Premessa 2
soggetti attivi sono rappresentati da persone insospettabili, di elevata
condizione sociale, che godono dei mezzi economici per difendersi e viene,
così, superata l’immagine stereotipata del malvivente inteso solo come
soggetto di bassa estrazione sociale.
La nozione del “white collar crime” è poi entrata in crisi, poiché ha
dimostrato i suoi limiti applicativi nei confronti dei reati commessi dalle
persone giuridiche e della realtà criminale, che nel tempo si è evoluta.
Lo studioso Tappan
4
rileva come la teoria della criminalità dei “colletti
bianchi” includa un gruppo troppo ampio di fatti illeciti, accomunati solo dal
soggetto agente appartenente, come detto, alle alte classi sociali. L’analisi
dello studioso è incentrata proprio sulla ricerca del criminale e mira anche a
coprire le lacune della teoria di Sutherland.
Si arriva, in questo modo, ad ipotizzare una criminalità non più attuata da
singoli soggetti (seppur chiamati “colletti bianchi”), ma una criminalità
d’impresa, intesa come fatto illecito che si insidia e nasce proprio nella
struttura dell’organizzazione. Tale nuova teorizzazione prende il nome di
“corporate crime” e abbraccia una visione strutturale della criminalità, che
vede il suo punto sorgente nei processi organizzativi e decisionali dell’impresa
stessa.
Il fenomeno del “corporate crime” è alimentato da fattori che, pur facendo
parte fisiologicamente e naturalmente dell’impresa stessa, costituiscono gli
elementi patologici che fomentano l’illegalità societaria e rendono la persona
giuridica un soggetto a rischio di commissione dei reati. Si pensi, a titolo
meramente esemplificativo, a fattori come il progresso economico e
tecnologico, la complessità dell’organizzazione, la pluralità di centri
decisionali e organizzativi, la dislocazione territoriale e la consequenziale
frammentazione della responsabilità.
Da un’analisi storica emerge, quindi, come il modello imprenditoriale possa
sfaldarsi e andare poi a stridere con valori fondamentali del vivere comune
sociale ed economico, a causa di una illiceità non solo nell’impresa, ma
4
Tappan, Who is the criminal?, in American Societies Review, 1947,
pagg. 12 e ss..
Premessa 3
dell’impresa stessa, in cui il fatto contra ius, finalizzato al perseguimento di un
vantaggio economico, è commesso proprio dai soggetti muniti di poteri gestori
e di rappresentanza; in particolare oggi si assiste, come sopra accennato,
soprattutto nelle realtà già industrializzate o in via di sviluppo, ad un
fenomeno tale per cui le grandi organizzazioni economiche prendono il posto
delle realtà imprenditoriali individuali e viene, pertanto, resa più difficoltosa
l’individuazione del responsabile del fatto illecito e resi meno nitidi i confini
della responsabilità delle persone fisiche.
L’appena descritto panorama economico ha costituito la culla delle nuove
forme di criminalità e, di conseguenza, si è sentita l’esigenza di creare un vero
e proprio diritto penale dell’economia che ha comportato nell’Europa
continentale, sin dagli anni ’20, delle eccezioni al brocardo latino “societas
delinquere non potest”. Nel 1995 la dottrina
5
rilevava come “Oggi la maggior
parte dei reati contro l’economia è commessa con l’aiuto di un’impresa (...).
La presenza, nel mondo del crimine, delle persone giuridiche e delle imprese
non è più l’eccezione ma è ormai divenuta la regola. Ed è per questo che ci si
chiede se le eccezioni al famoso brocardo non debbano diventare, anch’esse,
la regola”.
Si fa riferimento, in particolar modo, non solo a quelle realtà economiche
intrinsecamente illecite, ossia quelle che hanno stabilito come oggetto sociale
direttamente un’attività illecita, bensì a quelle imprese lecite, “orientat[e] al
perseguimento di un utile economico con mezzi consentiti”
6
che, pur di
aumentare il loro profitto, attuano delle politiche aziendali “aperte a fenomeni
e pratiche corruttive, di truffa finanziaria, di lesione di interessi patrimoniali
pubblici (...)”
