4
La questione del rallentamento della crescita della produttività è di
primaria importanza perché questa entità è la maggiore determinante
dell’incremento dei salari reali e degli standard di vita e dunque del
benessere economico degli individui.
L’incremento della ricchezza derivante dalla produttività in crescita
non è importante solo perché consente di raggiungere standard di vita
migliori, ma anche perché, mettendo a disposizione più risorse,
attenua il conflitto sociale.
Altra conseguenza da non sottovalutare derivante da una
condizione di sviluppo, è la possibile destinazione di maggiori fondi e
forze alla realizzazione di progetti che, pur non producendo
incrementi di ricchezza, giovano comunque al benessere sociale come
la riduzione dell’inquinamento ambientale e la tutela della salute e
della sicurezza del lavoratore.
Vista l’influenza della crescita della produttività sugli standard di
vita, sulla distribuzione del reddito, sul benessere generale degli
individui, acquista ancora maggiore rilevanza lo studio del suo
andamento e di quello che ci si può aspettare per il futuro con un
occhio di riguardo alle cause determinanti le tendenze osservate nei
diversi periodi.
Tra le ragioni più frequentemente addotte per spiegare il calo della
produttività sono considerate la composizione della forza lavoro, che
cambia di frequente a causa dell’ingresso di giovani ed altri lavoratori
inesperti, ed il rallentamento del tasso di crescita del rapporto tra
capitale e lavoro privati, gli investimenti in impianti e strutture non
sono riusciti a stare al passo con l’inaspettato aumento della forza
lavoro impiegata. Inoltre si prendono in considerazione anche il
livellamento delle spese per ricerca e sviluppo, la destinazione di
fondi d’investimento all’abbattimento dei problemi di inquinamento,
la maturazione di alcune industrie a causa della ristretta innovazione
tecnologica apportata ai processi produttivi, gli shock subiti dai prezzi
dell’energia.
5
In tutte le ricerche, comunque, il fattore che viene sottoposto ad un
più attento processo di analisi è la forza lavoro. Per valutarne le
peculiarità si esaminano, di solito, le sue caratteristiche demografiche
ed il livello d’istruzione dei suoi componenti. La struttura della
variabile mostra un grande cambiamento proprio negli anni studiati in
virtù dell’ingresso massiccio di giovani: gli uomini adulti erano il 55%
degli occupati nel 1970, ma solo il 47% nel ’79. La capacità
produttiva di un’ora di lavoro di un uomo sembra uguale a quelli di un
ragazzo inesperto, ma in realtà il primo riceve un salario tre volte
superiore a quello del secondo e una volta e mezzo quello delle donne.
La teoria economica suggerisce che tali differenze riflettono le diverse
capacità, ma se ciò non fosse vero i datori licenzierebbero i loro
lavoratori più vecchi e costosi e ne assumerebbero altri più giovani e
meno onerosi. I differenziali salariali hanno probabilmente a che fare
con la diversa esperienza di lavoro ed è questa dimensione che molti
economisti hanno cercato di osservare per definire la variabile nel
modo più efficace possibile. Munnell(1990b) osserva che l’input
lavoro effettivo crebbe più lentamente delle ore considerate nell’intero
periodo del dopoguerra e che la discrepanza aumentò dopo il 1969.
Comunque verifica che del declino dell’1,4% della produttività del
lavoro, dalla prima alla seconda metà del periodo, il cambiamento
delle caratteristiche di età e sesso della categoria degli occupati,
sembra spiegarne solo lo 0,2%. Un’ulteriore considerazione da fare
per cercare di definire la qualità dei lavoratori è studiarne il livello di
istruzione e come esso si è evoluto nel corso degli anni. Come
misurare gli effetti di una educazione aggiuntiva sul livello di
produttività raggiunta è però un problema complesso.
