1.2 1992, Rio de Janeiro: Summit della Terra su ambiente e sviluppo
Il primo di questi nuovi strumenti “globali” è stato il Summit della Terra su Ambiente e
Sviluppo, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, organizzato dall’UNCED
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Quella di Rio, è stata la più grande Conferenza della storia per numero di partecipanti: 183
Paesi rappresentati da oltre 10.000 delegati ufficiali, un centinaio fra capi di stato e di governo,
15.000 fra ambientalisti e rappresentanti di organizzazioni non governative, esperti, industriali,
indios, religiosi, rappresentanti dei movimenti a tutela dei diritti delle donne e giornalisti.
Trentamila persone arrivate dai cinque continenti, riunite per discutere del futuro dello sviluppo
dell'umanità e dell'ambiente.
I veri grandi attori della Conferenza di Rio furono: il Nord del mondo, con tutte le sue
preoccupazioni per il degrado alla base del suo stesso sviluppo passato (e presumibilmente anche
futuro) e per l'evidente dipendenza da chi possiede le risorse, e il Sud del mondo, con il suo carico
di tragedie irrisolte e non risolvibili senza l'aiuto dell'altra metà del mondo, ma anche con la
consapevolezza di avere un ruolo fondamentale nello scacchiere mondiale, posizione, questa, da
cercare di far valere.
Per quanto riguarda i temi discussi e le posizioni assunte, la Conferenza si è occupata di trovare la
soluzione delle questioni ambientali più importanti, come quella dell'esaurimento delle risorse, della
lotta all'inquinamento, della protezione del patrimonio forestale, marino e della bio-diversità
naturale e, soprattutto, del surriscaldamento globale.
Era auspicata la redazione di una serie di documenti che gettassero le basi di un impegno a livello
mondiale sulle tematiche sopra esposte, nonché la stesura di una Carta della Terra, vale a dire una
sorta di somma dei diritti e doveri ecologici degli Stati e degli individui che valesse, sia pur in
forma di "soft law", a definire:
- L'assetto fondamentale del diritto ambientale internazionale;
- I principi generali per una “costituzione ecologica” mondiale di base, per l'ulteriore
sviluppo del diritto interno e degli ordinamenti interni dei vari Stati, relativi a questa
materia;
La discussione durante le riunioni, così come era stato nei comitati preparatori, fece risaltare
immediatamente, come tutti questi propositi fossero destinati a rimanere tali. Le posizioni dei vari
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UNCED: United Nations Conference on Environment and Development
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Stati, infatti, erano diverse o addirittura contrapposte e gli stessi approcci alla discussione,
evidenziavano punti di vista completamente differenti su priorità ed impegni da affrontare.
Si decise pertanto di accontentarsi della composizione di un documento comune su basi
minimaliste, che non rappresentasse un vincolo giuridico, ma semplicemente una dichiarazione
d’intenti politici per un futuro ancora da definire; dalla Conferenza è infatti uscita, non la Carta
della Terra ma per l'appunto una dichiarazione, la Dichiarazione di Rio, che in ventisette punti
afferma i grandi principi in materia d’ambiente e sviluppo, riprendendo e affinando quelli della
dichiarazione di Stoccolma del 1976. Questa dichiarazione è, sostanzialmente, un codice etico di
comportamento per gli Stati e un documento, seppur non vincolante per i Paesi firmatari, di grande
importanza, in quanto in grado di fissare principi che possano poi con la prassi diventare "generali".
L'unico vero risultato giuridico ascrivibile all'UNCED è stato, quindi, la realizzazione della
Convenzione sui cambiamenti climatici.
1.3 La “Convenzione quadro” sui cambiamenti climatici (UNFCCC)
E’ stato un documento molto importante, in quanto è stato firmato da un numero record di
paesi (153 firme), con la sola esclusione di un paese di rilievo per il suo patrimonio forestale, la
Malaysia.
La Convenzione stabilisce, come obiettivo finale, di “stabilizzare la concentrazione di gas serra
nell’atmosfera ad un livello tale da prevenire pericolose conseguenze per il sistema climatico”.