7
, diventando così un “nuovo tipo di autore di reati”
8
.
5
Klaus Tiedemann, “La responsabilità penale delle persone
giuridiche nel diritto comparato”, in Rivista Italiana di Diritto e
Procedura Penale, 1995, fasc. 3, pagg. 616-617.
6
Alberto Alessandri, La responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche: osservazioni generali, in Responsabilità d’impresa e
strumenti internazionali anticorruzione dalla Convenzione OCSE 1997
al Decreto n. 231/2001, Milano, Egea, 2003, pag. 128.
7
Sandro Bartolomucci, op. cit, 2004, pag. 2.
8
Francesco Santi, La responsabilità delle società e degli enti:
modelli di esonero delle imprese. D.Lgs. n. 8/6/2001 n. 231, D. M.
26/6/2003 n. 201, a cura di Giorgio Sacerdoti, Milano, Giuffrè,
2004, pag. 18.
Premessa 4
Il contesto naturale in cui opera l’impresa è costituito dal mercato, che può
essere definito come quell’ordine economico che si regge grazie a delle regole.
Esiste, pertanto, un rapporto molto stretto ed imprescindibile tra il mercato e la
materia legislativa, tale per cui il mercato acquisisce il carattere della
artificialità, ossia è un “ordine costituito e non ordine trovato nell’originaria
natura degli uomini”
9
. In questa situazione, i primi ad essere chiamati al
rispetto delle regole sono gli amministratori delle società, i quali possono
anche decidere di discostarsene e cedere ai condizionamenti del sistema a
quella politica di impresa illecita di cui si è parlato in precedenza.
In tal senso alcuni autori
10
affermano che crisi dell’impresa equivale a crisi
della corporate governance, intesa come l’insieme di regole e strutture
organizzative che presiedono ad un corretto governo societario, mirando anche
alla cura delle relazioni tra i vari players coinvolti nella vita della società,
(stakeholders, gli shareholders, il management e gli amministratori) e gli
obiettivi cui mira l’impresa stessa.
Il decreto n. 231/2001, base di questo breve elaborato, ha pertanto il gravoso
compito di cercare di ristabilire la legalità all’interno dei traffici economici e
sanare il “cancro morale”
11
che affligge le società e, anche se una “catarsi
etica non si vara per decreto”
12
, è pur vero che la legge può costituire un
punto di partenza -il nostro punto di partenza- verso una rieducazione delle
imprese alla legalità.
9
Natalino Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, Laterza,
1998, pag. 12.
10
Cristina De Maglie, L’etica e il mercato: la responsabilità penale
delle società, Milano, Giuffrè, 2002, pagg. 2-3.
11
Espressione molto efficace utilizzata da Federico Stella, Premessa
a Cristina De Maglie,L’etica e il mercato, Milano, Giuffrè, 2002,
pag. X.
12
G. Rossi, I crack arriveranno in Europa e faranno saltare i conti
pubblici, Intervista su La Repubblica del 26 giugno 2002, pag. 13.
CAPITOLO PRIMO: ANALISI DEL DECRETO LEGISLATIVO 8
GIUGNO 2001, N. 231.
1.1 Il decreto legislativo n. 231/2001: la responsabilità
“amministrativa” delle persone giuridiche. Societas delinquere
potest?
La nascita di realtà economiche complesse ha portato ad un
“sopravanzamento della illegalità di impresa sulle illegalità individuali”
13
,
fenomeno tale per cui il compimento dell’attività criminosa si inserisce
proprio negli scopi sociali, al fine di aumentare il profitto dell’attività.
