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Per orientarsi nella comprensione del significato del profumo è necessario porsi almeno tre
domande: cosa c’è realmente e fisicamente nel profumo, che cosa si vede, che cosa vi si cerca o gli
si chiede. La risposta semiotica sta in una gamma di potenziali significanti attivabili e percepibili
sulla base di una sensibilità personale. Il gioco di messa a fuoco è potenzialmente infinito.
L’area pubblicitaria del profumo si presenta molto articolata e ricca di specificità, quasi un genere
a sé. Oltre ai sensi della fragranza infatti è possibile essere attratti dalla sinergia di linee e di colori
che si sprigionano dal flacone, espressione di una forma visiva che attiva una sensazione olfattiva e
poi diventa tratto di personalità o sensazione delle azioni e situazioni della vita.
Questo nucleo profondo di significato nella pagina pubblicitaria si traduce in un insieme di segni,
che vanno dal testo linguistico, alla forma del flacone, ai colori, alle circostanze del setting, della
storia raccontata e soprattutto dal linguaggio non verbale espresso dalla modella.
Il ruolo semiotico rivestito da questo attore della scena, non solo nel senso di testimone del
prodotto, ma in quella di coadiutore semiotico del flacone e del prodotto nella costruzione di una
realtà di senso, viene realizzato soprattutto attraverso una orchestrazione di segni non verbali. Come
si vedrà nel corso dell’analisi il rapporto tradizionale tra segno linguistico e segno non verbale qui è
ribaltato: il ruolo di ancoraggio del significato che Barthes assegnava alla parola, qui è proprio del
non verbale. La procedura di decodifica assegnata al ricevente è ribaltata: il liminale, il sensoriale,
vengono prima del senso organizzato dai grandi sistemi della lingua o della cultura, agisce quasi un
sistema istintuale, non elaborato, molto vicino alla fisiologia della percezione. La sensorialità
prevale sulla coscienza e sulla codifica cosciente dei sistemi semiotici.
Per cogliere questa gamma di esperienze sensoriali e di codici che ce le rendono comprensibili e
utilizzabili, si è applicata una griglia per l’analisi del contenuto ad un corpus quantitativamente
consistente di inserzioni pubblicitarie. La parte centrale di questo lavoro, e quella che ha preso
molto più tempo, sta nella tabella analitica. L’analisi minuziosa dei suoi elementi, comunque,
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avrebbe avuto bisogno di uno spazio molto ampio e di un’ulteriore riflessione, soprattutto per
definire il funzionamento di codici e la loro concatenazione all’interno di un testo linguistico -
figurativo (rapporto fra codici olfattivi e codici visivi in riferimento a precise e sfumate sensazioni
sensoriali e alle emozioni che suscitano), che ancora resta compito per gli studiosi.
Inoltre, per inquadrare la ricerca si è ritenuto necessario riportare da un lato una sintesi della storia
del profumo e di quella, socialmente più marcata, degli odori e dall’altro alcune nozioni della
tecnologia delle essenze e alcuni orientamenti attuali sul suo sviluppo futuro.
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2. STORIA E TECNOLOGIA DEL PROFUMO
2.1. I profumi nella storia umana
Dai primitivi altari in cui venivano bruciate sostanze odorose che sprigionavano "per fumum"
(donde il nome) aromi gradevoli in grado di coprire l'odore delle vittime sacrificali, la storia del
profumo ha vissuto, attraverso i millenni, clamorosi successi e periodi di autentica persecuzione.
L'impiego di sostanze odorose, dapprima limitato quasi esclusivamente al culto mediante
fumigazioni propiziatorie, attribuì ai sacerdoti, per primi nella storia, il privilegio dei profumi;
successivamente venne esteso nell'igiene per correggere l'aria viziata, per combattere o prevenire
contagi e, infine, diventò parte essenziale della cura personale del corpo con la creazione di
unguenti, polveri e liquidi odorosi.
