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soddisfazione, quali cambiamenti hanno notato nel corso della loro esperienza lavorativa, nonché le
fatiche che incontrano ogni giorno e quali capacità mettono in atto per superarle.
La prima parte della ricerca è dedicata ad una breve ricostruzione della storia dei servizi
educativi, a partire dall’Ottocento. In questo secolo la situazione inerente la prima infanzia è ancora
molto difficile: c’è ancora molta strada da fare per il riconoscimento dei diritti per l’infanzia. Come
si vedrà, è solo verso la fine di questo periodo che qualcosa cambia e si cerca di migliorare la
condizione di vita dei bambini.
La conclusione di questa parte è, poi dedicata al cambiamento che il ruolo dell’educatore
ha assunto nel tempo, all’istituzione della legge 1044 del 1971 e alla comparsa della figura dei
coordinatori pedagogici.
Nel secondo e nel terzo capitolo si cerca di definire e analizzare il ruolo del coordinatore
pedagogico, riassumendone i saperi ed elencandone le competenze, con l’aiuto dei lavori di diversi
autori che negli anni hanno studiato e hanno riflettuto su questa professione.
Nel terzo capitolo si dedica più spazio ai temi della comunicazione e della conduzione dei
gruppi di lavoro, che costituiscono negli asili nido aspetti specifici fondamentali e integranti della
quotidianità, ma che, allo stesso tempo, rappresentano per il coordinatore pedagogico uno dei
momenti più difficili, più complessi e delicati da gestire.
Nella seconda parte, nel quarto capitolo, si descrive la ricerca svolta, il procedimento e la
riflessione condotta grazie allo strumento del questionario, che è stato sottoposto ai coordinatori
pedagogici degli asili nido pubblici e privati nella provincia di Trieste. Si spiega il tipo di indagine
realizzata, lo strumento di ricerca utilizzato, la sua evoluzione ed i suoi contenuti. Alla fine sono
descritti gli scopi della ricerca.
Nel quinto capitolo vengono, poi, presentati, anche con l’aiuto dei grafici, i dati della
ricerca, raccolti con il questionario.
Nel sesto capitolo vengono svolte alcune considerazioni sullo strumento utilizzato e sui
possibili errori. Dall’analisi dei dati ottenuti è stato creato un grafico che ha lo scopo di riepilogare
e sintetizzare le descrizioni fatte dai coordinatori pedagogici sulla loro professione.
Nel settimo capitolo, per concludere, si fa cenno ad alcune proposte per ricerche e progetti
futuri, che si potrebbero attuare a livello regionale e in uno spazio d’azione più ampio.
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PRIMA PARTE
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1°CAPITOLO
L’INFANZIA E LE LEGGI
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“E’necessario educare e il monito è lo stesso, non è necessario che si costruiscano
manufatti, è necessario che si agisca sui modi di pensare e sui comportamenti delle
persone. E’ necessario comunicare e scambiare la cultura e l’educazione che ogni
soggetto sarà stato in grado di autocostruirsi. Se è vero che è conveniente cominciare
dai bambini, ne consegue la necessità di esercitare i l massimo sforzo possibile
pergarantire il buon funzionamento degli ambienti degli asili nido.”
(Stradi M. C., 2004)
Non si può cominciare una riflessione sui coordinatori pedagogici senza prima inquadrare
questa figura in un preciso ambito storico e legislativo. L’intenzione di questo capitolo è
contestualizzare brevemente le leggi che riguardano l’infanzia e tracciare con esse un quadro
dell’evoluzione storica dei servizi. Si tratta di un inquadramento storico-legislativo che non intende
essere esaustivo, ma vuole aiutare a comprendere meglio la realtà che riguarda le figure operanti
negli asili nido, seguendo l’evoluzione della figura professionale dell’educatore e poi quella del
coordinatore pedagogico.
Non si può, per questo, trascurare neppure le idee che hanno riguardato l’infanzia: solo dagli
anni Settanta in poi si comincia, come è noto, a prender coscienza degli atti e delle normative
esistenti e nascenti nell’ambito dell’infanzia e si comincia a guardare ai bambini come soggetti
aventi diritto e non più come soggetti che esigono solo cure e assistenza.
