L’uomo vive comunicando con gli altri, e perciò deve imparare i linguaggi;
l'uomo vive nel tempo, e perciò deve imparare la Storia; ma l'uomo vive anche
in un determinato ambiente, e perciò deve imparare a conoscerlo Come viene
vissuta la geografia, qual è il suo spazio nella scuola e nella vita, quale il suo
destino? Questa domanda apre un lungo dibattito che da anni si porta avanti ed
è impossibile riassumerlo in poche righe, ma tutti dovremmo riflettere su questa
problematica. La vecchia materia di studio concepita e a volte ancora proposta
come geografia dei confini, dei punti cardinali, dei territori “prevalentemente
montuosi” non interessa più a nessuno.
Oggi la Geografia ha perso molta visibilità, è scomparsa in molti indirizzi di
scuola media, è stata smembrata in altre discipline, ribattezzata scienza della
terra o aggregata alla biologia ed è stata per molto tempo l’ombra dell’altra
disciplina antropologica, la “Storia”.
La definizione della geografia come descrizione della Terra in quanto abitata
dall’uomo esprime la valenza educativa di questa disciplina.«Ma è più facile
dare questa definizione che presentare l’argomento geografico specifico nei suoi
rapporti vitali con l’uomo. La residenza, le imprese, i successi, gli insuccessi
degli uomini sono le cose che giustificano l’indicazione dei dati geografici nel
materiale d’istruzione. Ma per tenere le due cose insieme si richiede
un’immaginazione aggiornata e colta. Quando i legami sono spezzati, la
geografia assume l’aspetto di quella mescolanza di frammenti isolati che troppo
spesso vediamo. Sembra un vero sacco di straccio riempito di cianfrusaglie
intellettuali; l’altezza di una montagna qua, il corso di un fiume là, […] i confini
di una regione, la capitale di uno stato. La terra in quanto abitazione dell’uomo
6
umanizza e unifica; la terra considerata come miscellanea di fatti è dispersiva e
immaginativamente inerte»
1
.
Comunemente la Geografia viene identificata con un repertorio nozionistico tra
i più ingombranti e tra i più inutili, che di solito a scuola gli alunni sono costretti
ad apprendere, senza peraltro vederne alcuna utilità, anche perché la Geografia
che poi serve nella vita (e anche la Geografia serve nella vita!) costituisce oggetto
di un apprendimento a parte, extrascolastico.
Ieri la geografia era definita da alcuni “la Cenerentola”, oggi con un termine
moderno una “materia di scarto”.
Molto efficace è la metafora della mongolfiera che Giulio Mezzetti (1979) utilizza
per rendere percepibile lo stato di questa disciplina a scuola. Quando per una
diminuzione di pressione la mongolfiera precipita in basso, per riprendere
quota non c’è altro sistema che gettare fuori bordo tutto ciò che non è
indispensabile alla riuscita del viaggio. Applicando questa metafora alla
geografia occorrerebbe eliminare gli oggetti inutili caricati a bordo e individuare
l’essenziale, cioè la struttura specifica. “La geografia, che dovrebbe sviluppare la
fantasia e la creatività dei ragazzi guidandoli alla scoperta critica degli spazi, è,
al contrario, la più noiosa delle discipline e manca di una sua precisa
connotazione”
2
.
Bisognerebbe migliorarne la percezione pubblica, ridare il giusto valore e
delineare un’immagine più corretta di una disciplina che ha un ruolo altamente
interdisciplinare, poiché non si può fare geografia senza coinvolgere le altre
discipline. È importante che la geografia si ponga come luogo d’incontro di più
saperi, come disciplina-ponte tra scienze umane e scienze naturali,
evidenziando la sua funzione sia interdisciplinare perché l’ambiente si presenta
1
Dewey J., Democrazia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1954, (ed. or. 1916) pag. 283.
2
Di Santo M. R. e Landi L., Lo spazio intorno a noi, Carocci 2007, pag. 18.
7
come l’espressione di più problemi e di risposte culturali, sia
contemporaneamente transdisciplinare perché è la sintesi del rapporto uomo-
ambiente.
Se l’insegnamento vuole adattarsi alle condizioni del progresso, bisogna trattare
ogni specialità con spirito interdisciplinare per generalizzare le sue strutture e
introdurle in sistemi che includono le altre discipline. Inoltre bisognerebbe
coniugare la ricerca con la pratica della didattica.
La ricerca geografica e quella storica trovano nei propri moderni orientamenti
occasioni di arricchimento reciproco. Come ha precisato Eraldo Leardi, il
geografo si rifà alla storia per coglierne le proiezioni territoriali e trovare anche
in essa la spiegazione dei fenomeni considerati; la storia si serve della geografia
per collocarvi e radicarvi i fatti. Tutto questo senza che la storia vada ad
oscurare la geografia ma sia l’una che l’altra deve mantenere il posto che le
spetta.
