2
legge costituzionale n. 3 del 2001 che ha riformato l’intero Titolo V della
Costituzione.
In questo modo il legislatore costituzionale ha fornito una lettura
aggiornata di quel contemperamento dei princìpi di unità ed
indivisibilità della Repubblica con quelli di autonomia e decentramento
richiesto dall’art. 5 Cost.
In particolare, per quanto concerne l’autonomia statutaria delle
Regioni a statuto ordinario, una delle novità sicuramente più importanti
introdotte dalla legge costituzionale del 1999 è stata la cancellazione del
limite dell’armonia con le leggi statali.
L’art. 123 Cost. prevedeva che gli Statuti dovessero essere adottati
“in armonia con le leggi della Repubblica e con la Costituzione”. Tale
disposizione ha creato non poca confusione soprattutto in merito alla
individuazione delle “leggi della Repubblica” da rispettare. Alcuni
autori hanno identificato le leggi statali con i principi generali dello Stato;
altri hanno individuato tale limite nelle “leggi statali espressamente
richiamate, caso per caso, dalla Costituzione”
1
. La Corte Costituzionale,
in proposito, affermò la necessità di rispettare anche leggi non
espressamente richiamate dalla Costituzione, quando esse esprimano
1
S. Gambino, in Diritto regionale e degli enti locali, Milano 2003, pag. 197. Il
compito della dottrina è stato quello di interpretare il limite in questione in maniera
tale da non vincolare gli Statuti regionali a tutte le norme previste da tutte le leggi
statali, per evitare una sicura confusione sulla materia; vedi anche T. Martines, A.
Ruggeri, C. Salazar, in Lineamenti di Diritto Regionale, Milano 2002, pag. 134 ss.
3
principi costituzionali o essenziali della legge dello Stato che riguardino
l’autonomia statutaria (sent. n. 40 del 1972).
Il limite in questione è stato espressamente abrogato dalla legge
costituzionale n. 1 del 1999, che in tal modo ha rafforzato l’autonomia
regionale
2
.
In ogni caso, l’espressione ora utilizzata dall'art. 123 Cost.,
"ciascuna Regione ha uno Statuto che, in armonia con la Costituzione, ne
determina la forma di governo e i principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento" ha lasciato integro il limite
dell’armonia con la Costituzione, comunque oggetto di discussione, ma
sicuramente riferibile ai valori fondamentali della Repubblica (sent.
Corte Cost. n. 304/2002).
Il limite dell’armonia con la Costituzione è stato giustamente
salvaguardato in quanto rappresenta un concetto fondamentale la cui
definizione è rimessa, in ultima istanza, al Giudice costituzionale. Si
tratta di un compito cruciale per l’assetto territoriale della Repubblica,
2
A. Spadaro, Dalla Costituzione come “atto” (puntuale nel tempo), alla Costituzione
come “processo” (storico). Ovvero della continua evoluzione del parametro costituzionale
attraverso i giudizi di costituzionalità, in Quaderni costituzionali, 1998, pag. 341 ss., afferma
che il limite dell’armonia con la Costituzione va inteso come “pieno e fermo rispetto
dei principi fondamentali dell’organizzazione, non già delle regole dalla stessa
Costituzione poste in svolgimento dei primi e complessivamente idonee a
caratterizzare l’organizzazione stessa”. In senso contrario T. Martines , A. Ruggeri , C.
Salazar, Lineamenti di Diritto Regionale, Milano 2002, pag. 136, in cui si critica
l’affermazione di Spadaro sostenendo che sia possibile concepire lo stesso concetto di
limite prima e dopo l’introduzione della legge costituzionale n. 1/1999; con il passare
degli anni la Costituzione è mutata in alcuni aspetti e con essa è cambiata
l’interpretazione relativa al suo contenuto. Nel fatto specifico, secondo gli autori,
saranno i nuovi Statuti regionali, in corso di elaborazione, a delineare il concetto di
limite in questione.
