adolescenziale sia un periodo particolarmente ricco di mutamenti
e, di conseguenza, meritevole di interesse.
Anche prima di iniziare questa tesi, avevo già avuto
l’impressione, attraverso le mie esperienze personali, che proprio
durante il periodo della prima adolescenza cominciasse ad
accentuarsi la differenziazione dei percorsi fra maschi e femmine.
Durante questa fase, infatti, ho notato che spesso tendono a
formarsi gruppi distinti in base al sesso, accomunati da interessi
notevolmente diversi.
Per quanto riguarda la capacità di comunicare, si verifica
nei preadolescenti quello che Blos ha definito “ricorso all’azione
piuttosto che alla parola”. Essi sono quelli che riescono a parlare
meno, se confrontati con la seconda adolescenza, durante la quale
invece diventano più disponibili le parole per esprimere quello che
si vuole dire.
Avrei potuto svolgere questo argomento anche solo dal
punto di vista compilativo, in quanto esistono un’infinità di
ricerche, sia nazionali sia internazionali, sui vari aspetti del
cambiamento di sé, nonché sulla nozione e percezione del tempo
nei preadolescenti. Potevo fare, quindi, una raccolti dei dati già
esistenti, però, siccome nel corso di queste letture si è intensificato
in me l’interesse per questo periodo, caratterizzato da frequenti
andirivieni fra l’infanzia e l’adolescenza, ho deciso di raccogliere e
qualche informazione anche direttamente dai ragazzi che mi
stanno intorno.
Questa tesi si compone di otto capitoli, di cui i primi due
a contenuto teorico e gli altri sei di carattere empirico.
Il suo scopo è di cogliere, attraverso le testimonianze
dirette di un certo numero di preadolescenti, il percorso di
cambiamento che essi percepiscono di stare effettuando, come
utilizzano il tempo e quali significati e vissuti esso produce in
loro.
Si vuole poi verificare se ci siano analogie fra questi
risultati e quelli emersi dagli studi elaborati dai ricercatori
citati nei primi due capitoli.
Nel primo capitolo vengono prese in esame le teorie
elaborate da diversi studiosi sul tema del cambiamento di sé.
Sono trattati, in particolare modo, lo sviluppo fisico, lo sviluppo
del pensiero e quello affettivo-relazionale.
Riguardo allo sviluppo fisico, vengono evidenziate le
modificazioni che il corpo dei preadolescenti subisce con l’inizio
della fase puberale.
Significative modificazioni si avvertono anche nel campo
affettivo-relazionale, in particolare nei rapporti coi genitori e con
gli amici. La conquista dell’indipendenza costituisce uno degli
scopi centrali di tutta l’adolescenza. Durante la preadolescenza si
evidenziano le tappe iniziali dell’autonomizzazione, di cui il
graduale distacco dalla famiglia e l’aumento di interessi per i pari
costituiscono gli indicatori più evidenti.
Lo sviluppo del pensiero durante il periodo
preadolescenziale non è così immediatamente percettibile
dall’esterno come lo sviluppo fisico, né si traduce direttamente in
improvvisi cambiamenti di comportamenti. Tuttavia in quest’età
avvengono modificazioni molto significative anche in quest’area,
modificazioni che hanno forti ripercussioni sulla formazione del
futuro adulto. Attorno agli undici-dodici anni ha inizio il
passaggio a un nuovo modo di pensare, che non nega il
precedente, ma lo integra. Questo nuovo modo di pensare è
definito da Piaget (1970) “pensiero ipotetico-deduttivo” (o
formale), e rappresenta lo stato di equilibrio finale e la capacità di
subordinare il reale al possibile.
Nel secondo capitolo vengono prese in esame le teorie
elaborate da diversi ricercatori sul rapporto del preadolescente
con la prospettiva temporale.