2.1.1. I grandi regni mesopotamici
Già i Babilonesi, continuatori della civiltà sumerica intorno al 2000 a.C., solevano fare grande uso
di sostanze odorose. Le loro processioni venivano precedute da duecento fanciulle che spargevano
profumi e da altrettanti fanciulli, i quali avevano il compito di bruciare mirra e altre resine odorose.
Proprio con quest'antico popolo il profumo comincia a cambiare funzione, cessando di essere solo
un mezzo per placare l'ira divina o per accattivarsi la benevolenza del dio, ed entrando a far parte
delle manifestazioni della vita religiosa quotidiana nei rituali di sepoltura e per rivolgere precise
richieste alle divinità, oltre che per ringraziarle quando queste venivano esaudite.
Tra gli Assiri, (dal 2003 al 612 a. C.) la cosmesi divenne arte, e si passò alla produzione in grande
quantità (cfr. Costarelli, p. 51).
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Nel VII sec. a. C., Babilonia e Ninive erano importanti centri di fabbricazione dei profumi, poi
attraverso i mercanti fenici, le sostanze odorose vennero esportate in tutto il mondo conosciuto.
2.1.2. L'Egitto dei faraoni
La più antica formula di profumo pervenutaci è contenuta in un'iscrizione geroglifica faraonica
risalente al quarto millennio a. C. (cfr. Enciclopedia Treccani, sub voce “Profumi”). Gli Egizi, circa
5000 anni fa, bruciavano aromi profumati in onore di Râ, dio del sole che splende alto in cielo, ed
avevano addirittura due divinità, una che presiedeva alla cosmesi e l'altra i profumi: Bes e Toth (cfr.
ibid., p. 58).
Presso questo popolo i profumi avevano un tale valore religioso da potere essere preparati soltanto
in luoghi sacri da sacerdoti, i quali erano anche gli unici a custodire gli incensieri.
Ad ogni cambiamento di rito, a seconda dello scopo, corrispondeva un particolare tipo di
cosmetico o di profumo. Gli Egizi usavano unguenti ed aromi per ringraziare gli dei delle vittorie
conseguite, per ingraziarsi le divinità ostili nei riti propiziatori, ma soprattutto per l'imbalsamazione
dei ricchi defunti, in virtù delle proprietà antisettiche delle essenze.
La vita terrena, considerata periodo effimero, aveva la funzione di preparare il viaggio nell'aldilà,
per cui il corpo del defunto doveva essere preservato dal disfacimento e reso immortale grazie
all'imbalsamazione prima, e alla cerimonia dell'«apertura della bocca» poi, con cui i sacerdoti
restituivano simbolicamente al morto la sua capacità di parlare e di mangiare, allo scopo di
permettere allo spirito immortale del faraone di godere nel regno dei morti degli stessi onori, piaceri
e privilegi di cui aveva goduto in vita (cfr. Calvani, Giardina, vol. 1, p.118).
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Più tardi alla connotazione sacrale se ne aggiunse una profana ed i profumi entrarono nella toilette
dei nobili cortigiani e dei funzionari, sotto forma di oli profumati da applicare sul corpo dopo i
bagni rituali, oltre che per le loro virtù terapeutiche.
La donna egizia, raffinata ed elegante, oltre ad abbellirsi il volto ed il corpo, soleva impregnarsi le
vesti di profumi, e portava mescolati alle collane, sacchettini pieni di semi aromatici.
L'ambiziosa Cleopatra (70 - 30 a. C. circa) utilizzò la potente virtù dei profumi per sedurre prima
Giulio Cesare e poi Antonio. L'importanza degli effluvi profumati ed il loro potere afrodisiaco è
attestato da numerose poesie d'amore egiziane. Recita un canto egizio del secondo millennio a. C.:
«Mi sono confusa vedendoti / che metà dei capelli si son sciolti / correndoti incontro. / Vado subito
ad ornarmi gli occhi col kahl (o kajal) / a mettere il rosso / e l'olio profumato di Punt (in Somalia) /
per essere pronta ad ogni istante» (cit. in Costarelli, p. 54).