4
specialmente con riferimento ai rapporti tra Stato e Regioni. Nel
rinnovato quadro costituzionale, il limite dell’armonia con la
Costituzione altro non è che uno strumento in mano al giudice delle
leggi indirizzato a mantenere l’ordinamento costituzionale integro e
logicamente non contraddittorio, oltre che congruo nella sua sostanza. È
alla Corte che spetta questo compito, soprattutto alla luce di una riforma
così incisiva, e che si inserisce in un processo riformatore ancora più
ampio.
Le Regioni autodeterminano quindi la propria organizzazione
“costituzionale” attraverso lo statuto, che è una fonte primaria del diritto
ed espressione di autonomia, ma pur sempre subordinata alla
Costituzione Repubblicana, in grado di condizionare i contenuti
statutari ed individuarne i limiti.
Entro questo limite, lo statuto svolge la funzione tipica di costituire
la disciplina essenziale dell’organizzazione dell’ente regionale
3
.
Dal punto di vista procedurale gli statuti hanno conosciuto una
trasformazione significativa (art. 123, Comma 2 Cost. “Lo statuto è
approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a
maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni
successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge
non è richiesta l'apposizione del visto da parte del Commissario del
Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di
3
A. Ruggeri, Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni, Torino, 2005.
5
legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte
costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione”). In tal modo
gli statuti sono divenuti leggi regionali a tutti gli effetti una volta
eliminata l’approvazione con legge nazionale e si è inoltre attribuito alla
sola Corte Costituzionale il compito di unico intermediario tra gli enti
che compongono l’ordinamento della Repubblica.
Il sistema dei controlli sulle leggi e sugli Statuti regionali è
notevolmente cambiato grazie all’intervento della legge costituzionale n.
3 del 2001, che ha coinvolto anche l’art. 127 Cost., e dunque la disciplina
del giudizio di costituzionalità in via d’azione (o principale). Il nuovo
Titolo V ha apportato in proposito una grande novità: la trasformazione
del controllo sulle leggi regionali da preventivo in successivo. Non vi è
più il controllo preventivo sulle leggi regionali, entrando esse
immediatamente in vigore con la promulgazione del Presidente della
Giunta Regionale; non vi è più il Commissario di Governo, il controllo
dello Stato sugli atti regionali, né il controllo delle Regioni sugli atti degli
enti locali. Anche il controllo sugli Statuti, perde il momento politico,
preventivo, che si inserisce nella fase di approvazione della legge
costituzionale, e mantiene esclusivamente quello giuridico, successivo,
rimesso alla Corte: ne segue che l’unico strumento a disposizione dello
Stato è l’impugnazione dell’atto statutario davanti la Corte
Costituzionale.
6
Le possibili violazioni dei principi costituzionali (si pensi per
esempio ai principi di unità e indivisibilità, solidarietà, perequazione
fiscale), non avranno altra modalità di tutela che il ricorso ai giudici
costituzionali.
Lo speciale procedimento aggravato
4
stabilito per la sua
approvazione ha fatto acquisire alla fonte statutaria una natura
sicuramente atipica, tanto da portare alcuni commentatori a considerarla
fonte di natura quasi-costituzionale
5
.
Sulla base di tali elementi, la dottrina
6
unanimemente riconosce
alle “nuove” Carte statutarie la natura giuridica di atto normativo della
Regione, alla quale pertanto vengono ora imputate sia sostanzialmente
che formalmente. Si discute, peraltro, sul tipo di atto normativo di cui lo
Statuto è espressione, in quanto parte della dottrina afferma trattarsi di
una «vera e propria legge regionale»
7
anche se adottata con un
4
L’art. 123 della Costituzione prevede, al 2° comma, che lo statuto è approvato e
modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei
suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di
due mesi. In dottrina, Ruggeri ha espresso dei dubbi sulla legittimità costituzionale del
procedimento aggravato previsto per la legge statutaria; la previsione della doppia
deliberazione a maggioranza assoluta, infatti, avrebbe “irrigidito” ulteriormente il
limite posto dall’art. 138 della Costituzione: così facendo, il legislatore della revisione
costituzionale avrebbe varcato i confini tracciati dal potere costituente. A. Ruggeri,
Fonti, norme, criteri ordinatori.