E’ doveroso, in un simile contesto, menzionare le nuove corporate
governance, ossia i nuovi metodi di gestione societaria utilizzati dalla persona
giuridica per la sua organizzazione ed il suo governo. Le imprese moderne
sono caratterizzate da ingarbugliati sistemi organizzativi e decisionali, ove si
tende a polverizzare le competenze deliberative in processi molto articolati che
permettono di arrivare all’assunzione del provvedimento decisionale solo dopo
il passaggio tra più soggetti o gruppi di soggetti. In questo modo si rende
difficile, se non addirittura impossibile, individuare il centro di imputazione
della responsabilità, fenomeno che taluni
14
appellano come irresponsabilità
organizzativa. Così facendo le condotte illecite compiute nell’impresa da
persone fisiche facenti capo alla stessa, diventano condotte illecite
dell’impresa, proprio perché, a causa della frammentazione dell’attività
decisionale, appare impossibile individuare coloro che hanno assunto le
decisioni poste alla base del reato.
Proprio per ovviare a tale problematica, il legislatore ha introdotto un efficace
(si spera) strumento di correzione della criminalità di impresa: il decreto
legislativo n. 231/2001. Esso introduce nell’ordinamento italiano la
13
Così affermato dalla Relazione accompagnatoria al D. Lgs. n.
231/2001.
14
Ranieri Razzante e Fabrizio Toscano, La responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche: profili teorici e pratici
Analisi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n.231 6
responsabilità delle persone giuridiche, qualificandola come responsabilità
amministrativa.
Nonostante l’etichetta di responsabilità amministrativa
15
, il decreto presenta
molti caratteri mutuati dal diritto penale: si pensi che la responsabilità
dell’ente dipende da un illecito penale e non amministrativo, che
l’accertamento avviene in un processo penale e che si rinvia, per quanto non
disposto dal decreto e in quanto compatibili, al codice di procedura penale.
Dalle considerazioni appena svolte, sorge spontaneo domandarsi come mai il
legislatore non abbia optato direttamente per una responsabilità penale della
persona giuridica
16
. Tale scelta è stata sicuramente vincolata dal brocardo
“societas delinquere non potest”
17
e dal limite costituzionale imposto dall’art.
27, che al comma 1 dispone che la responsabilità penale è personale e, al
comma 2, statuisce la finalità rieducativa della pena
18
.
Come già proposto in passato dal progetto di Riforma del diritto penale
elaborato dalla Commissione Grosso, anche la Relazione accompagnatoria al
d. lgs. n. 231/2001 parla tuttavia di un tertium genus di responsabilità, a
cavallo tra la responsabilità amministrativa e quella penale.
Riassumendo, l’impianto normativo, ad oggi, è così formulato: da un atto
illecito compiuto da un soggetto in posizione apicale o sottoposto deriva la
responsabilità penale dell’agente e la responsabilità amministrativa dell’ente
connessi all’applicazione del D. Lgs. 8 giugno 2001 n. 231,, Torino,
Giappichelli, 2003, pag. 4.
15
Scelta vincolata dalla legge delega n. 300/2000, art. 11: il
decreto deve avere “ad oggetto la disciplina della responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche e delle società,
associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono
funzioni di rilievo costituzionale(...)”.
16
Soluzione adottata con grandi risultati in altre realtà
internazionali come gli U.S.A., la Francia, il Belgio.
17
Per una trattazione più approfondita della tematica, consultare
Sandro Bartolomucci, op. cit., 2004, pagg.18 e ss..
18
L’art. 27 della Costituzione esprime, quindi, il principio di
personalità della responsabilità penale, intesa non soltanto come
responsabilità per fatto proprio, ma anche e soprattutto come
responsabilità colpevole.
Analisi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n.231 7
che abbia tratto interesse o vantaggio dal verificarsi del reato
19
e che non abbia
impedito la commissione del comportamento delittuoso. Così disponendo,
viene attribuito all’ente un dovere di auto-organizzazione, in modo che
vengano prese tutte le precauzioni possibili al fine di evitare la commissione
dei reati presupposti. Tale impianto permette di agganciare la responsabilità
amministrativa propria
20
dell’ente ad un non facere dello stesso, ossia ad un
“comportamento omissivo nella gestione della propria struttura
organizzativa”
21
. L’ ingegnosa
22
ideazione appena descritta permette di far
rispondere l’ente in modo diretto per la colpa in organizzazione.