Al 20 novembre del 1989 risale l'approvazione all’unanimità da parte dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite della Convenzione internazionale dei diritti dei bambini, dove si dà
“pieno riconoscimento al bambino come categoria sociale distinta, come persona con diritti e il
primo diritto è quello dell’educazione che deve tendere allo sviluppo della personalità del bambino,
dei suoi talenti, delle sue abilità mentali e fisiche, al massimo delle sue potenzialità”.(Stradi, 2004,
pag. 141)
La Convenzione è il primo trattato universale e unilaterale che stabilisce diritti
internazionalmente riconosciuti al bambino, vincolando gli Stati all’effettivo rispetto di essi. La
Convenzione riconosce ad ogni bambino la capacità di intendere e di volere, il diritto di essere e di
esistere come persona nella globalità dei suoi bisogni e dei suoi diritti.
I bambini sono sempre esistiti, ma il riconoscimento sociale e giuridico della loro esistenza è
stato conquistato solo in tempi recenti. All’inizio del secolo scorso i bambini non avevano diritti.
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Solo con la seconda metà dell’ottocento, con il periodo dell’industrializzazione, cominciano a
svilupparsi nuove idee riguardanti l’infanzia.
Il processo di industrializzazione porta anche nel nostro paese un forte cambiamento degli
stili di vita. Si tratta di un cambiamento che coinvolge soprattutto le masse popolari che dalla
campagna vanno a vivere in città per trovare lavoro e che riguarda anche le donne. Queste
cominciano ad uscire dalle mura domestiche e trovano impiego nelle piccole e grandi industrie. Il
cambiamento ha grosse ripercussioni sullo stile di vita dal momento che spesso il contesto urbano è
un contesto nuovo e disgregante: nelle città le persone vivono in ambienti insalubri, l’alimentazione
è scarsa e proliferano numerose malattie. La stragrande maggioranza dei bambini cresce nella
marginalità e nella devianza e la mortalità infantile resta alta durante tutto l’Ottocento. Le cause
sono molteplici: dalla malattie, alla scarsa alimentazione, dall’igiene. Molti bambini muoiono
durante il parto o vengono abbandonati. L’infanticidio, le fasciature, i maltrattamenti, il baliatico
sono diffusi e accettati così come l’abbandono presso le ruote dei brefotrofi.
Nello stesso tempo però l’ottocento è un secolo importante, perché proprio in quel periodo
cominciano ad emergere le idee per un modello d’infanzia alternativo. Sarà proprio da qui che
partirà il dibattito in Italia per chiudere le ruote e per operare nella direzione di una facilitazione
dell’allevamento dei figli presso famiglie legittime. Vengono messi in crisi i comportamenti
familiari tradizionali, vengono chiuse e vietate le ruote, le famiglie si devono far carico dei
bambini, le ragazze madri non devono abbandonare e devono farsi carico dei loro figli.
Nel 1877 sarà il Ministro degli Interni Nicoterra a essere contrario ai brefotrofi. Pian piano
incomincia a svilupparsi l’idea di intervenire sulla famiglia con interventi di sostegno medico-
sanitario, igienico ed educativo per la cura dei bambini. Si cominciano ad evidenziare le difficili
condizioni di vita dei bambini e delle madri lavoratrici con un’azione di sostegno alla maternità e si
afferma l'idea di istituire “speciali ricoveri per bambini lattanti” nella prossimità delle grandi
manifatture. In quest’ottica si situano i primi interventi della carità privata nei confronti
dell’infanzia, e nel 1850 viene aperto a Milano il primo ricovero (Terlizzi, 2005, pag. 22).
In questi istituti non c’è però nessuna attenzione per gli aspetti educativi o pedagogici, non
è richiesta nessuna nozione di pedagogia. Lo scopo principale del personale che vi opera è di
garantire ai bambini condizioni di vita igienicamente corrette. Principalmente si pensa di intervenire
su tutta una serie di problematiche che angustiano le masse popolari relativamente alla cura dei
figli, poi, comincia a farsi strada l’idea di una maternità intesa come valore sociale da difendere e
salvaguardare e inoltre incominciano a prender piede i nuovi diritti dei bambini: diritti
all’istruzione, diritto a stare nella propria famiglia, diritto alla tutela e alla cura.