5
La Corte Costituzionale tuttavia, ha ripetutamente negato che lo statuto
regionale abbia natura costituzionale, proprio nelle sentenze n. 372, 378 e 379 del 2004.
6
Tra i molti: M. A. SANDULLI, Prime impressioni sul ruolo dei nuovi statuti regionali,
in AA. VV., I nuovi statuti delle Regioni, Giuffrè, Milano, 2000, p. 36; E. DE MARCO, Gli
statuti regionali dopo il nuovo articolo 123 della Costituzione e la loro collocazione nel sistema
delle fonti, in AA. VV., I nuovi statuti delle Regioni, Giuffrè, Milano, 2000, p. 44.
7
E. DE MARCO, Gli statuti regionali dopo il nuovo articolo 123 della Costituzione e la
loro collocazione nel sistema delle fonti, in AA. VV., I nuovi statuti delle Regioni, Giuffrè,
Milano, 2000, p. 44.
7
procedimento “rinforzato” e sottratta al visto del Commissario del
Governo; altra dottrina
8
invece ritiene che, nonostante il nomen iuris
utilizzato dal legislatore costituzionale, i nuovi Statuti non possano
considerarsi “leggi” in senso proprio, ma costituiscano una fonte
regionale nuova e diversa.
Coloro che sostengono la natura legislativa dell’atto statutario,
riconoscono che quest’ultimo non può comunque essere equiparato ad
una legge regionale ordinaria, perché diversi sono il procedimento di
formazione, il contenuto, il regime dei controlli ed i limiti. Per questo
motivo, lo Statuto viene qualificato come «legge regionale a procedura
aggravata»
9
ovvero «legge regionale rinforzata»
10
o ancora «legge
regionale speciale»,
11
mentre la natura legislativa di tale atto viene
8
A. D’ATENA, La nuova autonomia statutaria delle Regioni, in «Rassegna
parlamentare», 2000; A. RUGGERI, Nota minima in tema di statuti regionali (con particolare
riguardo al piano dei controlli governativi), alla luce della riforma costituzionale del ’99, in
Antonio FERRARA (a cura di), Verso una fase costituente delle Regioni? – Problemi di
interpretazione della legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1, Giuffrè, Milano, 2001.
9
E. DE MARCO, Gli statuti regionali dopo il nuovo articolo 123 della Costituzione e la
loro collocazione nel sistema delle fonti, in AA. VV., I nuovi statuti delle Regioni, Giuffrè,
Milano, 2000, p. 53.
10
R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 2000; L.
PALADIN, Diritto regionale, CEDAM, Padova 2000. F. RIMOLI, voce Statuto regionale, in M.
AINIS (a cura di), Dizionario costituzionale, Laterza, Bari, 2000, p. 451, definisce il
“nuovo” Statuto come «legge regionale di tipo rinforzato a competenza riservata». B.
CARAVITA, La funzione normativa tra Consiglio e Giunta, in Antonio FERRARA (a cura di),
Verso una fase costituente delle Regioni? – Problemi di interpretazione della legge
costituzionale 22 novembre 1999 n. 1, Giuffrè, Milano, 2001, p. 108, afferma che «lo Statuto
è sicuramente una legge regionale approvata con una procedura atipica e dotata di una
forza attiva rinforzata, potendo modificare in alcuni punti addirittura la Costituzione».
11
T. GROPPI, L’autonomia statutaria e la forma di governo delle Regioni ordinarie dopo
la legge costituzionale n° 1/1999, in «Giornale di diritto amministrativo», 2000, sostiene
che «si tratta di una legge regionale “speciale”, quindi a carattere rinforzato». Nello
stesso senso: Ugo DE SIERVO, I nuovi statuti regionali nel sistema delle fonti, in Antonio
FERRARA (a cura di), Verso una fase costituente delle Regioni? – Problemi di interpretazione
della legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1, Giuffrè, Milano, 2001, p. 97. E.
8
dedotta dal nomen iuris utilizzato dallo stesso legislatore costituzionale
nell’art. 123 1°comma Cost., laddove si stabilisce che «lo Statuto è
approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a
maggioranza assoluta dei suoi componenti […] ». Una conferma di tale
orientamento deriva dai lavori preparatori: nella relazione sul testo
unificato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei
Deputati presentata all’Aula, infatti, si legge testualmente che «lo Statuto
ha pertanto natura di legge regionale»
12
.
