LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’ 2
In questa fase iniziale lo Stato si limita a favorire la volontarietà delle
società mutualistiche e il suo atteggiamento si modifica soltanto quando si
rende obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni con la legge 80/1898
e si istituisce la cassa nazionale di previdenza e vecchiaia con la legge
350/1898. Ma è soltanto con la legge 603/1919 che si può dire venga isti-
tuita una forma di tutela previdenziale nel senso che è ormai tradizionale.
Per la prima volta la tutela per la invalidità, la vecchiaia e i superstiti è
finanziata anche con i contributi posti a carico del datore di lavoro ai quali
si aggiunge un contributo, se pure esiguo, dello Stato.
Durante il periodo corporativo, il sistema delle assicurazioni sociali
non solo viene completato con la previsione della tutela di nuovi rischi ma
è affiancato da una concezione più ampia della solidarietà corporativa tra
datori e prestatori di lavoro finalizzata alla realizzazione dell’interesse
pubblico dell’economia nel quale si pretendeva risolvere autoritativamente
il conflitto sociale.
In questo periodo la disciplina dell’assicurazione privata, fonte sia del-
la previdenza pubblica che di quella privata, è estesa a quelle sociali. Il
rapporto di lavoro e le parti del rapporto di lavoro diventano interesse dello
Stato, si istituiscono inoltre gli Enti previdenziali (INPS e INAIL) che ge-
stiranno tutte le forme della previdenza sociale.
3 LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’
La rigida corrispettività tra contributo e prestazioni si estende al mo-
dello sindacale e alla pluralità di regimi, esonerati, sostitutivi, ciascuno dei
quali realizza lo stesso assetto di interessi.
La previdenza privata, che trova fondamento nel nostro codice agli
artt. 2117 e 2123 del Codice Civile, soppianta definitivamente le esperienze
delle mutue di soccorso, limitate alla tradizionale forma di risparmio e alla
stipulazione di polizze individuali.
I principi accolti dalla Costituzione repubblicana modificano profon-
damente lo scenario nel quale si colloca l’ordinamento corporativo: il dirit-
to alla prestazione previdenziale risiede nell’essere cittadino; si definisce
così l’idea di sicurezza sociale secondo la quale il compito dello Stato è
quello di superare gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando
la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono lo sviluppo della perso-
na umana.
Tale principio, che trova particolare espressione nell’articolo 38 Cost.
consente al sistema della previdenza sociale di superare l’ambito del lavoro
subordinato per estendersi a tutti i lavoratori e a tutti i cittadini allo scopo
di liberarli dal bisogno e di garantire loro, allo stesso tempo, di scegliere
liberamente la previdenza privata, onde mantenere il livello di vita raggiun-
to durante il periodo di lavoro.
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’ 4
Sotto questo profilo il dopoguerra si caratterizza per l’ambiguità che
deriva dal contrasto tra i principi che dominano il previgente sistema con
quelli invece accolti dalla Costituzione e il processo di armonizzazione tra i
due sistemi non può dirsi certo immediato.
Il panorama degli anni sessanta, caratterizzato dal progetto costituzio-
nale, ora accennato, di allargamento della tutela nell’ambito della sicurezza
sociale, è significativamente rappresentato dalla crescita del sistema previ-
denziale, in particolare dalla costituzione dei cosiddetti piani previdenziali
esclusivi a favore dei pubblici dipendenti gestiti da enti diversi dall’INPS
(INPAI, INPG, ENPALS).
Le fortissime tensioni inflazionistiche, che contribuiscono ad azzerare
le riserve matematiche dell’INPS ispirano l’adozione di un sistema a ripar-
tizione in base al quale i lavoratori attivi dovranno pagare la pensione dei
pensionati, rimettendosi, per il percepimento delle proprie ai contributi che
verseranno i lavoratori attivi al momento del loro pensionamento. Tale
sistema, sotteso a un accordo intergenerazionale, si rinnoverà tacitamente,
impegnando ogni generazione a trasferire risorse alla successiva.
Tra i tanti fattori che – a partire dagli anni settanta – determineranno
la profonda crisi del nostro sistema previdenziale ci sarà la diminuzione
vertiginosa dei flussi di finanziamento della previdenza obbligatoria.
5 LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’
La crisi coinvolgerà tutte le funzioni sociali dello Stato inducendo il
legislatore a una diminuzione degli eccessi di tutela che hanno caratterizza-
to il periodo del boom economico.
