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L'obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di trattare il problema
dell'infertilità nelle sue diverse sfaccettature, dando maggior rilievo agli
aspetti psicologici e alle particolari strategie di adattamento (coping
strategies) a cui fanno ricorso i coniugi per affrontare l'infertilità nel
miglior modo possibile.
Attraverso una rassegna della più recente letteratura sull'argomento, si è
cercato di dimostrare che uomini e donne non reagiscono alla diagnosi di
infertilità allo stesso modo e di conseguenza mettono in atto meccanismi
di coping differenti. Nella pianificazione di un intervento psicologico
rivolto a queste coppie, pertanto, è importante che si tengano presenti
tali differenze, in modo da fornire alla coppia gli strumenti più efficaci
per affrontare l’iter diagnostico e terapeutico.
Nella prima parte della tesi, dopo un excursus storico-scientifico del
concetto di sterilità, sono stati trattati gli aspetti più strettamente medici
dell'infertilità (fattori predisponenti, etiologia, diagnosi).
Nella seconda parte si esplorano, da un punto di vista psicologico, le
motivazioni che portano alla formazione della coppia e le reazioni
individuali e di coppia connesse all'infertilità.
Si è centrata, poi, l'attenzione sulla consulenza psicologica nell'infertilità,
evidenziando nello specifico il counselling sessuologico con coppie
infertili.
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La terza e ultima parte riguarda più nel dettaglio le strategie di coping
utilizzate nell'infertilità di coppia e le differenze di genere riscontrate
nell'utilizzo di questi meccanismi.
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PRIMA PARTE
L’INFERTILITA’: ASPETTI MEDICI
CAPITOLO 1
1.1 Evoluzione storico-scientifica del concetto di sterilità
La mancata capacità di riprodursi e quindi di perpetuare la specie, che è
caratteristica dell’essere vivente, ha costituito sempre una delle maggiori
problematiche vissute con interesse e quasi paura da tutti i popoli.
Non si sa con certezza in quale momento della sua evoluzione l’Uomo si
sia posto questo problema. Studi antropologici hanno dimostrato che
sicuramente passò del tempo dal momento in cui l’Uomo diventò
“mammifero pensante” a quando riuscì a stabilire un rapporto causale tra
coito e fecondazione.
Le prime documentazioni sono state rintracciate in papiri Egiziani, in
iscrizioni lasciate dai Babilonesi (in cui sono descritti anche dei rimedi
per la donna sterile) e nell’Antico Testamento. D’altra parte anche
l’antica medicina indiana fu particolarmente sensibile a queste
problematiche, infatti nell’Agur-Veda, uno dei più antichi testi indiani,
un vasto capitolo è dedicato interamente alla sterilità ed alla sua cura.
Divinità, talismani e riti diversi per propiziare la fecondità o per
combattere la sterilità erano presenti nei popoli più primitivi e fra le “arti
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magiche” degli stregoni e dei medici era quasi sempre annoverata la cura
della mancanza di fecondità.
Fin da quando l’Uomo ha abbandonato la vita solitaria e nomade per
riunirsi in tribù, la prole ha rappresentato la continuità del sangue ed il
potere delle braccia per coltivare e per combattere: avere figli è stata una
inevitabile necessità. Il fatto che tra le tribù primitive non esistessero
scapoli si può ricondurre all’impossibilità di sopravvivere al di fuori di
una rigida divisione dei compiti e di un solido nucleo in grado di
espandersi (Andreotti et al., 2003).
In una civiltà contadina come quella descritta nella Bibbia che aveva
fatto della fecondità uno dei primi impegni, non poteva ovviamente
mancare una visione negativa della sterilità, considerata addirittura come
una punizione divina. Le donne che non potevano avere figli
permettevano che la loro schiava giacesse col marito per poterne avere
(Rachele a Giacobbe: dammi dei figli se no io muoio! – Genesi, 30, 1-3).
La problematica infertilità-sterilità era molto sentita dal popolo ebraico
tanto che Ober (1984) vede in alcuni episodi descritti nella Bibbia (storia
di Elkana e Anna), esempi di come il problema dell’infertilità potesse
compromettere addirittura l’atteggiamento psicologico della coppia, fino
a giungere a sintomi severi come l’anoressia e l’afonia isterica. Ober
(1984) ritiene che “la preghiera catartica è in questo caso risolutiva e può
essere paragonata alla moderna psicoterapia”.
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Nell’antica Grecia è nella Raccolta Ippocratica che si ritrova un libro
dedicato all’ infertilità femminile, tradotto in seguito con il titolo “De
his, quae uterum non gerunt”. Per Ippocrate (460-375 a.C.) la sterilità
femminile era attribuita quasi esclusivamente ad un fattore meccanico
(orificio uterino otturato o troppo dilatato) ma anche a conformazioni
fisiche particolari della donna (donne troppo grasse). Già dai testi
ippocratici si rintracciano cenni alla sessuologia ed alle cause
psicosomatiche. Sulla terapia la trattazione ippocratica era abbastanza
ricca.