Darby(’81) usando gli anni medi di studi come indice
dell’istruzione
2
giunge alla conclusione che un livello di istruzione
2
Questi risultano pari a 8 anni circa fino alla fine della seconda guerra, 12 nel 1970, più o meno
12,5 nel 1980. Per questo motivo, ad un primo sguardo, un rallentamento del risultato educativo
sembrerebbe l’origine di una parte del declino della produttività. Altre misure utilizzate per la
definizione della variabile sono la percentuale di coloro che hanno finito le scuole superiori, dal
52% del 1970 al 66% di dieci anni dopo, e la quota di coloro che hanno terminato anche i 4 anni di
college, dall’11% al 16% nello stesso periodo di tempo.
6
superiore conduce a miglioramenti nella produttività, comunque, visti
i risultati, presume che la qualità dell’educazione sia rimasta costante
nel periodo sotto analisi.
In breve, il maggiore fattore che influenza la qualità della forza
lavoro è probabilmente l’influsso di lavoratori inesperti che si realizzò
negli anni ’70 quando venne assorbito il fenomeno del “baby boom” e
la massa fu ampliata da nuovi ingressi di donne. Ponderare i gruppi,
divisi rispetto all’età ed al sesso, attraverso i loro salari relativi è un
aggiustamento imperfetto per considerare le differenze di esperienza,
ma indica comunque che i cambiamenti demografici sono stati
responsabili di parte del rallentamento.
L’altro fattore di produzione tradizionalmente considerato è il
capitale. I cali osservati, sia nella sua accumulazione che nei servizi da
esso erogati, sono cause potenziali dell’andamento negativo della
produttività.
Hudson e Jorgenson (1974) suggeriscono che il tasso di
investimento di capitale possa aver mostrato un rallentamento in
risposta al rialzo dei prezzi energetici. La loro deduzione si basa sul
fatto che l’automazione è una dei maggiori fini di investimento e
l’incentivo a perseguire questo processo, che riguarda la sostituzione
dei lavoratori con dei macchinari, è ridotto quando il costo delle fonti
di energia aumenta. Inoltre i tassi di crescita storici della variabile
sono stati inadeguati a mantenere il rapporto capitale/lavoro al livello
ottimale a causa dell’enorme afflusso di nuovi lavoratori, cosa che ha
causato, senza dubbio, anche il declino della produttività del lavoro.
Va ricordato che più che lo stock di capitale disponibile, per i fini
analitici, sono importanti i servizi da esso generati. Il declino degli
stessi può avere avuto diverse origini come l’aumento dei prezzi
dell’energia che ha reso obsoleto parte del capitale esistente.
Anche Denison(1985) avanza l’ipotesi che gli aumenti dei prezzi
energetici conseguenza degli shock petroliferi degli anni ’70, non
vadano sottovalutati. In seguito ad una analisi più approfondita però
giunge alla conclusione che, al limite, questo effetto si sarebbe fatto
7
sentire dopo il 1979, ma anche allora non avrebbe potuto
rappresentare la causa maggiore del declino subito dal tasso di
sviluppo economico.
Non vanno dimenticate la riduzione dell’inquinamento e la
regolamentazione della sicurezza dei lavoratori che ha richiesto fondi
aggiuntivi, ma non ha creato alcun aumento del prodotto e la
maturazione di alcuni paesi industrializzati e il dollaro forte che ha
ridotto la competitività di molte imprese statunitensi.
Nonostante la presentazione di molte cause potenziali, l’evidenza
indica però che fattori quali l’aumento dei costi energetici, la
riduzione delle spese per ricerca e sviluppo
3
, la destinazione crescente
di fondi a scopi non direttamente produttivi, come la lotta
all’inquinamento, l’errata misurazione del prodotto spiegano solo una
piccola parte del rallentamento della produttività.