Tale situazione ispira vari progetti di riforma del sistema previdenzia-
le che si susseguono dal 1978, anno nel quale si dà il via ad un’ampia inno-
vazione normativa che, a cominciare dalla nuova disciplina della previden-
za complementare prevista dal d.lgvo 124/1993 che ha dato attuazione alla
delega di cui alla legge n. 421 del 1992, ha il suo apice con la radicale ri-
forma dettata dalla legge 335/ 1995, che assume come scelta più significa-
tiva la commisurazione della pensione alla retribuzione versata, segnando il
passaggio, o il ritorno, dal sistema retributivo a quello contributivo, con la
capitalizzazione individuale dei contributi versati.
Queste riforme, integrate dai provvedimenti successivi come la legge
243/2004 e dal d.lgs. 252/2005, confermano, per il nostro paese, un sistema
previdenziale del tutto simile a quello degli altri paesi economicamente
sviluppati, costruito su tre pilastri. Il primo rappresentato dalla previdenza
obbligatoria nella quale operano gli enti previdenziali di natura pubblicisti-
ca. Il secondo che trova fondamento costituzionale nel combinato disposto
del 2 comma e del 5 comma dell’art. 38 Cost. ed è costituito da forme di
previdenza complementare. Il terzo pilastro che trova il suo referente costi-
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’ 6
tuzionale nell’art. 47 Cost., opera invece su base individuale e su base vo-
lontaria mediante la predisposizione di strumenti finanziari e assicurativi.
2. Il dibattito che dottrina e giurisprudenza sviluppano negli anni più
recenti con riferimento alla previdenza complementare ruota intorno alla
sua funzionalizzazione al sistema pubblico; su di esso si è concentrato
l’interesse della dottrina e della giurisprudenza.
L’articolo 38, comma 2, non ha mancato, infatti, di suscitare un cor-
poso dibattito che vede contrapposte due ipotesi interpretative sul ruolo
della previdenza sociale: se essa debba considerarsi in senso stretto tutela
esclusiva sul piano previdenziale o se debba anche estendersi al piano assi-
stenziale.
In altri termini si pongono, da un lato i sostenitori della tesi della fun-
zionalizzazione della previdenza complementare agli scopi espressi nel
comma 2 dell’art. 38 Cost., dall’altro, i sostenitori della tesi secondo cui
essa deve essere ricondotta all’alveo dell’autonomia privata in quanto rea-
lizza esclusivamente la soddisfazione di interessi privati.
Nel dibattito si inserisce la sentenza della Corte costituzionale n.
393/2000 che sancisce la natura pubblica della previdenza complementare.
La tendenziale identificazione della previdenza privata (prima rinve-
nibile nelle esperienze dei fondi aziendali di cui agli artt. 2117 e 2123 del
7 LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’
Codice Civile) con la previdenza complementare è, dunque, un fenomeno
relativamente recente che si è consolidato con la disciplina oggi prevista
dal d.lgs. 124/1993 integrata ora dalla legge delega 243/2004 e dal d.lgs.
252/2005, che hanno aperto la strada a una forte accentuazione dei profili
di concorrenzialità all’interno del sistema e a una comune valorizzazione
della libertà individuale (tema che in dottrina ha suscitato molte perplessi-
tà) intesa come libertà di scelta offerta dalle opportunità di investimento del
risparmio.
Nella prospettiva del pluralismo previdenziale previsto dalla nostra
Costituzione oggi vanno, pertanto, inquadrati i fondi previdenziali pubblici
e privati – distinti, secondo una comune classificazione, in fondi chiusi
(ovvero fondi negoziali e contrattuali) e in fondi aperti – e i loro regimi di
finanziamento: la contribuzione definita (quando l’elemento fisso è rappre-
sentato dal contributo mentre la prestazione risulta l’elemento variabile) e
la prestazione definita, (quando al momento dell’adesione al fondo
l’iscritto sa quale sarà la sua prestazione).
La normativa di cui alla riforma del d.lgvo 124/93 e successive modi-
ficazioni, disciplina inoltre la governance (l’amministrazione) dei fondi
delineando una fase istitutiva, una costitutiva ed una autorizzativa, alle
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’ 8
quali si aggiungono quella della verifica e quella della vigilanza esercitata
dalla COVIP.
Il tema del finanziamento della previdenza complementare assume
profili di non secondaria rilevanza con l’introduzione del meccanismo di
devoluzione tacita del TFR alla previdenza complementare, già previsto dal
d.lgs. 124/1993, ma recentemente integrato da D.M. 3-1-2007, in attuazio-
ne della legge 296/2006.