Anche Aristotele (384-322 a.C.) nei suoi scritti si soffermò più volte
sulle cause della sterilità femminile, non distaccandosi molto dalle idee
già espresse da Ippocrate.
Gli scritti romani sulla sterilità giunti fino a noi non sono molti e
comunque tutti si rifanno ai concetti ippocratici ed in pratica non
aggiungono nulla di nuovo a quello che aveva già espresso la cultura
greca.
Lucrezio (98-55 a.C.) nel “De rerum natura”, fra l’altro, scrisse anche di
sterilità.
Nel 500 d.C. numerosi autori scrissero sul tema della sterilità di coppia,
riprendendo alcuni argomenti già trattati dalla scuola ippocratica, li
integrarono con quelle che erano le “credenze” più accreditate
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dell’epoca, ma soprattutto sottolinearono la possibile responsabilità
maschile nella genesi dell’infertilità.
Nel tardo Medioevo con il costituirsi di centri universitari come Salerno,
Bologna, Padova e Parigi, si tornò a studiare gli antichi testi greci e
latini, per cui in tema di medicina valse quasi ovunque la regola di non
allontanarsi dai principi di Ippocrate.
Nel Rinascimento Giacomo Rueff (1500-1558), propose l’obesità come
una delle cause della sterilità. Egli poi si soffermò sul problema della
sterilità di coppia, evidenziando come in alcuni casi questa patologia
poteva essere legata ad alterazioni a carico di uno dei due partner. Rueff
iniziò a dare importanza al fattore ambientale nell’etiologia
dell’infertilità.
Nel XVI secolo ricompaiono studi sulla sterilità con Ambrogio Parè,
insigne chirurgo francese, che condivide la dottrina ippocratica dei semi
maschili e della matrice. Suggerisce rimedi già proposti da Ippocrate per
aumentare la potenza maschile come unguenti di testicolo di gallo, di
membro di toro e di testicoli di cinghiale.
Nel 1623 l’Aromatari e Parisanus enunciarono la loro dottrina sul
preformismo del germe, una sorta di essere in miniatura che si
troverebbe nell’uovo femminile. Il seme maschile avrebbe il semplice
ruolo di stimolare la crescita del piccolo embrione in miniatura già
contenuto nell’uovo femminile.
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Nel 1677 Johan Ham di Danzica scopre grazie al microscopio gli
spermatozoi maschili. Egli restituisce all’uomo il ruolo primario
aristotelico affermando che l’uovo femminile servirebbe semplicemente
ad alloggiare ed a nutrire il germe paterno. Nel 1672 De Graaf di Leiden
scopre l’ovocita femminile, senza però influenzare sensibilmente la
teoria sul concepimento.
Per secoli le grandi intuizioni degli asclapei ippocratici e delle scuole di
Kos e Knido e le argomentazioni filosofiche dei pensatori greci, primo
fra tutti Aristotele, dominarono quindi la scena della letteratura della
sterilità. Di questo dominio culturale risentirono anche due autori, fra i
primi a scrivere i loro trattati in italiano: Antonio Venusti e Giovanni
Marinello.
Solo nel 1839 si arriva alle conoscenze attuali con la identificazione di
una cellula femminile, l’ovocita e di una cellula maschile, lo
spermatozoo.
Persisteva tuttavia la credenza che la sterilità fosse per lo più colpa della
donna, ma nel 1880 Samuel Gross, urologo di Filadelphia, per primo
ipotizzò che la percentuale di sterilità maschile si attestasse sul 15% di
tutti i casi.
P. Garnier (1883), in pieno clima romantico propose una classificazione
della sterilità che si avvicinava molto alle teorie più moderne, con
qualche sfumatura rosa: egli ne parla come della più grande calamità che
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possa capitare ad una coppia, (manca tutto, c’è solo tristezza) e in
contrapposizione ai positivisti, per i quali il procreare è solo un atto
fisico, si chiede se veramente l’amore, il sentimento, la passione, non
possano influenzare la sterilità.
Secondo questo autore infatti, la sterilità può essere di tre tipi:
ξ a) essenziale, cioè derivante da cause organiche più o meno
durature (diverse per l’uomo e per la donna);
ξ b) assoluta o definitiva;
ξ c) relativa, definita come l’impossibilità di avere figli insieme,
anche se separatamente sia l’uomo che la donna hanno dato
prova di fertilità (situazione alquanto machiavellica! – cit. la
Mandragora) e malgrado la buona salute di entrambi.