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Momento importante nella storia dei servizi per l’infanzia è l'anno 1925 con la legge n. 2277
che istituisce l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia. L’ONMI è un Ente autonomo di diritto
pubblico, controllato prima dal Ministero degli Interni, poi dal Ministero della Sanità, che come
obiettivo principale si pone la difesa della famiglia e della natalità, enfatizzando il ruolo della donna
come moglie e come madre, esaltando il suo ruolo nella cura dei figli. Il regolamento di queste
istituzioni è di carattere essenzialmente assistenziale. L’ONMI ha il compito di fornire assistenza
alle madri e ai bambini secondo queste priorità:
- assistenza alle gestanti e alle madri bisognose e abbandonate, assistenza ai bambini
lattanti e divezzi fino al quinto anno per le cure necessarie e per un razionale allevamento,
- assistenza ai fanciulli di qualsiasi età appartenenti a famiglie bisognose e per minorenni;
minori fisicamente o psichicamente anormali, moralmente e materialmente abbandonati, traviati o
delinquenti.
L’ONMI ha, inoltre, anche il compito di diffondere tutta una serie di nozioni scientifiche
circa l’igiene e la cura dei bambini. Il personale doveva essere in possesso di titoli di studio di tipo
sanitario. Il bambino era accudito da tutta una serie di persone aventi compiti professionali molto
diversi a seconda della fascia d’età dei bambini.
La struttura organizzativa, molto rigida e gerarchica, faceva capo ad una figura di
direttrice. (Terlizzi, 2005, pag. 26) “I bambini in questi istituti venivano spogliati ed indossavano
l’abbigliamento in dotazione al Nido, molti erano sporchi, malati o con parassiti….davano loro da
mangiare e li pulivano. Le puericultrici come le infermiere indossavano la cuffia e il grembiule, non
incontravano i genitori dei bambini che venivano consegnati direttamente alla direttrice.” (Chicco,
Cecotti 2007)
Questo ci aiuta a capire che nella metà del secolo scorso il servizio per l’infanzia venga
considerato un luogo di assistenza prevalentemente igienico -sanitaria dove i bambini venivano
accuditi mentre la madre lavorava. L’ONMI è rimasto attivo dal 1925 fino al 1975.
Nel primo dopo guerra le madri che entrano nel mondo del lavoro sono sempre più
numerose e molte saranno le questioni aperte da affrontare in relazione a questo fenomeno. Per
quanto riguarda i nidi si richiede una formazione sempre più specifica per gli operatori e si richiede
la necessità che questi si caratterizzino sempre più come servizi di tipo educativo e non solo come
strutture di tipo assistenziale.
Dopo il 1968, sulla scia delle conquiste ottenute dal movimento operaio, si produrranno,
anche grazie all'operato dei sindacati, due importanti provvedimenti legislativi: la legge 1204 che
introduce, tra l'altro, il congedo retribuito al 100% del salario per un periodo di cinque mesi e la
legge 1044 del 6 dicembre1971 che ha consentito il progressivo affermarsi sul territorio nazionale
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di una consistente rete di asili nido comunali che è andata crescendo nel corso degli anni. In questa
legge è espressa una nuova concezione degli interventi socio-assistenziali e le politiche sociali
vengono considerate fattore di sviluppo per il paese. La legge si compone di 11 articoli che
istituiscono un servizio di interesse pubblico, un asilo nido “di tipo nuovo”. Si compie così un
effettivo passo avanti nel riconoscimento sociale della maternità: le donne hanno finalmente il
diritto di usufruire di un servizio che garantisce loro il diritto al lavoro e alla maternità. (Terlizzi,
2005) (Galardini, 2003)
Questa legge si inserisce in un quadro sociale caratterizzato da un clima di partecipazione
sociale e politica molto forti che rivendicano una serie di diritti verso soggetti che fino a quel
momento erano relegati a ruoli marginali. I bambini e le donne irrompono sulla scena sociale e
politica, la maternità diviene valore sociale, si afferma il diritto di ogni cittadino a veder
riconosciuti i propri bisogni formativi fin dalla tenera età. Quello che nasce è un asilo nido nuovo e
l'art. 6 ne precisa le caratteristiche: deve rispondere alle esigenze della famiglia, essere gestito con
la partecipazione della famiglia e dalle rappresentanze delle formazioni sociali del territorio, il
personale dev’essere qualificato sia dal punto sanitario che psico-pedagogico. La legge introduce
così un importante mutamento nel ruolo e nella funzione del personale che opera all’interno dei
nidi. Vengono riconosciute le mansioni educative specifiche di questa professione.