In assenza di destinazioni canalizzate e secondo determinazioni collet-
tive la devoluzione del TFR avviene a favore del fondo residuale
(FONDINPS) appositamente istituito, che non solo si sostituisce al datore di
lavoro nella sua erogazione del TFR ma deve utilizzare le sue risorse per
finalità di carattere pubblico, soprattutto per sostenere investimenti
Se il legislatore del 1993 avvertiva la preoccupazione di garantire la
effettiva realizzazione delle aspettative dei lavoratori e quella di incremen-
tare la diffusione della previdenza complementare con la legge 243/2004 e
il d.lgs. 252/2005 si assiste a un importante mutamento di prospettiva.
Si passa da una previdenza consolidata come espressione della gestio-
ne sindacale alla previsione anche di fondi pensione aperti, (si può parlare
di non esclusività dei fondi chiusi e ad una definitiva loro equiparazione)
9 LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’
accessibili a soggetti non lavoratori e non più riconducibili alla tradizionale
previdenza sindacale ma al mercato finanziario.
Così una parte della dottrina inizia a farsi attenta alle esigenze del
mercato rispetto ai tradizionali valori della solidarietà che continua ad esse-
re realizzata attraverso la previdenza complementare sindacale.
Questo momento potrebbe rappresentare il punto di confine, potremo
anche dire di rottura, con il passato solidaristico della previdenza comple-
mentare che in qualche misura si poteva considerare di ritorno alla previ-
denza delle origini.
La massa dei contributi versati oggi da, o per, i lavoratori a favore dei
fondi pensione sindacale, allo stesso modo di quelli commerciali concorro-
no, infatti, al mercato finanziario e ne condizionano i rendimenti entrambi,
confermando così non solo la libertà di adesione ma anche la libertà di
circolazione dei lavoratori all’interno del sistema.
Il tema della portabilità assume, quindi, all’interno del sistema rile-
vanza strategica in quanto nelle nervature più sensibili della sua disciplina
risiederebbe il possibile indebolimento dell’interesse collettivo.
La piena libertà di concorrenza si assocerebbe, infatti, ad elementi di
completa libertà di portabilità e di circolazione tra un fondo e l’altro.
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’ 10
Ma secondo l’opinione in dottrina prevalente non è ammesso che le
scelte e le valutazioni individuali possano sovrapporsi alle scelte e alle
valutazioni dell’autonomia sindacale impedendo la realizzazione dell’in-
teresse collettivo da questa individuata.
Il contrasto emerso tra legislatore delegato del 2005 e delegante del
2004 nella previsione legislativa dell’ultima riforma della previdenza com-
plementare (L. 243/2004) si è, in definitiva, rivelato solo apparente perché
il legislatore nell’attuare la delega, avvalendosi del “potere di riempimen-
to” ha coerentemente sviluppato la scelta del legislatore delegato, confer-
mando così la prevalente posizione dottrinale esistente e sancendo la libertà
di organizzazione e azione sindacale cosi come previsto dall’art. 39 Cost.
3. La terza parte della tesi si riferisce ai risvolti e alle problematiche
che la previdenza complementare ha avuto nella pubblica amministrazione
a partire dal 1993, anno nel quale la necessità di mettere un freno al debito
dello Stato spinse il legislatore, con provvedimenti delegati, ad intervenire
congiuntamente sui centri di costo più macroscopici (sanità, pubblico im-
piego, previdenza e finanza territoriale) con l’obiettivo di ridurre o raziona-
lizzare la spesa pubblica e avviando, allo stesso tempo,il processo di rifor-
ma generale del pubblico impiego che negli anni seguenti si completerà con
11 LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’
la legge delega L. 421/1992, il d.lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993 e le sue
successive modifiche e integrazioni, in particolare il d.lgs. 165 del 2001.
Anche il decreto legislativo n. 124 del 21 aprile 1993, il quale disci-
plina e razionalizza le forme pensionistiche complementari pubbliche e
private prima di allora non sistematicamente organizzate, emanato in attua-
zione della stessa legge delega, contribuisce ad avviare il processo di ar-
monizzazione tra la disciplina dell’impiego pubblico e di quello privato,
iniziato, seppur timidamente e a piccoli passi, già dalla metà degli anni
ottanta.
Ora, proprio il trattamento economico cui fa riferimento il decreto le-
gislativo 124/’93, mostrava una prima atipicità nel pubblico impiego non
immediatamente livellata dal precetto normativo.