Aschauer, nel 1989, identifica una nuova possibile causa del
rallentamento subito dalla crescita della produttività: l’ammontare
dello stock di capitale pubblico, in particolare infrastrutturale, di cui lo
stato è dotato. Come la recente bibliografia dimostra, l’analisi si è con
il tempo evoluta e concentrata, in particolare, su una dimensione
territoriale più circoscritta, per evidenziare come differenti aree, anche
geograficamente vicine, reagiscono agli investimenti infrastrutturali.
Il presente lavoro di ricerca prende spunto e ottiene giustificazione
proprio dalle convinzioni di Aschauer e quanti hanno identificato un
presunto ruolo fondamentale delle infrastrutture per lo sviluppo
economico di un paese.
Nel primo capitolo si presenta una rassegna dei contributi nazionali
ed internazionali apportati, negli ultimi vent’anni, al dibattito centrato
3
Sono state date molte giustificazioni per il rallentamento della crescita della produttività, una di
quelle più ricorrenti è il livellamento osservato nelle spese per ricerca e sviluppo. Questa tendenza
produce una frenata nella crescita tecnologica necessaria non solo alla performance economica del
paese, ma anche al mantenimento di un livello di competitività internazionale accettabile. Tale
voce di spesa, come sottolinea Munnell (1990b) passò dal 6,5% del 1960-’69 al 2,6% del ‘69-’79,
mentre, nello stesso tempo, la produttività dell’economia privata crollava dal 2% allo 0,9%.
Scherer (1982) e Griliches (1980,1983), al riguardo, concludono che tale ipotesi è infondata
perché, al massimo, potrebbe essere sensato affermare che i fondi destinati all’ R&D (ricerca e
sviluppo) siano stati tagliati a causa del rallentamento della produttività.
8
sull’argomento. Ad una sostanziosa serie di lavori che sostiene la
conclusione che le infrastrutture possano avere un’incidenza rilevante
nel determinare il livello di sviluppo economico di un paese o di una
regione, ne seguono altre che confutano la validità di tali convinzioni.
Una volta presentate le diverse opinioni sulla questione, si è operato
un approfondimento volto ad investigare se anche per la regione
Emilia Romagna valgono le conclusioni raggiunte nei lavori
precedenti. Ciò è stato realizzato con una analisi sia di tipo qualitativo,
che quantitativo.
In primo luogo, nel secondo capitolo, si è ricostruito lo scenario che
attualmente caratterizza la dotazione infrastrutturale emiliano-
romagnola, attraverso la valutazione della sua evoluzione storica.
Questo permette di evidenziare con maggiore chiarezza la consistenza
degli investimenti che sono stati realizzati fino ad oggi e di scoprire
anche le eventuali carenze, tuttora rilevabili. Per ottenere un quadro il
più approfondito ed informativo possibile della situazione, le
infrastrutture sono state descritte disaggregate nelle loro componenti
tipologiche principali. La banca dati, proposta in Appendice,
rappresenta una novità in quanto calcola, per la prima volta, gli stock
infrastrutturali della regione Emilia Romagna al livello delle singole
province. Ciò è perseguito ricorrendo ad un procedimento analogo a
quello di Bonaglia-Picci(2000) che presentano, però, osservazioni
disaggregate per le venti regioni italiane.
Dopo aver ricostruito la condizione dello stock di capitale pubblico
disponibile, il lavoro si conclude con un’analisi empirica, di carattere
econometrico, volta a quantificare la rilevanza di questa componente
per il tasso di crescita della produttività dell’Emilia Romagna. I
risultati non forniscono una prova sicura del ruolo delle infrastrutture
in quanto il modello si presenta in una forma differente da quella
tradizionale degli studi presi in rassegna nel primo capitolo.
Comunque, sembra di poter affermare che lo stock di capitale
9
pubblico debba essere inserito nella funzione di produzione
4
, ma non
abbia quell’incidenza, quasi miracolosa, identificata in primo luogo da
Aschauer(1989a). L’elasticità del capitale infrastrutturale nei confronti
dell’ammontare del prodotto regionale si aggira sul 10%, anche se il
valore presenta sensibili dubbi, in termini di significatività statistica.