Le successive tappe sono a rapida evoluzione e conducono fino al 1978,
quando, il 27 luglio, grazie agli studi effettuati da Robert Edwards
(1965), nasce Louise Brown, il primo essere umano concepito in
provetta.
1.2 L’infertilità come “crisi di vita”
Della coppia si parla tanto negli ultimi anni, soprattutto per denunciarne
le “malattie”, le difficoltà, le crisi che é costretta ad attraversare da
quando la donna si é emancipata e l'uomo si trova spesso spiazzato.
Molto meno si parla delle possibilità di rimediare ai tanti problemi. Forse
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perché, più o meno inconsciamente, piace l'idea che basti l'amore per far
funzionare una coppia? Certamente l'amore é importante, ma la vita a
due é il risultato di un complesso lavoro di incastro fra due caratteri, due
indole, due personalità, fra bisogni e desideri differenti. E per alimentare
e tenere in equilibrio questa complessità ci vogliono anche volontà,
intelligenza, costanza, complicità. La vita di coppia é una scienza o forse
un'arte che, proprio in quanto tale, si può imparare. E' allora quanto mai
importante tornare a riflettere sul significato che la vita a due ha assunto
ai giorni nostri. Sempre più sovente, infatti, é proprio al suo interno che
il piacere languisce e la sofferenza psicologica, ma anche fisica,
aumenta. Tutto ciò porta a vedere la sessualità in una maniera più vasta,
più complessa. Il sesso é una modalità per il dialogo, per esempio per la
comunicazione, ma é anche il supporto dell'erotismo, della sensibilità
corporea e dell'immaginario che può nascere da questo stesso erotismo.
Il sesso é pertanto una funzione stabile nelle sue manifestazioni, ma é
anche variazione, innovazione e creatività. I membri di una coppia
moderna non possono nascondersi che vi siano e vi saranno, nel loro
vivere insieme, delle difficoltà, degli imprevisti negativi e dei momenti
in cui avranno una voglia terribile di separarsi o di distruggersi
mutuamente. Non potranno quindi prescindere da una certa sofferenza,
dagli ostacoli, dalle frustrazioni, ma sapranno anche come gestire il
piacere, come riconoscerlo, come conquistarlo, purché sappiano che
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piacere vuol dire anche positività, sviluppo e garanzia di
personalizzazione della sessualità. Il sesso per questi membri della nuova
coppia é quindi, come lo é stato per le coppie di tutti i tempi, un legame,
ma adesso diviene anche una sfida ad un benessere sempre più grande, o
ad una maturazione senza posa, a un'apertura sull'avvenire, al tempo
stesso stimolante e gioiosa. E' chiaro ormai che il sesso non é solo una
funzione, vuoi erotica, vuoi riproduttiva: esso crea sempre e
automaticamente anche dei problemi, dei conflitti che non é sempre
facile gestire, e la coppia deve essere cosciente di queste caratteristiche
della propria sessualità.
A tutti può capitare di rifiutare un rapporto sessuale. Troppo stanchi,
troppo tesi, troppo distratti da altri pensieri o semplicemente non
dell'umore giusto. Sintomi come l'inibizione del desiderio e
l'eiaculazione precoce, come l'anorgasmia coitale o il disturbo
dell'erezione non rappresentano altro che l'incapacità a lasciarsi andare al
piacere, a seguirne il percorso. Sintomi come il vaginismo, la
dispareunia, o anche l'eiaculazione ritardata o impossibile vengono a
porre la relazione sessuale, e quindi di coppia, in una dimensione di
mancanza e di necessità di controllo, anche se con radici psicologiche e
relazionali diverse a fare da sottofondo a ciascuno di essi. Spesso questi
segnali diventano motivo, a loro volta, per aumentare l'incomprensione,
il malumore, la distanza tra i partner. Un malessere profondo che ha
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come conseguenza l'impossibilità di vivere una vita sessuale regolare e
soddisfacente. Esiste una forte reciprocità dinamica tra il desiderio e
l’eccitazione, infatti se l’esperienza sessuale è caratterizzata da
frustrazione, insoddisfazione e/o dolore (feedback negativo), le
interazioni possono essere intese in senso frenante con una progressiva
inibizione, se al contrario, l’esperienza è stata soddisfacente (feedback
positivo), allora le interazioni possono essere intese in senso stimolante
con un rilancio del desiderio; in tal modo eccitazione e desiderio sono
mantenuti e rinforzati reciprocamente (Basson, 2005). La chiave di una
buona relazione di coppia dipende dal modo in cui si assimila il piacere e
in come si prepara il desiderio successivo. La risposta gratificante ci
arricchirà di forza e di determinazione nell'affrontare qualsiasi
situazione, mentre il fallimento porterà con sé paure, debolezza e
depressione. La disabitudine a esprimere i propri bisogni é sovente
l'ostacolo più duro da superare, anche perché esso si é andato costruendo
dall'incastro di problemi individuali con problemi di coppia, dall'incastro
di stili individuali con stili di coppia. In una società complessa come
quella in cui viviamo, la ricerca di aree sane all’interno della coppia
rappresenta un tentativo di un’inversione di cultura.