L’importanza della convenzione sta, in primo luogo, nell'aver riconosciuto che esiste un pericolo
legato al cambiamento e, in secondo luogo, nell'aver affermato la necessità che questo cambiamento
avvenga in un lasso di tempo sufficientemente vasto da consentire agli ecosistemi di adattarsi. La
convenzione mira a stabilizzare le emissioni di gas serra entro i livelli del 1990, per prevenire
ulteriori influenze sul clima indotte dalle attività umane, con differenti “obblighi”, a seconda della
categoria a cui appartiene lo Stato. A questo proposito gli Stati firmatari sono stati divisi in tre
gruppi:
ξ Paesi dell'Annesso I (Paesi industrializzati);
ξ Paesi dell'Annesso II (Paesi industrializzati che pagano per i costi dei Paesi in via di
sviluppo);
ξ Paesi in via di sviluppo;
Logico, che i Paesi dell’annesso I e II avranno più responsabilità, per il raggiungimento
dell’obiettivo della Convenzione. Tale obiettivo dovrebbe essere raggiunto, attraverso una serie di
vincoli che le nazioni ratificanti, garantiscono di prendere.
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Gli obblighi indicati dalla Conferenza di Rio si possono riassumere in:
a) Indicazioni di natura politica e socio-economica per i settori più rilevanti delle attività
umane, quali la produzione e l’uso dell’energia, i processi ed i prodotti industriali,
l’agricoltura e la produzione agro-alimentare e la gestione dei rifiuti;
b) Indicazioni di natura politica e socio-economica internazionale, per la cooperazione
internazionale tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, riguardanti il trasferimento
di tecnologie e know-how capaci di promuovere crescita economica e benessere sociale con
bassi impatti ambientali;
c) Indicazioni di natura tecnico-scientifica per la partecipazione ai grandi programmi di ricerca
scientifica internazionale su ambiente globale e cambiamenti climatici;
d) Indicazioni di natura culturale e sociale per la diffusione delle informazioni sulle
problematiche ambientali e sulle implicazioni dei cambiamenti climatici.
Tuttavia è da sottolineare, come si tratti di una "Convenzione quadro", che in pratica non ha
comportato stretti obblighi per le parti, ma semplicemente un generico impegno alla riduzione delle
emissioni di gas climalteranti nell'atmosfera, senza alcun riferimento esplicito a scadenze temporali
e modalità operative che, dovranno poi essere fissate, attraverso appositi protocolli di
implementazione diretti a specificare gli obiettivi dell'azione internazionale e le riduzioni
concordate.
Possiamo quindi affermare che la vera finalità della Convenzione è stata quella di sviluppare il
cosiddetto principio della responsabilità comune ma differenziata.
In estrema sintesi, si tratta di un principio secondo il quale, pur rimanendo ferma la responsabilità di
tutta la comunità (tutti gli Stati) nei confronti dell'ambiente, non pareva opportuno imporre dei
vincoli in grado di frenare o rallentare lo sviluppo di Paesi che non hanno contribuito a creare la
situazione di necessità in cui ci si trova; in altre parole, non si volevano chiedere impegni, almeno
nel breve periodo, ai Paesi in via di sviluppo.
In realtà quindi l’obiettivo di ridurre i gas serra si dovrebbe ottenere tramite:
1) La promozione e divulgazione della conoscenza, paese per paese, di tutti i tipi d’emissioni
e delle capacità d’assorbimento;
2) Il sostenimento, a tutto campo, della ricerca su ogni tipo di conseguenza dovuta
all'aumentare della concentrazione di gas serra nell'atmosfera;
3) L’effettuazione di politiche regionali e nazionali che considerino i cambiamenti climatici
come variabili determinanti, e far sì che queste si tramutino in azioni volte all'attenuazione
dell'immissione in atmosfera dei suddetti gas;
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Questo documento responsabilizza, in particolar modo, i Paesi sviluppati, infatti, il Testo prevede
esplicitamente, (per i cosiddetti Stati dell’Annex I), il passaggio diretto ad azioni “come adozione di
politiche nazionali dirette a mitigare i cambiamenti climatici, limitazioni di emissioni di gas nocivi
e protezione di risorse, processi e attività che assorbano tali gas” che portino a un iniziale e sensibile
calo delle emissioni, e inoltre prevede il “favorire il trasferimento di strumenti e tecnologie
necessarie verso i Paesi del Sud del mondo”
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Un'altra conseguenza pratica del principio della responsabilità comune ma differenziata, oltre alla
diversità negli obiettivi da raggiungere, è quella connessa agli impegni in materia di risorse
finanziarie e di trasferimenti di tecnologie per l’ambiente, sicure e sane, che hanno costituito il
cuore dei negoziati UNCED. Non vi è dubbio che, prima di poter chiedere impegni concreti ai PVS,
cioè chiedere un tipo di sviluppo sostenibile che non ricalchi per quanto possibile quello
occidentale, sia necessario stabilire un flusso economico e tecnologico tra Nord e Sud del mondo.