Sembra comunque ragionevole aggiungere che la maggior parte di tale
influenza è da attribuire alla componente delle infrastrutture primarie
o “core”, comprendenti strade, ferrovie, marittime, idriche e
telecomunicazioni. Infatti le quattro tipologie residue di beni pubblici,
opere di edilizia , igienico-sanitarie, di bonifica e di altro tipo, quando
inserite come variabili esplicative nel modello da stimare, presentano
una rilevanza del tutto marginale, oltre a non possedere anch’esse
alcuna significatività statistica.
In conclusione i risultati che si possono osservare nell’ultimo
capitolo, da un lato confermano l’importanza dell’inclusione dello
stock di capitale pubblico per la stima di una corretta funzione di
produzione, dall’altro sembrano anche supportare i dubbi, sulla
questione, sollevati a più riprese da Holtz-Eakin(1994).
Il dibattito si dimostra dunque aperto e necessita, senza dubbio, di
ulteriori attenzioni ed analisi che possano portare a conclusioni più
sicure, anche sfruttando i dati e le indicazioni ottenute e rilevate nel
presente lavoro.
4
Una tale opinione è fondata sulla ricerca empirica realizzata nel terzo capitolo che assume infatti
una forma simile a quella dell’analisi della causalità, nel senso di Granger.
10
CAPITOLO 1.
IL RUOLO DELLE INFRASTRUTTURE,
TEORIA ED EVIDENZE EMPIRICHE.
1.1 LA DEFINIZIONE DI INFRASTRUTTURA.
Occorre chiarire cosa intendiamo per capitale infrastrutturale: in
senso generale si ricomprende entro tale denominazione tutto il
capitale fisso pubblico, cioè l’insieme di opere pubbliche(strade,
canali, porti, acquedotti, fognature, opere igienico-sanitarie,…)che
costituiscono la base dello sviluppo economico e sociale di un paese e,
per analogia, anche le strutture che si traducono in formazione di
capitale umano. Tra queste l’istruzione pubblica, in particolare
professionale, e la ricerca scientifica intesa come supporto
indispensabile per le innovazioni tecnologiche.
Al fine di presentare una definizione completa, sembra corretto
ricordare le peculiarità del bene “infrastruttura”, che lo distinguono
nettamente dagli altri beni capitali:
- immobilità: un bene è totalmente immobile se non può
essere trasportato in una regione diversa da quella in cui esso si
trova;
- indivisibilità: un bene è indivisibile, se ha una elevata
capacità o fornisce un’ampia fascia di servizi che possono essere
usati più o meno congiuntamente;
- non-sostituibilità: un bene è non sostituibile se la risorsa
non può essere sostituita da altre, se non a costi elevatissimi, e
quindi permette l’applicazione di particolari tecnologie nelle
regioni in cui essa è disponibile e non in quelle dove è assente;
- polivalenza: un bene è polivalente se può essere usato in
molteplici funzioni di produzione, facilitando la produzione di
un’ampia varietà di beni e servizi.
11
Possedere totalmente queste quattro caratteristiche significa essere
un bene pubblico. Nell’economia reale esistono beni misti, che
presentano cioè solo un certo grado di immobilità, indivisibilità, non
sostituibilità e polivalenza ed in misura variabile nel tempo. Questo
implica che la mancanza di alcune risorse non impedisce la
produzione dei rispettivi servizi, ma li rende solo più o meno costosi
se si tenta di sostituirle con capitale e lavoro privati.
Per ottenere una definizione più precisa e specifica di bene
pubblico, si possono considerare l’ubicazione, la struttura urbana ed
anche la struttura settoriale come ulteriori elementi determinanti lo
sviluppo regionale potenziale.
Con ubicazione si intende la vicinanza relativa della regione ai
principali centri economici nazionali, continentali ed anche mondiali.
