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tradizioni e abitudini comuni. L’estrema frammentazione, però, del territorio
italiano in aree geografiche e socioculturali assai differenti tra di loro ha
spezzettato tale sistema in tanti sottosistemi corrispondenti alle diverse regioni del
paese.
È importante sottolineare che esisteva un nucleo di tradizioni alimentari
comuni: la cucina mediterranea. Tale cucina traeva le sue origini dalla
disponibilità sul territorio italiano di molti prodotti agricoli ma in quantità ridotte,
da un sistema di produzione degli alimenti ancora largamente agricolo –
artigianale e da un’attenzione per il corpo e la salute radicata nella cultura
popolare del cibo in Italia, anche se più per necessità dettate dalle scarse risorse
che per un preciso orientamento dietetico verso la qualità del mangiare.
L’alimentazione è uno dei pilastri fondamentali anche della società del
segno in cui viviamo: infatti, mentre attraverso la sua capacità di comunicativa
produce senso e coesione per il vivere sociale, contemporaneamente mantiene viva
la conflittualità sociale e da vita a quella sfida simbolica tra gli individui
necessaria per la ripartizione e il controllo delle risorse alimentari.
Nel quarto capitolo vengono analizzati i consumi alimentari.
In Italia, l’attuale modello di consumo alimentare è considerato maturo.
I consumatori italiani vivono, come gli altri consumatori dei Paesi avanzati,
in una situazione di relativo benessere. Infatti, essendo svincolati dai bisogni
primari, i loro stili di consumo alimentare si differenziano in base alle preferenze
individuali, dettate dai gusti più che dalle necessità.
È in atto un processo di convergenza, che avvicina la dieta italiana a quella
dei Paesi avanzati e, all’interno del contesto nazionale, riduce le differenze fra
regioni diverse. Tale processo porta da un modello alimentare della sottonutrizione
a un modello della sazietà, tipico della postmodernità. Tuttavia, il passaggio dai
problemi di approvvigionamento nutritivo al pieno soddisfacimento dei bisogni è
storia recente.
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All’interno del processo di convergenza, oltre all’omogeneizzazione delle
diete che si accompagna peraltro ad una maggiore varietà di prodotti consumati, si
rileva anche l’omogeneizzazione degli stili di consumo. Sull’insieme di tali
fenomeni agiscono in modo significativo le trasformazioni della domanda, legate
all’evoluzione demografica e culturale.
In questo quadro va considerato che nella società attuale, insieme al
modello alimentare della sazietà, sopravvive ancora il modello delle società
industriali: insieme alla tendenza alla segmentazione dei consumi, sollecitata dal
flusso continuo delle innovazioni di prodotto e di processo, si rinvengono, allo
stesso tempo, fenomeni di consumo di massa, tipici delle seconde.
Nell’analisi economica dei consumi, uno dei fenomeni più evidenti è la
conferma empirica delle legge di Engel. Infatti, l’incidenza della spesa per
consumi alimentari, nei redditi degli italiani, è passata dal 43,4% del 1968, al
27,8% del 1986, al 21,5% del 1995, per attestarsi, al 16% del 2005.
All’interno della spesa alimentare, nel corso degli anni, si sono differenziati
gli alimenti acquistati. La tendenza è quella di modificare la composizione della
spesa verso un aumento della qualità dietetica. Infatti, il percorso seguito è stato
quello del passaggio dal consumo di proteine vegetali a quello di proteine animali,
con un incremento consistente del consumo di carne. Il contributo dei prodotti
animali è ormai sullo stesso livello della media dei Paesi sviluppati – il 26% circa
– mentre il consumo di carne è superiore (91 kg/anno/pro capite contro una media
di 80).
In seguito alle trasformazioni del consumo di cibo si è modificata la relativa
spesa delle famiglie.
Innanzitutto, le proteine vegetali vengono sostituite con proteine di origine
animale.
In secondo luogo, si sostituiscono i prodotti freschi con quelli trasformati,
innovativi e ad alto contenuto di servizio. Di conseguenza, cresce la spesa per il
consumo dei beni alimentari inscatolati, precotti, surgelati, pronti da servire.
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In definitiva, si assiste ad una marcata evoluzione dei modelli e delle
tendenze di consumo, molto simile a quanto era avvenuto in altri Paesi avanzati.