Ma il profumo aveva anche un ruolo preciso in occasione di feste e banchetti durante i quali si
cospargevano di fiori i pavimenti, mentre sulle tavole l'incenso esalava dai bruciaprofumi. Pertanto
in Egitto esistevano molte fabbriche di profumi, i cui segreti passarono poi ai loro schiavi ebrei che,
una volta ottenuta la libertà e venuti in possesso di alcune ricette, si lanciarono nel commercio di
prodotti aromatici.
2.1.3. Il popolo ebraico ed i profumi
Per conoscere i modi d'impiego dei profumi nel mondo ebraico possiamo rivolgerci alla Bibbia
che a tale proposito è una vera miniera di notizie; non solo essa ci informa dei numerosi profumi
utilizzati nella vita quotidiana e nei rituali sacri, ma ci indica anche i nomi delle piante e degli aromi
che abbondavano nelle colline di Canaan.
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Nella religione cristiana l'incenso fu bruciato dapprima, a partire dal IV secolo, nelle cerimonie
funebri, per arrivare verso il Mille all'uso che se ne fa tuttora nel rito della messa ,del Te Deum, ecc.
Questa resina, menzionata di frequente nella Bibbia, era considerato il profumo per eccellenza,
simbolo olfattivo di Cristo, il cui uso era riservato esclusivamente alle pratiche di culto e al Signore
in segno di riconoscenza e di onore. Il libro dell'Esodo contiene le volontà dell'Onnipotente riguardo
ai profumi a lui riservati, e sempre nell'Antico Testamento possiamo leggere le direttive impartite a
Besaleel e a Ooliab dall'Onnipotente per la preparazione di un profumo da bruciare sotto forma di
polvere: «Ne farai un olio per l'unzione sacra, un profumo composto con arte di profumiere (...).
Ungerai con esso la tenda del convegno, l'arca della testimonianza, la tavola e tutti i suoi utensili, il
candelabro e i suoi accessori, l'altare dell'incenso (...). Così li santificherai e saranno santissimi:
chiunque li toccherà sarà santo» (Esodo 28, 1, 30, 7-40, 31, 2-11).
L'uso profano di questi profumi era vietato, punizioni terribili attendevano chi veniva meno a
questo precetto. Insieme all'oro, l'incenso e la mirra furono i doni che secondo la tradizione
evangelica i Re Magi offrirono in occasione della nascita di Gesù, sia perché rappresentativi delle
più rare ricchezze, sia come simboli della sua divinità, regalità e umanità.
Anche se presso gli Ebrei l'imbalsamazione era praticata molto raramente, nel Nuovo Testamento
l'uso dei profumi nei riti funebri è attestato, si afferma infatti che il corpo del defunto veniva lavato
con acqua profumata e poi veniva cosparso di oli aromatici.
L'evangelista Giovanni racconta che alla morte di Gesù, Nicodemo portò circa cento libbre di un
composto di mirra ed aloe, e che con l'aiuto di Giuseppe d'Arimatea avvolse il corpo di Cristo in
«bende di lino con gli aromi, com'è costume dei Giudei di seppellire» (Giov., 12, 3). Preziose
testimonianze sull'uso dei profumi nella vita quotidiana sono altresì riscontrabili nella Bibbia; gli
Ebrei usavano bere vino aromatizzato, si ungevano il corpo di oli profumati prima dei pasti, e
durante i banchetti, facevano bruciare resine odorose nelle sale.
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La preparazione dei profumi veniva effettuata anche in casa dalle schiave, ma solitamente era un
compito svolto dai sacerdoti leviti, i togeath, termine che designava il medico e il profumiere al
contempo, a riprova del legame strettissimo fra le due professioni.
Nel V sec. a. C. nell'Antica Gerusalemme, una strada era riservata esclusivamente a quest'attività.
Durante il regno di Salomone, i profumi conobbero una fortuna particolare, i più usati erano l'aloe
ed il nardo, il cui olio, dall'aroma penetrante, si otteneva spremendo le radici della pianta. Secondo
E. Rimmel gli antichi designavano con il termine generico di nardo, tutti i profumi più raffinati (cfr.
Pillivuyt, p. 35).