E’ una risorsa ad alto carattere di immobilità perché non può essere
mutata geograficamente, mentre l’ubicazione “economica”, misurata
in termini di costi di trasporto e di comunicazione, può essere
modificata solo con massicci investimenti nelle infrastrutture di
trasporto o nei mezzi di trasporto privato.
L’agglomerazione e la struttura urbana si riferiscono alla
concentrazione spaziale della popolazione, dei produttori e dei
consumatori all’interno di una regione. I suoi effetti sono simili a
quelli di costo della distanza: più una regione è agglomerata, più bassi
saranno i costi di trasporto e di comunicazione interregionali. Bisogna
considerare che esiste un livello ottimo di questa variabile perché un
suo incremento eccessivo finisce per determinare la comparsa di
esternalità negative come l’inquinamento, la congestione e la
conseguente perdita di tempo libero.
Per struttura settoriale, infine, si intende il rapporto tra le
dimensioni relative del settore agricolo, di quello industriale e di
quello dei servizi, da una parte, e il livello di sviluppo in termini di
reddito pro capite dall’altra. Un’ipotesi molto conosciuta al riguardo
ritiene che le regioni a basso reddito sono caratterizzate da un ampio
settore agricolo, mentre aumenti nel livello di reddito si associano a
12
incrementi del peso relativo del settore industriale ed a riduzioni di
quello agricolo e dei servizi tradizionali. Nelle regioni ad alto reddito
diminuisce in particolare il settore agricolo, ma aumenta il peso dei
servizi di tipo moderno, mentre il settore industriale si mostra costante
o decrescente.
In conclusione le infrastrutture, l’ubicazione, l’agglomerazione e la
struttura settoriale possono essere considerate come le quattro
determinanti principali di quel che viene chiamato sviluppo regionale
potenziale.
Dal punto di vista operativo, molti studiosi hanno fatto riferimento
alla distinzione, operata originariamente da Hansen(1965), tra
infrastrutture di tipo economico, che supportano direttamente le
attività produttive e garantiscono la mobilità dei beni economici, e
infrastrutture di tipo sociale, volte al miglioramento del capitale
umano e all’accrescimento del benessere sociale della popolazione,
che incidono indirettamente sulla produttività
5
.
Nella prima categoria, anche detta economic overhead capital
(EOC), troviamo strade, autostrade, aeroporti, fognature, acquedotti,
rete del gas e dell’elettricità, impianti di irrigazione, nella seconda,
definita social overhead capital (SOC), scuole, edilizia pubblica non
riconducibile a spese EOC, impianti di smaltimento dei rifiuti,
ospedali, impianti sportivi, interventi di bonifica e risanamento
urbano, case di riposo.
5
Sembra opportuno dare una corretta definizione di cosa si intenda per produttività e perché tale
variabile sia così importante. In generale la produttività è una grandezza che misura il rapporto tra
il prodotto ottenuto da un processo produttivo, output, e i fattori produttivi necessari per ottenerlo,
input; la produttività aumenta se con la medesima quantità di fattori produttivi si ottiene un
ammontare addizionale di prodotto. La misura di produttività più semplice da utilizzare è la
produttività del lavoro che si calcola facendo il rapporto tra il prodotto, corretto per l’inflazione, e
le ore lavorate. Una difficoltà sorge dal fatto che la forza lavoro può incrementare l’output , sia
usando più capitale, sia incorporando i cambiamenti tecnologici che si sono verificati. Tale
grandezza non permette dunque di definire con chiarezza se la crescita sia dovuta ad una
aumentata quantità di input impiegati o piuttosto ad un uso più efficiente degli stessi. Una misura
che potrebbe risolvere tale problema è la produttività multifattoriale. Essa è calcolata sottraendo
all’output realizzato, i contributi diretti degli input impiegati. Tale grandezza però è vincolata a
precise assunzioni sulla funzione di produzione che si sta analizzando ed al modo in cui sono
ricompensati i fattori produttivi; per cui è più difficile da calcolare e spesso non è valida per una
analisi su base internazionale. Preso atto del fatto che entrambe le misure di produttività hanno un
andamento analogo, la produttività del lavoro risulta grandezza utile per quantificare lo sviluppo.