Questi cambiamenti del consumo alimentare della popolazione sono causati dai
rilevanti cambiamenti strutturali avvenuti nella società. I fenomeni caratteristici di
tale sviluppo sono, innanzitutto, di natura economica e nell’organizzazione
sociale. Infatti, le trasformazioni di reddito e la diffusione dell’orario di lavoro
continuato causano cambiamenti nella struttura dei pasti con la crescita dei
consumi extradomestici.
La stessa natura del lavoro comporta una diversa domanda nutrizionale.
Il maggior numero di donne presenti sul mercato del lavoro provoca una
minore disponibilità di tempo per la famiglia e per la preparazione dei pasti. Su
questi aspetti gioca l’influenza delle mode e della pubblicità.
Strettamente correlati ai fattori socioeconomici sono i fattori di natura
demografica. La diminuzione del numero medio dei componenti per famiglia e del
numero di figli, l’invecchiamento della popolazione, la crescita delle famiglie
monocomponenti (single o anziani soli) sono i fenomeni che più di altri hanno
influenzato i consumi.
Tutti questi cambiamenti hanno portato a rilevanti modificazioni nei
consumi alimentari sia nella struttura economica dei consumi, che nella modalità
del consumo stesso.
Infine, bisogna tenere in considerazione i rischi. I rischi essendo
riconducibili alla contaminazione e/o adulterazione degli alimenti, non derivano
dai pericoli esterni – rappresentati dalla natura, dal cattivo raccolto, ecc. – bensì
dalla manipolazione dell’alimento da parte dell’uomo. Del resto, la percezione dei
rischi in tema di sicurezza sanitaria degli alimenti è amplificata dalla crisi
dell’agricoltura tradizionale e dalla complessità del sistema agro-alimentare –
sempre più concentrato, segmentato e transnazionale – che, standardizzando,
de-territorializzando e spogliando l’alimento di ogni identità, recide il suo legame
con il territorio, la società e la cultura locale, facendogli così perdere quella
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capacità simbolica di identificazione di cui era portatore nelle società tradizionali.
In un contesto simile, una strategia perseguita per ricostruire la fiducia nella
relazione con l’alimento è la via all’alimento naturale, che consiste nel riallacciare
il legame dell’alimento con la natura. Quindi, il suo principio guida è la tutela
dell’ambiente.
Da quanto è stato finora detto emerge come il variegato e complesso
universo dell’alimentazione costituisca un osservatorio privilegiato per
comprendere le profonde trasformazioni in atto nelle società postmoderne
contemporanee.
Nel quinto capitolo si affronta la crescita e lo sviluppo del biologico.
I prodotti biologici sono più sani e hanno un minore impatto ambientale.
Infatti, non essendo stati trattati con fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi, non hanno
residui chimici e quindi sono decisamente meno dannosi per la salute e per
l’ambiente. Oltre al minor inquinamento del terreno, è stato calcolato anche un
minor inquinamento delle falde acquifere e dell’aria. Dunque, chi fa una scelta bio
ha un’attenzione particolare alla sua salute e a quella delle generazioni future; è un
consumatore critico e coscienzioso che vuole capire cosa mette nel piatto; sceglie
un consumo sostenibile e stili di vita responsabili verso le generazioni future e le
risorse del pianeta.
In Italia, come nella maggior parte dei Paesi europei, l’attenzione dei
consumatori verso i prodotti da agricoltura biologica, sia freschi che trasformati, è
cresciuta rapidamente negli ultimi anni. Sebbene il consumo abituale di prodotti
biologici interessi appena il 5% dei consumatori italiani, circa un consumatore su
tre ha acquistato almeno una volta un prodotto venduto con marchio biologico.
Pur rimanendo un mercato di dimensioni limitate, si può affermare che il
consumo dei prodotti biologici sia uscito dalla nicchia. Le motivazioni alla base di
questa espansione sono da ricercare in una più incisiva organizzazione dell’offerta,
sia nella crescita di attenzione dei consumatori, sempre più attenti ai temi del
benessere e della sicurezza alimentare.
