pitruzzella,
della Teatroterapia di Walter Orioli, del Teatro degli Affetti di Giulio Nava e del Teatro degli
Oppressi di Augusto Boal.
1
Bernardi, Claudio, Il teatro sociale. L’arte tra disagio e cura, Carocci Editore, 2004.
4
1.1.1 Jacob Levi Moreno: Teatro della Spontaneità e Psicodramma
Uno studio dedicato al teatro terapia non può prescindere dalla figura di Jacob Levi Moreno, che col
suo lavoro ha posto le basi non solo dello Psicodramma e del teatro terapia, ma anche della
musicoterapia, della danzaterapia, della sociometria, del role playng e delle terapie di gruppo in
genere. Figura eclettica e assai discussa, quella di Levi Moreno, riveste un ruolo fondamentale nella
cultura del Novecento, proprio in virtù della sua originalità di pensiero e della sua attività
pionieristica nel campo dell’interazione fra teatro e terapia psichiatrica. Per comprendere a fondo il
suo lavoro sarà necessario, quindi, presentare innanzitutto l’uomo Moreno.
Tra il 1908 ed il 1914, oltre agli studi universitari compiuti a Vienna, prima in filosofia, poi in
medicina
2
, dove si laureerà nel 1917, Jacob Levi Moreno portò avanti un grande impegno
filantropico. Insieme ai suoi compagni dà vita alla Religione dell’Incontro e organizza una casa di
accoglienza per chiunque ne avesse bisogno:
Trovavamo lavoro per la gente […] Quando erano malati fornivamo loro l’assistenza medica […] Mi
sorprende ancora che così tanta gente affollasse quella casa e dividesse con gli altri tutto quello che aveva,
senza lotta o rancore. […] Tenevamo sessioni notturne dopo cena in cui venivano tirati fuori i problemi, e i
torti venivano ricomposti. Questi primi “gruppi d’incontro” furono il modello di altri gruppi sparsi ora in
tutto il mondo. Ma gli incontri non erano solo sessioni di discussioni. Dopo aver condiviso i nostri
sentimenti, cantavamo, ballavamo e giocavamo.
3
A questo periodo risalgono anche i suoi primi esperimenti di Teatro della Spontaneità, come quelli
condotti nei giardini del Ring con i bambini o le prime vere e proprie esperienze di psicoterapia di
gruppo, affrontate nel quartiere delle prostitute. Esperienze che contribuiranno enormemente a dare
forma alle teorie della spontaneità, della creatività e della terapia di gruppo:
Il primo incontro che cercai di avere fu con i bambini. […] Andai nei luoghi dove giocavano […] e invece di
parlare loro in modo schietto, raccontavo delle fiabe e scoprii di non riuscire mai a ripetere la stessa fiaba.
Sentivo l’obbligo di suscitare in loro un senso di stupore […] di mantenermi ad un livello di spontaneità e
creatività per tener fede alle rigorose esigenze del mio ego creativo […] Fu nel mio lavoro con i bambini che
presero forma le mie teorie sulla spontaneità e sulla creatività.
4
2
Moreno a differenza della maggior parte degli altri studenti, ebbe la possibilità di trascorrere la metà del suo tempo a
svolgere del lavoro pratico di tipo clinico, cosa che gli permetterà di praticare la professione di medico appena
conseguita la laurea. Il tirocinio più prezioso probabilmente fu quello fatto presso la clinica Wagner von Jauregg, come
assistente del dottor Otto Potzl, dove si occupò del servizio psichiatrico.
3
Moreno, Jacob Levi, Il profeta dello Psicodramma, Roma, Di Renzo Editore, 2002, p. 51.
4
Ibidem, pp. 44-45.
5
[...]
Il quartiere a luci rosse di Vienna, un ghetto per prostitute, era nel primo distretto […] queste donne erano
perse per sempre: non avevano diritti civili né c’erano leggi e tanto meno meccanismi civili a proteggere i
loro interessi. Presi a visitare le loro case, accompagnato da un medico Wilhelm Gruen, specializzato in
malattie veneree e Carl Colbert l’editore di un quotidiano di Vienna […] iniziammo ad incontrare gruppi
dalla otto alle dieci ragazze, due tre volte a settimana, di pomeriggio, nelle loro case […] le conferenze
all’inizio riguardavano episodi giornalieri che le ragazze vivevano […] All’inizio le donne temevano
persecuzioni e si aprivano con cautela; ma quando cominciarono a capire lo scopo del gruppo e che tutto era
a loro beneficio, si entusiasmarono e si aprirono completamente. I primi risultati che notammo furono
piuttosto semplici. Ad esempio riuscimmo a trovare un avvocato che le rappresentasse in tribunale, un
medico che le curasse e un ospedale che le accettasse come pazienti. Gradualmente impararono a riconoscere
il valore profondo dei nostri incontri e fu loro possibile aiutarsi a vicenda.
