ii
La nuova esigenza di coniugare la dimensione dell’economicità con quella della socialità,
pone l’impresa di fronte alla necessità di trovare un metodo per rendere visibile il nuovo
orientamento etico. Parallelamente ad un consumatore più responsabile l’azienda sembra
divenire più altruista. L’ambiente viene considerato realmente come una risorsa strategica
che può essere fonte di vantaggi competitivi ed il cui valore e benefici devono essere
massimizzati con una prospettiva di lungo periodo. Per le imprese emerge dunque una
profonda attenzione ai problemi ambientali, perseguita non con una singola strategia, ma
piuttosto con diverse politiche, comportamenti proattivi e diversi programmi.
L’attenzione alle problematiche ambientali è testimoniata dai dibattiti in merito al
protocollo di Kyoto e al recente accordo tra sei nazioni (Usa, Australia, Giappone, Cina,
India e Corea del sud) sul riscaldamento del clima e le emissioni dei gas serra “parallelo”
al trattato di Kyoto.
Nella trattazione, quindi, è stata sviluppata la dimensione economica dello sviluppo
sostenibile e sono state definite le strategie ambientali -green strategy- proprie delle
imprese e le politiche ambientali -green policy-, intese come gli strumenti operativi da
utilizzare nell’ambito dei programmi e dei piani nazionali.
In un’economia globalizzata è sempre maggiore la necessità delle imprese di presentare
la propria immagine sociale e di farsi riconoscere come attori socialmente responsabili.
Nella trattazione è risultato dunque indispensabile approfondire il concetto di
responsabilità sociale e i tools (bilancio sociale, bilancio ambientale, report di sostenibilità,
green database) utilizzati dalle aziende per documentare la propria
corporate social performance. Inoltre, attribuendo valore, oltre che al puro risultato
economico, ad aspetti quali la qualità, l’immagine, l’affidabilità e la reputazione
dell’impresa, si sono definiti i vantaggi di una gestione responsabile.
Per una verifica empirica delle argomentazioni esposte, verranno presentati e analizzati
dieci casi (Enel, Eni, Ferrari, Granarolo, Indesit Company, Nike, Royal Dutch Shell,
Telecom Italia, Unicredit, Unilever) di imprese multinazionali che, comprendendo ed
apprezzando il valore delle tre dimensioni (sociale, ambientale ed economica) della
sostenibilità, si adoperano al fine di divenire delle Learning Organization, utilizzando
come driver di cambiamento le green strategy e la responsabilità sociale.
In questa sede è bene definire il concetto di multinazionale. Come indica il nome stesso
si tratta di una società che ripartisce, nello stesso momento, le proprie attività in più Paesi.
Affinché una società sia dotata dello statuto di multinazionale, non è dunque necessaria la
quotazione in Borsa né un livello minimo di vendite o di esportazioni. Secondo la
iii
definizione molto generale data dall’Onu, il controllo di almeno una filiale all’estero,
giustificato dal possesso di almeno il 10% del suo capitale, è sufficiente per considerare
una società una multinazionale. Una società multinazionale si può definire meglio come
un’impresa che mantiene degli investimenti diretti oltremare e che effettua azioni a valore
aggiunto in più di un Paese. Una multinazionale trasmette all’estero un set di capitale,
tecnologia, talento direttivo ed abilità di vendita.
La prima multinazionale nasce nel 1930, quando Lever Brothers si sono fusi con
Margarine Unie per formare la Unilever. Lever Brothers fu fondata nel 1885 e produceva
il famoso Sunlight, il primo sapone confezionato per lavanderia al mondo. Lever Brothers
fu una delle prime aziende britanniche che si prese cura, con interesse quasi paterno, del
benessere dei relativi impiegati, tanto da creare una vera e propria cittadina nei pressi delle
proprie fabbriche, chiamata “The Village”, in cui i loro dipendenti potevano vivere.