Il tempo è percepito come limite dell’esperienza e, nello
stesso momento, come orizzonte all’interno del quale nascono e si
sviluppano i percorsi di vita di ognuno. Il fatto che la propria vita
sia unica, irripetibile e finita porta a porsi interrogativi sul
significato della vita stessa, su cosa si voglia fare e diventare e su
quali risorse si possa contare per raggiungere gli obiettivi
prefissati.
Allo scopo di analizzare nello specifico la scansione del
quotidiano dei preadolescenti, il secondo capitolo si concluderà
citando alcune ricerche empiriche effettuate da Giovannini,
Marzari, Secchiaroli e Benvenuti. Sono stati indagati 561 soggetti,
fra i dieci e i quattordici anni, abitanti in Romagna, con l’intento
di porre l’attenzione in particolare sull’utilizzazione del tempo
giornaliero e sui tipi di attività e relazioni che questi soggetti
tendono a praticare.
Dopo le premesse di carattere teorico contenute nei primi
due capitoli, si passa nel terzo capitolo ad illustrare la ricerca
effettuata, esplicitandone le finalità, i contenuti, lo strumento
d’indagine e il campione utilizzato.
Lo scopo di questa ricerca è di cogliere, attraverso le
testimonianze dirette di un certo numero di preadolescenti, il
percorso di cambiamento che essi percepiscono di stare
effettuando, il modo di utilizzazione del tempo e i vari vissuti
temporali.
Per la raccolta delle informazioni oggetto di questa ricerca,
è stato utilizzato il metodo dell’intervista in profondità, costituita
da ventisei domande (vedi appendice) che si possono considerare,
a grandi linee, mirate a sondare cinque temi ritenuti fondamentali:
1. Come i preadolescenti percepiscono i loro
cambiamenti legati al passare del tempo e qual è il
loro atteggiamento riguardo a ciò che si lasciano
alle spalle;
2. La descrizione di come essi trascorrono il loro tempo
durante la settimana;
3. Le loro riflessioni e i loro punti di vista riguardo al
tempo della quotidianità;
4. Qual è il loro atteggiamento nei confronti del tempo
dedicato alla scuola;
5. Le loro considerazioni sul futuro personale e sul futuro del
mondo.
Per lo svolgimento delle interviste è stato utilizzato il
registratore e sono state formulate a tutti i ragazzi le stesse
domande, seguendo lo stesso ordine prestabilito.
Le interviste, raccolte nel periodo aprile-giugno 1995,
sono state effettuate nelle abitazioni dei soggetti interessati,
avendo cura che non fossero presenti estranei al colloquio, per
non inficiare l’esito dell’indagine, e ogni incontro veniva
precedentemente concordato.
Al termine di ogni intervista, è stato riportato fedelmente
su carta quanto registrato su nastro magnetico, avendo cura di
trasformare in linguaggio scritto anche le eventuali pause,
tentennamenti e diverse intonazioni della voce.
Il campione è costituito da diciotto preadolescenti di
età compresa fra i dodici e i quattordici anni, nove maschi e
nove femmine, residenti nei Comuni di Minerbio e Granarolo
dell’Emilia.
Nel quarto capitolo vengono riportate le testimonianze
dei preadolescenti intervistati riguardo all’esperienza del
cambiamento.
I ragazzi vengono invitati a parlare dei cambiamenti che
hanno notato che siano avvenuti in loro negli ultimi due anni,
nonché a raccontare cosa c’è della loro infanzia che non piace più
e che cosa, invece, piace ancora.
Nel quinto capitolo si vuole mettere in evidenza in che
modo gli individui oggetto di questa ricerca trascorrono le loro
giornate feriali e festive, per capire se, e in che misura, essi
sappiano inserire nella loro agenda giornaliera le varie attività della
giornata, e quali siano gli impegni che, di solito, li occupano
maggiormente.
Nel sesto capitolo sono riportate le risposte date dai
ragazzi in merito ai vissuti relativi al quotidiano, attraverso le quali
si vuole indagare su quale sia il loro punto di vista riguardo al
modo in cui essi spendono il loro tempo. Si vuole scoprire se essi
siano soddisfatti di come trascorrono il loro tempo, se perdano
volentieri tempo e se, e in che misura, si annoino; interessa
conoscere come essi desidererebbero fosse la loro giornata ideale,
come vivono il tempo trascorso da soli e se ritengono di avere
sufficiente libertà di scelta nella programmazione del loro tempo.