Le considerazioni sopra illustrate, evidenziano come il principio di
colpevolezza di cui all’art. 27 della Costituzione, che rappresentava il
principale freno all’introduzione di una responsabilità a carico dell’ente, oggi
non sia più inteso in senso psicologico, vale a dire come legame psichico tra
reo e fatto, bensì nel senso di rimproverabilità dell’ente per colpa
organizzativa, di cui si parlerà nel seguito della trattazione.
Il bisogno
23
delle persone giuridiche di autoregolamentare la propria attività
attraverso una standardizzazione delle stessa in chiave penal-preventiva, si è
poi concretizzato anche nella riforma societaria avutasi nel 2003, che ha
modificato anche i modelli di organizzazione societaria in vista di una
corporate governance sempre più orientata a prevenire e limitare
manifestazioni patologiche dell’attività economica.
19
La responsabilità amministrativa degli enti deriva non da
qualsiasi reato, bensì solo da quelli appartenenti al catalogo
contenuto nel decreto.
20
Una conferma del fatto che la responsabilità è diretta e propria
dell’ente, può essere rinvenuta all’art. 8 del decreto, che lascia
sussistere la responsabilità dell’ente anche quando l’autore del
reato non sia stato identificato o non sia imputabile.
21
Sandro Bartolomucci, op. cit.,2004, pag. 25.
22
Così definita da Giulio De Simone, I profili sostanziali della
responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la parte generale e
la parte speciale del d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in
Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da
reato, a cura di Giulio Garuti, Padova, Cedam, 2002, pag 81.
23
Anche se in realtà tale esigenza si era già sentita nel 1999, anno
in cui Borsa Italiana s.p.a. emanò il Codice di Autodisciplina del
Comitato per la Corporate Governance delle società quotate,
modificato nel successivo 2002.
Analisi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n.231 8
1.2 I criteri di ascrizione della responsabilità all’ente
Il d. lgs. 213/2001, che introduce nell’ordinamento italiano la responsabilità
amministrativa degli enti derivante da fatto illecito commesso da una persona
fisica appartenente all’organico dell’ente stesso, enuncia all’art. 1 i soggetti
destinatari della norma: “...Le disposizioni (...) si applicano agli enti forniti di
personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità
giuridica. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri
enti pubblici non economici, nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo
costituzionale”
24
.
Gli articoli 5 e 6, unitamente agli articoli 7 e 8, costituiscono il cuore del
decreto
25
poiché delineano il meccanismo di imputazione della responsabilità
all’ente, attraverso la formulazione di un criterio oggettivo e
dell'individuazione dei soggetti agenti. E’ proprio questo sistema che permette
di configurare una responsabilità amministrativa propria dell’ente, dovuta ad
una colpa in organizzazione dello stesso.
Il criterio oggettivo e l'individuazione categoriale delle persone fisiche agenti,
elementi che devono necessariamente coesistere tra di loro, sono disposti
all’art. 5 e si illustreranno nel prosieguo della trattazione.
1.3 L'individuazione dei soggetti agenti.
L'art. 5, primo comma, definisce gli autori del reato che, in virtù del rapporto
organico che li lega all’ente, determinano l’applicabilità della responsabilità di
24
Per un’analisi più approfondita e precisa sui soggetti destinatari
del decreto, vedasi: Sandro Bartolomucci, op.cit., 2004, pagg.31 e
ss.; Francesca Chiara Bevilacqua, I presupposti della resonsabilita’
da reato degli enti, in I modelli organizzativi ex art. 231/2001:
etica di impresa e impunibilità degli enti, a cura di Carlo Monesi,
Milano, Giuffrè, 2005, pagg.127 e ss..
25
Espressione mutuata direttamente dalla Relazione Ministeriale al
decreto n. 231/2001.