Da scienza naturale descrittiva è diventata interpretativa ed esplicativa dei
rapporti dell’uomo e della società con la natura; la geografia oggi studia i diversi
paesaggi come prodotto della società, si interroga sul loro sviluppo e sul loro
significato poiché ritiene che lo spazio non abbia senso se non in relazione con la
società che lo ha creato.(Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni
Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella scuola primaria).
La Geografia serve per comprendere il mondo che ci circonda, ma anche noi
stessi e le nostre possibilità di azione nella realtà in cui viviamo. La Geografia
insegna a decentrarsi, ad essere consapevoli degli spazi che cambiano (vicino-
lontano, vissuto, esplorato, rappresentato), a constatare che l’altro non fa lo
stesso utilizzo dello spazio, che non ne ha la stessa rappresentazione.
La Geografia aiuta a saper pensare lo spazio e a comprendere meglio il mondo
per agire più efficacemente in esso. È importante per leggere, comprendere, dare
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un senso, decodificare la realtà territoriale ed “appropriarsene” per non sentirsi
stranieri nel proprio territorio. Essa fornisce gli strumenti per ricostruire le
vicende territoriali del passato, per leggere la struttura del mondo attuale e per
progettare lo sviluppo futuro. Infine, questa disciplina consente di essere capace
di partecipare al dibattito sull’organizzazione del territorio e sulla
programmazione dello sviluppo.
È necessario, nella scuola primaria, iniziare dal “vicino”, dal locale, per poi negli
anni successivi allargare lo sguardo verso il “lontano”, il globale e scoprire come
“le popolazioni fanno differente uso degli ambienti, così creano differenti
paesaggi culturali per mezzo di differenti modelli di attività. Da un lato essi
sono influenzati dall’ambiente fisico, ma dall’altro essi trasformano i luoghi che
li circondano in differenti ambienti culturali artificiali, paesaggi di armonie e
paesaggi di conflitto”
3
.
Pertanto, è necessario promuovere la Geografia nella scuola, assicurandone una
presenza quantitativamente sufficiente e qualitativamente efficace che sappia
formare cittadini consapevoli, autonomi, responsabili e critici, capaci di
convivere con il loro ambiente e modificarlo in modo creativo. A mio avviso, la
Geografia è una delle discipline viste in positivo dagli studenti, ma spesso i
risultati non sono buoni perché i contenuti e gli strumenti non sono idonei a
tradurre il sapere geografico in un progetto formativo. La Geografia è una
scienza dinamica, in costante evoluzione: muta l’ambiente e mutano i metodi e
gli strumenti conoscitivi con cui studiare i fenomeni in trasformazione.
Il geografo legge «un libro già scritto che muta continuamente»
4
. Pertanto, sono
necessari continui aggiornamenti da parte dei docenti per poter offrire agli
alunni un quadro di riferimento sempre attuale. Ma soprattutto, bisogna
3
Dalla Carta Internazionale dell’insegnamento geografico.
4
Di Santo M. R. e Landi L., Lo spazio intorno a noi, op. cit., pag. 29.
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favorire il collegamento tra istituzioni scolastiche e i luoghi della ricerca, per un
rapporto reciprocamente produttivo tra tutti i sistemi della società.
Oggi manca proprio la capacità di destrutturate il sapere e di trasporlo nella
didattica, così come la capacità di inserire la propria disciplina nell’insieme degli
altri saperi. Questa mancanza è propria degli insegnanti di geografia. Sono molti
gli insegnanti abilitati ad insegnare la Geografia, ma forse inesperti della
materia oppure appassionati di altre, finiscono per proporre solo informazioni
da memorizzare. Il docente appassionato di un’altra disciplina si limita a dire ai
suoi studenti di studiare da pagina tot. a pagina tot..
Molti insegnanti che lavorano a scuola sono stati probabilmente formati ad una
geografia sterile che esauriva le sue finalità in una mera descrizione di elementi
e fenomeni naturali ed umani, che richiedeva loro un’abilità mnemonica elevata
ma necessariamente limitata nel tempo.
Pertanto, se si consente a non specialisti della disciplina di occupare le cattedre
di Geografia, non ci si deve stupire che spesso essa è insegnata male.
L'apprendimento della Geografia dovrà muovere dall'esplorazione
dell'ambiente di vita degli alunni. E’ il paesaggio geografico in cui gli alunni
vivono l’oggetto di studio da cui muovere per comprendere ed apprendere i
concetti, le abilità e gli atteggiamenti geografici.
La realtà ambientale è il punto di partenza dello studio di ogni disciplina, ma lo
è in modo particolare nello studio della Geografia.