L’analisi del panel di aziende proposto è stata condotta attraverso lo studio dei bilanci
sociali, dei bilanci ambientali e dei reports di sostenibilità presenti sui siti istituzionali
delle stesse aziende e aggiornati a giugno 2005. Si sono inoltre intessuti dei rapporti di
collaborazione con i responsabili di CSR, Internal Auditing, Ethics Officer e Corporate
Identity di alcune delle aziende del panel (in particolare Eni, Indesit Company, UniCredit,
Granarolo e Telecom Italia), ma anche con associazioni (prime fra tutte Sodalitas) che si
occupano di responsabilità sociale delle imprese e con i responsabili del progetto CSR-SC
del Ministero del Welfare, al fine di ottenere informazioni dettagliate, attendibili e
aggiornate sui case study analizzati.
Fondamentale importanza, per comprendere al meglio il rapporto tra Organizational
Learning e imprese multinazionali, ha rivestito la partecipazione al 5th Meeting of the SoL
European Sustainability Group, organizzato dal Professore Albino in marzo 2005 a Bari e
moderato da Peter Senge (senior lecturer al Massachusetts Institute of Technology, USA),
al quale hanno partecipato alcune delle aziende del panel trattato nel presente lavoro.
La ricchezza di ogni testimonianza consiste nella singolarità di ciascun approccio: ogni
azienda, infatti, in funzione delle proprie caratteristiche, presenta peculiarità assolutamente
individuali. Ciascuna impresa, pur nella propria singolarità, utilizza strumenti comuni e
tutte mirano al raggiungimento dello stesso obiettivo.
Si individueranno dunque dei tools practices indispensabili per la definizione delle aree di
Organizational Learning presenti nelle diverse imprese.
Come si avrà modo di apprezzare, sono proprio questi contributi empirici ad accrescere il
valore della presente ricerca.
1
CAPITOLO PRIMO
1. ORGANIZATIONAL LEARNING
1.1 Organizational Learning: evoluzione storica e contributi
L’apprendimento è un processo di acquisizione e di trasformazione di reazioni, schemi,
conoscenze, abilità e atteggiamenti di un individuo. L’intera nostra vita può essere considerata
come un processo di apprendimento che si attua in forme volontarie e involontarie laddove
l’educazione non fa altro che scegliere ciò che si ritiene utile che sia appreso, i tempi e i modi
più efficaci per l’apprendimento.
Si possono individuare tre fasi dell’apprendimento nella sua più generica definizione: la
fase motivazionale, la fase di tentativi e di errori (trial and error) e la fase di selezione.
Nella nostra memoria rinveniamo la presenza di esperienze passate e la disponibilità a
comportamenti da acquisire. Il momento essenziale della memoria non è tanto il suo rivolgersi
al passato, ma quanto il suo volgersi al futuro per fornire un bagaglio di esperienze utili per i
comportamenti futuri.
Schematizzando il funzionamento della nostra memoria, si può distinguere un sistema di
apprendimento a breve termine e uno a lungo termine. Il sistema di apprendimento a breve
termine può essere di tipo spaziale (ricordo del luogo o della forma) o verbale, quest’ultimo è
caratterizzato da due componenti, una passiva (es. registrazione sensoriale) e una attiva (es.
ripetere sottovoce).
Il sistema di apprendimento a lungo termine può essere di tipo procedurale (il come si
impara, le abilità) e di tipo dichiarativo (l’espressione verbale dei nostri ricordi), che a sua
volta si suddivide in: dichiarativo episodico (il ricordo personale) e dichiarativo semantico (il
ricordo sociale, la nostra enciclopedia).
2
Figura 1 Lo schema di funzionamento della memoria.
Nello studio delle organizzazioni diviene fondamentale la dimensione di apprendimento
continuo - continuous learning - che i nuovi modelli organizzativi sono chiamati ad assumere.