L’idea di fondo, quella del dirottamento di consistenti quote del TFR
al finanziamento dei fondi di previdenza complementare, era limitata
dall’inesistenza, all’epoca del varo del d.lgs. 124/93, di una disciplina sul
trattamento di fine rapporto nel pubblico impiego.
Questa anomalia poneva problemi di utilizzo delle varie indennità per
diversi ordini di ragioni.
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’ 12
Innanzitutto per la differente natura degli istituti (l’indennità di fine
servizio e il trattamento di fine rapporto) che interessano i lavoratori pub-
blici e privati.
Le indennità di fine servizio, di natura previdenziale e non retributiva,
erano inutilizzabili ai fini propri della previdenza complementare perché
non erano originate da accantonamenti annui ma finanziate con contributi a
carico dei prestatori e dei datori di lavoro.
Il TFR, invece, essendo originato dagli accantonamenti annuali posti
interamente a carico del datore di lavoro, si presta meglio ad essere utiliz-
zato come fonte di finanziamento dei Fondi pensione.
Per ovviare a questa discrasia normativa, che ancora oggi divide for-
temente il settore privato da quello pubblico, si è avviato un lungo percorso
normativo e giurisprudenziale tendente ad armonizzare, come si è detto, le
forme di finanziamento della previdenza complementare, la gestione dei
fondi e il trattamento fiscale, profondamente differenziato nei due settori
considerati.
Questo percorso, almeno nominalmente, non si è completamente con-
cluso.
Attraverso la contrattazione collettiva e alcuni DCPM (1999 e 2001)
fu, inizialmente, indicato il limite del 2% come quota massima di TFR
13 LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’
destinabile ai fondi, successivamente fu stabilito che la quota era definibile
dalle parti istitutive con apposito accordo.
Quindi, nel pubblico impiego la disciplina attuale prevede:
a) l’applicazione obbligatoria del TFR per:
- lavoratori assunti a tempo determinato dopo il 30 maggio 2000
(come disposto dal Decreto Presidenza Consiglio dei Ministri
20/12/1999;
- lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre
2000 (come disposto dal Decreto Presidenza Consiglio dei Mini-
stri 2/03/2001.
b) la permanenza in regime di TFS per il personale a tempo indeter-
minato in servizio alla data del 31 dicembre 2000 con possibilità di
optare per il TFR mediante l’adesione ad un fondo pensione com-
plementare.
Rimangono al momento in regime di TFS, quale che sia la data della
loro assunzione nella Pubblica Amministrazione, i magistrati ordinari, am-
ministrativi e contabili, gli avvocati ed i procuratori dello Stato, il personale
militare e delle forze armate di polizia, il personale della carriera diploma-
tica e prefettizia, i professori ed i ricercatori universitari, nonché i dipen-
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’ 14
denti degli Enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate
dall’art. 1 del d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato.
A questo punto della trattazione ho ritenuto utile fare una disamina, se
pure sintetica, dei fondi pensione esistenti nella pubblica amministrazione.
Il Fondo di previdenza complementare per i lavoratori della scuola, il
c.d. “Fondo Espero”, tra questi, è la prima esperienza di previdenza com-
plementare nella Pubblica Amministrazione e si basa su un sistema di fi-
nanziamento a contribuzione definita ed a capitalizzazione individuale.
L’atto costitutivo di quello che oggi è il maggiore Fondo del Pubblico
Impiego al quale sono interessati oltre un milione di dipendenti, è stato
sottoscritto dai rappresentanti legali dell’ARAN e delle OO.S.S. della scuo-
la nel 2003.
4. La quarta parte della tesi è finalizzata a dare uno sguardo d’insieme
ai fondi della previdenza attualmente esistenti secondo le stime recente-
mente fornite dalla COVIP.
Alla fine del 2007, il numero complessivo degli iscritti alle forme pen-
sionistiche complementari, superava i 4,5 milioni, con un aumento di oltre
un milione e quattrocentomila unità, pari al 43 per cento rispetto al corri-
spondente dato di fine 2006.