Nel settimo capitolo viene trattato il tema del “tempo
della scuola.”
L’esperienza scolastica occupa un posto centrale nella vita
dei preadolescenti: infatti gran parte del tempo che essi hanno a
disposizione lo vivono a scuola. E’ inevitabile. dunque, che questa
scuola lasci delle tracce, sviluppi dei vissuti in questi ragazzi.
Lo scopo di questo capitolo è quello di carpire, attraverso
le testimonianze dirette dei soggetti interessati, cosa essi pensino
del tempo trascorso a scuola.
Nell’ottavo capitolo si pongono in evidenza gli
atteggiamenti e le aspettative nei confronti del futuro dei
preadolescenti oggetto di questa ricerca.
Si vuole così appurare, innanzi tutto, in che misura questi
ragazzi dimostrino di essere in grado di riflettere sia sul loro
futuro, sia sul futuro del mondo.
?1. PREADOLESCENZA E TEMPO DEL
CAMBIAMENTO
1.1. Preadolescenza e adolescenza: alcune
considerazioni introduttive
Nel linguaggio quotidiano si dispone di diversi
termini per parlare dei periodi della vita più visibilmente
coinvolti nei processi di cambiamento che caratterizzano
l’intero arco dell’esistenza. Tra questi il termine
preadolescenza è forse quello che viene usato con minore
frequenza, anche perché si tratta di un periodo poco noto
come a sé stante e l’interesse scientifico verso di esso è
abbastanza recente.
Esistono, comunque, numerose divergenze nel
definire le tre parole (pubertà, preadolescenza e
adolescenza) che compaiono spesso vicine quando si parla
del periodo durante il quale si passa dall’infanzia alla vita
adulta. Siccome una definizione è sempre una convenzione,
si ritiene opportuno specificare cosa si vuole intendere
quando si usa un termine o un altro.
“ Innanzi tutto possiamo dire che pubertà e
adolescenza sono due nozioni non confondibili fra loro, in
quanto si riferiscono a due processi differenti dello sviluppo
individuale. La pubertà è il passaggio dalla condizione
fisiologica del bambino alla condizione fisiologica
dell’adulto; l’adolescenza è il passaggio dallo status sociale
del bambino a quello dell’adulto: essa varia per durata,
qualità e significato da una civiltà all’altra e, all’interno della
stessa civiltà, da un gruppo sociale all’altro.
D’altra parte, i fattori sociali che intervengono in
modo talmente netto sulla fenomenologia dell’adolescenza,
non sono privi di conseguenze neppure sul professo
fisiologico della pubertà, la cui età di esordio dipende anche
dalle condizioni sociali attraverso l’intermediazione dei
fattori nutrizionali e igienico-sanitari. (...) La nozione di
preadolescenza non ha invece la diffusione delle due nozioni
di pubertà e adolescenza, almeno per quanto riguarda
l’ambito psicologico. Essa, infatti, non è utilizzata da tutti
gli studiosi del periodo evolutivo, anche se le tendenze
attuali mostrano un allargamento del suo impiego da
collegarsi con le trasformazioni della società in cui viviamo
e che impongono una ridefinizione dei periodi della vita
umana. (...) Nella prospettiva psicoanalitica i due criteri su
cui si fondano le definizioni di preadolescenza sono da un
lato il criterio cronologico, che pur con varie fluttuazioni da
autore ad autore situa tale periodo fra i dieci e i quattordici
anni, dall’altro il criterio biologico, che pone come centrali
le trasformazioni somatiche che avvengono in tale periodo.