13
Comuni a tutte le definizioni di infrastrutture, esistono due
caratteristiche che li distinguono dagli altri tipi di investimento.
L’infrastruttura pubblica fornisce una delle basi fondamentali per
l’attività economica. Inoltre, genera spillover positivi, cioè i vantaggi
sociali eccedono quello che gli individui sarebbero pronti a pagare per
i servizi da essa erogati. Questa peculiarità si realizza per almeno tre
motivi. Innanzitutto, alcune sue componenti, come le strade e le vie
d’acqua, sono servizi non esclusivi. Gli utenti possono condividerli,
fino ad un certo punto, senza diminuire i vantaggi ricevuti dagli altri.
Inoltre, alcuni investimenti infrastrutturali riducono le esternalità
negative, ad esempio l’inquinamento, generate dal settore privato.
Infine, molti progetti di questo genere, come i servizi generatori di
energia, i sistemi di comunicazione, fognari, idrici, producono
economie di scala. Poiché i grandi costi di questi investimenti possono
essere scaglionati tra molti utenti, il costo unitario di produzione
diminuisce al crescere dell’utenza.
In generale, le infrastrutture possono essere considerate come una
parte dello stock di capitale totale di una economia. Esse e
l’ammontare di capitale privato sono dunque i due principali elementi
dello stock totale di capitale, i quali devono essere presenti in una
combinazione ottima per assicurare una allocazione efficiente delle
risorse. Quest’ultima risulta essere, in realtà, spesso ben lontana dal
livello di ottimalità, in conseguenza dei diversi fallimenti che si
verificano nei mercati.
L’ipotesi basilare della teoria dello sviluppo regionale potenziale,
infatti, prevede che migliore è la dotazione regionale di queste risorse,
più alti saranno reddito ed occupazione potenziali. In un certo periodo
ogni regione ne presenta un ammontare specifico ed è la dotazione
relativa che determina i livelli possibili di reddito pro capite e di
occupazione.
Dagli studi di Alicia Munnell (1990b) risulta che anche ignorando
gli investimenti in propositi militari, che rappresentavano il 7% del
totale, lo stock di capitale pubblico statunitense nel 1987 ammontava a
14
circa 1,9 trilioni di dollari, pari al 45% del valore dello stock di
capitale privato. Circa i due terzi del capitale pubblico non militare
rientravano nella core infrastructure (infrastruttura primaria) che
include strade, ferrovie, aeroporti, rete elettrica e gasdotti, impianti
idrici e fognature. Molti sono convinti che tale componente è la più
rilevante nell'influenzare la produzione
6
e dunque sia quella nella
quale operare i maggiori investimenti allo scopo di riavviare il
processo di crescita produttivo auspicato.
Per fornire una valida giustificazione alla preoccupazione palesata
dagli studiosi circa una possibile scarsità di investimenti pubblici in
infrastrutture che conduca ad un persistente andamento negativo del
tasso di crescita produttivo bisogna comprendere appieno la loro
importanza, sia per gli standard di vita degli individui, sia per la
prosperità delle imprese private.