Le organizzazioni non hanno un cervello, ma sistemi cognitivi e memorie. Così come gli
individui sviluppano la loro personalità, il loro carattere e le loro ideologie nel tempo, le
organizzazioni sviluppano una visione sistemica del loro ambiente di riferimento, laddove
l’apprendimento favorisce quel processo di trasformazione attraverso il quale le conoscenze e
le routines vengono arricchite con nuovi saperi.
Il concetto di apprendimento ha accompagnato la storia del lavoro umano: dal lavoro
artigiano all’operaio qualificato, ma l’apprendimento, inteso come acquisizione di conoscenze
a livello individuale, non equivale ancora a learning organization, organizzazione che
apprende.
1.1.1 Evoluzione dei modelli organizzativi
La learning organization è riferita ad una struttura organizzativa che nel suo complesso
sviluppa pratiche volte a generare conoscenze e routines col fine di assicurare
all’organizzazione una migliore capacità di adattamento e di risposta all’ambiente esterno.
Molteplici le definizioni fornite dalla letteratura sul concetto di learning organization.
Peter Senge (1990a) la definisce come “un’organizzazione qualificata alla creazione,
all’acquisizione e al trasferimento di conoscenza che nel modificare i suoi comportamenti
genera nuova conoscenza, dove le persone espandono continuamente la loro capacità di
realizzare i risultati che veramente desiderano, dove le persone imparano continuamente
come apprendere insieme..” e ancora come “un’organizzazione in cui non è possibile non
3
imparare poiché in tale contesto imparare è un processo intrinseco della vita professionale.
La learning organization è una comunità di persone che si scambiano costantemente le loro
capacità e competenze al fine di creare e concepire nuove idee”. Il concetto di learning
organization risulta tanto più rilevante quanto più l’ambiente in cui l’impresa si trova ad
operare è complesso ed incerto. Questo significa che, riprendendo una citazione di Senge, “il
ritmo a cui l’organizzazione impara diventa l’unica fonte del vantaggio competitivo”.
Dixon N. (1994) la definisce come “l’uso intenzionale dei processi di apprendimento a
livello individuale, di gruppo e di sistema, al fine di trasformare continuamente
l’organizzazione in modo da soddisfare in misura crescente i suoi stakeholders”. Ed ancora,
“sviluppo di nuove conoscenze o esperienze in grado di influenzare il comportamento”
(Huber, 1991). “La capacità o i processi nell’ambito dell’organizzazione per mantenere o
migliorare la performance basata sull’esperienza” (Nevis-DiBella-Gould, 1995).
Molte altre sono state le definizioni formulate sul concetto di learning organization, e da tutte
si evince la relazione causale tra la qualità della conoscenza posseduta dagli attori
organizzativi e l’efficacia dell’azione organizzativa.
Con il termine di Organizational Learning – apprendimento organizzativo – consideriamo
l’insieme dei processi che portano l’organizzazione ad analizzare e ripensare criticamente i
propri successi e insuccessi, rivedere in modo continuativo i propri indirizzi strategici e le
routines consolidate ponendo attenzione a tutti i segnali provenienti dall’ambiente esterno,
accettando e valorizzando visioni alternative rispetto a quelle dominanti e soprattutto
sperimentare nuove innovazioni tecniche e organizzative, il tutto con l’obiettivo di costituire
le condizioni di lavoro che consentano alle persone di esprimere le proprie potenzialità di
apprendimento a vantaggio dell’azienda stessa.
Piaget (1969) insegna che tutto ciò non basta, l’apprendimento richiede l’interpretazione
di passate esperienze e tale interpretazione è guidata da schemi, modelli e obiettivi già
preesistenti a livello individuale ed organizzativo. Il processo di apprendimento può essere
descritto come una ruota. La ruota è suddivisa in quattro quadranti che, idealmente, ruotano in
sequenza così come gira la ruota. Il primo quadrante è costituito dalle domande o necessità
sorte dai problemi che attendono una risposta. Nel secondo quadrante troviamo la ricerca di
risposte o idee alle domande e necessità. Nel terzo quadrante testiamo l’attendibilità delle
soluzioni, ed infine selezioniamo la soluzione migliore. Solo quando l’intero processo è
completato possiamo dire di aver appreso qualcosa. Così operando la ruota spinge
4
l’organizzazione ad acquisire l’abitudine ad apprendere, quale caratteristica principe di una
learning organization.