15 LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’
CAPITOLO I
IL SISTEMA PREVIDENZIALE
1. Le origini delle assicurazioni sociali: la previdenza mutualistica
Le trasformazioni economiche e sociali determinate dalla rivoluzione
industriale
1
posero in piena evidenza anche il problema di quanti si veniva-
no a trovare in condizioni di bisogno. Ciò soprattutto perché le nuove strut-
ture economiche e sociali determinate dall’industrializzazione, dal fenome-
no dell’inurbamento e dai bassi livelli salariali resero difficile, se non addi-
rittura impossibile, il ricorso alla tradizionale solidarietà familiare e inade-
guati gli interventi della previdenza pubblica e privata, mentre l’abolizione
1
Il forte processo di industrializzazione, che caratterizzò soprattutto l’Inghilterra di quegli anni, stimolò la nascita di
associazioni sia tra lavoratori che tra datori di lavoro: le Trade Unions, la prima forma di sindacato dei lavoratori,
testimoniano chiaramente una sempre più marcata coscienza sociale ad opera del proletariato. Forme di assistenza e
previdenza sociale si ebbero in Francia e in Inghilterra alla fine del ‘700: in Gran Bretagna si sviluppò una politica
che prevedeva l’erogazione di sussidi alle famiglie nonché interventi di assistenza pubblica: i sussidi integravano il
salario in misura proporzionale al numero di bocche da sfamare. Sull’argomento esiste una grande produzione
letteraria. Fra tutti:
R. PESSI Lezioni di diritto della previdenza sociale, Padova, 2001, pag. 39. L’autore sottolinea che “ Il problema del
lavoro, tuttavia, aveva trovato (…) prime risposte nell’associazionismo sindacale, nella contrattazione collettiva (il
primo concordato di tariffa è stipulato in Italia, a Torino, nel 1848 ed interessò i tipografi) e nella mutualità volonta-
ria.
Quest’ultima ebbe le sue prime realizzazioni con le società di mutuo soccorso (già presenti in Francia, in Inghilterra e
nella stessa Italia del Nord alla fine del ‘700) associazioni volontarie di lavoratori, che provvedevano a erogare, con
l’accantonamento di contributi da parte dei soci, prestazioni a quanti di essi si fossero trovati in condizioni di bisogno
a causa di malattia, infortunio, invalidità e, in alcune ipotesi, vecchiaia e morte (a favore dei familiari del defunto).
La tecnica utilizzata era in qualche misura assimilabile a quella della Casse di Resistenza, istituite per consentire di
sopperire alla carenza di reddito, generatrice di bisogno (di cui peraltro, in quest’ipotesi è possibile governare l’an ed
il quando) a seguito di conflitto collettivo. Lo schema nella tutela dell’evento previdenziale è peraltro, quello assicu-
rativo (anche se con l’eliminazione dell’intermediario assicuratore): qui, infatti, i soci, in ragione di un rischio
comune generatore del bisogno, si impegnano a ripartire tra loro le conseguenze economiche dannose derivanti
dall’evento temuto, erogando prestazioni finanziate con i contributi di ogni associato.
LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: UN RITORNO ALLA MUTALITA’ 16
delle corporazioni aveva eliminato, anche nei riguardi di chi esercitava i
mestieri tradizionali, ogni forma di solidarietà tradizionale.
2
L’ideologia liberale, allora dominante, riteneva che gli stessi lavorato-
ri avrebbero dovuto provvedere a far fronte, con il risparmio, ai loro biso-
gni futuri. Pertanto, l’assistenza pubblica, in ogni caso eventuale ed occa-
sionale, era destinata a garantire più la conservazione dell’ordine pubblico
che la tutela di chi si trovava in condizioni di bisogno.
2
M. PERSIANI, Diritto della Previdenza Sociale, Padova, 2007, pag. 6. R. PESSI, Lezioni di diritto della previdenza
sociale, cit., pag. 45. sostiene che “L’Ottocento si concludeva con la nascita della previdenza e dell’assistenza sociale
nel nostro paese e ciò era reso possibile e necessario dalla circostanza che lo Stato italiano aveva assunto ormai una
sua precisa identità nel contesto economico europeo, laddove al momento della sua unificazione esso si presentava
come un frastagliato universo di economie regionali (con l’aggravante, in termini di debolezza, della assenza di una
loro complementarietà).” … “Costanti di questo nuovo corso furono,per un verso, i massicci programmi di infrastrut-
turazione (ferrovie, bonifiche, nuovo sviluppo urbano, servizi in campo militare e civile, in particolar modo scuole ed
università) per l’altro, gli interventi per costruire un contesto nazionale di attività economica, con la riforma del
sistema bancario e creditizio, di cui la tappa più importante fu la creazione della Banca d’Italia a seguito della crisi
del 1898.”