Ciò che maggiormente importa nell’apprendimento geografico è la maturazione
di atteggiamenti positivi nei confronti dell'ambiente geografico. Così come occorre
accendere nei bambini la loro curiosità per il mondo degli animali e delle piante,
per il mondo dei numeri e delle forme, per il mondo dei suoni e della musica,
occorre accendere la loro curiosità anche per il paesaggio geografico: mari,
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pianure, colline, montagne, cieli azzurri, stelle e comete debbono costituire
oggetto del loro desiderio di conoscere, comprendere ed apprendere.
La motivazione geografica, l'atteggiamento positivo verso il paesaggio
geografico, gli interessi generali e specifici per tutti gli elementi del paesaggio
geografico costituiscono il primo obiettivo dell'insegnamento geografico, senza
il quale lo studio della Geografia diventa noioso e pesante.
Il mio intento è sollecitare i bambini alla “lettura” del paesaggio, da
comprendere come “bene” e “patrimonio” tra i più importanti del nostro Paese.
Partire dall’osservazione del paesaggio geografico, dal primo approccio
percettivo-sensoriale all’individuazione dei principali componenti e
determinanti. Per poi arrivare a riconoscere gli elementi storico-antropici e
culturali del paesaggio. Si tratta di saper immaginare, osservando un paesaggio
com’era nel passato e saper prevedere l’impatto che un nuovo intervento avrà
su quello stesso paesaggio.
Un argomento poco considerato forse perché all’apparenza ritenuto banale. In
realtà è un concetto complesso che racchiude testimonianze di un determinato
territorio. Attraverso lo sguardo al “Paesaggio” i bambini di scuola primaria
possono arrivare a comprendere il rapporto tra l’uomo e l’ambiente e il ruolo di
un territorio come esito e condizione dell’attività dell’uomo.
Nel 1945 l’insegnamento della geografia era abbinato a quello della storia e
l’approccio alla materia era di tipo nozionistico. Nei programmi del 1955 la
geografia compariva esplicitamente nel secondo ciclo, abbinata alla storia e alle
scienze naturali; non era più una geografia prevalentemente fisica, ma studiava
anche le modificazioni del paesaggio da parte dell’uomo.
I programmi dell’85 segnarono una svolta nell’insegnamento della Geografia.
Nel definirne l’oggetto non si parla di elementi fisici, ma dei caratteri dei
paesaggi e dei rapporti tra l’ambiente e l’uomo.
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Questi aspetti innovativi sono ripresi dalle Indicazioni del 2004, ad esempio nel
primo biennio, si legge: “[…]riconoscere gli elementi fisici e antropici di un
paesaggio, cogliendo i principali rapporti di connessione e interdipendenza”.
Lo scopo fondamentale dell’insegnamento della geografia è “formare una
metodologia integrata di strumenti materiali e soprattutto concettuali che
consentano a donne e uomini di leggere e interpretare la sempre più complessa
realtà territoriale, di decodificarla, di darle un senso, di appropriarsene e, così
facendo, di non sentirsi stranieri a casa loro, nel loro territorio”
5
.
Vorrei sottolineare l’importanza di “un’educazione al paesaggio”, perché il
paesaggio racconta le storie degli uomini. Racconta fatti minimi, storie
quotidiane, avvenimenti scontati e dimenticati, ma anche fatti memorabili, gesta
di grande rilievo che hanno segnato il corso della storia. Racconta la storia della
sua formazione, del suo costituirsi attraverso il tempo, come una successione di
momenti e modi diversi delle società umane di rapportarsi con il territorio che le
ospita, di viverlo e trasformarlo secondo le proprie esigenze. E il racconto è il
pensiero tipico dell’infanzia, la prima forma di organizzazione mentale
dell’esperienza, la più facile da stabilire, da mantenere e rappresentare. Il
bambino si pone davanti ad un paesaggio con la propria identità narrativa, in
quanto egli è portatore di una storia, frutto dell’intreccio con altre storie.
Ogni storia di vita è intrecciata a un paesaggio e nessuno può narrare la propria
storia senza far riferimento a una terra che restituisce il racconto dell’esistenza.
«Il paesaggio è teatro dell’esistenza»
6
.
Lo sguardo del bambino, connesso al contesto sociale in cui vive, si incontra con
tutto l’archivio storico di un paesaggio, apportando la ricchezza della sua
5
Bissanti A., “Una disciplina formativa”, pag. 163, in Fiorin I. (a cura), Storia, geografia e studi
sociali. Fondamenti teorici e idee per la didattica. Brescia, Editrice la Scuola, 1990.
6
Turri E., Il territorio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia, Marsilio
1977.