La competenza governativa sarà comunque affidata al Ministero della Sanità e il termine
assistenza resterà prevalente. L’utente principale dell’asilo nido resta la madre. La legge è nata,
infatti, sotto la pressione dei movimenti femminili e in concomitanza con l’ingresso delle donne nel
mondo del lavoro. Alla donna si riconosce il diritto di essere assistita dallo Stato, si parla di
custodia temporanea dei bambini. Si tratta quindi di una legge che conserva un’impronta
assistenziale in quanto individua ancora nella madre l’utente principale e lascia in secondo piano i
bisogni psicologici del bambini e le potenzialità educative del servizio.(Galardini, 2003) Scrive
Mantovani “sembra addirittura che la consapevolezza dei bisogni educativi del bambino 0-3 anni
fosse del tutto assente, si dice soltanto che il nido ha lo scopo di provvedere alla temporanea
custodia del bambino per facilitare la donna al lavoro (art.2), in tutto questo il bambino non
compare.” (Mantovani, 1987) Ci vorrà molto tempo per cambiare questa visione.
La legge 1044 affida la gestione degli asili nido ai comuni e la loro programmazione nel
territorio alle Regioni. Dopo questa legge, per la prima volta, in Emilia Romagna comincia a fare la
propria apparizione nell’organico degli Enti Locali il coordinatore pedagogico. Le funzioni del
coordinatore sono di gestire l’organizzazione interna del singolo servizio, definire e concordare con
i collettivi il progetto pedagogico e la sua realizzazione, organizzare la formazione in servizio degli
educatori.
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Per ora la legge 1044 è l’unica legge nazionale dedicata agli asili nido. Dopo il 1971 si
accumulano varie proposte di legge in materia di asili nido, ma tutte destinate all’insuccesso. Le
Regioni intervengono per disciplinarne il funzionamento e si registra quindi una grande
differenziazione in materia di asili nido: ogni Regione ha la sua storia, una sua identità, l'autonomia
delle Regioni ha prodotto una grande differenziazione nei servizi per l’infanzia. Si tratta di servizi
che rispondono all’identità della Regione a cui appartengono. L’aver lasciato questa autonomia
rispetto alla programmazione dei servizi, pur in un’ottica che voleva agganciare gli asili nido alle
realtà locali, ha creato una situazione di grande variabilità organizzativa tra le diverse zone d’Italia:
ogni Regione emana le sue leggi. Ci sono, per questo, leggi regionali che delineano la figura del
coordinatore, altre invece non ne accennano minimamente.
Negli anni 80 il ruolo del coordinatore pedagogico diviene maggiormente definito e
stabile nell’organico degli Enti Locali. Nello stesso tempo si producono dei cambiamenti nel
panorama dei servizi 0-3. Appaiono sintomi di inadeguatezza della diffusione dei nidi sul territorio,
emerge come prevalga un modello organizzativo rigido e come i servizi abbiano spesso un costo
troppo elevato. Nascono così le prime sperimentazioni di nuove tipologie di servizi. In molti casi,
tuttavia, non c’è nessun controllo dell’innovazione e nessuna riflessione seria e rigorosa sul loro
funzionamento e sulla loro qualità educativa. Tutto questo si ripercuote sul ruolo del coordinatore,
al quale vengono attribuite nuove funzioni per l’organizzazione dei nuovi servizi e per la
formazione del personale.
Negli anni 90 vengono introdotte nuove tipologie di servizi per l'infanzia e questo ha una
notevole ricaduta sul ruolo del coordinatore pedagogico.
Dal 1977 al 2001 si verifica un mutamento culturale rispetto ai diritti dell’infanzia. La
legge nazionale 285 del 28 agosto 1997 introduce una vera e propria inversione di rotta, non si
parla più o soltanto di minori da proteggere, da recuperare, ma si parla di promozione di
opportunità, nello specifico si afferma la necessità di dettare “disposizioni per la promozione di
diritti e opportunità per l’infanzia e per l’adolescenza”. La legge, nel promuovere diritti ed
opportunità per bambini e per adolescenti propone e dà l’avvio a un complessivo ripensamento
delle politiche sociali.