Secondo altro orientamento dottrinale
13
, invece, le notevoli
differenze tra Statuto e leggi regionali “ordinarie” sarebbero tali da non
poter far rientrare le nuove Carte Statutarie nel genus delle leggi
regionali.
Chi sostiene questa tesi afferma che, con la riforma dell’autonomia
statutaria intervenuta con l. cost. 1 del 99, «è stato “inventato” un nuovo
LAMARQUE, Il referendum nel procedimento di formazione dello statuto regionale, in AA. VV.,
I nuovi statuti delle Regioni, Giuffrè, Milano, 2000, p. 141, ritiene che «lo statuto, molto
più della legge di revisione costituzionale, si avvicina al modello di atto complesso -
potendo anzi definirsi atto “a complessità eventuale”- per il concorso determinante
della volontà del corpo elettorale».
12
Relazione della I Commissione permanente (Affari Costituzionali, della Presidenza
del Consiglio e Interni), presentata alla Presidenza della Camera dei Deputati il 18
febbraio 1999 sul testo unificato della Commissione sulla base delle sei proposte di
legge costituzionale sopra indicate (Relatore: on. Antonio Soda). Il testo della relazione
è reperibile sul sito Internet
http://www.camera.it/_dati/leg13/lavori/stampati/sk5500/relazion/53890a.htm.
13
A. D’ATENA, La nuova autonomia statutaria delle Regioni, in «Rassegna
parlamentare», 2000, p. 609; A. RUGGERI, Nota minima in tema di statuti regionali (con
particolare riguardo al piano dei controlli governativi), alla luce della riforma costituzionale del
’99, in Antonio FERRARA (a cura di), Verso una fase costituente delle Regioni? – Problemi di
interpretazione della legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1, Giuffrè, Milano, 2001, pp.
173-175.
9
tipo di fonte “costituzionale – regionale”»
14
, sottolineando così il
carattere dello Statuto quale «fonte non solo materialmente ma ora
anche formalmente “costituzionale” della Regione, come tale nettamente
tipizzata rispetto alla legge». Pertanto quando l’art. 123 Cost. dispone
che lo Statuto venga approvato con “legge regionale”, fa riferimento a
tale tipo di atto normativo «in senso assolutamente atecnico (e,
comunque non impegnativo per l’interprete) »
15
.
Lo Statuto è destinato altresì ad assumere una collocazione
sovraordinata alla legge regionale, anche per il fatto che è destinato ad
incidere profondamente proprio sui meccanismi di decisione dei sistemi
politici regionali, costituendo il primo tema istituzionale su cui
maggioranza e opposizione dovranno confrontarsi.
14
A. RUGGERI, in Nota minima in tema di statuti regionali (con particolare riguardo al
piano dei controlli governativi), alla luce della riforma costituzionale del ’99, in Antonio
Ferrara (a cura di), Verso una fase costituente delle Regioni? – Problemi di interpretazione
della legge costituzionale 22 novembre 1999 n. 1, Giuffrè, Milano, 2001, precisa che di tale
nuova fonte del diritto «vanno ancora studiati attentamente i connotati complessivi».
Nello stesso senso: T. E. FROSINI, Il presidenzialismo regionale, in «Gazzetta giuridica»,
1999, n. 43, p. 2, il quale afferma che «pare potersi attribuire allo […] statuto il grado di
fonte “paracostituzionale”, tutto da definire e da chiarire».
15
A. D’ATENA, La nuova autonomia statutaria delle Regioni, in «Rassegna
parlamentare», 2000, p. 609.
10
CAPITOLO SECONDO
INDICAZIONI DELLA GIURISPRUDENZA
COSTITUZIONALE SULLE NORME PROGRAMMATICHE DEI
VECCHI STATUTI DELLE REGIONI ORDINARIE
I - ANALISI DEI CONTENUTI PROGRAMMATICI
SPECIFICI NEI VECCHI STATUTI
Gli statuti regionali emanati durante la prima stagione statutaria
hanno visto la luce successivamente alle prime elezioni dei Consigli
regionali, avvenute tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70. Essi
rispecchiavano la situazione politico-sociale del periodo in cui nacquero,
distinguendosi solo lievemente tra di loro per i contenuti.
