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CAPITOLO 1
L’ORGANIZZAZIONE E IL CONTROLLO DI GESTIONE
1.1 LE ORGANIZZAZIONI
Il termine organizzazione in generale fa riferimento a circostanze in cui un
insieme di individui condivide uno scopo comune che può essere perseguito tramite
azioni collettive. Le molte valenze del termine possono essere ricondotte a due
significati principali: organizzazione come istituzione sociale e organizzazione come
atto dell’organizzare.
Per quanto riguarda la prima accezione abbiamo che un’istituzione sociale può
considerarsi un’organizzazione in quanto in essa è facile riconoscere scopi generali
condivisi, ruoli distinti, compiti e adempimenti abbastanza circostanziati per ogni suo
membro. Inoltre in essa esistono rapporti di natura gerarchica ma anche di intensa
collaborazione e condivisione, regole, sanzioni e procedure in caso di violazione delle
norme. L’organizzazione come atto dell’organizzare consiste invece nel decidere “chi fa
che cosa” garantendo il coordinamento tra le attività e le persone, e gestendo in
maniera appropriata la suddivisione del lavoro. Come tale l’organizzazione è sia un
“sapere”, come disciplina con le sue teorie e metodologie, che un “saper fare”, dunque
un know-how delle sue professioni (es. responsabile delle risorse umane o consulente
d’organizzazione).
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Le prospettive d’analisi e le questioni organizzative
Il problema centrale nell’analisi delle organizzazioni consiste nella definizione del
livello di specializzazione e nella scelta del meccanismo di coordinamento del lavoro1
da utilizzare in una singola impresa. Questo aspetto viene studiato sotto diversi punti
di vista riconducibili a tre prospettive di riferimento:
ξ la prospettiva manageriale;
ξ la prospettiva sociologica;
ξ la prospettiva politica.
La prospettiva manageriale, legata alle scelte degli imprenditori, tende a
considerare l’organizzazione come un sistema composto da parti che interagiscono tra
di loro. L’attenzione è focalizzata sugli aspetti formali e oggettivi con una conseguente
spersonalizzazione dell’organizzazione stessa anche se è chiaro come il sistema
organizzativo non può essere reso del tutto oggettivo perché gli individui che lo
compongono non possono essere del tutto intercambiabili e soprattutto perché le
persone, con le loro esperienze e competenze costituiscono un valore per l’impresa.
La prospettiva sociale è tesa a esplorare e interpretare il comportamento delle
persone nei contesti organizzativi, le loro motivazioni ed i vincoli imposti
dall’organizzazione stessa al loro agire. Sotto quest’ottica l’organizzazione non è un
mezzo ma un contesto, un ambiente sociale nel quale le persone si realizzano e
crescono dal punto di vista culturale.
Infine abbiamo la prospettiva politica che è volta ad indagare i modi in cui i
grandi sistemi sociali o le tendenze di fondo delle società avanzate si organizzano e si
servono di organizzazioni ben precise per regolare i rapporti sociali e canalizzare i
conflitti. Anche quest’ottica, come la prospettiva manageriale, considera
l’organizzazione come un mezzo per raggiungere gli obiettivi prefissati.
La tipologia di prospettiva non è l’unica dimensione attraverso la quale analizzare
la struttura dell’organizzazione. Esistono, infatti, tre grandi tematiche, definite in
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Cfr. capitolo 1 “L’organizzazione e il controllo di gestione, i meccanismi di coordinamento e la
specializzazione”
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seguito “questioni organizzative”, che sono trasversali a tutte e tre le prospettive
descritte in precedenza:
ξ la questione tecnologica;
ξ la questione burocratica;
ξ la questione decisionale.
La questione tecnologica affronta la relazione complessa tra le tecnologie e le
variabili più propriamente organizzative come la specializzazione e il contenuto del
lavoro individuale, la motivazione e il consenso. Gli enormi progressi tecnologici degli
ultimi decenni cambiano completamente lo scenario in cui si inserisce l’organizzazione
ed è quindi del tutto comprensibile che l’innovazione tecnologica volti ad
automatizzare alcuni processi aziendali abbia pesanti ripercussioni organizzative.