Blos (1979), tuttavia, sostiene che la preadolescenza non
può essere descritta né in termini prettamente cronologici,
né in termini di pura dipendenza dai fattori biologici, poiché
essa appare caratterizzata da una propria specificità
psicologica. Tale specificità può essere confermata anche
dalle difficoltà di trattamento psicoterapeutico dei
preadolescenti, in un certo senso più resistenti e fuorvianti
rispetto ai bambini e ai preadolescenti ” (Speltini, 1993).
Lutte (1987) anziché usare il termine
preadolescenza, parla di prima adolescenza; altri autori
considerano questo periodo come la fase iniziale
dell’adolescenza e sono comunque concordi nell’affermare
che si tratta di un periodo abbastanza definito e specifico,
distinto dall’adolescenza vera e propria. Altri, invece, non
riconoscono questa fase intermedia e fanno decorrere
l’adolescenza dall’inizio della pubertà. Comunque, la
tendenza attuale è di propendere sempre di più verso
l’opzione che distingue una prima e una e seconda fase
dell’adolescenza, stante il costante mutamento della società
odierna e quindi la necessità di ridefinire i periodi della vita
umana. (De Pieri, Tonolo, 1990).
Secondo Petter (1992) sia durante la preadolescenza
che l’adolescenza si assiste ad una intensificazione delle
situazioni conflittuali; da una fase all’altra cambia il modo in
cui queste situazioni di conflitto vengono vissute e
affrontate.
Nella preadolescenza i ragazzi si trovano di fronte a
problemi nuovi, a mutamenti che possono provocare ansie e
conflitti: il corpo si trasforma, cambiano i rapporti con gli
adulti e con i coetanei, il pensiero matura.
De Pieri e Tonolo (1990) definiscono questo periodo
“l’età delle grandi migrazioni”, in quanto si assiste ad una
presa di distanza dalle situazione preesistenti. I problemi che
sorgono da queste trasformazioni si presentano quasi tutti
insieme, e spesso all’improvviso, cogliendo il preadolescente
ancora sprovvisto di strumenti psicologici adeguati per
affrontarli serenamente. Spesso egli non è ancora
sufficientemente in grado di analizzare le situazioni sociali,
di porsi dal punto di vista degli altri e di discutere con loro;
manca una buona capacità di introspezione, come pure
l’abitudine a tenere un diario e a confidarsi periodicamente
con qualche amico; mancano inoltre una prospettiva
temporale e una progettualità abbastanza ampie.
Il ragazzo, alla fine della scuola media inferiore o
all’inizio della media superiore, si può trovare quindi
confuso, in difficoltà di fronte a questi nuovi problemi, che a
volte sembrano travolgerlo, e può entrare in crisi, temendo
di non farcela.
Intorno ai quindici-diciotto anni, invece, Petter
(1992) osserva che il ragazzo, con l’entrata in piena fase
adolescenziale, comincia a sviluppare la capacità di
risolvere quelle situazioni intricate che prima gli
sembravano insuperabili, grazie all’acquisizione graduale
degli strumenti che gli mancavano nella fase precedente.
Situazioni conflittuali, spesso nuove rispetto a prima,
sono comunque presenti anche negli anni successivi alla
preadolescenza: crescendo, il ragazzo va alla ricerca della
propria identità, deve compiere delle scelte sempre più
importanti, imparare ad assumersi maggiori responsabilità, e
così via. Questi nuovi compiti senza dubbio provocano in
lui ansie, conflitti, ma, impossessandosi gradualmente di
strumenti che gli permettono di affrontare le difficoltà
preadolescenziali, egli dovrebbe acquisire sempre maggiore
sicurezza e capacità di vedere chiaro in sé stesso.
Il rischio di enfatizzare situazioni di disagio e
turbamento nel corso dell’adolescenza è stato messo in luce
da Coleman e Hendry (1992), che affermano la necessità di
una teoria della normalità per l’adolescenza, in quanto le
teorie psicanalitiche e sociologiche si sono sempre occupate
principalmente della anormalità, cioè dei casi problematici.