Per trovare una soluzione a questo problema, occorrerebbe, quindi, modificare il metodo di
cooperazione internazionale presente in questo campo, in altre parole, si dovrebbe abbandonare il
sistema di contribuzione volontaria e fissare invece criteri ed aliquote stabili per i trasferimenti
monetari, basati possibilmente su specifici accordi generali o bilaterali.
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Tuttavia, nel corso dei lavori della Conferenza, ogni volta che la questione veniva sollevata, i Paesi
industrializzati si trovavano subito a far quadrato nel riaffermare che, in questa materia, il diritto
internazionale non contempla obblighi generali e che gli aiuti allo sviluppo, anche dove si tratti di
sviluppo sostenibile ed orientato all'obiettivo della diminuzione di emissioni climalteranti, restano
oggetto di decisioni unilaterali dei Paesi donatori o di specifici accordi di finanziamento; quindi, per
quanto riguarda gli impegni concernenti il finanziamento dello sviluppo sostenibile in ottica di lotta
al cambiamento climatico, la Conferenza di Rio non ha introdotto alcun elemento nuovo rispetto
alla ormai consolidata prassi decennale, in materia di "targets" dell'aiuto pubblico allo sviluppo.
I Paesi sviluppati si sono limitati a confermare un impegno che avevano precedentemente assunto:
lo 0,7% del prodotto nazionale lordo al finanziamento dello sviluppo sostenibile. E’ vero però, che
molti Paesi, compresi in questa categoria, sono ben lontani dall’aver raggiunto tale obiettivo,
essendo la media lo 0,35%
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Fonte: Testo ufficiale UNFCCC 12/06/1992, articolo 4, paragrafo 2, comma a);
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Si vedano la Convenzione di Lomè (1975) e la Convenzione di Cotonou (2000);
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Fonte: ONU;
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1.4 Le Conferenze delle parti (COP -1,2,3, ….)
Dopo il Vertice sulla Terra di Rio de Janeiro, erano molte le speranze che il mondo potesse
assumere degli importanti provvedimenti in favore dell'ambiente e che si potesse adottare un
approccio normativo-politico, che permettesse di correre ai ripari per quanto riguarda la grave
situazione climatica.
Tuttavia, nel decennio seguente i progressi compiuti non sono stati all'altezza delle aspettative, dal
momento che in numerose aree le emissioni climalteranti sono aumentate e il degrado atmosferico è
proseguito implacabilmente.
Dopo che la Convenzione quadro sul Cambiamento Climatico è stata adottata a Rio, il Comitato
per le Trattative intergovernative (Intergovernmental Negotiating Committee - INC),
responsabile della sua stesura, ha proseguito nel suo lavoro preparatorio, riunendosi in altre sei
sessioni, per discutere sulle questioni inerenti agli impegni da assumere, sulle disposizioni relative
ai meccanismi finanziari, sul metodo di sostegno tecnico ed economico per i paesi in via di sviluppo
ed sulle questioni procedurali ed istituzionali da intraprendere.
L'INC è stato sciolto dopo la sua undicesima ed ultima sessione, tenutasi nel Febbraio 1995, da quel
momento, la Conferenza delle Parti (Conference of the Parties - COP) è diventata l'autorità più
elevata della Convenzione.
La COP ha tenuto la sua prima sessione a Berlino, dal 28 Marzo al 7 Aprile 1995. Durante questa
prima sessione, si è evidenziato come gli impegni presi dai Paesi Sviluppati di riportare le emissioni
inquinanti ai livelli del 1990, non fossero sufficienti; infatti, è stato concordato che, per il periodo
successivo al 2000, sarebbero stati necessari nuovi impegni.
E' stato, in quest’ottica, creato un "Gruppo ad Hoc per mandato di Berlino" con il compito di stilare
un protocollo che potesse essere adottato in occasione della COP –3 del 1997.
Appena questo primo incontro si concluse, giunse l'attesissimo secondo rapporto valutativo sullo
stato del clima dell'IPCC
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. Questo rapporto segnò notevolmente l'opinione pubblica internazionale
ed anche il comportamento dei ministri presenti al COP 2 di Ginevra (dato che diede segnali
preoccupanti). Questi stessi ministri, infatti, sulla scia di quanto contenuto nel rapporto, si trovarono
concordi nel propugnare un'accelerazione dei colloqui e delle tempistiche necessarie al
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Internationa Panel on Climate Change: gruppo di lavoro formato da scienziati internazionali, con il
compito di monitorare, per conto dell'ONU, la situazione climatico-atmosferica mondiale
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