Questo aspetto, di conseguenza, non può assolutamente essere trascurato in fase di
progettazione della struttura organizzativa.
In secondo luogo, gli studi organizzativi sono attraversati dalla questione
burocratica che affronta il rapporto tra i comportamenti degli attori che perseguono i
propri scopi soggettivi e le norme che li regolano. L’apparato burocratico è necessario
alle grandi organizzazioni in quanto l’autorità non può essere esercitata da un numero
ristretto di persone ma ha bisogno di una macchina organizzativa in cui alcuni poteri
vengono delegati seguendo una gerarchia.
La questione decisionale infine affronta il modo in cui le organizzazioni arrivano a
prendere decisioni critiche, cioè quelle che non possono essere incorporate nelle
regole della macchina burocratica. I processi che portano alla decisione finale
coinvolgono quasi sempre molte persone, in particolare manager, che portano visioni e
interessi particolari ma anche competenze e informazioni di natura specialistica
indispensabili per arrivare a scelte consapevoli.
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Figura 1.1 Le prospettive sull’organizzazione e le grandi questioni organizzative
La specializzazione e i meccanismi di coordinamento
Il processo di specializzazione è strettamente legato alla dimensione dell’azienda.
Infatti, al crescere della dimensione si manifesta quella tendenza inarrestabile che è la
frantumazione dei processi in attività più semplici collegate tra loro e svolte di fatto da
operatori diversi. Due sono le dimensioni della specializzazione:
ξ specializzazione verticale;
ξ specializzazione orizzontale.
La specializzazione verticale consiste nella separazione tra la programmazione del
lavoro e la sua esecuzione, cioè le modalità operative vengono stabilite a priori da
qualcuno che non necessariamente coincide con chi svolge il lavoro successivamente.
Di fatto la separazione tra progettazione ed esecuzione ne implica un’altra: quella tra
esecuzione e controllo, coloro che eseguono il lavoro non corrispondono a chi ne
controlla l’operato. Le motivazioni che portano verso un elevato livello di
specializzazione verticale sono:
ξ mancanza di ampiezza di visione da parte di operatori;
ξ possibilità di ricorrere a manodopera meno qualificata;
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ξ necessità di sfruttare al meglio manodopera ad elevata qualificazione;
ξ valorizzazione di competenze specifiche relative a controllo e
programmazione.
Ovviamente un elevato livello di specializzazione verticale può comportare
problemi in termini di demotivazione e scarso contributo al miglioramento e
all’innovazione da parte dei dipendenti.
La specializzazione orizzontale invece consiste nel parcellizzare il lavoro
attribuendo poche semplici attività a ciascuno degli operatori. Essa porta con sé il
proliferare delle posizioni. I vantaggi legati alla specializzazione orizzontale sono:
ξ aumento della destrezza e vantaggi legati alle curve di esperienza;
ξ riduzione dei tempi morti (tempi di set up);
ξ innovazione su tecnologie più dedicate;
ξ minore fabbisogno di addestramento;
ξ miglior uso di caratteristiche individuali;
ξ miglioramento dei metodi di lavoro e standardizzazione dei processi.
Così come per la specializzazione verticale anche la specializzazione orizzontale
porta con se alcuni problemi come l’aumento delle esigenze di coordinamento, con
conseguente aumento degli overheads, e la bassa saturazione delle risorse.
Come già anticipato al crescere della specializzazione, sia orizzontale che
verticale, il problema del coordinamento diventa più pressante. I meccanismi di base
con cui può avvenire il coordinamento sono cinque:
ξ l’adattamento reciproco;
ξ la supervisione diretta;
ξ la standardizzazione dei processi;
ξ la standardizzazione dei risultati;
ξ la standardizzazione delle competenze.
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L’adattamento reciproco è il primo e più immediato meccanismo di
coordinamento che esiste, è del tutto informale e naturale per la maggior parte degli
individui dotati di normali capacità relazionali e sociali. Esso è un meccanismo “ex-
post” poiché interviene dopo che un problema si è verificato e ogniqualvolta compare
e prevalentemente diffuso nelle organizzazioni poco complesse e dove il lavoro è poco
specializzato.
