infatti, risulta indispensabile una “rappresentazione” dello scenario europeo
che renda più comprensibili i processi che hanno portato ad affiancarsi tra
loro diverse culture, diverse economie, diverse società. Partendo
dall’assunto che “non c’è principio identitario senza supporto simbolico”
1
,
si è scelto di concentrarsi sui media perché hanno la capacità di
raggiungere un vasto pubblico mettendo in contatto attori che non sono
necessariamente nello stesso posto fisicamente, amplificano e condensano
il discorso pubblico e possono contribuire a diffondere quella condivisione
di un senso d’appartenenza, di una comune identità e capacità di
riconoscersi in un soggetto istituzionale, in un forte e saldo insieme di
valori che superino le differenze (pur valorizzandone le caratteristiche), che
appare ancora molto flebile. La televisione, in particolare, tende a svolgere
un ruolo cruciale tra gli altri mezzi di comunicazione di massa e le
tradizionali agenzie di socializzazione (come il sistema scolastico) grazie
alla sua capacità di “entrare nelle case” veicolando i messaggi che
concernono la quotidianità dei cittadini e grazie al suo impatto emotivo che
può enfatizzare i messaggi legati all’appartenenza identitaria alla
costruzione europea (superando il livello meramente informativo).
Analizzando, dunque, i problemi che allo stato di fatto rendono difficile
comunicare l’idea di Unione europea, ci si è poi concentrati sulla Rai e sul
1
Rolando S., “Valori, identità, interessi. Perché e come comunicare l’Europa”, in Rivista italiana di
comunicazione pubblica, 18/2003, p.91
6
ruolo che può (e deve, se consideriamo la sua funzione di servizio pubblico
radiotelevisivo) svolgere nello stimolare la società italiana aprendo un
dialogo sui temi chiave della costruzione europea. Si è riscontrata da
subito, nelle due rubriche della TGR prese in analisi, un’assoluta novità e
peculiarità rispetto al panorama televisivo italiano (non solo pubblico, ma
anche privato, nel quale manca del tutto un approfondimento specifico sulle
questioni europee) per quanto riguarda sia la tipologia dei temi sia la
modalità di trattazione, che sono, poi, le motivazioni alla base della scelta
di queste rubriche come oggetto di studio. La possibilità di visitare le due
redazioni (a Milano e a Roma) e parlare con i responsabili e i giornalisti, è
stata determinante nell’inquadrare la linea editoriale e quindi gli obiettivi
della loro comunicazione sull’Europa.
7
PRIMO CAPITOLO
1. Premessa
In accordo con la gran parte della letteratura rilevante, l’Europa è “alla
deriva”, la stanno inventando e riscoprendo, attraverso una ricerca in corso
sull’identità europea. Questa identità è frequentemente discussa nel
contesto del nazionalismo e della globalizzazione, e sempre più spesso da
prospettive europee.
Agli albori della Comunità, cioè all’inizio degli anni Cinquanta, i “padri
fondatori” individuarono nel pool carbosiderurgico lo strumento per
avviare il processo di riconciliazione tra i popoli della Francia e della
Germania occidentale, appena usciti da una guerra fratricida. Lo spirito
della cooperazione che andava istituendosi tra i popoli europei si
identificava essenzialmente su principi di efficienza economica più che su
valori comuni. Anche se le basi ideologiche per unificare l’Europa come un
mezzo per prevenire la guerra rimane un importante contesto per la
cooperazione, la principale forza che ha guidato in passato l’integrazione è
stata, dunque, economica. Il 1989, però, fu un anno di grandi cambiamenti
in Europa: il crollo dell’impero comunista in Russia e nell’Est europeo
offrirono alla causa dell’unità europea un’occasione importante. Venendo
meno i timori nei confronti del “nemico esterno”, infatti, si cercarono nuovi
fondamenti al processo di unificazione e si riconobbe in modo più esplicito
9
una comune identità culturale. Il Trattato di Maastricht contribuisce in
modo determinante al cambiamento dello scenario introducendo un
elemento fortemente politico. “Si comprese che non era più possibile
affidarsi unicamente a criteri di razionalità economica per regolare i
rapporti tra i Dodici, ma che bisognava coinvolgere, in qualche modo, altri
settori dell’attività statale poiché era destinata ad aumentare l’esigenza di
una legittimazione democratica del nuovo ordine europeo”
2
.
Si è presa coscienza finalmente che le considerazioni economiche non
possono rafforzare ulteriormente il processo di integrazione e potrebbero,
senza lo sviluppo di una dimensione “culturale” per il progetto europeo,
favorire divisioni nelle società europee. Questo non implica
un’armonizzazione di culture ma piuttosto una crescente comprensione
delle tradizioni culturali e politiche che sono condivise dagli europei.
