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Tenteremo, inoltre, di entrare nello sconosciuto mondo della
comunicazione di questi soggetti, perché sì, anche loro comunicano,
non sempre verbalmente, sempre più spesso graficamente, e provare
ad investigare il ruolo delle anormalità cerebellari nel disturbo dello
spettro autistico attraverso l’espressione grafica degli affetti,
proveremo a capire, infine, se e come la scrittura dia voce alle loro
angosce.
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CAPITOLO I
IL DISTURBO AUTISTICO
1.1 Introduzione
Quando si parla di autismo è d’obbligo affrontare il tema delle
psicosi infantili, soffermandosi sul problema delle definizioni
nosografiche e delle classificazioni. Questo è particolarmente evidente
in neuropsichiatria infantile, dove il problema della classificazione si è
posto in modo organico solo trenta anni fa. Quanto detto è ancor più
vero se si considera che definizioni e classificazioni delle psicosi
infantili hanno risentito della nosografia relativa all’adulto, così come
del tipo di ipotesi che venivano, e vengono, fatte sulla natura del
disturbo.
Lo studio dal punto di vista clinico delle psicosi infantili viene
fatto risalire a De Sanctis il quale, nel 1905, prima, e nel 1925, poi,
introduce la definizione di demenza precocissima, denominazione
riferita alla demenza precoce di Kraepelin.
Nel 1911 fu usato per la prima volta il termine “autismo”,
derivato dal greco ∆ Ξ Ω Ρ ] che significa “se stesso”, dallo psichiatra
svizzero Bleuer che lo utilizzò per indicare uno dei sintomi
fondamentali della schizofrenia, quando, però, l’autismo presenta un
accostamento dereistico (derealizzazione) alla vita.
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Un momento significativo per l’evoluzione della nosografia
relativa alle psicosi infantili è il 1943, anno in cui Leo Kanner,
psichiatra infantile dell’ospedale John Hopkins di Baltimora, descrive
in undici bambini, 9 maschi e 2 femmine, il quadro da lui definito
autismo infantile precoce, mutuando il termine autismo da Bleuer.
Caratteristica comune di questi bambini era l’incapacità di
mettersi in rapporto con l’ambiente, relativamente all’età, fin dai primi
mesi di vita; dai genitori venivano descritti come bambini che erano
sempre stati “auto sufficienti”, “felici se lasciati soli”, “come in un
guscio”. Questi bambini tendevano ad isolarsi, a non recepire segnali
relazionali provenienti dall’esterno, tanto che il più delle volte la
ragione della consultazione era per sospetta sordità.
I bambini descritti, inoltre, non assumevano un’adeguata postura
preparatoria all’essere presi in braccio, così come facevano gli altri
bambini intorno all’età di 4 mesi. Due terzi di questi bambini
acquisirono il linguaggio, non utilizzato, però, per comunicare con gli
altri adeguatamente, il restante terzo non aveva sviluppato alcuna
forma di linguaggio, anche se bambini “muti” che occasionalmente
pronunciavano qualche parola, venivano segnalati. I bambini che
parlavano erano spesso ecolalici e usavano i pronomi così come li
udivano, designandosi con il tu piuttosto che con l’io (inversione
pronominale).
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Un’altra caratteristica descritta da Kanner era la preoccupazione
ossessiva di questi bambini per il mantenimento dell’immutabilità
degli ambienti o delle abitudini (sameness); il bambino tende a
mantenere un certo ordine delle cose, una certa sequenzialità nelle
azioni e a sviluppare rituali nel vestire e nel mangiare.
I bambini descritti da Kanner, a livello cognitivo, presentavano
prestazioni buone in alcuni campi specifici, come costruire puzzle,
ricordare cifre e poesie, che contrastavano con il ritardo generale.
Per Kanner i genitori dei bambini autistici appartenevano ad un
modello altamente coerente con caratteri di notevole intelligenza,
produttività e con stato sociale elevato; all’apparenza freddi ed
emotivamente impassibili, sembrano ossessionati dal desiderio di
crescere bambini perfetti. Ancora nel 1957 Kanner affermava che “vi
sono pochi padri e madri realmente e caldamente
affettuosi…fortemente preoccupati da astrazioni di natura scientifica,
letteraria od artistica, e limitati nel sincero interesse verso le persone”
(Kanner 1979). Questo dato non è stato tuttavia confermato dagli studi
successivi e l’ipotesi si è rivelata non generalizzabile; lo stesso
Kanner, in un articolo del 1943 conclude peraltro che la natura di
questo disturbo è probabilmente di natura congenita.