Analisi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n.231 9
cui al d. lgs. n. 231/2001. In particolare i soggetti ex art. 5 sono distinti in due
categorie: coloro che ricoprono una posizione apicale nell’organico e coloro
che sono sottoposti all’altrui direzione e vigilanza.
La distinzione effettuata dal legislatore non è un mero capriccio, ma rileva ai
fini della scelta dei criteri soggettivi di imputazione e ai fini del godimento del
beneficio dell’esimente da parte dell’ente.
1.3.a I soggetti in posizione apicale
La lettera a) dell’art. 5, con una elencazione non specifica e tassativa, ma
molto elastica, definisce la prima categoria di soggetti capaci, con una
condotta illecita di far scattare, oltre alla propria responsabilità penale, anche
la responsabilità amministrativa dell’ente, sempre che quest’ultimo abbia
tratto dal fatto illecito interesse o vantaggio, come si dirà nel prosieguo.
La norma recepisce la teoria della immedesimazione organica, così come
suggerito dalla Relazione al d. lgs. n. 231/2001, che permette di attribuire le
azioni commesse da soggetti che agiscono in qualità di organi dell’ente,
direttamente all’ente stesso; in particolare, tale teoria “...consente di superare
le critiche che un tempo ruotavano attorno alla violazione del principio di
personalità della responsabilità penale, ancora nella sua accezione “minima”
di divieto di responsabilità per fatto altrui. Vale a dire: se gli effetti civili degli
atti compiuti dall’organo si imputano direttamente alla società, non si vede
perché altrettanto non possa accadere per le conseguenze del reato, siano
esse penali o –come nel caso del decreto- amministrative”.
In base al disposto ex art. 5, primo comma lettera a), nella categoria dei
soggetti in posizione apicale sono ricomprese innanzitutto le ”persone che
rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione
dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e
funzionale”, definizione che sicuramente richiama le figure di tutti quei
soggetti inseriti nell’amministrazione societaria o muniti di rappresentanza. Si
Analisi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n.231 10
rilevi come il legislatore abbia parificato l’appartenere all’ente, all’appartenere
ad un’unità organizzativa autonoma. Tale assunto riflette il fenomeno della
polverizzazione su base orizzontale che tipicizza l’impresa moderna (si pensi
alla figura dei direttori di sedi molto grandi, spesso dotati di notevoli poteri
gestori e decisionali), di cui si è trattato in precedenza.
Ulteriore equiparazione innovativa formulata dal legislatore del 2001 è quella
tra i soggetti che ricoprono una carica di diritto e quelli che la ricoprono in via
meramente fattuale (“...nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la
gestione e i controllo dello stesso”,). Tale scelta legislativa, che è una
semplice traduzione della realtà dell’impresa moderna, permette di tutelare in
maniera più tangibile i principi di rappresentatività, di matrice civilistica, e di
effettività, di rango penale. Con tale definizione ci si intende riferire ai gestori
sostanziali, che possono essere personificati non solo dagli amministratori di
fatto, ma anche da quei soci che non amministratori che, detenendo la
maggioranza delle azioni o quote, sono in grado di pilotare e gestire
sostanzialmente l’impresa.
1.3.b I soggetti sottoposti
La seconda categoria di soggetti dal cui atto illecito deriva anche la
responsabilità amministrativa propria dell’ente, è rappresentata dalle “persone
sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera
a)” dell’art. 5.
Il legislatore ha voluto riferirsi, in particolar modo, a coloro che sono legati
all’ente da un rapporto di lavoro subordinato, definito ai sensi degli artt. 2094
e 2095 c.c..
Bisogna comunque rilevare come, anche se sia più difficile che soggetti
appartenenti alla categoria ex lett. b) dell’ art. 5 commettano uno o più reati
presupposto elencati nel d. lgs. n. 231/2001, il legislatore abbia comunque
voluto tutelarsi contro la dilagante frammentazione del potere di gestione.