5
Del 1911, è il primo protocollo psicodrammatico, Die gottheit als komoediant, che illustrava l’atto
d’accusa contro il teatro convenzionale ed anche l’irruzione, che destò un grande clamore,
all’interno di un teatro durante una rappresentazione, da parte di Moreno e di alcuni compagni, tesa
a smascherare la finzione dello spettacolo e degli attori che interpretavano i personaggi ed
auspicando la demolizione del vecchio teatro ad opera di un nuovo teatro che «non avrebbe solo
riflesso le sofferenze di entità estranee, ma interpretato il nostro dolore»
6
. E a tal riguardo Moreno
aggiunge: «Volevo creare un teatro del genio, di immaginazione totale, il Teatro della Spontaneità,
in linea con il lavoro che stavo facendo con i bambini al parco»
7
.
Con l’inizio della Prima guerra mondiale, Moreno, ottenuto il permesso dall’ università, venne
reclutato dal governo come ufficiale medico. La sua prima destinazione fu quella del campo
profughi di Mittendorf dove il governo austriaco aveva trasferito l’intera popolazione austriaca di
lingua italiana della zona del Sud Tirolo. Moreno si trovò così catapultato di fatto in un campo di
prigionia, dove gli abusi, la corruzione, le privazioni e le sofferenze erano all’ordine del giorno. Il
lavoro nel campo di Mittendorf, unito alla sua necessità di migliorare la qualità della vita degli
internati, lo avvicinò all’idea di una possibile organizzazione o riorganizzazione della comunità su
base sociometrica. Da qui Moreno, approfondendo i suoi studi, darà vita ad una disciplina,
inesistente prima di lui, destinata ad incontrare grande interesse e favore: la sociometria.
Usando i metodi della sociometria, anche se in forma assai primitiva, spostai le famiglie in base alle loro
affinità reciproche. In questo modo, le basi su cui era organizzata la comunità mutarono in modo positivo. La
5
Ibidem, pp. 59-60-61.
6
Ibidem, p. 86.
7
Ibidem, p. 86.
6
mia teoria si basava sul fatto che quando le persone vivono con coloro dai quali si sentono attratti, queste
tendono ad aiutarsi. Così i segni dell’incapacità di adattamento diminuirono sia nel numero sia nell’intensità.
Quando fu possibile riorganizzammo anche i gruppi nelle fabbriche per creare una maggior armonia e
produttività.
8
A conferma dell’efficacia dell’intuizione moreniana, sia in relazione all’esperienza con le prostitute
che a quella nei campi profughi, Didier Anzieu, medico e psicodrammista francese, che ha cercato
di unire alcuni principi fondamentali dello Psicodramma, della terapia di gruppo e della
psicoanalisi, riconosce a Moreno la grande importanza, per tutte le scienze sociali in genere, della
scoperta «di come il gruppo avesse una realtà specifica ed una propria struttura, di come ciascun
partecipante potesse diventare un agente terapeutico dell’altro»
9
.
Ma Moreno, già dal tempo del servizio a Mittendorf, oltre al lavoro e all’impegno filantropico,
amava molto ritrovarsi nei caffè viennesi per discutere di filosofia, di religione, d’arte ed è così che
incontrò molte delle grandi personalità della cultura, di cui Vienna in quegli anni era
particolarmente ricca. Insieme ad alcuni di loro dette vita a “Daimon”, poi ribattezzata “Die
Gefahrten”, una rivista di filosofia e letteratura che raccolse articoli, racconti, poesie di molti
importanti artisti e intellettuali mitteleuropei del tempo. La guerra portò molti cambiamenti nella
vita di Moreno, quando scoppiò lui era una sorta di profeta, di capo religioso, mentre quando
terminò era ormai diventato uno scrittore (sebbene di testi anonimi) e la guida di un gruppo
letterario esistenzialista. Decisamente, quella di Levi Moreno, non è figura facile da racchiudere in
definizioni o categorie e anche in campo medico-scientifico fin da giovane si delineò in lui un
pensiero autonomo e uno spirito critico nei confronti delle teorie e delle pratiche mediche dominanti
del tempo. Emblematico a riguardo è senz’altro lo scambio di battute con Freud
10
, dal quale fu
interpellato a conclusione di una sua lezione: «beh, dottor Freud, comincio da dove voi terminate.
Voi incontrate le persone nell’ambiente artificiale del vostro studio. Io le incontro per le strade e
nelle case, nel loro ambiente naturale. Voi analizzate i loro sogni. Io do loro il coraggio di
continuare a sognare. Voi li analizzate e li scomponete, mentre io li lascio interpretare i propri ruoli
conflittuali aiutandoli a rimettere insieme le varie parti»
11
.
Con questi pochi tratti biografici già si delinea la figura di Moreno come di un uomo estremamente
determinato e convinto della bontà dei suoi progetti, poco disposto a scendere a compromessi,
mosso da desideri di autoaffermazione, di incontro e di soccorso dell’altro e di rinnovamento.
8
Ibidem, pp. 76-77.
9
Anzieu, Didier, Le psychodrame analytique chez l’enfant et l’adolescent, Presse Universitaries de France, 1978², trad.
it. Lo Psicodramma analitico del bambino e dell’adolescente, Roma, Astrolabio - Ubaldini Editore, 1979, p. 29.
10
Il giovane Moreno, nel 1912 frequentò le lezioni di Sigmund Freud, allora cinquantaseienne.
11
Moreno, Jacob Levi, Il profeta dello Psicodramma, cit., p. 70.