Quando poi un’organizzazione procede con un primo allargamento dell’organico,
la scarsa specializzazione, anche in una piccola struttura, crea problemi. È in questo
contesto che si sviluppa un secondo meccanismo di coordinamento: la supervisione
diretta. Una persona assume formalmente il ruolo di capo e dunque la responsabilità
del lavoro degli altri decidendo “chi deve fare che cosa”. Essa non sostituisce
l’adattamento reciproco ma lo integra a un livello superiore e, così come il precedente,
è un meccanismo “ex-post” perché interviene contestualmente al problema o quando
questo si è già manifestato in una situazione precisa.
Con la crescita dimensionale l’adattamento reciproco e la supervisione diretta
non bastano più. La specializzazione procede anche nelle attività di progettazione e la
supervisione non è più sufficiente a garantire il coordinamento che viene invece
progettato “ex-ante”. Viene introdotto così un nuovo meccanismo di coordinamento:
la standardizzazione dei processi. Questo è uno strumento organizzativo assai potente
nella prevenzione dei problemi e nella loro riduzione, tende a ridurre notevolmente il
fabbisogno di supervisione diretta e di adattamento reciproco, si applica bene laddove
il processo è stabile e l’incertezza è bassa ma incontra serie difficoltà nei contesti
particolarmente turbolenti dove le possibili varianti ai processi sono molte.
Un altro meccanismo di coordinamento molto efficiente è quello comunemente
chiamato standardizzazione dei risultati nel quale il coordinamento viene garantito dal
fatto che, poiché il risultato di un reparto a monte serve da input per un reparto a
valle, se esso viene assicurato, allora il reparto a valle potrà operare correttamente.
Così come tutte le forme di standardizzazione agisce a priori con l’obiettivo di
prevenire e ridurre i possibili problemi ma rispetto alla standardizzazione dei processi
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essa lascia maggiore libertà d’azione in quanto ciò che conta è il risultato e non le
modalità operative.
Il quinto ed ultimo meccanismo di coordinamento è la standardizzazione delle
competenze. Essa consiste nell’assicurarsi che le risorse siano in grado di svolgere i
compiti assegnati e di interagire tra loro sulla base di competenze che hanno acquisito
in precedenza. La formazione assume di conseguenza una notevole importanza per
garantire un miglior coordinamento dovuto alle maggiori competenze acquisite.
Nella scelta del tipo di meccanismo di coordinamento da applicare, oltre alla
dimensione, bisogna considerare il costo di ogni alternativa. In particolare,
all’aumentare del livello di specializzazione orizzontale abbiamo una riduzione dei costi
di esecuzione ma un incremento dei costi di coordinamento come evidenziato nella
figura 1.2.
Figura 1.2 I costi della specializzazione e del coordinamento.
Le strutture organizzative
Gli insiemi distinti delle scelte di ampiezza del controllo, della linea gerarchica dei
criteri di raggruppamento e dei meccanismi di coordinamento utilizzati non sono
indipendenti l’uno dall’altra ma, al contrario, sono fortemente interrelate tra loro nel
delineare la struttura organizzativa. Esistono alcune strutture organizzative tipiche che
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poi vengono messe in pratica nelle imprese reali in forme ibride. Questi tipi ideali di
strutture consentono di individuare le alternative di progettazione organizzativa da
adattare opportunamente alla realtà specifica. Lo strumento che ci permette di
descrivere la struttura organizzativa è l’organigramma che dettaglia:
ξ le unità organizzative dell’azienda;
ξ il nome delle persone che ricoprono le diverse posizioni;
ξ l’organico delle diverse unità organizzative o delle diverse posizioni;
ξ i collegamenti esistenti tra le diverse posizioni.
Il livello di formalizzazione della struttura può variare molto da caso a caso e
dipende, tra le altre cose, dal livello di sofisticazione dell’organizzazione, dalla stabilità
e complessità del contesto. Per questo motivo non sempre è possibile trovare in tutte
le imprese un organigramma completo oppure che rispecchi perfettamente la realtà
dell’impresa.
Le diverse strutture organizzative che possiamo considerare “ideali” sono le
seguenti:
ξ la struttura semplice;
ξ la struttura funzionale;
ξ la struttura divisionale;
ξ la struttura ibrida;
ξ la struttura a matrice.