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Un riconoscimento dell’importanza del biologico è la sua presenza nel
paniere Istat per valutare l’andamento dei prezzi nei beni consumati dagli italiani e
l’andamento dell’inflazione nel Paese. È una conferma del cambiamento dello stile
di vita nazionale proiettato sul vivere bene, ma anche un riconoscimento per
l’agricoltura italiana che è leader nella produzione biologica in Europa.
Nel sesto capitolo viene analizzata la filiera corta nel biologico.
Le iniziative di filiera corta soddisfano le richieste di trasparenza da parte
dei consumatori e permette di mantenere il surplus all’interno dell’azienda stessa.
Quindi, tale filiera oltre a saltare i passaggi della distribuzione, implica il
trasferimento di alcuni servizi all’interno delle famiglie che si assumono l’onore
della scelta e dell’acquisto diretto del cibo e anche alcuni servizi connessi alla sua
preparazione.
La filiera corta non si potrà certamente sostituire a quella tradizionale, però
potrà crescere notevolmente al pari di quanto avvenuto in altri Paesi.
La filiera corta è un canale distributivo che sta acquisendo notevole
interesse e per il quale ci si attende un progressivo sviluppo negli anni a venire, a
ragione del fatto che essa consente un’offerta moderna e personalizzata, gestita
attraverso forme d’abbonamento, ordini flessibili e prezzi che sono interessanti,
perché frutto di una gestione commerciale efficiente e in grado di contenere
notevolmente i costi distributivi.
La promozione della filiera corta è di grande interesse, in particolare, nelle
aree urbane e determina un maggior dinamismo all’interno dei mercati regionali:
le strutture di commercializzazione, soprattutto a livello regionale, dovranno
essere caratterizzate da minore individualismo, essere più leggere e flessibili e
andare incontro alle esigenze dei consumatori.
10
I
Evoluzione dei consumi
11
1.1 Consumo nella sociologia classica
Le riflessioni sociologiche hanno concepito il consumo come un fenomeno
pienamente sociale e quindi comprensibile solo considerando che, accanto alla
logica strumentale della massimizzazione dell’utilità e della minimizzazione dei
costi, ne esistono altre, legate alle funzioni simboliche e cerimoniali dei beni, alla
loro capacità di sottolineare i rapporti tra le persone.
Si passeranno in rassegna i più importanti contributi dei sociologi classici
per la comprensione di tale fenomeno.
Marx afferma il rapporto di subordinazione del consumo alla produzione. Il
consumo è interpretato come una forma di alienazione. Quindi, è la modalità
principale attraverso cui le persone vengono allontanate dalla loro umanità [Marx
1972].
Questa idea ha portato Marx a sviluppare la teoria del feticismo, secondo la
quale le merci sono dei feticci, perché sembrano essere dei soggetti autonomi,
dotati di vita propria e in grado di intrattenere relazioni [Marx 1974].
Marx non spiega come si sviluppa successivamente all’acquisto il rapporto
tra merce e consumatore e come quest’ultimo viva il rapporto. Tuttavia, il
consumatore svolge un ruolo fondamentale, perché attribuisce alla merce il suo
carattere di conclusione, necessaria alla continuazione del ciclo economico di
valorizzazione del capitale.
Simmel sostiene che il valore delle cose dipende dalla valutazione che ne dà
il soggetto, anziché essere fondato su un dato oggettivo e assoluto come le sue
proprietà intrinseche o la quantità di lavoro che incorpora e che è stata necessaria
pere produrlo. La valutazione soggettiva è però a sua volta condizionata dal
contesto storico e culturale in cui ha luogo [Simmel 1907].
Simmel contribuisce alla comprensione dei fenomeni di consumo con
l’importante concetto di moda. La moda si caratterizza per la variabilità, che nasce
12
dallo scontro tra due spinte contrapposte presenti nell’animo umano: imitazione (o
uguaglianza) e differenziazione (o mutamento).
L’individuo si sente rassicurato dal fatto di appartenere, grazie alla moda, a
una collettività sociale che si comporta allo stesso modo e condivide gli stessi
obiettivi e ideali. Tuttavia, all’interno della collettività, all’individuo è consentita
una piena realizzazione, ma allo stesso tempo, si pongono dei vincoli alla sua
espressività e creatività e si costringe a percorrere altre vie per realizzarsi [Simmel
1976].