7
Das Stegreiftheater o Teatro della Spontaneità
Il Teatro della Spontaneità, detto anche Teatro Impromptu, ha le sue radici, come fa notare
giustamente Donata Miglietta «nell’episodio in cui Moreno aveva interrotto la rappresentazione del
dramma Le imprese di Zarathustra: con questo atto di accusa nei confronti del teatro tradizionale
egli intendeva fondare un teatro dove lo spettatore potesse entrare direttamente in conflitto con
l’attore, con la sua spontaneità, con il fatto che le parti recitate non erano le parti personali»
12
, ma
anche nel primo esperimento di Psicodramma
13
– più precisamente un misto di assiodramma
14
e
sociodramma
15
, in quanto l’esperimento era incentrato sull’ipotetica ricerca di un nuovo re o di un
nuovo ordine di cose – presentato nel 1921 alla Komodienhaus, un famoso teatro di Vienna.
La descrizione che Moreno ci fornisce di quella sera fa capire senza dubbi che già molte delle
caratteristiche, su cui si baserà il Teatro della Spontaneità e tutto il lavoro successivo, erano già
presenti in quel primo esperimento psicodrammatico:
Ero solo sul palcoscenico quella sera, non avevo un cast di attori e nessun testo, assolutamente impreparato
davanti ad un pubblico di oltre mille persone. Quando si alzò il sipario, il palcoscenico era vuoto eccetto che
per una poltrona di tessuto rosso con l’intelaiatura d’oro e lo schienale alto, come il trono di un re. […]
Cercavo di curare o purificare quel pubblico da una malattia, da una sindrome culturale patologica condivisa
da tutti i presenti nel teatro quella sera. La Vienna del dopoguerra ribolliva di rivolta, non c’era un governo
stabile, nessun imperatore,, nessun re, nessun leader. […] Il pubblico era il mio cast e le singole persone del
pubblico erano come un centinaio di drammaturghi ignari. Il dramma consisteva nella situazione in cui
ciascuno era stato gettato dagli eventi storici nella quale aveva una vera parte da recitare. […] se solo fossi
riuscito a trasformare il pubblico in attore del proprio dramma collettivo, riguardante un conflitto sociale in
cui era veramente coinvolto ogni giorno della propria vita, allora la mia audacia sarebbe stata perdonata e la
sessione avrebbe portato a termine qualcosa. […] Il tema naturale era la ricerca di un nuovo ordine di cose,
un test per chi tra il pubblico aspirava alla leadership, trovando allo stesso tempo un salvatore. […] Nessuno
era stato preparato prima del tempo e così personaggi impreparati recitavano in un dramma impreparato
davanti ad un pubblico impreparato. Ma il test doveva essere difficile, perché nessuno lo superò. Quando lo
spettacolo terminò, nessuno fu giudicato degno di essere un re ed il mondo rimase senza leader.
16
12
Miglietta, Donata, I sentimenti in scena, Torino, UTET, 1998, p. 31.
13
Il termine nel 1921, al tempo dell’esperimento, non era ancora stato coniato.
14
«Termine derivante dal greco axios, giusto, degno. Forma drammatica dei valori etici: verità, giustizia, bellezza,
pietà, perfezione, eternità, pace. Questo termine è stato usato da Moreno prima dell’uso della tecnica psicodrammatica
vera e propria, divenuta classica dopo il 1932» (Montesarchio, Gianni, e Sardi, Paola, Dal teatro della spontaneità allo
Psicodramma classico, Milano, Franco Angeli Editore, 1987, pp. 101-102).
15
«Gioco drammatico di problemi generali. Non approfondisce i rapporti privati individuali (cosa che, al contrario, fa lo
Psicodramma) che sono posti in secondo piano. Affronta i problemi sotto l’aspetto sociale o collettivo» (Montesarchio,
Gianni, e Sardi, Paola, Dal teatro della spontaneità allo Psicodramma classico, cit., p. 109).
16
Moreno, Jacob Levi, Il profeta dello Psicodramma, cit., pp. 87-88.
8
È evidente il tentativo di Moreno di creare una relazione più sincera, reale, tra attore e spettatore, il
tentativo di trattare problematiche, in questo caso sociali ed etiche, che riguardano da vicino la vita
di ogni spettatore ed il tentativo di non preordinare niente testo, niente cast ma di far
affidamento solo sull’hic et nunc, sul qui e ora, sulla spontaneità degli attori-spettatori e sulla sua
personalissima capacità di portarli a questo stato spontaneo. La novità però non fu accolta con
grande entusiasmo. Didier Anzieu al riguardo scrive: «L’ingenuità di Moreno diventa palese
quando pensa di trovare con questo metodo la soluzione dei problemi politici. […] Nessuno superò
il test ed il prestigio di Moreno ne ebbe a soffrire. Con questo scacco si chiude il periodo
propriamente mistico ed etico dello Psicodramma. [Però] Moreno ha ormai precisato due delle sue
intuizioni direttrici, l’incontro ed il qui ed ora»
17
.