In letteratura sono citati due tipi di apprendimento: il primo è l’apprendimento adattivo o
a circuito singolo - single loop learning - (Argyris, 1987) che ha luogo all’interno di una serie
di vincoli apparenti e non apparenti che riflettono le assunzioni dell’organizzazione su se
stessa e sull’ambiente.
Il single loop rappresenta un elemento essenziale, in quanto riguarda la correzione delle
variazioni (errori) che si verificano in un determinato sistema. Comporta cambiamenti nelle
regole esistenti (ciò che si deve fare e come farlo), ma si verificano problemi allorquando
politiche ed obiettivi nelle organizzazioni sono individuati solo a partire da tali esigenze di
correzione “semplice” dei problemi, senza una verifica delle cause che li hanno determinati.
Questo processo concerne essenzialmente l’efficienza, ossia il miglior modo per raggiungere i
fini organizzativi nell’ambito delle norme vigenti. Molte delle misure adottate per migliorare
la qualità, i servizi e le relazioni con i clienti prendono luogo da questo livello. A tale livello
di apprendimento gli insights (teorie e assunzioni) che sottostanno alle regole non sono messe
in discussione. Non si verifica nessun cambiamento a livello strategico, strutturale, culturale
dei sistemi organizzativi. Tale ciclo può essere descritto come un miglioramento delle regole
e delle soluzioni sono ricercate negli insights.
L’apprendimento generativo o a doppio circuito - double loop learning - ha luogo quando
l’organizzazione è disposta a porre in discussione assunzioni consolidate sulla sua missione e
sulle sue capacità, e richiede che siano sviluppati nuovi modi di vedere il mondo, in quanto gli
attori organizzativi sono in grado di confrontare continuamente le loro interpretazioni e di
costruire continuamente mappe condivise della realtà in cui operano. Inoltre, Slater e Narver
(1995) ritengono che l’apprendimento generativo sia in grado di rompere i confini e conduce,
con maggiore probabilità, alla creazione di vantaggio competitivo, rispetto all’apprendimento
adattivo, ma tale vantaggio può essere preservato solo tramite il miglioramento continuo.
Il più alto livello di apprendimento genera una variazione non solo nelle regole, ma anche
negli insights e principi organizzativi che, nel loro complesso, definiscono il comportamento
organizzativo (organizational behaviour).
5
Figura 2 Learning loops and organizational behaviour, Swieringa, 1992.
Adottando il framework di sviluppo organizzativo di Greiner (1972) possiamo traslare le
fasi di crescita e di crisi di un’organizzazione alle fasi di apprendimento competitivo
-competitive learning- e di apprendimento statico -static learning-, sostanzialmente
caratterizzata quest’ultima da un basso livello di apprendimento. Tale situazione comporta
un’incapacità di rispondere agli stimoli dell’ambiente esterno, facendo cadere
l’organizzazione in una crisi di apprendimento. Tuttavia, questa situazione di crisi può essere
vista come opportunità di crescita e di sviluppo.
Figura 3 Life cycle of organization, Greiner, 1972.
La necessità di adeguarsi al cambiamento ha imposto un salto qualitativo e quantitativo
delle prestazioni di tutta l’impresa, di livello tale che il riallineamento necessario della
competitività è possibile solo attraverso un profondo cambiamento della struttura
6
organizzativa e della cultura. Principi di base di questo cambiamento dovranno essere una
chiara individuazione dei prodotti/servizi, dei mercati/clienti; il miglioramento continuo delle
performance; il coinvolgimento e la partecipazione di tutti; la gestione dell’innovazione.