Analisi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n.231 11
1.4 Il criterio di imputazione oggettiva
Come sopra accennato, ai fini dell’ascrizione della responsabilità
amministrativa all’ente, per un reato commesso da un soggetto facente parte
dell’organico, la norma richiede, come criterio oggettivo, che il reato sia
commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Il discrimen tra i due elementi, alternativi tra di loro, consiste nel fatto che
l’interesse connota in senso soggettivo la condotta illecita della persona fisica
e viene accertato mediante un giudizio prognostico, effettuato, quindi, ex ante;
il vantaggio, che può essere goduto dall’ente anche quando il reo non abbia
agito intenzionalmente nell’ interesse della persona giuridica è, al contrario,
sempre accertato con un giudizio da effettuarsi ex post.
Ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa propria
dell’ente, il vantaggio o l’interesse devono essere a favore esclusivamente
dello stesso o in concorrenza con un interesse o vantaggio del reo, non
rilevando il godimento di un beneficio esclusivamente dal soggetto agente, in
quanto, in quest’ultima ipotesi si verificherebbe una circostanza obiettiva di
esclusione della responsabilità. Ciò è quanto previsto all’art. 5, comma 2
26
del
d. lgs. n. 231/2001, coerentemente anche all’ipotesi di riduzione della pena
prevista all’art. 12 dello stesso decreto.
1.5 I modelli di organizzazione aziendale: cenni e rinvio
L’impianto normativo del d. lgs. n. 231/2001, introdotto per combattere la
sempre più dilagante criminalità d’impresa, ha previsto una forma di
responsabilità amministrativa dell’ente per un reato commesso da un soggetto
facente parte del suo organico. La responsabilità è attribuita all’ente in forza di
26
Per una critica dell’art. 5 comma 2 si veda Francesca Chiara
Bevilacqua, op. cit., pagg. 131 e ss..
Analisi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n.231 12
una colpa in organizzazione dello stesso, per non essersi, cioè, dotato di una
struttura organizzativa tale da non impedire il verificarsi del fatto illecito.
Il legislatore ha poi previsto un meccanismo per escludere la “colpevolezza in
organizzazione” dell’ente, con un’inversione dell’onere della prova in capo
allo stesso, non optando comunque per una forma oggettiva di responsabilità
27
.
La norma, ai fini dell’esclusione delle responsabilità amministrativa, chiede
all’ente l’adozione di una serie di standards comportamentali idonei a
prevenire determinate tipologie di reati. In primis si cita il munirsi di un
modello organizzativo e di gestione, che sia adottato ed efficacemente attuato
al fine di prevenire i reati tassativi – ma ampliabili dal legislatore- previsti
all’interno del decreto.
I modelli organizzativi saranno approfonditi nel seguito della trattazione e si
limita, in questa sede, l’analisi delle conseguenze dell’adozione dei modelli
organizzativi relativamente ai reati posti in essere dai soggetti in posizione
apicale e dai sottoposti.
1.5.a Efficacia esimente e reati degli apicali: art. 6 del decreto
In base alle premesse formulate appare necessaria l’adozione da parte dell’ente
di un modello organizzativo, nel caso in cui voglia escludere
28
la propria
responsabilità amministrativa per fatto illecito altrui.
27
Come anche spiegato nella Relazione al d. lgs. n. 231/2001,
l’adozione di un criterio di imputazione meramente oggettivo, non
produce gli effetti desiderati in termini di organizzazione
preventiva: “...costituisce un dato ormai ampiamente acquisito che
l’attribuzione della responsabilità secondo criteri ispirati al
versari in re illicita si traduce in un disincentivo all’osservanza
di cautele doverose; essa induce infatti nel destinatario un senso
di fatalista rassegnazione nei confronti delle conseguenze negative
che possono derivare dal suo comportamento”.
28
Si precisa come l’adozione di un sistema di organizzazione e di
gestione, costituito in primis dal modello organizzativo, non sia un
dovere dell’ente, bensì un onere, nel caso in cui lo stesso voglia
beneficiare dell’esimente predisposta dalla legge.