Il Teatro della Spontaneità nasce quello stesso anno. Moreno concentra i suoi sforzi sull’arte
drammatica, perché gli sembra quella che meglio risponde alle necessità di un atto creativo e
spontaneo e che meglio può contrapporsi alle “conserve culturali”
18
. È sua ambizione realizzare un
teatro col 100% di spontaneità. Moreno definisce la spontaneità
19
come la capacità dell’individuo di
rispondere con un certo grado di adeguatezza ad una situazione nuova, oppure con un certo grado di
novità ad una situazione vecchia. Inoltre precisa che «la spontaneità è (oppure non è) disponibile in
tutti gli esseri umani a vari gradi di prontezza»
20
, e «funziona solo nel momento della sua
emersione»
21
. Partendo da questa concezione della spontaneità; Moreno elaborerà, dopo il suo
trasferimento negli Stati Uniti, una serie di test di misurazione del grado di spontaneità ed un
sistema di allenamento della stessa, al fine di rendere maggiormente elastici e pronti gli individui di
fronte ad eventi imprevisti e più in generale nei confronti delle novità. Altro concetto fondamentale
è quello di creatività o di atto creativo che per Moreno è indissolubilmente legato allo stato
spontaneo:
Il primo carattere dell’atto creativo è la sua spontaneità, il secondo carattere è una sensazione di sorpresa, di
inatteso. Il terzo carattere è la sua irrealtà che è determinata a cambiare la realtà in cui esso sorge, qualche
cosa di precedente e oltre la realtà data è all’opera nell’atto creativo. Mentre l’atto vivente è un elemento nel
nesso di causa-effetto del processo vitale di una persona reale, l’atto spontaneo-creativo fa sembrare che per
17
Anzieu, Didier, Lo Psicodramma analitico del bambino e dell’adolescente, cit., p. 24-25.
18
Termine coniato da Moreno per indicare il prodotto finito di uno sforzo creativo (un libro, un quadro, una sinfonia
musicale, ecc.)
19
Moreno deriva il concetto di spontaneità da Bergson, che prima di lui aveva teorizzato quello di elan vital e di durée,
differenziandosi da lui nel contrapporre alla durée bergsoniana concepita senza soluzioni di continuità, una spontaneità
che ha nella discontinuità dell’istante, la sua essenza ed il suo privilegio.
20
Moreno, Jacob Levi, Psychodrama vol. I, Horsham Foundation, Ambler, Penn, 1980², trad. it. Manuale di
Psicodramma. Il teatro come terapia, a cura di Ottavio Rosati, Roma, Astrolabio – Ubaldini Editore, 1985, p. 150.
21
Moreno, Jacob Levi, Manuale di Psicodramma. Il teatro come terapia, cit., p. 151.
9
un momento il nesso di causa-effetto sia stato infranto o eliminato. […] La quarta caratteristica dell’atto
creativo è che esso significa agire sui generis. Nell’atto di agire noi siamo di gran lunga più agiti che
protagonisti di azioni. […] Ma questi processi non determinano solo condizioni psichiche; hanno risultati
mimetici. Parallelamente alle tendenze che portano certi processi alla conoscenza, ce ne sono altre che
conducono alla loro incarnazione mimetica. Questa è la quinta caratterista dell’atto creativo
22
Per maggiore chiarezza di questi due concetti base del pensiero moreniano, che meriterebbero una
lunga trattazione a parte, mi pare necessario riportare la sintesi che ne fa Didier Anzieu:
L’atto spontaneo-creativo non può essere descritto se non partendo da esso stesso. Atto gratuito che
obbedisce alla legge del tutto o nulla, che non lascia dietro di sé alcun intermediario; ad un momento dato, si
è o non si è spontanei. La sorgente della spontaneità è la spontaneità stessa. Non può quindi essere imparata
per mezzo di qualcosa ad essa estranea. Richiede solo di essere liberata e per ciò occorre mettersi nello stato
in cui si produrrà da sola. Non che la spontaneità sia autosufficiente: non è nulla fuori dagli atti che la
esprimono. Non esiste in noi nessun deposito di spontaneità, non c’è modo di immagazzinarla. L’atto
spontaneo è tanto intimamente legato all’istante che si esaurisce con esso e deve essere perpetuamente
reinventato. La spontaneità non temporeggia; esplode qui e ora, o non è. Essendo imprevedibile, è inventrice.
Così il principale dovere dello psicodrammista è preservarla. Mai deve sacrificarla all’eleganza della
rappresentazione. […] Dopo la sua funzione creatrice, scopriamo un secondo aspetto della spontaneità, la sua
funzione plastica: è una capacità di adattamento ad un mondo in rapido cambiamento, indispensabile ad un
organismo lui stesso in rapida crescita. […] La terza funzione della spontaneità è drammatica: essa fornisce
energia ed unità all’io. Moreno vuol dire sicuramente che gli atti che ci esprimono sono allo stesso tempo
quelli che ci definiscono, che noi non siamo nulla prima di esserci manifestati.
23
Das Stegreiftheater fu anche il nome di un suo libro
24
, pubblicato 1923, dove espone, oltre ai
concetti di spontaneità e di creatività, la sua visione di questa nuova forma di teatro in
contrapposizione a quella tradizionale. Il libro, proprio come gli spettacoli del Teatro della
Spontaneità, non incontrò grande favore, anche se tra gli intellettuali viennesi si manifestò una certa
curiosità. Moreno proponeva una forma di teatro basata al 100% sulla spontaneità e quindi
sull’improvvisazione
25
: un teatro dove l’attore spontaneo non sapeva cosa avrebbe recitato fino alla
sera stessa dello spettacolo, dove non c’erano né testo scritto, né prove, dove il pubblico era invitato
a reagire liberamente, dove gli attori si dipingevano le maschere davanti al pubblico, dove le
22
Moreno, Jacob Levi, Manuale di Psicodramma. Il teatro come terapia, cit., pp. 99-100.