Inoltre, il processo di design della nuova struttura organizzativa dovrà garantire nuove logiche
di supervisione, coordinamento e integrazione e il vertice aziendale dovrà definire le strategie
e le politiche, garantire l’integrazione tra l’azienda, il mercato e le diverse unità organizzative
e dovrà essere l’agente promotore dell’identificazione del singolo col proprio lavoro.
Condizioni per realizzare la partecipazione diffusa all’apprendimento continuo sono:
• la massima trasparenza e un elevato tasso di circolazione delle informazioni;
• la gestione di un processo di pianificazione, che sviluppandosi dal vertice verso la
base, nella fase di definizione degli obiettivi, delle policies, consenta l’ottenimento
del consenso sugli obiettivi stessi e la più ampia partecipazione;
• la cultura dell’apprendimento -learning on the job- per una continua crescita della
professionalità individuale;
• nuovi sistemi di valutazione e premianti.
I fattori che evidenziano le differenze tra il modello organizzativo tradizionale gerarchico
e centralizzato ed il modello della learning organization sono sostanzialmente i seguenti:
• una diversa attribuzione dei ruoli e delle responsabilità. Cambia il ruolo del vertice,
che deve definire strategie e policies, del management intermedio, che fornisce
supporto professionale e garantisce il coordinamento interfunzionale;
• la professionalità. Nell’organizzazione tradizionale essa è limitata all’esecuzione
tecnica, in una learning organization presuppone l’apprendimento continuo;
• gli strumenti. Rispetto ai meccanismi gestionali concepiti al di fuori dell’unità
operativa, nuovi strumenti dovranno essere messi a punto e utilizzati dagli esecutori.
In tal caso sarà necessaria un’integrazione e una coerenza con il sistema di controllo
e di reporting direzionale;
• la trasparenza e la visibilità, in senso orizzontale e verticale, e i sistemi di
comunicazione diventano fattori indispensabili al modello organizzativo;
• i sistemi di valutazione: orientati ai comportamenti e ai risultati;
• la cultura del miglioramento continuo con tensione dell’apprendimento diffuso.
La struttura organizzativa orizzontale, organica e decentralizzata, adotta un potente
strumento: l’empowerment. L’obiettivo sarà quello di un maggior coinvolgimento dei
7
subordinati ad una chiara condivisione degli obiettivi di gruppo e una loro maggiore
responsabilizzazione del flusso di lavoro, delle decisioni e delle azioni, anche se la
responsabilità della direzione strategica rimane sempre privilegio del top. Il tutto richiede una
filosofia della gestione aperta alla riflessione, all’accettazione dell’incertezza e dell’errore
come lezione per il futuro, che enfatizzi la partecipazione di tutti.
Figura 4 Evolution of the learning organization, Daft, 1984.
1.1.2 L’apprendimento individuale ed organizzativo
Ognuno di noi intuisce molto chiaramente cosa vuol dire che un individuo apprende. Ma
cosa significa che un’organizzazione apprende?
Polany (1962) considera il fatto che gli individui apprendono più di quanto sono capaci ad
esprimere e che apprendere è un processo che comprende più dimensioni, è un meccanismo
che unisce la conoscenza tacita con quella esplicita, il patrimonio specialistico e le abilità
individuali. Certamente le persone all’interno delle organizzazioni imparano, e ciò che esse
imparano si riflette sulla performance e sulle capacità dell’impresa. Per cui, quando si
argomenta dell’apprendimento organizzativo, si considera che questo sia filtrato da un
precedente apprendimento individuale.
Se un’organizzazione è in grado di apprendere, ciò dipende dal fatto che al suo interno
operano soggetti che apprendono (Argyris-Schön, 1978). Ben si comprende come l’analisi
della dimensione individuale sia un punto di partenza per lo studio dell’apprendimento
organizzativo, anche se ci si renderà conto che non sarà poi sufficiente.
