4
convinzione che le cause del ciclo economico siano “endogene” al libero
mercato e che lo stesso ciclo economico e le depressioni nascano dalle
profondità dell’economia capitalistica di libero mercato. Il Governo deve
quindi intervenire per stabilizzare l’economia e tenere sotto controllo il ciclo
economico.
In questo scenario si colloca la riflessione di John Maynard Keynes
sulle motivazioni della crisi e sugli strumenti per dare un nuovo equilibrio al
sistema economico.
Questo lavoro si articola in tre capitoli. Nella prima parte ci si
propone di tracciare un quadro delle cause e delle caratteristiche della crisi
del 1929. Il secondo capitolo sposta l’attenzione sull’analisi keynesiana
delle dinamiche della Grande Depressione, focalizzata sulla riduzione nel
volume degli investimenti e sui suoi riflessi sulla produzione, sull’occupazione
e sui consumi. Il terzo capitolo esamina infine le indicazione di Keynes per il
superamento della crisi, identificate nell’avvio di misura anti-
deflazionistiche e in una massiccia politica di spesa pubblica allo scopo di
spostare il sistema verso posizioni di pieno impiego e di prezzi stabili.
5
Capitolo primo
La fisionomia economico-finanziaria della crisi del 1929
1.1. La restaurazione della stabilità monetaria, il gold standard e il
boom della seconda metà degli anni ‘20
L’origine della crisi del 1929 risale al decennio precedente,
caratterizzato da un clima di crescita e da condizioni favorevoli di mercato.
Dopo la prima guerra mondiale gli Stati Uniti conobbero un periodo di
prosperità e progresso trainata soprattutto dal settore automobilistico (che
a sua volta ha trascinato con se altri settori come quello metallurgico, della
gomma, i trasporti e l’edile). Sembrava essersi innescato un circolo
virtuoso: l’alta produttività permetteva di mantenere inalterati i salari e i
prezzi dei prodotti sul mercato. Questo favoriva quindi gli investimenti che
permettevano a loro volta di aumentare la produttività2. Tuttavia, agli
investimenti ed al continuo aumento della produttività, non corrispose una
proporzionata crescita del potere d’acquisto. Nei primi anni dopo il primo
conflitto mondiale, lo sviluppo era stato infatti sostenuto dai risparmi
accumulati negli anni della guerra e dai bassi tassi d’interesse.
Il grande boom degli anni Venti ha avuto inizio all’incirca nel luglio
del 1921, dopo un periodo di recessione durato oltre un anno, e si è
concluso nel luglio del 1929. La produzione e l’attività economica
cominciarono infatti a declinare in quel periodo, anche se il crash dei
mercati azionari si verificò solo in ottobre. La tabella seguente mostra
l’offerta totale di moneta e la ripartizione nelle sue componenti principali.
Come si può vedere, durante il periodo del boom l’offerta di moneta
aumentò di 28 miliardi di dollari, cioè un aumento percentuale del 61,8 per
cento nell’arco di otto anni. Ciò equivale a un incremento annuale del 7,7
per cento e a un coefficiente di inflazione piuttosto consistente.
2
P. Gourevitch, La rottura dell’ortodossia: un’analisi comparata delle risposte alla
Depressione degli anni ‘30, in Stato e mercato, 1984, p. 228 ss.
6
Totale dell’offerta di moneta negli Stati Uniti, 1921-1929 (in miliardi di dollari)
Data
Valuta esterna
alle banche
Depositi a vista
modificati
Depositi vincolati
Colonne 1-3 +
depositi del
Governo
Capitale delle
Savings and
Loan
Associations
Valore netto di
riscatto delle
assicurazioni
Totale offerta di
moneta
Variazione
percentuale sul
periodo
precedente
1921-giugno 30 3,68 17,11 16,58 37,79
1,85
5,66 45,30 -
1922-giugno 30
3,35
18,04
17,44
39,00
2,08
6,08
47,16
4,10
1923-giugno 30
3,74
18,96
19,72
42,75
2,42
6,62
51,79
9,80
1923-dicembre 31
3,73
19,14
20,38
43,50
2,63
6,93
53,06
4,90
1924-giugno 30
3,65
19,41
21,26
44,51
2,89
7,27
54,67
6,10
1924-dicembre 31
3,70
20,90
22,23
47,08
3,15
7,62
57,85
11,60
1925-giugno 30
3,57
21,38
23,19
48,32
3,48
8,06
59,86
7,10
1925-dicembre 31
3,77
22,29
23,92
50,30
3,81
8,48
62,59
9,20
1926-giugno 30
3,60
22,00
24,74
50,57
4,09
8,96
63,62 3,30
1926-dicembre 31
3,83
21,72
25,33
51,12
4,38
9,46 i
64,96 4,20
1927-giugno 30
3,56
21,98
26,46
52,23
4,70
9,98
66,91
6,00
1927-dicembre 31
3,70
22,73
27,37
54,08
5,03
10,50
69,61
8,10
1928-giugno 30
3,62
22,26
28,53
54,68
5,39
11,05
71,12
4,40
1928-dicembre 31
3,59
23,08
28,68
55,64
5,76
11,60
73,00
5,20
1929-giugno 30
3,64
22,54
28,61
55,17
6,00
12,09
73,26
0,70
La colonna 1, valuta esterna alle banche, include monete d’oro, valuta del tesoro, biglietti della Federal Reserve e varie valute minori. La
colonna 3, depositi vincolati, include i depositi presso le banche commercial!, le savings banks e il risparmio postale. La colonna 4 è la
somma delle tre colonne precedenti più l’ammontare trascurabile del depositi del Governo americano; il risultato fornisce il totale dei depositi
e della valuta esterna. Fonte: A. H. Meltzer, A History of the Federal Reserve. Volume 1: 1913-1951. Chicago, 2003, p. 32.