23
Anzieu, Didier, Lo Psicodramma analitico del bambino e dell’adolescente, cit., pp. 51-52.
24
Moreno, Jacob Levi, Il Teatro della Spontaneità, a cura di Antonio Santoni Rigiu, Rimini, Guaraldi Editore, 1973.
25
Moreno nei suoi scritti prende le distanze dal concetto tradizionale di improvvisazione dei comici dell’arte, perché nel
teatro della spontaneità non solo non venivano fatte prove e non si imparavano i testi a memoria, ma non si conosceva
nemmeno l’andamento della trama, ovvero quello che per i comici dell’arte era il canovaccio.
10
scenografie erano improvvisate ed i costumi preparati sul momento. Moreno per questo teatro aveva
pensato anche un palcoscenico originale – che resterà solo un modellino finché non nascerà la sua
clinica negli Stati Uniti a Beacon House – formato da piattaforme circolari disposte su vari livelli
d’altezza
26
intorno al quale il pubblico sedeva circondandolo interamente: niente quarta parete,
niente sipario, niente quinte, niente graticcia, niente botole. Gli attori spontanei erano chiamati a
“riscaldarsi” fino a raggiungere uno stato di massima spontaneità, così da poter mettere in atto tutte
le indicazioni che gli venivano fornite dal drammaturgo, dal direttore o dal pubblico. Anche la
figura del drammaturgo nella visione moreniana fu oggetto di una rielaborazione affinché potesse
diventare agente di un atto creativo-spontaneo. Il drammaturgo componeva il dramma senza dargli
forma definitiva e senza scriverlo: a mano a mano che i personaggi del suo dramma interiore gli si
presentavano alla mente lui li trasferiva agli attori. Poi, una volta animato dal drammaturgo, l’attore
diventava il creatore del suo personaggio. Altro compito del drammaturgo era quello di combinare
istante per istante i molteplici personaggi, al fine di ottenere un tutto unitario. Il direttore, o regista,
invece, si fonde molto spesso con la figura dell’autore, fusione in cui, come scrive Anzieu,
«Moreno molto presto troverà la soddisfazione per se stesso del suo istinto demiurgico e che fisserà
per sempre il suo modo di partecipazione alle sedute di Psicodramma»
27
.
Ancora Anzieu ci illumina con la descrizione dell’inizio di una sessione di Teatro della Spontaneità:
Nell’oscurità iniziale si ode solo la voce del direttore che stabilisce il contatto con il pubblico. Illuminato
dalla luce, prima crescente poi intensa, il direttore discute con gli attori ed eventualmente con l’autore, del
problema che sta per essere recitato, della suddivisione in scene successive, delle parti assegnate a ciascuno.
Gli attori si scaldano nelle loro parti, cambiano personalità davanti al pubblico per mezzo di maschere e di
costumi. Quindi si svolge il dramma spontaneo che ricava l’imprevedibilità del suo corso dalla spontaneità
degli attori, dalle reazioni della platea e dagli interventi del direttore: questi modifica lo scenario nel bel
mezzo dell’azione o lancia nell’azione nuovi attori con il compito di rinnovare l’azione.
28
Donata Miglietta scrive che quello che voleva realizzare Moreno con il Teatro della Spontaneità era
«un passaggio dal dramma rappresentato a quello realmente vissuto attraverso lo spostamento del
fuoco dal palcoscenico alla platea; con questo spostamento che coinvolgeva il pubblico, il teatro
cominciava a diventare un teatro di gruppo»
29
. Gianni Montesarchio definisce il Teatro della
Spontaneità come «una nuova istituzione in cui tutto il pubblico presente costituisce il cast e il suo
26
Ognuno dei palcosceni avrà una precisa funzione nello Psicodramma, che corrisponderà ai livelli di elevazione dello
spirito, tanto che la balconata o terrazza, che era il livello più alto, rappresentava proprio il livello del Creatore.
27
Anzieu, Didier, Lo Psicodramma analitico del bambino e dell’adolescente, cit., p. 27.
28
Ibidem.
29
Miglietta, Donata, I sentimenti in scena, cit., pag. 31.
11
numero ideale è elevatissimo, si identifica con l’intera comunità in cui si svolge. […] In questa
nuova dimensione viene respinta la presenza di uno spettatore inattivo ed accolta quella di un
pubblico co-recitante o inter-recitante»
30
.
Il Teatro Improptu incontrò comunque molte difficoltà, dovute soprattutto alla malafede degli
spettatori che spesso faticavano a credere che quello che accadeva in teatro fosse del tutto
improvvisato. Moreno allora trovò una soluzione che parve mettere a riparo il suo lavoro
dall’incredulità altrui. Moreno infatti cominciò ad utilizzare, come trame drammaturgiche delle
recite spontanee, fatti di cronaca accaduti il giorno stesso scelti tra le notizie dei quotidiani. Nacque
così il giornale vivente, che da un lato manteneva l’istanza di trattare argomenti riguardanti ogni
individuo della comunità
31
e dall’altro eliminava il possibile sospetto del pubblico che le
improvvisazioni fossero state studiate e provate in precedenza dagli attori.