I sovramenzionati autori affermano che non si deve
generalizzare una teoria secondo cui il periodo
dell’adolescenza corrisponda per forza a un periodo di
difficoltà: in alcuni casi questo è vero, ma in molti altri no;
piuttosto essi sostengono “che durante l’adolescenza si
realizzano processi di adattamento” (Coleman, Hendry,
1990, p. 267). Adattamenti di carattere psicologico e sociale
sono necessari per passare dall’infanzia alla maturità, ma
non si può sostenere che questi debbano necessariamente
creare disagi e gravi turbamenti a tutti i ragazzi.
Studi empirici effettuati da Coleman (1974; 1978;
1979; 1980) su gruppi di ragazzi di 11, 13, 15 e 17 anni
hanno cercato di dare una spiegazione del perchè in alcuni
casi ci si trova in difficoltà ad affrontare il periodo
adolescenziale, mentre in altri no.
Traendo spunti da questi studi, Coleman ha
formulato una teoria “focale” dell’adolescenza, secondo la
quale problemi diversi entrano in campo ad età diverse;
solitamente essi vengono affrontati uno per volta,
consentendo così di distribuire nel tempo il processo di
adattamento alle nuove situazioni che vengono a crearsi. I
disagi, secondo Coleman, sorgerebbero nel caso in cui il
ragazzo si trovasse a dovere affrontare problemi diversi
nello stesso momento.
Questa teoria è stata confermata da altri studiosi.
Kroger (1985) ha ripetuto la ricerca di Coleman (1974) in
Nuova Zelanda e negli U.S.A. ed ha appurato che i percorsi
di sviluppo sono quasi identici in tutti e tre i paesi.
Anche Simmons e Blyth (1987) hanno replicato le
ricerche Coleman (1974) e sono giunti alla conclusione che
“... all’inizio dell’adolescenza le conseguenze a livello socio-
psicologico sono determinate dalla natura dei cambiamenti
stessi. I dati indicano che gli effetti più negativi si
producono se i cambiamenti avvengono ad età troppo
precoci, se rallentano o accelerano in misura eccessiva il
livello di sviluppo del singolo individuo rispetto alla norma,
se la transizione fa sì che il giovane venga a trovarsi nel
gruppo di rango più basso nell’ambiente, se il cambiamento
è contrassegnato da una netta discontinuità, e se si ha un
accumulo di cambiamenti significativi a distanza
ravvicinata” (Simmons, Blyth, 1987).
Il modello focale è stato anche oggetto di critica:
Coffield e collaboratori (1986) hanno accusato questa teoria
di banalità, in quanto non spiega le condizioni di vantaggio e
di deprivazione: secondo loro le difficoltà ad affrontare più
di un problema alla volta le potrebbero incontrare non solo
gli adolescenti, ma anche le persone di altre fasce di età.
Questi ricercatori hanno allora presentato un
modello diverso, scaturito da ricerche effettuate su giovani
disoccupati appartenenti a classi sociali disagiate, dove si
evidienzia quanto la classe sociale e il patriarcato influiscano
sulla possibilità degli individui di ottenere privilegi a scapito
di altri. Esistono quindi problemi ed opportunità diverse per
i singoli individui. “Diversamente da Coleman, il quale
afferma che i giovani affrontano un problema per volta,
vorremmo sostenere che la maggioranza di loro lotta per far
fronte a tutti quegli aspetti diversi della vita, che li
colpiscono simultaneamente” (Coffield e collaboratori,
1986, p. 211).
Coleman e Hendry (1992), dal canto loro,
rispondono a questa critica affermando che il modello
focale “considera le transizioni psicologiche
dell’adolescenza, non le condizioni economiche del singolo
individuo. Per esempio, tutti i giovani, indipendentemente
dal loro retroterra sociale, devono negoziare la crescente
indipendenza dai genitori. Il modello focale suggerisce che
sarà più facile affrontare il problema dei genitori se il
giovane non sta, nello stesso momento, lottando per avere
maggiore autonomia all’interno del gruppo dei
pari”.(Coleman, Hendry, 1992, p. 275). Da Hendry stesso
(1983) viene riconosciuto che le condizioni economiche
influiscono sul modo di affrontare l’adolescenza da parte
del giovane, ma egli ritiene che il modello di Coffield possa
essere considerato integrato a quello focale, anzichè
alternativo.