7
Il totale dei depositi bancari aumentò del 51,1 per cento, le quote di
capitale delle savings and loan associations del 224,3 per cento e le riserve
nette delle assicurazioni sulla vita del 113,8 per cento.
L’incremento maggiore ha avuto luogo tra il 1922 e il 1923, nel 1925
e nel 1927. L’improvvisa frenata si verificò nella prima metà del 1929,
quando i depositi bancari si contrassero e il totale dell’offerta di moneta
rimase quasi costante3.
Per essere in grado di dare avvio al ciclo economico, l’inflazione si
deve realizzare attraverso i prestiti concessi al mondo degli affari. Negli
anni Venti si verificò proprio questa condizione: non si ebbe nessuna
espansione della moneta in circolazione (pari a 3,68 miliardi di dollari
all’inizio del periodo considerato e a 3,64 miliardi alla fine). L’intera
espansione è stata promossa mediante i sostituti monetari, cioè attraverso
prestiti e investimenti privati.
Un secondo elemento di accelerazione inflazionistica fu determinato
dai prestiti agli operatori stranieri e ai Governi europei, impegnati a pagare
i debiti di guerra. Alla fine del conflitto infatti Gran Bretagna, Francia e
Italia si erano ritrovate debitrici con gli Stati Uniti di somme ingenti, che
costringevano tutte e tre ad una politica di esportazioni molto aggressiva
per procurarsi la valuta necessaria per pagare i debiti. Si era quindi fatta
strada l’idea di adottare lo stesso espediente dell’indomani della guerra
austro prussiana, quando le riparazioni di guerra imposte alla Francia
avevano permesso non solo di coprire il costo della guerra ma anche di
consentire la ripresa economica. Perciò fu deciso di addebitare i costi bellici
alla Germania4.
L’industria tedesca era uscita dalla guerra stremata. Da allora gli
stessi paesi vincitori, soprattutto gli Stati Uniti, si erano resi conto della
necessità di sostenere l’economia tedesca con ingenti finanziamenti. Questi
finanziamenti avevano creato una triangolazione in cui la Germania usava
3
M. Rothbard, La Grande Depressione, Soveria, 2006, p. 189 ss.
4
L. Villari, L’economia della crisi: il capitalismo dalla “grande depressione” al
“crollo” del ‘ 29,
Torino, 1980, p. 36 ss.
8
gran parte di queste risorse per pagare i debiti a Gran Bretagna e Francia,
e queste a loro volta usavano i capitali per pagare i propri debiti. Questo
sistema sarebbe sopravvissuto fin quando gli Stati Uniti fossero stati in
grado di esportare capitali in Germania.
Pil reale e offerta di moneta negli Stati Uniti, 1900-1945
Fonte: C. D. Romer, Great Depression, in Encyclopædia Britannica, London, 2003, p. 605.
Una terza contraddizione interna all’economia americana era
rappresentata dal sistema finanziario.
Non furono posti limiti alle attività speculative delle banche e della
borsa, dovute alla volontà da parte degli acquirenti di detenere titoli, non
tanto per ottenere dividendi e quindi profitti, quanto per aumentare il
proprio capitale. «Si comperava per rivendere, senza preoccuparsi della
qualità dei titoli: all’aumento della domanda dei titoli si accompagnò quella
delle quotazioni»5. A tutto questo va aggiunta la responsabilità degli uomini
d’affari, rappresentanti di holding che detenevano portafogli d’azioni che
avevano interesse affinché i costi dei titoli si alzassero. Questi speculatori
effettuavano dichiarazioni ottimistiche e spingevano i risparmiatori
all’acquisto di titoli.