8
Le organizzazioni possono apprendere creando artefatti tangibili (nuovi impianti o nuove
applicazioni tecnologiche sviluppate all’interno dell’impresa) o intangibili (codici e linguaggi
organizzativi, credenze e competenze condivise) che incorporano competenze specifiche.
Nel modello sviluppato da Kolb (1976), l’apprendimento individuale è un processo
articolato in quattro fasi:
• l’esperienza concreta, che offre del materiale grezzo per una elaborazione da parte
del soggetto sperimentatore;
• l’osservazione e la riflessione, con cui si estraggono (spesso inconsciamente)
nozioni dall’esperienza maturata;
• la concettualizzazione, mediante la quale si compiono astrazioni che danno luogo ad
una ricombinazione delle conoscenze;
• la definizione del piano di azione futura, che permette di correggere i precedenti
comportamenti, migliorandoli se corretti o definendone dei nuovi.
Weick (1985) propone uno schema di apprendimento individuale basato su:
• effectuating, l’azione è il principale strumento per sviluppare intuizione;
• triangulating, è necessario elaborare i dati rilevati empiricamente;
• affiliating, le persone apprendono confrontando ciò che vedono con ciò che qualcun
altro vede e dopo negoziano alcune mutuabili versioni dell’accaduto;
• deliberating, le persone apprendono attraverso il lento e accurato ragionamento
durante il quale formulano idee e ricercano conclusioni;
• consolidating, le persone apprendono quando collocano gli eventi nel loro contesto.
Ma, una somma di apprendimenti individuali, anche non collegati tra loro, è sufficiente per
qualificare un apprendimento organizzativo?
L’apprendimento organizzativo richiede un processo di diffusione osmotica delle conoscenze
dall’individuo al resto dell’organizzazione. Poiché le conoscenze sono spesso generate in
modo tacito, generate informalmente dai singoli operatori sotto forma di skills
1
(Nelson -
Winter, 1982), o in modo fatto inconscio - conoscenze tacite - (Polany, 1962), tale processo è
difficile da realizzare. Assai spesso le conoscenze sono incorporate in routine, ossia in taciti
schemi di comportamento condivisi da gruppi di operatori, consolidatisi a seguito di ripetute
applicazioni che, con il passar del tempo, hanno reso implicito il problem-solving
1
Capacità di dimostrare un sistema di comportamenti funzionale al raggiungimento di un risultato. (Camuffo, 1997).
9
configurandosi quasi sempre come risposte meccaniche a fronte di determinati stimoli
(Nelson -Winter, 1982).
Solo trasferendo gli apprendimenti individuali nei modelli mentali condivisi dai membri di
una organizzazione (“mental shared maps”, Argyris - Schön, 1978) l’apprendimento diviene
organizzativo.
Nonaka (1994), partendo da Polany, trasferisce le componenti tacite ed esplicite
dell’apprendimento individuale al contesto organizzativo. Egli parla di conoscenza esplicita,
quindi formalizzata e facilmente comunicabile, e di conoscenza tacita, difficile da
formalizzare e da trasmettere, di solito identificata con il know-how. Nonaka parte
dall’assunto che la forma tacita ed esplicita della conoscenza non rappresentano due diversi e
contrapposti modi di essere delle conoscenze aziendali.
Un primo passo è l’adozione di una strategia del sapere condiviso (Rullani, 1994) facendo
in modo che le conoscenze tacite siano trasmesse a persone dotate di competenze tecniche o
comunicative necessarie per la loro esplicitazione: socialization (passaggio dall’implicito
all’implicito). In tal modo le conoscenze passano da chi le ha sviluppate ad altri in grado di
manipolarle mantenendo il loro carattere tacito (es. : on the job training). Si attua un processo
di socializzazione del mestiere: è il caso della conoscenza per osservazione diretta e pratica.