Le donne ebree, come le egiziane, facevano uso di cosmetici per abbellire il viso e soprattutto gli
occhi , era diffuso anche l'uso di portare collane di perle in cui erano inserite gocce di profumo che
colando bagnavano il seno.
Numerose scatole da cosmetici e da profumo, nonché piccole spatole usate per ungersi, sono state
ritrovate nelle tombe palestinesi del V sec. a. C.
Tra i profumi allora più noti ricordiamo il mitico “balsamo di Giuda”, prediletto dalla regina di
Saba.
Tuttavia l'eccesso nell'uso di cosmetici e profumi è condannato dalla Bibbia, anche se il Cantico
dei Cantici, poema d'amore per eccellenza attribuito a re Salomone, esala da ogni pagina inebrianti
profumi di nardo, zafferano, cannella, mirra, aloe, usati come termine di paragone per indicare i
migliori piaceri della vita: «Squisiti per fragranza i tuoi unguenti; / un balsamo cosparso è il nome
tuo (...) / Un fascetto di mirra è per me il mio diletto / che anche di notte è tra i miei seni; il mio
diletto è per me un ramoscello di alchenna» (Cantico dei cantici, carme primo).
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2.1.4. Uso dei profumi nell'antica Grecia
Gli antichi Greci appresero l'arte dei profumi dai popoli asiatici ed anche loro ne fecero largo uso.
La fabbricazione dei profumi nell'antichità classica si limitava al mélange di sostanze odorose con
l'olio d'oliva, di noci, di mandorle o di sesamo, attraverso la tecnica dell' enfleurage o della
macerazione, sia a caldo che a freddo; la distillazione fu conosciuta invece soltanto più tardi.
Nella sua "Storia delle piante" (IX, 4) Teofrasto, nei secoli IV e III a.C. ci dà elenco e ricette delle
sostanze in uso presso i Greci per la fabbricazione dei profumi, dei cosmetici e delle tinture.
Quanto diffuso fosse, specie presso le donne greche, l'uso dei profumi, ci dice nei suoi «Dialoghi»
Luciano; parlando della toletta di una cortigiana, Antifane enumera i diversi profumi esotici.
Sappiamo che la donna greca al trucco preferiva l'igiene e la cura del corpo, dando molta
importanza al massaggio, la cui tecnica i Greci preferirono, agli unguenti ed ai prodotti da toletta
come le polveri per assorbire il sudore e quelle per tenere puliti i denti, pare addirittura che le donne
non curate potevano perfino essere multate (cfr. Costarelli, p. 56). L'uso dei profumi non era quasi
certamente limitato alla toletta personale e agli altri usi profani: i profumi avevano senza dubbio un
ruolo importante nelle pratiche di culto e soprattutto venivano usati per l'aspersione delle statue;
inoltre sappiamo che questo popolo usava mescolare profumi alle ceneri dei soldati morti in
battaglia (ibid., p. 38).
È pure molto probabile che i profumi venissero utilizzati nelle pratiche funerarie, vista la presenza
frequente di vasi nelle tombe micenee. Le testimonianze sono un po' più ricche in questo campo,
soprattutto per il periodo omerico. Nell'Iliade Afrodite veglia giorno e notte la salma di Ettore, e
«l'ungeva con olio di rose» (Iliade XXIII, 186-187). Nonostante il verso citato riguardi una dea e un
eroe, si può affermare che l'uso funerario degli oli profumati corrisponde alle pratiche quotidiane
dell'epoca.