5
M. Rothbard, La Grande Depressione, cit., p. 196.
9
L’aumento del valore delle azioni industriali, però, non corrispondeva
ad un effettivo aumento della produzione e della vendita di beni tanto che,
dopo essere cresciuto artificiosamente per via della speculazione economica
diffusasi a tutti i livelli in quegli anni, scese rapidamente e costrinse i
possessori a una massiccia vendita, che provocò il crollo della borsa6.
Infine, un quarto elemento di fragilità del sistema economico
internazionale era costituito dall’assenza di un Paese guida credibile, in
grado di assumersi delle responsabilità in caso di emergenza. Dopo la
guerra il primato sarebbe dovuto passare in mano agli Stati Uniti, che però
non avevano ancora raggiunto a livello internazionale lo status di prima
potenza mondiale (ancora detenuto dalla Gran Bretagna), nonostante il suo
apparato produttivo fosse di gran lunga superiore a quello degli altri paesi
industrializzati7.
L’assenza di una guida economico-finanziaria si rifletteva in modo
drammatico sul sistema internazionale. In particolare negli anni Dieci si
verificarono due fenomeni: da un lato, l’espansione della massa monetaria,
attraverso l’aumento dello stock di riserve d’oro, dovuta al rapporto fisso
stabilito dalle leggi nazionali tra riserve auree dell’autorità monetaria
(banca centrale e/o Tesoro) e base monetaria nazionale; dall’altro, lo
sviluppo delle banche di deposito, non legate alle proporzioni fisse tra
riserve e depositi, mediante l’aumento del coefficiente di moltiplicazione dei
depositi. Questa concentrazione dell’oro nelle mani delle autorità monetarie
trasformò le riserve auree in uno strumento di potere nazionale, la cui
diminuzione veniva interpretata come un indicatore di insicurezza
finanziaria e di debolezza politica8.
Per questo, le autorità monetarie dei paesi che avevano adottato una
parità aurea per la propria moneta si videro costrette a difendere le proprie
riserve metalliche dalle oscillazioni che avvenivano tra i punti dell’oro, e ciò
6
P. Gourevitch, La rottura dell’ortodossia: un’analisi comparata delle risposte alla
Depressione degli anni ‘30, cit., p. 232.
7
U. De Girolamo, La depressione economica del 1929-33. Fatti, teorie, politiche. La
crisi economica mondiale e l’eredità della grande guerra, Perugia, 2006.
8
M. Rothbard, La Grande Depressione, cit., p. 258.
10
poteva avvenire solo se avessero potuto disporre di una massa di manovra
in divise con cui intervenire sui mercati dei cambi, sia a pronti sia a
termine. Nella conferenza di Genova del 1922 venne definito quindi una
sistema misto, noto come gold exchange standard, che da una parte
garantiva respiro all’economia britannica, dall’altro affidava alla sua finanza
un ruolo di regolatore dell’economia internazionale che non era in grado di
assumere9.
Nell’ambito della situazione così delineatasi, gli Stati Uniti
rappresentavano un paese rimasto, dal punto di vista della banca centrale,
al livello di colonia: la maggior parte del surplus stagionale del paese
veniva, infatti, depositato a Londra. Allo stesso tempo, però, veniva
assorbito tutto l’oro che Londra forniva per fare fronte alle oscillazioni
stagionali della domanda di moneta statunitense. Sul totale delle riserve
auree di tutte le autorità monetarie mondiali, la componente del Tesoro e
delle banche nazionali americane crebbe a vista d’occhio e costituì la
maggior fonte di instabilità nell’ambito del mantenimento dell’equilibrio tra
le varie economie10.
1.2. Le cause immediate della crisi del 1929
Per spiegare l’eccezionale gravità della Grande Depressione degli
anni ‘20 vi sono due ipotesi diametralmente opposte.
La prima, legata agli economisti della scuola austriaca (Mises,
Hayek), considera la Depressione come il prodotto inevitabile e disastroso
dell’insostenibile malfunzionamento strutturale dell’economia e del sistema
finanziario provocato dagli eccessi finanziari e monetari che si sono
verificati tra il 1927-29.
9
B. Eichengreen, Gabbie d’oro. Il gold standard e la Grande Depressione, 1919-
1939, Roma-Bari 1994.
10
Ivi, p. 59.