E’una legge che prevede un piano di finanziamento quinquennale e che, pur non
occupandosi direttamente degli asili nido, ha consentito l’ampliamento dei servizi per la fascia 0-3
attraverso la valorizzazione di nuove opportunità per genitori e bambini. Alle famiglie viene
riconosciuta una professionalità da valorizzare e una capacità organizzativa autonoma per gestirsi
tra le varie offerte istituzionali e un coinvolgimento nella politica dei servizi del “privato sociale”,
anche sul piano progettuale oltre che su quello della realizzazione. Si tratta di una legge molto
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importante che prevede non solo interventi sul disagio ma che opera in una logica preventiva in
favore bambini e bambine in situazioni di arretratezza e non.
L’ottica, per tutti i servizi 0-3, è soprattutto di tipo familistico e privatistico. In contrasto
con un’idea di servizio 0-3 inteso solo come luogo di cura e di custodia, si afferma invece l'esigenza
di un servizio eminentemente educativo e formativo per i bambini, attraverso una mobilitazione di
energie attente alla effettiva realtà della condizione dei bambini e delle bambine e dei loro bisogni.
La legge prevede, infatti, una grande collaborazione tra soggetti, istituzioni centrali dello Stato ed
Enti locali, tra risorse istituzionali e risorse del privato sociale, tra strutture e cittadini che non
possono delegare compiti che sono propri.
Con l’attuazione della Legge 258/97 vengono creati nuovi servizi. Per quanto riguarda i
più piccoli la normativa prospetta servizi che si configurano come luoghi in cui è riconosciuto il
loro diritto al gioco, ad avere amici, sviluppare a pieno le loro potenzialità; luoghi che affiancano
l’azione della famiglia, sostenendola nelle sue funzioni e valorizzandola nelle sue competenze.
Sono state, così, realizzate nuove tipologie di servizi che si sono affiancate al nido in molte realtà, e
si sono, così, create molte occasioni per sperimentare nuovi metodi di lavoro che utilizzassero al
meglio le risorse presenti sul territorio.
Questi processi hanno investito direttamente le figure dei coordinatori, determinando tra
l'altro anche incertezze per quanto riguarda il ruolo stesso del coordinatore pedagogico cui è
demandato il compito di “governare il sistema”. La sua funzione diventa più complessa: non si
ferma più solo alla gestione dei servizi per l’infanzia, diviene più evidente e articolata, perchè
impegnato in una pluralità di servizi e interventi. (Vannini, 2002)
Per concludere, potremo dire che “In Italia la legislazione si è occupata in modo sempre più
esplicito di infanzia da non moltissimi anni: sappiamo bene che se tale tema viene rivolto alla
attenzione ed alla sensibilità di una fascia di popolazione sempre più vasta abbiamo buone speranze
che per bambini e bambine sia possibile ipotizzare una situazione di vita migliore. La
promulgazione di una legge o la diffusione di una circolare o di una normativa non sono sufficienti
a eliminare i problemi dell’infanzia: le esperienze di vita per i bambini e le bambine hanno però
delle più concrete speranze di miglioramento.” (Stradi, 2004, pag. 142)
Per quanto riguarda gli asili nido dopo la 285 si attende da tempo una nuova legge che ne
consenta l’espansione quantitativa attraverso il necessario supporto finanziario, che permetta di
valorizzare la professionalità degli operatori, che definisca gli standard di qualità adeguati
all’identità del servizio. In attesa di questa legge, è decisiva la precisazione dei requisiti e le
modalità di autorizzazione al funzionamento da parte dei Comuni, affinché ci siano reali garanzie
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rispetto alla qualità dell’offerta ai bambini e alle famiglie e rispetto alla capacità regolativa del
potere pubblico. (Galardini, 2003)
Chi è impegnato nei servizi per la prima infanzia non può non considerare la normativa
come un ambito di assoluta importanza per lo svolgimento del proprio lavoro, per realizzare in
modo qualitativo il proprio impegno sia per la implicita consapevolezza che la padronanza della
normativa aiuti nella elaborazione delle soluzioni sia per la possibilità di realizzare proposte
sempre più nuove e adeguate alle esigenze ed alle caratteristiche della popolazione alla quale
vengono rivolte. La creazione di luoghi accoglienti e di cura presuppone un buon clima sociale del
gruppo di coordinamento in modo da coniugare la qualità pedagogica con la qualità gestionale e
amministrativa dei servizi. Le leggi sono, per questo, importanti, esse danno corpo ai diritti di
cittadinanza dei bambini, dunque occorrono buone norme e occorre la capacità del coordinatore di
coadiuvare le norme nella realtà in cui opera.