La struttura semplice
La struttura semplice è la più elementare, si adatta alle imprese piccole e poco
strutturate essendo poco articolata e composta da poche unità organizzative
essenziali. Il livello di formalizzazione è molto basso: non esistono procedure e
descrizioni formali di compiti e mansioni, inoltre spesso si è in presenza di un
accentramento decisionale dove tutte le decisioni vengono prese dall’imprenditore.
Nelle strutture semplici spesso i compiti vengono raggruppati nelle unità organizzative
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in base alle competenze specifiche delle persone che ne sono a capo ovvero le
competenze delle persone guidano la progettazione della struttura e non viceversa.
La struttura funzionale
La struttura funzionale è l’evoluzione più comune dell’organizzazione semplice a
fronte della crescita dimensionale e della specializzazione del lavoro. In essa le unità
organizzative al primo livello gerarchico sono progettate raggruppando le attività in
base allo svolgimento di una funzione comune. Ai livelli successivi poi le strutture
funzionali si possono articolare in modi diversi: in alcuni casi vengono ancora usati
criteri funzionali (es. i reparti all’interno della funzione produzione), in altri invece
vengono utilizzati criteri orientati agli output individuando ad esempio responsabilità
geografiche o segmentazioni di clientela.
Ciò che connota una struttura organizzativa come funzionale è la scelta del
criterio di raggruppamento orientato agli input al primo livello gerarchico. La struttura
funzionale ha i suoi maggiori vantaggi nell’efficienza dell’organizzazione delle attività in
quanto da un lato si massimizza la possibilità di raggiungere economie di scala
all’interno di ciascuna funzione, concentrando tutte le attività e i volumi realizzati in
un’unica unità organizzativa, dall’altro vengono ridotti i costi legati alla duplicazione
delle risorse. Un secondo punto di forza della struttura funzionale è la possibilità di
raggiungere elevati livelli di specializzazione e sviluppo delle competenze specifiche
delle funzioni derivante dalla maggior frequenza con cui risorse dedicate a una singola
funzione affrontano e risolvono determinati problemi o scambiano informazioni. In
generale, attraverso un’organizzazione di tipo funzionale vengono perseguiti obiettivi
di ottimizzazione locale e la standardizzazione degli stessi diventa dunque il
meccanismo di coordinamento più utilizzato mentre all’interno delle funzioni la
supervisione è il meccanismo di coordinamento dominante.
I punti di debolezza della struttura funzionale invece derivano dalla mancanza di
focus su specifici prodotti, clienti, mercati con una conseguente riduzione dell’efficacia
di risposta. Questa tipologia di struttura soffre quindi di diseconomie legate alla
mancanza di integrazione tra le diverse attività che sono necessarie alla realizzazione
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degli output. Inoltre spesso, al crescere della dimensione aziendale le strutture
funzionali tendono a portare ad un’elevata burocratizzazione.
La struttura divisionale
La principale alternativa progettuale alla struttura funzionale è la struttura
divisionale, cioè una configurazione organizzativa in cui le unità di primo livello
vengono costruite utilizzando criteri di raggruppamento orientati agli output
(prodotto, cliente o mercato). Le unità organizzative così progettate prendono il nome
di divisioni o business units che costituiscono a tutti gli effetti delle piccole aziende
nell’azienda e hanno elevati livelli di autonomia sulle decisioni che concernono l’output
che essa è preposta a realizzare e vendere. Per questo motivo la standardizzazione
degli output e dei risultati è il meccanismo più utilizzato al primo livello gerarchico e a
ciascuna business unit vengono assegnati obiettivi strategici e di budget. Il ruolo del
middle management è quello di organizzare e gestire le attività per garantire i risultati
previsti e a differenza dei manager delle funzioni hanno un compito relativamente più
complesso poiché avrà bisogno di competenze piuttosto diversificate.