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Nel periodo classico si riconosceva ai profumi e alle spezie una quadrupla vocazione, anche se
talvolta condannata dai filosofi: religiosa, magica e medicamentosa, alimentare ed erotica. Religiosa
nei sacrifici e nelle offerte, magica nei funerali, e medicamentosa nelle diverse forme terapeutiche,
alimentare nella cucina e nelle sue preparazioni durante i festini ed erotica nella toletta e nella "
parure " delle donne ed in quella della maggior parte dei festeggianti (cfr. Mardaga, p. 18). Le
conquiste di Alessandro il Grande aprirono il mondo greco alle inesauribili bellezze della
profumeria orientale, già in parte conosciute nei secoli precedenti, che provocarono una vera e
propria bramosia per le sostanze odorose. Alessandria d'Egitto divenne il centro più rinomato nella
preparazione e nella vendita dei profumi, prelevando un'importante tassa dalle esportazioni.
2.1.5. Cartagine punica
Cartagine potente e fiorente città punica che dominò il mediterraneo occidentale per secoli, oltre
che per il commercio fu nota per la produzione di vino, olio d'oliva, porpora (fabbricata a
Kerkouane ed esportata a peso d'oro), ma anche di profumi, di cui i libici erano grandi estimatori
(cfr. Pillivuyt, p. 58). Le nostre conoscenze circa la civiltà e la religione dei Cartaginesi sono scarse
e poggiano sulle scoperte archeologiche degli ultimi anni. Sappiamo che la religione dei Cartaginesi
assomiglia a quella dei Fenici, donde derivano per esempio gli dei. Personaggio principale del loro
"pantheon" era Baal Hammon, dio dei profumi (il nome potrebbe essere tradotto con "signore dei
bruciaprofumi o "del braciere", cfr. ibid., p. 63). Durante le cerimonie in onore di Demetra, dea
dell'agricoltura, (il cui culto fu introdotto dal 396 a. C.) si riempivano i così detti kernos, incensieri
adorni della sua effigie, con braci profumate. Frammentarie sono anche le conoscenze riguardo i riti
funebri; è certo comunque che veniva praticata l'imbalsamazione con essenze di timo e di menta,
imitando le pratiche fenicie, oppure immergendo il corpo del defunto in vasche di resine odorose. I
punici attribuivano molta importanza ai riti della pulizia personale; a Cartagine infatti esistevano
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non solo terme pubbliche, ma spesso le abitazioni dei ricchi erano dotate di piscine per uso
personale.
A far uso di profumi e cosmetici erano soprattutto le donne che amavano agghindarsi con collane,
braccialetti e orecchini che presentavano spesso delle cavità in cui erano introdotte gocce di
profumo. Flaubert in «Salambô» ci descrive la protagonista, figlia di Amilcare, ornata da «due
bilancette di zaffiro, recanti una perla concava, piena di profumo, dal cui foro una piccola goccia
cadendo ogni tanto le inumidiva la spalla nuda»; e ancora nello stesso romanzo: «Era un effluvio
indefinibile, fresco e che tuttavia stordiva come quello di una profumiera: sapeva di miele, di pepe,
d'incenso, di rose e di un altro odore ancora», riferito alle emanazioni del corpo di Salambô
(Salambô, pp.165-166).
2.1.6. Uso dei profumi a Roma
L'arte dei profumi, nel mondo classico, raggiunse il suo massimo sviluppo presso i Romani che,
sdegnosi di raffinatezze fino alla conquista di Cartagine (146 a. C.), cominciarono poi a farne
grande uso, quando si fusero in Roma le raffinatezze del Vicino e del Lontano Oriente.
Già nell'ultimo periodo repubblicano l'uso del profumo, vera necessità, degenerò in uno smodato
abuso nell'età imperiale con il crescente pervertimento dei costumi. Se ne consumavano in grande
quantità ai bagni e alle terme, dando così prova di raffinatezza, talvolta di stravaganza. Ne è prova
la notizia tramandata da Plinio nella sua «Storia naturale» secondo la quale Nerone se ne faceva
applicare finanche sotto le piante dei piedi. Nerone aveva infatti una particolare predilezione per i
profumi, tanto che ai funerali di sua moglie Poppea fece bruciare "più incenso di quello che può
produrre l'Arabia in un anno". A Roma i profumieri abitavano nel quartiere dell'incenso vicus
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thurarius e le loro botteghe (tabernae) erano, come in Grecia, luoghi di riunione per la società
elegante.