Un secondo passo è caratterizzato dall’esplicitazione delle conoscenze trasmesse,
rappresentandole in un codice formale: esternalization (passaggio dall’implicito all’esplicito).
L’obiettivo è quello di rintracciare i meccanismi di esplicitazione del tacito, per poter rendere
disponibile a tutti il patrimonio conoscitivo in modo da rendere la conoscenza condivisibile.
A tal punto il sistema informativo aziendale consente un’ulteriore elaborazione delle
conoscenze formalizzate e ad una loro diffusione su larga scala: combination (passaggio
dall’esplicito all’esplicito) o strategia del sapere trasferibile (Rullani, 1994).
Ultimo step è l’interiorizzazione delle conoscenze elaborate, affinché gli operatori
chiamati ad impiegarle siano in grado di tradurle in nuove capacità: internalization (passaggio
dall’esplicito all’implicito). La conoscenza è assorbita e fatta propria ed è considerata come
un dato di fatto, uno dei tanti strumenti e risorse necessarie per svolgere il proprio lavoro.
Non basta che gli individui apprendano perché apprendano le organizzazioni. E’ in ogni modo
necessario che la conoscenza individuale sia trasferita dai singoli all’organizzazione e da
questa incorporata, per impedire che il turnover del personale porti alla perdita delle
conoscenze acquisite.
10
Figura 5 Le fasi di trasformazione della conoscenza secondo Nonaka.
Il processo di interiorizzazione si esprime in quelle che Argyris identifica come teorie
espoused e teorie in uso.
Le prime sono quelle che sottostanno alle azioni, ovvero ne rappresentano lo sfondo
implicito (sono quelle contenute nei documenti formali dell’impresa), mentre le seconde sono
quelle espresse, esplicite, normalmente non formalizzabili in regole scritte (sono quelle
costruite sull’osservazione dei comportamenti reali). Se non si avvia un processo di
esternalizzazione, capace di fare entrare in contatto le teorie dichiarate con quelle praticate,
non si verifica un processo di apprendimento organizzativo. In tal modo l’apprendimento
organizzativo si identifica con un complesso processo di sense making verso l’ambiente
circostante, il cui risultato è una continua camaleontizzazione della conoscenza e la creazione
di un circuito sinergico: cambiamento-apprendimento.
1.1.3 Circuiti di Organizational Learning
Frutto dell’osservazione di casi e di interpretazione di esperienze, con l’ausilio di un
approccio sociologico e cognitivista, Carmagnola (1997) propone un modello dinamico di
Organizational Learning, identificando metaforicamente l’apprendimento organizzativo con
tre “immagini influenti” -themata
2
- (Holton, 1984), per cui l’apprendimento organizzativo:
• è visto come una “speciazione
3
cognitiva”, e in quanto tale è considerato un percorso
dove si alternano fasi di stagnazione con fasi di rapido sviluppo (es. innovazione).
L’innovazione, quale forma di apprendimento, è facilitata dalla mancanza di vincoli;
2
Immagini che guidano la ricerca influenzando le scelte di strategia cognitiva in modo “ortogonale” rispetto alla dimensione
tradizionale della verità/falsità delle affermazioni. Elementi non logici e non lineari contrapposti alla natura logica dei
concetti in quanto tali. (Holton G., 1984)
3
Processo evolutivo per cui da una specie originaria vengono a costituirsi col tempo nuove specie geneticamente diverse.
(AA.VV., 1981)
11
• è considerato figlio di un “breakdown”
4
generato dalla interazione senza
consapevolezza dei membri dell’organizzazione;
• è giudicato un “processo di scoperta” come nel campo dell’arte e della scienza.
Tommasini (1994) propone sei principali processi di apprendimento organizzativo:
1. apprendere dall’esperienza. Tale processo di apprendimento riguarda la ripetizione
delle pratiche lavorative in cui si articolano i processi produttivi mediante modifiche
incrementali ed è anche definito come “routinizzazione della conoscenza”
5
. In tale
situazione acquisisce importanza il concetto di “routine”, le quali svolgono la stessa
funzione dei geni nell’organismo umano, assicurandone sia la specificità, sia la
riproduzione secondo il patrimonio genetico.