La moda si sviluppa in una società che ha una struttura gerarchica delle
diverse classi. Simmel ritiene che ciascuna classe tende a chiudersi al suo interno e
a differenziarsi dalle classi inferiori. Ogni individuo consuma beni (di prestigio),
soprattutto per apparire superiore agli appartenenti agli status inferiori o per
simulare il raggiungimento di una posizione più elevata della propria sul piano
socioeconomico. Quando un bene di consumo della classe superiore è stato
acquistato da molti appartenenti agli status inferiori, si banalizza perché non riesce
più a segnalare un livello sociale agiato e perciò è abbandonato prima dal ceto
superiore e poi anche dagli altri.
Weber sostiene che il consumo è un agire sociale dotato di senso. Infatti, il
consumo è uno degli indicatori fondamentali che consentono di definire
l’individuo dal punto di vista del ceto sociale. Il consumo diventa vistoso e
ostentativo – perfino sprecone – per classi agiate che devono dimostrare di essere
ricche. Tuttavia, Weber, sostenitore dell’etica protestante, considera riprovevoli i
consumi. Bisogna controllare i consumi, perché le società capitalistiche adottano
progressivamente il principio di razionalità: si riducono i consumi a favore di quel
risparmio che deve essere investito nell’attività d’impresa [Weber 1995].
Veblen nota che la principale caratteristica del consumo è la sua natura
vistosa e ostentativa [Veblen 1971]. Quindi, al consumo viene riconosciuto un
significato simbolico che, tuttavia, rimane ancorato al sistema della stratificazione
sociale, ma si connota negativamente come espressione di un desiderio di
13
distinzione giocato su valori falsi e non autentici. I consumatori sarebbero mossi
non dalla necessità di soddisfare i bisogni biologici, ma quasi esclusivamente da
una volontà di spreco per ostentare agli altri la quantità di prestigio e onore insita
nella propria posizione sociale (o status).
Per Veblen non è prevista una possibilità individuale di comunicazione
autonoma attraverso il consumo, né una possibilità di lanciare, sempre attraverso il
consumo, messaggi diversi da quello di marcare in modo più o meno mistificato le
differenze di classe.
Il concetto di consumo vistoso è coerente con la visione della diffusione
verticale delle mode e dei beni di Simmel, secondo cui c’è una progressiva discesa
verso la parte inferiore della piramide sociale, in un continuo processo di
differenziazione dove ciascuno degli status si pone come riferimento per lo status
sottostante.
Per Veblen la classe agiata
1
diffonde nella parte bassa della piramide il
modello culturale del consumo vistoso. Far parte della società comporta la
necessità di comunicare la propria ricchezza e il proprio onore praticando il
consumo ostentativo. Di conseguenza, le società non possono fare a meno di
produrre uno spreco di beni.
Sombart riprende il concetto di consumo vistoso di Veblen. All’inizio, il
consumo di beni (di lusso) è riservato al ceto aristocratico e alle corti principesche,
ma progressivamente diventa un modello da imitare per la borghesia, classe in
ascesa che aveva bisogno della ricchezza per legittimarsi socialmente
[Sombart 1988].
Sombart condivide con Tonnies l’idea che nella storia delle forme di
organizzazione sociale avviene un passaggio dalla comunità alla società, che
comporta la crisi dei legami collettivi caratteristici della vita comunitaria. Si perde
quella rassicurante sensazione di immortalità dovuta all’appartenenza ad una
comunità. Di conseguenza, l’individuo tenta di placare quell’angoscioso senso di
1
Tale classe si trova al vertice della piramide sociale.
14
morte che ne deriva, cercando delle gratificazioni nella vita materiale e,
soprattutto, nel consumo di beni. Il valore attribuito all’esistenza di ciascun
individuo si accresce attraverso l’esperienza personale e diretta delle cose. Ne
derivano un’intensificazione del consumo e un’accelerazione delle variazioni dei
suoi contenuti.
Riesman definisce alcuni importanti concetti relativamente al consumo,
senza approdare alla costruzione di una vera e propria teoria [Riesman 1969].
Il primo dei concetti è standard package, che indica la quantità di spese di
routine che sono vissute dagli individui come obbligate per sentirsi parte del
sistema sociale.