La struttura ibrida
La struttura organizzativa ibrida prevede l’utilizzo di diversi criteri di
raggruppamento per definire le unità organizzative al primo livello gerarchico, con una
compresenza di criteri di tipo funzionale e di tipo divisionale. Il raggruppamento
funzionale è utilizzato tipicamente nelle aree dell’impresa più stabili, in cui le
economie di scala e i vantaggi della specializzazione pesano maggiormente; i criteri
divisionali prevalgono invece in quelle aree in cui la necessità di flessibilità e la capacità
di personalizzazione e adattamento delle risposte al cliente sono più rilevanti.
Questa tipologia di struttura è quella sicuramente più diffusa poiché si adatta più
realisticamente alle esigenze contrastanti delle diverse parti dell’organizzazione.
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La struttura a matrice
L’ultima tipologia di struttura adottabile dalle imprese è la struttura a matrice
nella quale i criteri divisionali e funzionali hanno uguale peso nel determinare il
raggruppamento delle attività: per alcuni aspetti infatti le risorse rispondono al
responsabile funzionale mentre per altri al responsabile divisionale. L’immediata
conseguenza è che in questa struttura viene meno il principio dell’unicità del comando
in quanto le risorse rispondono gerarchicamente a più di un capo.
Questa struttura è tipicamente utilizzata da organizzazioni complesse in cui vi è
una compresenza di obiettivi e criticità diverse rispetto a più di una dimensione
organizzativa. La struttura a matrice spinge più a fondo la logica introdotta dai
manager per recuperare l’integrazione funzionale.
Il rischio più grosso connesso a questa tipologia di struttura è la possibilità di
contrasti tra i “capi” che può portare ad una paralisi dell’organizzazione. Inoltre i costi
di coordinamento sono molto elevati. Un’organizzazione di questo genere è
auspicabile unicamente in ambienti molto complessi e incerti, i cui vi sono molteplici
tipologie di output critici da monitorare e in cui le risorse disponibili sono scarse e
quindi da condividere.
Il ruolo dell’ICT nelle organizzazioni
Le Information and Communication Technologies (ICT) giocano un ruolo
fondamentale nel configurare le organizzazioni soprattutto quelle orientate ai processi.
Il processo aziendale è un insieme di attività e decisioni interdipendenti, che si
scambiano, anche reciprocamente, informazioni e le tecnologie che permettono di
elaborare, trasferire e rendere disponibili più facilmente queste informazioni sono
necessariamente utili all’integrazione. In particolare le ICT hanno forte impatto su tre
aspetti caratteristici delle organizzazioni:
ξ i meccanismi di coordinamento;
ξ il controllo;
ξ la gestione della conoscenza.
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Per quel che riguarda i meccanismi di coordinamento, l’ICT favorisce
notevolmente l’integrazione dei processi e l’eliminazione delle barriere organizzative e
spaziali facilitando il coordinamento tra persone e unità organizzative anche
fisicamente lontane.
Dal punto di vista del controllo l’ICT diventa strumento fondamentale di
monitoraggio dei processi in modo trasversale alla struttura organizzativa favorendo lo
snellimento delle organizzazioni. Infine rende disponibile e facilmente accessibile la
conoscenza aziendale e meno critica la perdita di punti forti di accumulo delle
conoscenze conseguente alla minor importanza delle funzioni aziendali.
Le principali ICT più o meno recenti collegate alle organizzazioni sono le seguenti:
ξ Enterprise Resource Planning (ERP): sono sistemi informativi integrati e
modulari per la gestione dei processi aziendali. Caratteristiche principali
di questi sistemi sono l’estensione, la modularità, la prescrittività dei
modelli ad essi associati ed infine la poca flessibilità ed adattabilità alle
esigenze specifiche;
ξ Web Information Systems (WIS): sistemi dove la comunicazione avviene
tramite Internet o reti private e che supportino i processi aziendali
facilitando l’integrazione verticale e lo sviluppo di sistemi di e-
commerce, e-business e di e-government;
ξ Sistemi Customer Relationship Management (CRM): software di ausilio
ai processi che si interfacciano con i clienti e i processi amministrativi;
ξ Business Process Management System (BPMS): software integrati volti a
supportare la comprensione e la rappresentazione dei processi. i più
diffusi sono i sistemi di workflow, i sistemi di business process analysis e
i sistemi di business activity monitoring.