Il Teatro Terapeutico
Nonostante l’interessante introduzione di una nuova forma drammaturgica quale il giornale vivente,
il teatro di Moreno continuò ad avere molte difficoltà. A salvare Moreno ed il suo teatro fu una
delle sue attrici. Barbara era una ragazza che solitamente in teatro vestiva con bravura i panni di
donne gentili e dall’animo delicato, ma nella vita privata soffriva di scoppi d’ira molto intensi nei
confronti del marito, di cui comunque si diceva innamorata. Moreno, dopo aver discusso dei
problemi con il marito di Barbara, decise di far interpretare alla ragazza non più ruoli angelici, ma
ruoli di donne volgari, accidiose e dai costumi molto discutibili. Così facendo, Barbara ebbe modo
di esprimere sul palcoscenico alcune parti di sé che teneva nascoste e, recita dopo recita, i rapporti
con il marito andarono migliorando: gli scoppi d’ira erano sempre meno frequenti e la stessa
Barbara cominciava a percepire in anticipo il sopraggiungere di tali stati d’animo e in parte a
prevenirli, sdrammatizzando le motivazioni che verso quello stato d’animo la stavano conducendo.
Dopo di che Moreno introdusse come partner sulla scena il marito stesso di Barbara e,
gradualmente, fece loro recitare delle scene che si avvicinavano sempre più alla loro realtà
quotidiana. Pare che la coppia riuscì a riconquistare l’armonia perduta in alcuni mesi.
Moreno intuì che, alla base di questo processo, c’era un fenomeno di liberazione, di fuoriuscita dei
sentimenti. Fenomeno che Moreno associa al concetto di catarsi aristotelica. Questa associazione lo
spinge ad una riformulazione del concetto di catarsi spostando il fulcro della catarsi dal pubblico -
come era per i greci che, assistendo alla tragedia degli eroi, si purificavano dalle passioni malvagie -
agli attori stessi del dramma. Didier Anzieu scrive che nel teatro spontaneo «la catarsi è innanzitutto
30
Montesarchio, Gianni, e Sardi, Paola, Dal teatro della spontaneità allo Psicodramma classico, cit., p. 43.
31
I fatti di cronaca scelti per le improvvisazioni riguardavano sempre o quasi fatti accaduti a Vienna.
12
la catarsi dell’attore che esteriorizza il proprio dramma e che si libera dai personaggi interiori
esibendoli al di fuori. La catarsi è anche quella del pubblico, per effetto secondario: vedendo
rappresentare sulla scena i propri conflitti, lo spettatore trova sollievo, talvolta una soluzione»
32
, ma
aggiunge anche che «l’esteriorizzazione provoca la catarsi, ma non la spiega»
33
. Per Moreno,
l’individuo ripetendo volontariamente e coscientemente, all’interno di situazioni accuratamente
preparate, ciò che ha subito o che gli è sfuggito in passato, ha la possibilità di superarlo o di
impadronirsene. Nel suo libro Das stegreiftheater afferma che il Teatro Terapeutico ha come
simbolo l’abitazione privata – il suo locus nascendi
34
– ossia il luogo primario dell’esperienza:
Se una persona vive sola, tutto ciò che appartiene al suo mondo privato e personale può essere sperimentato
come in un sogno, ossia senza resistenze. Qualora essa viva con un’altra persona, allora sperimenta
quotidianamente, quella che Moreno definisce la vera situazione drammatica, che provoca gioia o dolore.
Questa situazione produce un conflitto in grado di trasformare i solitari abitanti della casa in una comunità.
Essi divengono, al contempo, gli spettatori di questa rappresentazione.
35
Il Teatro Terapeutico quindi rappresenta uno stadio intermedio tra la forma del Teatro della
Spontaneità e quello successivo dello Psicodramma. Con il Teatro Terapeutico la sessione
drammatica viene preparata a partire dai dati provenienti dal colloquio clinico. Con il Teatro
Terapeutico sparisce l’artificio, anzi la parola attore non sembra nemmeno più adeguata. Anche il
palcoscenico come luogo dell’azione viene svalutato a favore della casa dell’individuo, locus
nascendi dei conflitti, o di qualsiasi altro ambiente in cui l’agente del Teatro Terapeutico si trova
realmente ad agire nella vita. Siamo oramai alla metà degli anni venti e Moreno non del tutto
soddisfatto del seguito che stava avendo in Austria, nonostante in Baviera e a Berlino si stessero
interessando al Teatro Terapeutico, decise di trasferii negli Stati Uniti, dove pensava, a ragione, che
la loro mentalità più votata all’azione rispetto agli europei, potesse meglio sposarsi con il tipo di
ricerche che stava portando avanti. Infatti Moreno trovò negli americani dei perfetti interlocutori,
proprio in virtù della loro visione prettamente pragmatica della vita. Si inaugura così il secondo
periodo della sua vita, che sancirà lo sviluppo delle tecniche psicodrammatiche propriamente dette e
della sociometria.
32
Anzieu, Didier, Lo Psicodramma analitico del bambino e dell’adolescente, cit., p. 30.
33
Ibidem..