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personalità. Il paesaggio racchiude la nostra identità locale, incamerando le
tracce lasciate dall’uomo. Il paesaggio traduce ironicamente il processo di
territorializzazione. Il paesaggio è il risultato di un’interazione simbolica tra la
sostanza comunicativa dell’agire territoriale e la qualità dell’osservatore.
Il paesaggio chiama in causa la realtà emotiva dell’osservatore: lo studente è il
punto di vista attraverso il quale il paesaggio esiste e prende corpo; in questo
modo lo si educa al ruolo permanente di osservatore attento, critico, capace di
cogliere la semiologia naturale, estetica e culturale dello spazio percepito.
La struttura del lavoro comprende un primo capitolo, in cui è illustrata l’idea di
paesaggio seguendo la linea tracciata dal geografo Angelo Turco.
Un secondo capitolo che cambia completamente argomento, andando a
focalizzare l’attenzione sul concetto d’identità narrativa, termine introdotto da
Paul Ricoeur.
Infine, il terzo e ultimo capitolo, crea una sintesi pratica tra le prime due parti
teoriche, che all’apparenza potevano sembrare inconciliabili. Da questo
connubio nasce un percorso didattico multidisciplinare.
Il progetto didattico del terzo circolo di Teramo, dal titolo “abitando la città”, mi
ha dato l’occasione per creare il raccordo tra il dispositivo paesistico e l’identità
narrativa e tradurlo in un percorso d’insegnamento-apprendimento. “Per
ognuno abitare la città vuol dire vivere in rapporto ad essa, farne il laboratorio
dove sperimentiamo noi stessi. I luoghi diventano punti nodali in cui i
frammenti di esperienze diverse costituiscono, come un mosaico creato da
differenti tessere, immagini personali di spazi che incorniciano il vissuto,
rappresentando le coordinate della nostra identità”.
7
.
7
Procaccino B., Teramo: immaginare una città, Marte editoria.
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Sono partita dall’idea di bambino come “persona” che s’interroga, che si mette
in gioco… un “bambino curioso”, portatore di una storia, frutto dell’intreccio
con altre storie, che esibisce e sperimenta un’identità aperta, in continua
evoluzione, cioè una “identità narrativa”. Poi mi sono collegata al concetto di
paesaggio che mi aveva aperto una nuova strada. Ma per creare questa unione
ho richiamato un modello epistemologico che si rivolge alla dimensione
narrativa: la didattica ermeneutica. Il percorso conoscitivo-ermeneutico si
articola in tre tappe: comprensione, spiegazione, interpretazione. All’interno del
circolo ermeneutico il comprendere e lo spiegare sono due momenti
complementari e dialettici di uno stesso arco, “arco dell’interpretazione”. Ma,
siccome il modo di essere viene prima del modo di conoscere, anzi il primo
rende possibile il secondo, ogni conoscenza è preceduta da una “pre-
comprensione”, in quanto la mente è radicata nella situazione affettiva
dell’essere-nel-mondo. Sarà H. G. Gadamer a chiamare la pre-comprensione
heideggeriana, “pregiudizio”, dal quale ha inizio tutto l’itinerario didattico.
Per non creare dispersione e confusione tra gli alunni, ho concentrato il percorso
sul paesaggio che ogni bambino guarda ogni giorno distrattamente.
I bambini non sono molto attenti alla loro città. La vivono quotidianamente e
per loro tutto è scontato e banale. Nel mio lavoro ho cercato di problematizzare
il quotidiano, tutto ciò che appare scontato agli occhi del bambino: il paesaggio
che guarda ogni giorno senza “vederlo”.
Ma a partire da questo comune paesaggio, si potrebbe negli anni successivi
creare una rete di paesaggi narrativi che segnano e legano la città, il suo vivere
quotidiano e, mentre strappano all’oblio le tracce del passato, ne proiettano nel
futuro la memoria.
Uno degli obiettivi è stato quello di evidenziare le sovrapposizioni e i
cambiamenti di destinazione d’uso, l’insieme delle stratificazioni e delle
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testimonianze delle tracce delle esperienze vissute dai Teramani che ci hanno
preceduto. Il percorso vorrebbe mirare anche, a far sviluppare un senso di
appartenenza al territorio e a scoprire le differenze nelle percezioni personali
dello stesso paesaggio attraverso il narrare.
Il paesaggio urbano non è solo “materia”, ma anche “concetto” perché
rappresenta valori e idee che circolavano in contesti culturali del passato.
Il paesaggio urbano è inteso come una testimonianza dei modi di vivere degli
abitanti e della loro evoluzione storica, politica, sociale, culturale, artistica e
filosofica. Dalla dialettica “dispositivo paesistico - identità narrativa; Turco -
Ricoeur” prende vita questo percorso di Tesi.
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