Da un punto di vista politico, lo sviluppo di una prospettiva europea
accanto alle prospettive politiche nazionali e regionali (non solo nei circoli
politici d’élite ma anche nella più ampia società) potrebbe contribuire al
successo del progetto. A questo proposito, vale la pena ricordare ciò che
Jean Monnet affermò in occasione della nascita della Comunità del carbone
e dell’acciaio: ”Noi non coalizziamo dei governi, uniamo degli uomini”. È
difficile non riconoscere che quell’obiettivo è rimasto in gran parte
insoddisfatto e che, mentre l’Europa è in corso d’opera, resta urgente creare
2
Mammarella-Cacace, Le sfide dell’Europa, 1999, p.98
10
il cittadino europeo
3
. All’interno di quella che può essere considerata una
tendenza globale determinata in gran parte da istanze economiche, l’agenda
politica europea, con il progetto sociale di avvicinare le persone, ha
evidentemente le sue complicazioni. L’Unione europea è stata descritta
come il primo tentativo nella storia di costruire una zona di pace continua,
ma all’inizio del secolo l’integrazione europea ha affrontato molte sfide
importanti, tra cui le implicazioni dell’allargamento all’Europa centrale e
orientale. È evidente che gli imperativi che scaturiscono da questa svolta
sono innanzitutto scongiurare l’appesantimento del sistema istituzionale e
del processo decisionale dell’Unione a 25 Stati membri, e parallelamente
chiarire i confini dell’Unione in termini di comunanza di valori,
ordinamenti e patrimonio comune di civiltà. “Allo scopo di evitare che dal
grande allargamento discenda un indebolimento della fisionomia
dell’Unione, s’impone una più forte direzione politica unitaria dell’Unione
stessa”
4
e un rinnovamento e arricchimento delle motivazioni ideali della
costruzione europea che possano portare a un’Europa più forte e non solo
più ampia
5
.
3
Mammarella-Cacace, op. cit., p.18
4
NapolitanoG., Europa politica, 2003, p.43
5
sui rischi e le opportunità del post-allargamento vedi Giuliano Cazzola, “Europa larga, Europa che
cambia”, in il Mulino – Rivista bimestrale di cultura e di politica, 4/2004
11
2. La governance europea e le sue debolezze
In questi anni e per molti altri ancora, l’Europa si troverà in mezzo al
guado: gli europei sono reduci da un passato di divisioni e conflitti che ha
raggiunto l’apice nel 1945, ed oggi si trovano di fronte al problema di
costruire un equilibrio fra molte dimensioni: la regionale, la nazionale,
l’europea, l’internazionale. Con un complicato sistema multilivello di
governance e rappresentanza, e le contraddittorie spinte alla
globalizzazione e alla “localizzazione” (il cosiddetto glocalism
6
), è
importante per la gente riuscire a identificare (e identificarsi con) la sfera
d’influenza rilevante in relazione ai vari aspetti della loro vita.
Basti pensare che l’idea stessa di Stato nazionale, che per secoli ha
organizzato gli spazi territoriali ed identitari, è oggetto di discussione.
“Dove le regioni ‘implodono’ nelle località e le nazioni ‘esplodono’ in un
complesso spazio globale, - osserva N. Albersten - si ha quindi un
crescente rapporto diretto tra locale e globale. Come parte di questo
processo, il ruolo e l’importanza dello stato-nazione sono diventati sempre
più problematici e discutibili”
7
. Negli ultimi dieci anni, lo sviluppo del
fenomeno globalizzante ha indebolito la vita politica del moderno Stato
nazione, divenuto incapace di gestire all’interno dei suoi confini tutti quei
problemi emergenti in un mondo sempre più interdipendente. Nel contesto
6
glo-cal è un fortunato neologismo adottato da Roland Robertson, 1992, citato in Bonacchi G., a cura
di, Una Costituzione senza Stato, 2001, p.135
7
K. Robins e A. Torchi, Geografia dei media, 1993, p.20
12
della globalizzazione, la liberalizzazione dei mercati e dei capitali
finanziari ha portato a un indebolimento della capacità dei governi
nazionali di influenzare le economie nazionali. A parte questo, ci sono
determinate aree politiche che richiedono per natura una cooperazione più
vasta, ad esempio i crimini internazionali, o politiche ambientali nelle quali
le attività industriali di uno Stato-nazione possono avere un impatto
sfavorevole sull’ambiente dei suoi vicini.
L’Unione europea è stata considerata un nuovo tipo di entità istituzionale
che organizza lo spazio socio-politico più all’insegna della governance che
del government
8
, e che potrebbe essere in grado di affrontare i problemi
(dovuti sia a eventi esterni che interni) attraverso l’interdipendenza e la
cooperazione dei suoi Stati membri.
Ciò che viene confermato nello sviluppo di una entità politica europea, è la
pluralità di politiche a differenti livelli di aggregazione (nazionale,
subnazionale e sovranazionale), a seconda dei vari campi di policy, che
interagiscono in continuazione per riuscire ad affrontare compiti comuni e
risolvere problemi comuni su questioni sempre più vaste (multilevel
governance
9
).
8
Bonacchi G., op. cit., p.17
9
“livelli di gestione liberamente interagenti”, Bellamy 1999, citato in Marini R., L’Europa dell’euro e
della guerra, 2001, p.28
13