A Kanner si deve anche la descrizione tra autismo infantile e
autismo schizofrenico: nel primo caso il disturbo autistico è presente
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fin dalla prima infanzia, mentre lo schizofrenico sembra normale nei
primi anni di vita, inoltre, il bambino autistico è apatico, rigido,
distaccato e più isolato dello schizofrenico che invece mostra spesso
un’acquiescenza motoria eccessiva e un attaccamento verso il corpo
dell’adulto.
Le attuali definizioni dell’autismo infantile riflettono solo in parte
l’iniziale descrizione di Kanner e tengono conto di una migliore
conoscenza dello sviluppo relazionale del bambino normale e dei
recenti studi sulla “Teoria della mente” (Frith, 1989).
Attualmente, le classificazioni maggiormente usate nella
psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza sono: quella americana del
DSM-IV, quella dell’ICD 10, curata dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità e quella francese CFTMEA sviluppata dal Centre A.Binet.
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1.2 Epidemiologia
Le ricerche epidemiologiche stimano una prevalenza dello 0.02-
0.05% del Disturbo Autistico nella popolazione generale; ciò
rappresenta circa una terzo del totale dei Disturbi generalizzati dello
Sviluppo; considerando la variabile sesso, i maschi risultano più
colpiti delle femmine, il rapporto è di 3-4 a 1.
La prognosi in genere è severa, in particolare si stima che solo
l’11% dei bambini colpiti dal disturbo, raggiungerà la normalità,
mentre il 10-15% riuscirà a progredire e a raggiungere una autonomia
dalla famiglia (Pazzagli, 1993); il 25-30% mostreranno dei progressi
ma avranno bisogno di essere sostenuti e controllati, mentre gli altri
rimarranno totalmente dipendenti (Aarons, Gittens, 1990).
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1.3 Il disturbo autistico secondo il DSM
Il disturbo autistico, chiamato anche autismo infantile o sindrome
di Kanner, è caratterizzato dalla menomazione dell’interazione sociale,
della comunicazione e del comportamento.
La nostra conoscenza dell’autismo è riassunta dal Manuale
Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), nelle prime due
versioni del quale (DSM I-II) l’autismo non viene identificato come
disturbo distinto (1959-1968), le prime ipotesi di lavoro erano, infatti,
formulate in base alle assunzioni freudiane che a lungo andare si sono
dimostrate errate.
Con la revisione del manuale nel 1980, il DSM-III, il disturbo
autistico viene definito dai quattro criteri di Kanner:
1. ridotte relazioni sociali,
2. comunicazioni ritardate e devianti,
3. interessi limitati,
4. insorgenza prima dei 30 mesi.
Il procedimento di revisione per il DSM-IV ha portato poi ad
un’indagine intensiva su due sindromi a esordio nella fanciullezza, i
Disturbi del Comportamento Dirompente e i Disturbi Generalizzati
dello Sviluppo, di quest’ultimo gruppo fa parte il disturbo autistico, i
cui criteri diagnostici, secondo il DSM-IV sono:
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A. Un totale di 6 (o più) voci da (1), (2) e (3), con almeno 2 da (1), e
uno ciascuno da (2) e (3):
1) Compromissione qualitativa dell’interazione sociale,
manifestata con almeno 2 dei seguenti punti:
a) marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti
non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica,
le posture corporee e i gesti che regolano l’interazione
sociale,
b) incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al
livello di sviluppo,
c) mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie,
interessi o obiettivi con altre persone (per es., non mostrare,
portare, né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio
interesse),
d) mancanza di reciprocità sociale o emotiva,
2) compromissione qualitativa della comunicazione come
manifestato da almeno 1 dei seguenti punti:
a) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio
parlato (non accompagnato da un tentativo di compenso
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attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti
o mimica),
b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata
compromissione della capacità di iniziare o sostenere una
conversazione con altri,
c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio
eccentrico,
d) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di
giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo,
3) modalità di comportamento, interessi e attività ristretti,
ripetitivi e stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti
punti:
a) dedizione assorbente a uno o più tipi di interessi ristretti e
stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione,
b) sottomissione del tutto rigida a inutili abitudini o rituali
specifici,
c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere
le mai o il capo, o complessi movimenti di tutto il corpo),
d) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti.