1.1.2. INFRASTRUTTURE E PERFORMANCE
ECONOMICA
Fin dai primi anni ’60, “la qualità della vita” emerse come punto
centrale delle politiche pubbliche. La persistenza di problemi sociali
quali la povertà urbana e regionale, l’inadeguata attenzione per la
salute e la sicurezza pubblica, l’insufficiente disponibilità di abitazioni
come pure il riconoscimento di un crescente degrado ambientale,
6
Bisogna ricordare che ci sono molti strumenti potenziali per alzare la crescita della produttività,
ad esempio aumentando l’andamento dell’accumulazione di capitale, tangibile come impianti e
strutture, o intangibile come quello generato dalle spese per ricerca e sviluppo. Tradizionalmente
la politica fiscale ha assunto un ruolo rilevante incoraggiando i risparmi e l’investimento privati
con incentivi di imposta o alzando l’ammontare di risparmio nazionale attraverso la riduzione del
deficit statale. Secondo l’opinione di Feldstein(1988), un incremento nei tassi di risparmio è la
chiave per un più alto tasso di crescita economica e un aumento più rapido degli standard di vita
delle nazioni. Questo obbiettivo guida le iniziative politiche ad incrementare i tassi di risparmio
nazionali e a stimolare l’accumulazione di capitale privato. Gli economisti sono certi della validità
qualitativa di questi interventi, ma cercano ancora conferme di tipo quantitativo. Quello che essi
hanno in comune è che cercano, attraverso il sistema fiscale, di influenzare sia l’offerta di capitale
di prestito, risparmi, sia la domanda per quei fondi, investimento privato in beni di produzione.
15
motivò la ricerca di metodi corretti per stimare gli andamenti sociali e
le risposte istituzionali appropriate.
Un certo numero di economisti cercò di ampliare i conti pubblici
per considerare anche misure di performance sociale
7
oltre che
economica.
Esistono notevoli collegamenti tra le diverse categorie funzionali di
infrastrutture e i vari aspetti della qualità della vita quali salute,
sicurezza, divertimento, tempo libero ed anche opportunità
economiche. La soluzione migliore per incentivare lo sviluppo,
sembra dunque essere l’identificazione di quelli che possono risultare
determinanti.
Per operare in questa prospettiva, inizialmente, ci si concentra
sull’analisi dell’adeguatezza della provvista infrastrutturale presente e
sulla evidenziazione degli interventi futuri che sembrano necessari ed
improrogabili, al fine di colmare i divari esistenti rispetto alle
necessità ed esigenze reali.
Occorre, però, non perdere di vista i primi problemi che ci si trova
ad affrontare nel momento in cui si voglia garantire un ambiente sano
ai cittadini. L’inquinamento delle acque e lo smaltimento dei rifiuti
solidi sembrano i più diretti e preoccupanti. Nonostante i progressi
operati nel settore, si osservano sempre più spesso, infatti, inadeguati
trattamenti delle acque di scolo municipali e di smaltimento dei rifiuti,
che evidenziano le negligenze e le incapacità delle comunità locali a
provvedere efficacemente e prontamente. La questione è di sicura
importanza in una società come la nostra dominata da un preminente
7
Bauer (1966) formulò un “indicatore dell’andamento sociale” per generare una serie di indicatori
dello stato corrente degli standard vitali negli U.S.A., analoghi agli esistenti indicatori
economici.Un ulteriore sviluppo in questa direzione fu operato da Terleckyj, nel ’75, che ideò un
sistema analitico per la stima dei possibili cambiamenti sociali in seguito alle diverse azioni
politiche realizzabili per risolvere le questioni inerenti salute, sicurezza pubblica, istruzione.
Per misurare gli effetti di tali azioni costruì degli indicatori quantitativi come l’aspettativa di vita
media, connesso al problema della tutela della salute, il numero di crimini ogni 100.000 abitanti,
inerente alla questione della sicurezza pubblica, il numero di individui che concludono gli studi al
college, per il livello d’istruzione. Molte cose sono però cambiate da quegli anni in termini di
ruolo dei diversi servizi infrastrutturali come input per certe attività, di costi di quelli e dei
connessi servizi privati, di vincoli esistenti sull’accessibilità delle risorse basilari, rendendo questo
tentativo obsoleto e dunque non applicabile.