Tra i profumi più rinomati a Roma Antica ricordiamo quello del profumiere Cosmo, vissuto
all'epoca di Marziale, noto come "Acqua di Cosmo" (composto da un miscuglio di rose di Paestum
ed essenza di zafferano); il Rhodion (alle rose di Rodi), il Metopium (alle mandorle amare) ed il
Regium Unguentum, contenente ben 27 sostanze aromatiche (in Pillivuyt, p. 87).
Presto si diffuse anche l'uso di aromatizzare le bevande con i profumi e di aspergere con acque
profumate, durante i giorni di festa, le insegne, le aquile e le selle dei cavalli. Durante gli spettacoli
nei circhi, il popolo veniva cosparso di profumi e, perfino i sedili venivano profumati.
I profumi conobbero a Roma anche un uso meno frivolo. Da tempo infatti venivano riconosciute
ad essi virtù terapeutiche ed avevano un ruolo non trascurabile nelle pratiche di culto. Cicerone ci
informa per esempio, che la statua di Diana del santuario di Segesta in Sicilia era oggetto di
libagioni profumate (cfr. Mardaga, p. 22).
Con la caduta dell'Impero Romano l'arte della profumazione conosce un periodo di stasi in
Europa, scoraggiato anche dalla diffusione del Cristianesimo e dei suoi costumi austeri, che mal
tolleravano la fortuna di un ornamento sensuale ed impalpabile come il profumo.
2.1.7. I profumi nel mondo islamico
In Medio Oriente e in Asia fiorirono stupende civiltà aperte al godimento dei piaceri sensuali che
apprezzarono grandemente i profumi. Gli Arabi detenevano il monopolio del commercio di aromi e
spezie che essi hanno sempre amato e celebrato nella letteratura. Il Corano riconosce ed esalta il
piacere dei sensi e dunque dell'odorato, sia nella vita terrena che in paradiso, luogo in cui "la terra è
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di frumento puro mescolato a zafferano e muschio"; lo stesso Maometto affermava che le cose a lui
più gradite erano i bambini, le donne e le essenze odorose. Un versetto definisce i profumi "alimenti
che risvegliano lo spirito", e "lo spirito è il cammello su cui monta l'uomo e si fa portare l'uomo".
Le parole termini naso, odore e profumo hanno da sempre avuto grande valore simbolico nella
lingua araba.
Il termine bu (profumo naturale) va ben oltre la nozione di odore, poiché vi è connesso, in senso
figurato, anche il concetto di amicizia, di speranza e persino di desiderio (cfr. Pillivuyt, p. 93).
Il musulmano bruciava aloe e pastiglie d'ambra grigia (kurss) in bruciaprofumi chiamati buzar;
uno speciale bruciaprofumi d'ottone (o profumiere), oggetto indispensabile agli orientali, serviva
invece esclusivamente per bruciarvi l'incenso, allo scopo di rendere salubre l'aria ed allontanare dai
locali gli spiriti cattivi.
Le donne musulmane, amando anch'esse profumi forti, solevano confezionarsi delle perle di
gomma arabica mescolata a sandalo, zafferano, muschio, incenso e ambra. Queste palline venivano
inserite in rosari insieme a perle vere e proprie, oppure racchiuse in piccoli gioielli o «pomander»
(scatolette sferiche in metallo prezioso) per scongiurare il malocchio.
Nel X secolo Avicenna elaborò il metodo della distillazione per ottenere dai petali della rosa
centifolia l'acqua di rose, e nei suoi libri vengono spesso citate lozioni aromatiche ed oli profumati.
In segno di benvenuto l'invitato e lo straniero erano accolti con l'aspersione di acqua di rose,
contenuta nel gulabdan, un vaso dal collo stretto e lungo; si stendevano inoltre tappeti di petali di
rose e gelsomino in segno di ospitalità.
Con le crociate le spezie ed i profumi, dagli harem si diffondono nel mondo occidentale.