Un’altra critica al modello focale è stata mossa da
Dohrenwend e Dohrenwend (1974), che vedono in tale
modello una teoria degli eventi della vita applicata
restrittivamente all’adolescenza. La risposta che viene data
a tale critica da parte di Coleman e Hendry è che “... mentre
la teoria degli eventi della vita implica semplicemente che
quanti più eventi si verificheranno nella vita dell’individuo,
tanto più stress egli sperimenterà, il modello focale
suggerisce che il giovane è un agente del proprio sviluppo,
che controlla le transizioni dell’adolescenza, laddove è
possibile, affrontando un problema per volta. ... nella
maggior parte delle situazioni il giovane può in realtà
determinare il ritmo del proprio sviluppo”. (Coleman,
Hendry, 1992, p. 276). Essi ritengono che sia proprio
questa capacità, che gli psicologi sociali chiamano “self-
agency” e “locus of control”, a determinare la differenza fra
un individuo e l’altro nell’affrontare con più o meno
successo la fase adolescenziale.
Concludendo, si può in ogni caso affermare che le
fasi preadolescenziale e adolescenziale si possono facilmente
distinguere all’interno del periodo che va dalla fanciullezza
all’età adulta. Si è visto che si assiste, in entrambe le fasi, ad
una intensificazione delle situazioni conflittuali (ritenendo
comunque che non sia il caso di drammatizzare troppo
sull’entità di tali conflitti); è diverso però il modo in cui
queste situazioni vengono vissute: nella preadolescenza i
ragazzi si trovano improvvisamente a dovere affrontare una
serie di problemi nuovi che li coinvolgono sotto tutti gli
aspetti, e verso i quali essi non hanno ancora sviluppato
adeguati strumenti. Nella fase seguente, cioè la piena
adolescenza, si assiste ad un progressivo maturare di certe
capacità intellettive che permettono ai ragazzi di adattarsi
più facilmente alle nuove realtà.
1.2 Sviluppo fisico
Il preadolescente attribuisce una grande importanza
al proprio corpo, ponendo molta attenzione a tutte le
modificazioni che avvengono in esso (De Pieri, Tonolo,
1990). Spesso queste modificazioni sono per lui causa di
ansia e incertezza, paura di non essere normale, di non
essere accettato dagli altri ... insicurezza legata al non
sapere in che modo si trasformerà ancora il suo corpo nel
futuro.
Durante la fase puberale il corpo del preadolescente
subisce consistenti modificazioni.
Lutte (1987, p. 72) definisce la pubertà fisiologica
come “...uno degli avvenimenti più drammatici dello
sviluppo, paragonabile, per la mole di cambiamenti che
comporta, alla nascita. E’ una metamorfosi, attraverso la
quale il corpo della bambina si trasforma in corpo di donna,
capace di maternità, e il corpo del bambino in corpo di
uomo, capace di fecondare. La pubertà fisiologica si estende
su più anni e interessa l’insieme dell’organismo umano. E’ la
fase finale e più rapida del processo iniziato già con il
concepimento, che giunge alla possibilità di riprodursi”.
Per le ragazze la pubertà inizia e finisce prima
rispetto ai ragazzi. Le età di riferimento per i vari
cambiamenti somatici riportate dalla letteratura sono in ogni
caso età medie rilevate sulla popolazione complessiva e,
ovviamente, comprendono notevoli variazioni fra un
individuo e l’altro.
Nella regolazione delle trasformazioni che
avvengono durante la preadolescenza, ha un ruolo
fondamentale la ghiandola pituitaria, che è situata nella
parte inferiore del cervello. Essa invia alle ghiandole sessuali
- ovaie e testicoli - degli ormoni che ne stimolano l’attività e
che a loro volta stimolano il funzionamento e la crescita di
altre parti del corpo.