Un altro importante concetto elaborato da Riesman è sottoconsumo
ostentativo
2
. Tale caso accade quando un soggetto dotato di un’elevata capacità di
spesa acquista per distinguersi prodotti modesti e poco costosi, ma che segnalano
un gusto raffinato e personale. In tal modo, la classe superiore cerca di imporre i
suoi limiti a coloro che vorrebbero elevarsi allo stesso livello socioeconomico.
Parsons e Smelser presentano un modello struttural-funzionalista
3
che ha la
caratteristica di attribuire un ruolo molto importante alla famiglia, considerata
come il centro della vita dell’individuo [Parsons, Smelser 1970]. Nel modello, si
individuano quattro fondamentali funzioni di consumo in relazione alla famiglia:
adattamento a possibili esigenze future e consumi per la sua continuità fisica e
culturale; conseguimento di beni che istituzionalizzano la famiglia all’interno della
cultura sociale e dei suoi valori; beni di prestigio che qualificano socialmente e che
integrano all’interno della struttura sociale; infine, beni che consentono il
mantenimento dei modelli latenti e il governo delle tensioni presenti all’interno
della famiglia.
2
Riesman lo ha definito anche trickle effect alla rovescia.
3
Ogni sistema sociale è costituito da tanti diversi sottosistemi – tra i quali si attivano delle specifiche
relazioni di interdipendenza – ciascuno dei quali svolge determinate funzioni necessarie alla sopravvivenza
del sistema stesso. Tali funzioni sono: adattamento; conseguimento dei fini; integrazione; conservazione
latente del modello e gestione latente del sistema.
15
Merton sostiene che il gruppo di appartenenza di un consumatore può
diventare per altri consumatori un gruppo comparativo: un gruppo che offre la
possibilità di confrontare le proprie scelte di consumo con quelle altrui. Se queste
ultime sono giudicate vincenti, tale gruppo può trasformarsi in un gruppo di
riferimento esterno: un gruppo che i consumatori, pur non appartenendovi,
scelgono come modello per le proprie spese [Merton 1959].
Secondo Merton, esiste un rapporto assai stretto tra i due tipi di gruppi,
perché quanto più i rapporti dell’individuo con i membri del suo gruppo di
appartenenza sono deteriorati, tanto più egli si orienta verso gruppi di riferimento
esterni.
Maslow formula la teoria sulle motivazioni dominanti che determinano i
comportamenti umani. Secondo tale teoria, gli individui sono mossi da una
molteplicità di motivazioni di diversa natura, ma in ogni momento esiste sempre
una motivazione dominante che prevale sulle altre, le quali continuano comunque
a funzionare [Maslow 1943].
La teoria sulle motivazioni dominanti fornisce le basi concettuali principali
della ricerca VALS
4
, che ha fornito una visione estremamente globale della società
e del comportamento umano. Tuttavia, difficilmente può passare ad analizzare
situazioni di consumo più specifiche.
4
É l’acronimo di Values and Life Styles.
16
1.2 Consumo nella sociologia contemporanea
Si passeranno in rassegna alcuni dei più importanti contributi alla
comprensione del fenomeno del consumo. In questo paragrafo, però, non sono
discussi autori come Baudrillard, Bourdieu, Lévi-Strauss, Douglas e Isherwood,
perché saranno affrontati nel capitolo riguardante la dimensione simbolica del
consumo (Cap. 2).
Nella sociologia italiana, un posto rilevante spetta al contributo di Alberoni,
che ha considerato i comportamenti di consumo delle società industriali avanzate
come funzione sia della competizione sociale che spinge gli individui verso la
ricerca di un miglioramento del proprio standard di vita. Infatti, Alberoni adatta il
concetto di standard package di Riesman al contesto italiano [Alberoni 1964].
Utilizza l’espressione beni di cittadinanza, che indica i nuovi beni immessi sul
mercato dalle industrie. Tali beni consentono a chi proviene da una cultura rurale e
arcaica di comunicare l’appartenenza alla nuova forma di società urbana e
moderna.