16
consumismo e dunque destinata a produrre rifiuti ad un tasso
decisamente crescente, nei paesi maggiormente sviluppati. E’
allarmante osservare che gli U.S.A. generavano 87,5 milioni di
tonnellate di rifiuti solidi già nel 1960 e nel 1986 sono arrivati a 157,7.
Aschauer(’90), curiosamente, fa notare che tale ammontare sarebbe
sufficiente a riempire “un convoglio di camion da 10 tonnellate di
rifiuti l’uno lungo 145.000 miglia, più della metà della distanza tra la
terra e la luna”.
L’insufficiente investimento in infrastrutture ha prodotto sempre
più gravi problemi ambientali. Ancora Aschauer(’90) da uno studio su
163 discariche municipali di rifiuti solidi scopre che 146 stavano
contaminando le acque del sottosuolo, 73 le acque di superficie e in
molti luoghi pure l’acqua potabile risultava contaminata. La futura
chiusura di strutture per la distruzione dei rifiuti richiederà la messa a
punto di sistemi alternativi in grado di rispondere alle esigenze sociali.
Le prime soluzioni presentate cercano di affrontare la faccenda a
monte attraverso la progettazione e la fabbricazione di prodotti
migliorati che lascino scorie minori e meno tossiche una volta giunti
al termine della loro vita d’uso. Molta attenzione è rivolta al
riciclaggio; anche in Italia si sta cercando di istruire i cittadini a questo
riguardo partendo da una corretta informazione sulla raccolta
differenziata dei rifiuti.
Un’altra categoria di investimenti infrastrutturali di notevole
rilevanza per la vita quotidiana è quella dei sistemi di trasporto,
necessari a fornire una mobilità di base anche a chi non è in grado di
usufruire di mezzi personali. E’ chiara la notevole incidenza di tali
servizi sulle opportunità economiche individuali. L’usuale scarsità di
trasporti dalle zone centrali a quelle periferiche è una causa
dell’inutilizzo delle opportunità di lavoro fornite dai sobborghi. Inoltre
i cittadini disabili non riescono ad essere e sentirsi membri pienamente
produttivi della loro comunità. Connessa a tale categoria di capitale
pubblico è la questione della congestione che crea sempre più rilevanti
17
riduzioni del tempo libero a disposizione degli individui, oltre ad
innegabili peggioramenti della sicurezza dei trasporti.
Nel futuro molte strategie potranno essere perseguite, dal semplice
aumento della capacità, realizzabile con l’ampliamento della
dotazione esistente, ad una migliore gestione delle risorse, che
permetta la massimizzazione dell’offerta della capacità esistente e
riduca il traffico. Questo problema ha anche spinto tutte le maggiori
società di automazione a realizzare sistemi di “navigazione”
elettronici in grado di indicare al pilota le vie più rapide per giungere a
destinazione. Non bisogna dimenticare che gli interventi sui sistemi di
trasporto hanno anche l’obbiettivo di migliorarne la sicurezza e buoni
risultati sono stati raggiunti negli ultimi anni anche se ancora molti
interventi sembrano necessari.
I problemi legati al mantenimento della qualità della vita a buoni
livelli rimarranno sempre un punto centrale delle politiche
infrastrutturali perché trasporto sicuro, acqua pulita, trattamenti dei
rifiuti sono elementi basilari di ogni società civilizzata e di
un’economia produttiva. La loro assenza o la loro inadeguatezza
introduce un maggiore ostacolo alla crescita e alla competitività dei
paesi; il Consiglio Nazionale sul miglioramento dei lavori pubblici
statunitense nel 1988
8
sottolineò l’importanza dell’infrastruttura per
l’economia “in quanto il suo livello qualitativo è indice critico della
vitalità di ogni nazione.”
Per valutare la direzione presa dai governi e l’orientamento passato
perseguito in tema di investimenti in infrastrutture, occorre osservare
l’ammontare e la distribuzione della spesa pubblica.
8
Citato in Aschauer (1990).