34
Moreno definisce i concetti di locus nascendi, status nascendi e matrix, che rappresentano rispettivamente il luogo di
origine di una creazione, lo stato in cui sorge la creazione e la matrice da cui si origina. L’una non sussiste senza l’altre.
Facciamo un esmpio per chiarezza: «il locus di un fiore è nella zolla dove il fiore nasce e non il punto in cui viene posto
nei capelli di una donna; il suo status nascendi è quello di una cosa che cresce non appena emerge dal seme; la sua
matrix o matrice è lo stesso seme fertile» (Moreno, Jacob Levi, Manuale di Psicodramma. Il teatro come terapia, cit., p.
87).
35
Moreno, Jacob Levi, Manuale di Psicodramma. Il teatro come terapia, cit., p. 89.
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Lo Psicodramma
Lo Psicodramma come la sociometria sarà destinato ad incontrare grande seguito in tutto il
mondo, dando spunto a varie e differenti riflessioni in molti campi delle scienze sociali e
psicologiche. Per questo motivo, ritengo necessario, prima di addentrarmi nei particolari delle
tecniche Psicodrammatiche, tracciare sommariamente la parabola dello sviluppo che ebbe, dopo che
Moreno si trasferì negli Usa. I primi due anni americani furono caratterizzati da una febbrile opera
divulgativa delle tecniche del Teatro della Spontaneità attraverso una serie di sessioni dimostrative
in molte scuole ed università. Le prime sessioni di Psicodramma vero e proprio si tennero nel 1928
al Carnegie Hall: uno spettatore portava in scena il proprio problema e il pubblico partecipava
spontaneamente alla rappresentazione. Lo Psicodramma cominciava ad estendersi a scuole ed
ospedali. Questo tipo di sessioni Psicodrammatiche proseguirono fino al 1931. In seguito l’interesse
di Moreno subì una deviazione in favore della sociometria: fu nominato direttore delle ricerche
sociali del dipartimento per la previdenza dello stato di New York e la sua ricerca procedette da un
lato nelle prigioni, in particolare a Sing Sing, e dall’altro nella scuola di preparazione per ragazze ad
Hudson. Come scrive a ragione Didier Anzieu «da questa inchiesta escono forgiati in modo
definitivo gli strumenti sociometrici»
36
.
Lo Psicodramma comunque continuò ad espandersi e nel 1936 Moreno fondò a Beacon la sua
clinica privata dove realizzò la struttura del teatro terapeutico come l’aveva teorizzata negli anni di
Vienna. Lo Psicodramma travalicò presto i limiti del trattamento medico trovando feconde
applicazioni nei trattamenti dei conflitti matrimoniali, nell’addestramento ai ruoli professionali e
nuovi campi da studiare. I teatri psicodrammatici andarono moltiplicandosi e Moreno diventò capo
del movimento ed organizzatore. Nel 1942 fondò l’American society of group psychotherapy and
psychodrama poi le riviste “Sociatry, journal of group and intergroup therapy” nel 1947 e “Group
psychotherapy” nel 1949. Il movimento psicodrammatico travalicò anche le frontiere americane
diventando un’organizzazione internazionale che periodicamente si riuniva in congressi dove
venivano presentate dimostrazioni di sessioni di lavoro. Un movimento in rapida ascesa. Questo fu
favorito dallo stesso Moreno, che pare non fosse molto attento alla fedeltà con cui il suo metodo
veniva applicato negli altri paesi: quel che gli interessava era che la terapia per mezzo dell’azione,
incentrata sull’incontro e sul gruppo, trovasse più seguaci possibili. Questo tipo di atteggiamento
d’altro canto ha favorito però lo sviluppo di varie specializzazioni e correnti di pensiero che,
partendo dal pensiero moreniano, miravano ad un suo superamento o ad un miglioramento del suo
lavoro: è il caso dello Psicodramma analitico di scuola francese Moreno non ha mai riconosciuto
36
Anzieu, Didier, Lo Psicodramma analitico del bambino e dell’adolescente, cit., p. 32.
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apertamente nessun debito nei confronti della psicanalisi freudiana e anzi gli si contrapponeva
espressamente dove le tecniche psicodrammatiche sono coniugate allo studio psicoanalitico del
soggetto ed in alcuni casi alla terapia di gruppo; oppure è il caso della musicoterapica e della
danzaterapia, della cui importanza Moreno aveva intuito la portata, ma delle quali propose una
teorizzazione appena abbozzata e troppo legata al modello del teatro terapeutico.
Entrando nel vivo delle tecniche psicodrammatiche è necessario notare che lo Psicodramma è la
naturale evoluzione del Teatro della Spontaneità e del teatro terapeutico, tant’è che mantiene
centrali i concetti di creatività spontanea e di catarsi per mezzo dell’azione. Concetti ai quali
aggiunge quello psichiatrico di “ruolo”. Tralasciando l’etimologia della parola ruolo e dell’uso di
cui è stata oggetto nelle passate epoche storiche, per Moreno «il ruolo è la forma operativa che
l’individuo assume nel particolare momento in cui reagisce a particolari situazioni in cui sono
coinvolte altre persone e oggetti»
37
infatti per lui, a differenza degli aristotelici, dei teologi e dei
metapsicologi, i ruoli non emergono dal sé, bensì è il sé che emerge dai ruoli. Per Moreno gli atti
che ci esprimono sono allo stesso tempo quelli che ci definiscono, per lui noi non siamo nulla prima
di esserci manifestati.