Maffesoli, assieme ad altri autori, sostiene che il legame tra consumatore e
gruppo di appartenenza diventa molto stretto. Il crescente processo di
frammentazione della società e la mondializzazione provocata dalle reti di
comunicazione sviluppano il bisogno di nuovi legami sociali, nuove tribù, micro-
gruppi sociali composti da individui eterogenei e uniti dalla condivisione di una
passione o un’emozione.
Maffesoli sostiene che la rinascita delle tribù nelle società industriali
avanzate comporta il riemergere di valori quasi arcaici: l’identificazione nel locale,
un forte senso di religiosità, il sincretismo culturale, etc. [Maffesoli 1988].
Fabris è uno dei più importanti studiosi del consumo e i suoi contribuiti di
ricerca sono numerosi e preziosi. Lo studioso considera lo stile di vita come il
raggruppamento sociale tipico delle società industriali avanzate e sostiene che si
caratterizza per la possibilità di essere liberamente scelto da parte dell’individuo,
17
di passare senza problemi da uno stile di vita a un altro e per la mancanza di
dislivelli gerarchici rispetto agli altri stili. Di conseguenza, è possibile segmentare
qualsiasi popolazione in semplici gruppi uniformi [Fabris 1995].
Fabris contribuisce, assieme ad altri studiosi di fama internazionale, alla
ricerca 3SC, la quale considera ogni società in rapida evoluzione verso una sempre
maggiore modernità socioculturale. Codeluppi chiarisce che la ricerca 3SC misura
il cambiamento attraverso le correnti socioculturali, che sono dei vettori lungo i
quali si ipotizza che si muova, seppur in modo discontinuo, la società e che si
collocano a livello intermedio tra i singoli comportamenti dei soggetti e i valori
che li ispirano [Codeluppi 2002]. La ricerca 3SC si rappresenta graficamente con
la mappa socioculturale che consente di disporre di un’efficace sintesi visiva della
società considerata, della sua struttura socioculturale e delle dinamiche operanti in
essa. Inoltre, le 2 principali dimensioni della mappa sono anche le più importanti
spaccature valoriali della società italiana: polarità Apertura/Chiusura riguarda la
propensione della società al cambiamento; la polarità Privato/Sociale riguarda i
valori dell’individuo [ibidem, p. 97].
Bisogna ricordare che le correnti socioculturali permettono di individuare
gruppi sociali, mercati attuali o potenziali, target di consumatori da raggiungere o
target di prodotti/marche concorrenti [ibidem, p. 98].
Di Nallo sostiene che l’infedeltà del consumatore è qualcosa di inevitabile e
propone di lavorare non più sul consumatore, ma sul consumo [Di Nallo 1997]. Si
cerca di individuare non degli stili di vita, che sono connessi al consumatore, ma
degli stili di consumo, i quali sono aree socioculturali che esistono nella società
indipendentemente dalla singola azienda e dal prodotto.
Di Nallo sostiene che l’oggetto del consumo ha perso o diminuito la
valenza di merce e di funzione di status symbol, per assumere un valore di
consumo e per aprirsi a un’infinità di valenze simboliche [Di Nallo 1984]. Il
consumo è diventato modo di esprimere l’affetto, la nostalgia, la cultura, l’amore.
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Al consumo si attribuisce una funzione comunicativa, intesa come modo in
cui gli individui dichiarano, caratterizzano, confermano la loro presenza nel
mondo e la loro appartenenza sociale. Di conseguenza, il consumo diviene un
linguaggio e si esprime fondamentalmente attraverso la sua autonomia strutturale,
che gli consente universalità e comprensibilità sociale. In altre parole, i beni non
verranno assunti singolarmente dai soggetti a seconda dei loro bisogni individuali,
ma secondo principi di riconoscibilità sociale.
Codeluppi considera il consumo come sistema di comunicazione, in cui i
messaggi trasmessi dalle merci sono degli insiemi strutturati e complessi di segni
che presentano al loro interno molteplici livelli di significazione
[Codeluppi 1989].
Infine, Hirschman sostiene che le esperienze di consumo insieme alla
soddisfazione arrecherebbero insoddisfazione e delusione [Hirschman 1983].
Infatti, per i beni (il cibo) che perdono la loro forma fisica, l’esperienza di
consumo si rivelerebbe ricca di piacere e resistente alla delusione. Invece, per i
beni durevoli e i servizi, la delusione sarebbe quasi sempre costante.