6
2. condividere le conoscenze. Processo rivolto essenzialmente ai gruppi. Se generalmente
la conoscenza nell’ambiente lavorativo è considerata come “situated knowledge”
(Resnick, 1993), prettamente coesa alle pratiche lavorative, la condivisione della
conoscenza rappresenta un ulteriore step dell’ interscambio di mera informazione;
3. traduzione delle conoscenze in competenze. Questo processo enfatizza la problematica
della traduzione della conoscenza tacita, in altre parole quella conoscenza non
interamente conosciuta neanche da chi la mette in pratica. In quest’ottica di idee si
richiederà una nuova visione delle persone nell’organizzazione: “Le persone sono
risorse importanti per l’azienda, perché molte delle risorse invisibili (informazioni e
conoscenze) sono incorporate nelle persone stesse” (Itami, 1987).
4. integrazione tra conoscenze esplicite e tacite. Tale processo è determinante per lo
sviluppo di una conoscenza a livello scientifico (di tipo esplicito);
5. acquisire conoscenze dall’esterno, dal mercato (brevetti, licenze, marchi), dal dominio
pubblico (letteratura scientifica) o da canali informali: clienti, fornitori ed altre
imprese (benchmarking);
4
Interruzione improvvisa degli schemi, delle routines e degli stereotipi consueti, che presenta una possibile biforcazione o
punto critico: le cose possono o cambiare in peggio o in meglio. (Carmagnola F., 1997)
5
Strumento mediante il quale le organizzazioni apprendono, integrando i singoli apprendimenti individuali. (Dills, 1994)
6
L’apprendere dall’esperienza significa anche “evoluzione incrementale delle routines, mediante una coerente sequenza
coerente di attività si selezione, sostituzione e ricombinazione delle stesse routines”. (Nelson-Winter, 1982)
12
6. focalizzare il management sulla conoscenza, praticando strategie non solo di
adattamento alle situazioni ambientali (single loop), ma anche di manovra e di
intervento sul sistema ambientale influenzandolo (double loop) (Senge, 1990b).
7
Figura 6 I sei processi di apprendimento organizzativo, Tommasini, 1994.
1.1.4 Internal & External learning
Solo indagando l’apprendimento organizzativo come un processo multidimensionale sarà
possibile cogliere tutte le caratteristiche del fenomeno che vanno al di là del semplice
learning by doing. Infatti, mentre il learning by doing implica un ruolo passivo da parte
dell’impresa, il concetto di apprendimento organizzativo suggerisce una partecipazione attiva
dell’impresa. Si possono così individuare diverse forme di learning, classificabili secondo
due criteri: l’apprendimento interno e l’apprendimento esterno. Il primo è strettamente legato
alle funzioni aziendali, mentre il secondo riguarda le performance ottenute da altre imprese o
nasce dai rapporti con altre realtà produttive (Malerba, 1995).
L’apprendimento di tipo interno a sua volta si suddivide in:
• apprendimento da utilizzo, che è legato alla capacità di adeguamento ai cambiamenti
nelle modalità produttive e alle nuove tecnologie impiegate;
• apprendimento da esperienza, che è valorizzato dall’esperienza sul campo, la quale
comporta un accumulo di attività che diventa un patrimonio da cui attingere;
• apprendimento da cambiamento esterno, è dovuto alle necessità dell’impresa di
adattarsi all’ambiente competitivo di riferimento;
7
“Diventa essenziale accrescere il dinamismo dei gruppi dirigenti in termini di rapidi cambiamenti dei modelli mentali
attraverso i quali sono messi a fuco gli scenari strategici e le azioni da impostare”. (De Geus A., 1995)