Sempre più coppie oggi si trovano a dover fare i conti con l’impossibilità
di avere un figlio e questo è, a prescindere dalle caratteristiche
individuali, una vera e propria “crisi di vita” (Menning, 1980) che
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coinvolge, su diversi piani esistenziali, sia l'individuo che la coppia,
dando luogo a vissuti di frustrazione, stress, senso di inadeguatezza e
perdita. La teoria della crisi descrive una situazione in cui l’individuo è
in uno stato di disperazione in cui sente di non poter essere aiutato e in
cui le sue strategie di coping non sono molto di aiuto nel gestire il
problema.
L’infertilità è un’esperienza di crisi nella vita di un individuo e di coppia,
connotata da una serie di perdite: “della fertilità, del figlio desiderato,
della trasmissione del proprio patrimonio genetico, del bambino ideale,
del bambino fantasticato, della salute, della genitorialità, dei progetti di
vita e dei traguardi prefissati, della funzionalità sessuale, della
soddisfazione coniugale, del controllo sui propri organi riproduttivi e del
senso di normalità” (Santona, 2003, p. 32).
Alcuni autori sostengono l'ipotesi secondo cui disturbi emozionali
cronici e problemi psicosociali giocano un ruolo fondamentale nel
determinare l'infertilità in almeno la metà dei casi; altri ipotizzano che la
stessa esperienza dell'infertilità, associata alle lunghe indagini
diagnostiche e all'intrusività dei trattamenti possano provocare un forte
disagio psicosociale e sessuale e contribuire al mantenimento, se non al
peggioramento, dell'infertilità; altri ancora ritengono che non si possa
operare una netta separazione tra cause ed effetti, tra fattori somatici e
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psichici, in quanto essi interagiscono tra loro in un complicato intreccio
di variabili (Wright et al., 1989).
Sul rapporto tra fattori psicologici e infertilità emergono tre linee di
studio centrali che riguardano:
1) i fattori psicologici nell'etiologia dell'infertilità;
2) l'impatto dell'infertilità sul funzionamento psicologico;
3) le strategie di adattamento all'infertilità (coping strategies) e gli aspetti
della consulenza psicologica alle coppie infertili (Edelmann e Connolly,
1986).
I primi due filoni di ricerca riconoscono tra loro un rapporto dialettico e
a volte contrapposto nel cercare di stabilire se una specifica condizione
psicologica preesistente possa indurre infertilità o se piuttosto non sia
l'esperienza stessa dell'infertilità a produrre una specifica condizione
psicologica. Si tratta di dare un senso ai risultati di molte ricerche del
passato che rilevavano una maggiore incidenza di disturbi psicologici
(ansia, depressione, stress, nevrosi, immaturità) nelle persone in cura per
problemi di fecondità (Pasini, 1978).
Questi filoni di ricerca, nonostante i limiti metodologici, con la loro
diversa accentuazione del disagio psicologico ipotizzato da una parte più
come causa dall'altra più come conseguenza della crisi di infertilità,
possono comunque essere inscritti nei diversi momenti del percorso della
coppia infertile. Infatti le ricerche che cercano di identificare i fattori
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psicologici che causano infertilità possono rivelarsi importanti nel
complesso processo di definizione della diagnosi. Le ricerche sulle
conseguenze psicosociali e psicosessuali possono orientare gli interventi
di supporto durante i lunghi accertamenti diagnostici, mentre le ricerche
del terzo filone, riguardante le coping strategies, possono indirizzare un
intervento più specifico nel fornire alla coppia gli strumenti per
affrontare l'iter diagnostico e terapeutico, dopo aver rilevato eventuali
meccanismi disadattivi.
1.3 Epidemiologia
Le limitazioni all'applicazione dell'epidemiologia a questa condizione
sono legate al fatto che non si tratta di analizzare le caratteristiche e la
diffusione di un agente eziologico ben preciso; l'infertilità e la sterilità
sono, infatti, espressione di fattori maschili e/o femminili diversi, spesso
asintomatici da un punto di vista clinico. Esiste, inoltre, il rischio di una
sovrastima nei Paesi industrializzati, dove la scelta contraccettiva è più
diffusa, mentre, nei Paesi in via di sviluppo, le differenti condizioni
socio-culturali non hanno portato ancora ad una completa separazione
della sessualità dalla procreazione.