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2.1.8. Il Medioevo dei profumi. Gli odori nella società cristiana
Spesso si è erroneamente descritto il Medioevo come un periodo in cui i profumi hanno
conosciuto una fase di declino, ma le fonti storiche, letterarie ed iconografiche ci portano a
rettificare questa convinzione.
L'impressione che se ne trae è quella del profumo come simbolo di vita e di resurrezione, appello
verso un aldilà religioso, rimedio preventivo contro le malattie e stimolante per il mal d'amore. La
letteratura medievale è ricca di riferimenti al potere inebriante dei profumi; il «Roman de la Rose»
ci presenta una statua d'argento bellissima contenente un reliquiario che odora «più di una mela
d'ambra». Gli studi di Victor Langlois, ci informano che la mela d'ambra era all'origine una pallina
d'ambra grigia in un astuccio a forma di mela.
Nel XIV e XV secolo, queste mele aromatiche furono impiegate per prevenire il contagio di certe
malattie; la loro voga è attestata in parecchi inventari.
Durante le terribili epidemie di peste che nel Medioevo decimarono la popolazioni, vennero usate
essenze odorose e aromatiche non solo come deodoranti, ma come veri e propri disinfettanti: Per
difendersi dal contagio si mise a punto una vera strategia degli odori: vasetti, bussolotti, palle di
stagno o argento, avorio, legno, zendalo (velo finissimo di seta) ripiene di composizioni odorose
(polveri aromatiche impastate con olio di rose o altri liquidi) o di spugne inzuppate di aceto, da
portare in mano o in seno per essere odorate spesso.
Le essenze più diffuse durante il Medioevo spaziano dagli odori animali forti e persistenti
(muschio, ambra, zibetto) all'odore più delicato dell'acqua di rose, fino alle fumigazioni intense
dell'incenso bruciato durante i riti religiosi del cerimoniale cattolico. Nella liturgia degli aromi
l'incenso ha assunto un ruolo predominante.
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Un posto preminente riveste nella società cristiana medievale l'uso di aromi per allontanare i
nemici di Dio, i demoni. Suffumigi di erbe magiche, vapori ed effluvi vegetali erano diffusissimi
nella pratica esorcistica, e i semi dell'iperica (o fuga daemonum) bruciati; la ruta ed altri "semplici"
dagli aromi acri erano usati da esorcisti e medici.
Come ricorda Camporesi alla pagina XXIII della sua introduzione al libro di Corbin, per
difendersi dagli "incantesimi o stregherie" e per tenere lontano il malocchio, i cristiani solevano
portare appesa al collo come amuleto, la figura in cera benedetta dell'Agnus Dei rappresentante il
Cristo, olezzante di balsamo e di olio cresimale, capovolgendo così l'usanza pagana di appendere al
collo vasetti d'ambra e "forme di cose immonde". Il loro uso si protrasse per molti secoli, almeno
fino al XVIII secolo, ed anche gli agnelli che, come gli uomini potevano essere «aocchiati», erano
muniti degli stessi amuleti apotropaici. Gli "Agnus Dei", riposti con cura e preservati da ogni forma
di sporcizia, venivano usati anche come amuleti domestici, protettori del campo e dell'abitazione
contro ogni sorta di pericolo che potesse insidiare l'uomo ed i suoi beni (incendi, inondazioni,
temporali).
Il muschio, secrezione odorifera di una ghiandola situata vicino al prepuzio di un cervide, il
mosco, veniva racchiuso in "boutons" di metallo prezioso. Esso veniva utilizzato per la
profumazione del corpo sia degli uomini che delle donne, oltre che in certe cerimonie funerarie
insieme all'ambra, alla mirra, all'incenso e al "laudanum".
L'acqua di rose, che emanava invece un odore più delicato, veniva usata soprattutto nella "toilette"
quotidiana e sotto forma di essenza concentrata, racchiusa in boîtes à parfum, era posta all'interno
delle tombe.
Ma fu soprattutto l'incenso che occupò un posto di primo piano tra le essenze odorose per via
dell'uso che se ne fa durante i riti religiosi.