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B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti
aree, con esordio prima dei 3 anni di età: (1) interazione sociale, (2)
linguaggio usato nella comunicazione sociale, o (3) gioco
simbolico o di immaginazione.
C. L’anomalia non è meglio attribuibile al disturbo di Rett o al
Disturbo Disintegrativi della Fanciullezza.
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1.4 Caratteristiche del Disturbo Autistico
1.4.1– Compromissione qualitativa dell’interazione sociale.
Il disturbo autistico comporta soprattutto interazioni sociali
menomate e mancanza di adeguata reattività. Il DSM-IV sottolinea,
infatti, che una menomazione grossolana e prolungata nelle interazioni
sociali si può manifestare qualitativamente nelle seguenti aree:
mancanza di comportamenti non verbali, come il contatto oculare,
le espressioni facciali, la postura e i gesti corporei;
incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei, appropriate
rispetto al livello di sviluppo;
mancanza della condivisione spontanea di esperienze con altri;
mancanza di reciprocità sociale o emozionale.
Tali comportamenti sociali anormali tendono anche a variare con
l’età e con la gravità del disturbo, ma il deficit risulta esacerbato
nell’ambito delle interazioni che richiedono l’iniziativa di
comportamenti specifici. Per quanto il bambino possa non ritirarsi dalle
interazioni fisiche, di solito non è in grado di impegnarsi in un gioco
immaginativo o di partecipare ad un gioco cooperativo. Gli adolescenti
e gli adulti autistici continuano a dimostrare deficit nelle capacità e
inadeguatezza sociale nelle interazioni personali.
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1.4.2 Compromissione qualitativa della comunicazione
Sia le aree verbali che quelle non verbali della comunicazione
possono risultare menomate e la capacità sembra variare a seconda dello
stadio di sviluppo e della gravità del disturbo. Le menomazioni del
linguaggio possono manifestarsi nel ritardo o nella mancanza di
sviluppo del linguaggio; oppure in particolari modalità di eloquio, come
il tono strano, il volume o l’estensione della voce; l’ecolalia; oppure
l’uso di neologismi. In alcuni casi il linguaggio può essere del tutto
assente, mentre in altri può essere immaturo o minimale, mancare di
spontaneità, o, nei pazienti che funzionano meglio, essere caratterizzato
da concretezza e da afasia per i nomi. Manca la capacità di iniziare o
sostenere una conversazione con gli altri. Sono comuni l’eloquio
ripetitivo, il rovesciamento dei pronomi e l’incapacità di usare
l’astrazione o le metafore. Alcuni pazienti possono decodificare del
materiale scritto, ma mostrano menomazione nel leggere e nel
comprendere. Le vie non verbali di comunicazione, quali gesti,
espressioni facciali e postura, raramente vengono usate per compensare
le capacità menomate del linguaggio.
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1.4.3 Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti,
ripetitivi e stereotipati
I comportamenti che il DSM-IV ha indicato possono consistere in
un costante assillo circa uno o più interessi stereotipati o ristretti, che
risultano anormali sia per la peculiarità che per l’intensità. Può
manifestarsi un’adesione compulsava a routine o rituali non funzionali
specifici. Sono comuni manierismi motori stereotipati, questi tendono
a diminuire con l’età; raramente scompaiono e possono diventare
complessi od organizzati. Può anche esserci un comportamento
anomalo per parti di oggetti.
Per quei soggetti in cui i tre gruppi di sintomi sopra descritti siano
presenti si parla di “autismo” oppure di “autismo infantile”, o di
“sindrome autistica completa” Quando, invece, questi sintomi si
presentano in forma atipica oppure in forma tipica soltanto per due
gruppi di sintomi è meglio parlare di “sindrome autistica parziale”. Se
poi vi sono solo alcuni aspetti, ma non tipici, riferibili a due gruppi di
sintomi, è bene parlare di “tratti autistici” (Gillberg e Coleman, 1992).
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1.4.4 Caratteristiche secondarie.
Altre caratteristiche comunemente osservate comprendono la
menomazione cognitiva nella forma del ritardo mentale, oppure
l’inadeguato sviluppo di capacità specifiche; una postura anormale,
comportamenti motori anormali ed un’insufficiente coordinazione;
risposte strane a stimolazioni sensoriali; modalità abnormi di
alimentarsi, di bere e di dormire; risposte emotive anormali, come
labilità dell’umore, affettività appiattita, risposte eccessive ed
ingiustificate agli stimoli, ansia o tensione generalizzate; comportamenti
autolesivi.