Ogni individuo […] ha una gamma di ruoli nei quali vede se stesso e osserva una gamma di controruoli in
cui vede gli altri attorno a lui. Essi sono in diverse fasi di sviluppo. Gli aspetti tangibili di ciò che è noto
come Io sono i ruoli in cui egli opera. […] Io e ruolo sono in continua interazione […] Ogni individuo chiede
di impersonare molti più ruoli di quelli che gli consente di interpretare la vita e persino all’interno dello
stesso ruolo una o più varianti di esso.
38
La teoria dei ruoli moreniana si basa sull’assunto che fin dalla nascita il bambino assume dei ruoli,
attraverso i quali si esplica e si relaziona con gli oggetti o le persone che incontra. Moreno non
accetta la concezione per cui il bambino assuma dei ruoli solamente dopo lo sviluppo del
linguaggio, perché questo significherebbe ridurre le categorie dei ruoli, che lui tripartisce in
fisiologici, psicologici e sociali, alla sola categoria dei ruoli sociali. «La teoria psicodrammatica del
ruolo applica il concetto di ruolo a tutte le dimensioni della vita: comincia con la nascita e prosegue
per tutta l’esistenza dell’individuo come socius, essere sociale»
39
. Per Moreno esiste una percezione
del ruolo, role percepition, cha ha carattere cognitivo ed anticipa le risposte future ed esiste una
rappresentazione del ruolo, role enactment, che consiste nell’abilità con cui viene interpretato.
Moreno teorizza una serie di test di misura, role playng, delle capacità di un individuo nel calarsi
37
Moreno, Jacob Levi, Manuale di Psicodramma. Il teatro come terapia, cit., p. 36.
38
Ibidem p. 39.
39
Ibidem p. 38.
15
adeguatamente in un ruolo e conseguentemente un addestramento al ruolo, role training, al fine di
poterli interpretare adeguatamente nelle situazioni future.
Altro concetto importante è quello di tele
40
che Moreno usa per definire quel «complesso di
sentimenti che spinge una persona verso l’altra e che nasce dai reali attributi dell’altra persona,
attributi individuali e collettivi»
41
. Moreno infatti contrappone alla relazione interpersonale fondata
sul tranfert freudiano, ovvero un gruppo di fantasie che una persona proietta sull’altra, quella basata
sul tele, precisando che «il tele è una struttura primaria, il transfert una struttura secondaria. Dopo
che il tranfert è stato risolto, alcune condizioni di tele continuano ad operare. Il tele stimola
un’associazione stabile e relazioni permanenti»
42
. Naturalmente il tele, come il tranfert, può essere
sia positivo che negativo. Moreno assegna molta importanza per una buona riuscita della terapia
psicodrammatica alle relazioni di tele tra paziente, direttore ed assistenti terapeutici.
Definiti i concetti che stanno alla base dello Psicodramma, passiamo adesso in rassegna i suoi
cinque strumenti principali: ovvero il palcoscenico, il soggetto recitante o paziente, il regista o
direttore, il gruppo degli assistenti terapeutici detti anche io ausiliari ed il pubblico. Al riguardo mi
pare importante riportare le caratteristiche di questi cinque strumenti nella sintesi che propone lo
stesso Moreno nell’introduzione alla quarta edizione (1972) del suo Manuale di Psicodramma:
Il primo strumento è il palcoscenico. Perché un palcoscenico? […] Lo spazio vivente della realtà è spesso
stretto e limitante e il paziente può facilmente perdervi il suo equilibrio. Invece sul palcoscenico egli può
ritrovarlo grazie alla sua metodologia fondata sulla libertà libertà dagli stress insopportabili e libertà per
l’esperienza e l’espressione. Lo spazio del palcoscenico è un’estensione della vita al di là degli esami di
realtà della vita stessa. La realtà e la fantasia non sono in conflitto, ma sono entrambe funzioni all’interno di
una più ampia sfera: il mondo psicodrammtico di oggetti, di persone e avvenimenti. […] Sul palcoscenico le
illusioni e le allucinazioni vengono incarnate prendono corpo e considerate con la stessa importanza di
normali percezioni sensoriali. Il disegno architettonico del palcoscenico è realizzato in conformità alle
necessità terapeutiche. […] Lo spazio dello Psicodramma, se necessario, può essere sistemato ovunque i
pazienti si trovino […] ma la risoluzione finale di profondi conflitti mentali richiede un setting oggettivo, il
teatro terapeutico.
[…]
Il secondo strumento è il paziente o soggetto. Gli viene chiesto di essere se stesso sul palcoscenico, di ritrarre
il proprio mondo privato. […] Una volta che il paziente si sia riscaldato per il suo scopo è relativamente
facile per lui dare un esempio della sua vita quotidiana in azione […] egli deve esprimersi liberamente man
mano che le cose gli vengono in mente: è per questo che bisogna dargli libertà di espressione, spontaneità.
40
Dal greco tele: a distanza, da lontano.
41
Moreno, Jacob Levi, Manuale di Psicodramma. Il teatro come terapia, cit., p. 300.
42
Ibidem p. 45.