Innanzitutto, un elemento caratterizzante di tutti i primi statuti è
contenuto nel primo articolo o in alcuni casi nel preambolo ed è
rappresentato dall’affermazione di alcuni principi ispiratori attraverso i
quali ogni Regione affermava la propria autonomia entro l’unità della
Repubblica, entro i limiti della Costituzione e dello Statuto stesso.
Oltre questa disposizione generica di principio ogni Regione, in
relazione alle peculiari caratteristiche politiche e/o sociali del proprio
11
territorio, ha ritenuto opportuno riferirsi a principi programmatici
differenti.
Esempio di questa tendenza è sicuramente l’inserimento nel
Preambolo dello Statuto della Regione Marche di un riferimento storico
al Risorgimento, ai valori politici della Repubblica nata dalla Resistenza
e alla tradizione delle popolazioni marchigiane; anche l’art. 1 dello
Statuto calabrese e di quello abruzzese affermava l’esercizio di poteri e
funzioni nel rispetto dei valori della Resistenza e dei valori
dell’antifascismo. Lo stesso riferimento ai valori politici nati dalla
Resistenza è contenuto anche all’art. 1 dello Statuto della Regione
Toscana e all’art. 1 dello Statuto della Regione Puglia.
Inoltre gli Statuti contenevano una serie di norme programmatiche
in cui si esprimevano le finalità cui tendeva l’attività organizzativa della
Regione: ad esempio il principio di uguaglianza dei cittadini e la
rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della
personalità umana; l’affermazione dei valori umani per il
soddisfacimento dei bisogni collettivi; la tutela del patrimonio storico e
culturale, il diritto allo studio, il diritto al lavoro, la promozione del
ruolo della donna, la tutela dell’infanzia e degli anziani; lo sviluppo
dell’agricoltura, cui ogni Statuto riservava una parte importante, dato il
notevole ruolo che la società rurale aveva in Italia agli inizi della seconda
metà del Novecento, come pure un ruolo notevole ricopriva l’artigianato
e di conseguenza il suo sviluppo.
12
Altri principi che si potevano trovare affermati negli primi Statuti
erano la promozione del diritto all’abitazione e ai trasporti, la tutela del
diritto alla salute attraverso lo sviluppo del servizio sanitario locale, la
salvaguardia del territorio e l’eliminazione delle cause di inquinamento,
la promozione del turismo e, soprattutto nelle Regioni meridionali, ma
non solo, la lotta per il contenimento del fenomeno dell’emigrazione.
L’art. 3 dello Statuto della Regione Calabria si proponeva, inoltre, la
promozione dello sviluppo culturale, sociale ed economico per
“riscattare la Calabria dalla sua storica arretratezza”; l’art. 4 dello Statuto
della Regione Campania era l’unico a contenere un riferimento alla
tutela del consumatore e alla protezione dei suoi interessi. L’art. 4 dello
Statuto della Regione Veneto affermava, esplicitamente, la tutela dei
diritti della famiglia, e l’art. 5 dello Statuto dell’Umbria affidava alla
comunità familiare l’adempimento dei compiti costituzionali. In alcuni
Statuti sono state inserite espressioni che facevano riferimento alla
valorizzazione del Mezzogiorno: l’art. 3 dello Statuto della Regione
Puglia fissava, tra gli obiettivi della Regione, il “superamento dei
dislivelli sociali ed economici del Mezzogiorno”; l’art. 4 dello Statuto
della Regione Campania prevedeva uno sviluppo economico e sociale a
protezione del Mezzogiorno. Lo Statuto calabrese rivendicava le finalità
meridionalistiche degli strumenti di programmazione economica
nazionale. Anche la Regione Piemonte, all’art. 73 dello Statuto regionale,
si era attivata per eliminare gli squilibri economici e sociali nel