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potuto incontrare il responsabile degli archivi e consultare le copie originali
della rivista «Ël Tòr», fondata dallo stesso Olivero. Per completare la
ricerca, mi sono procurata alcune sue raccolte di poesie alla Bela Gigogìn,
na librerìa con tut lòn ch’as publica ‘n sël Piemont
1
. A questi testi mi è
sembrato utile aggiungere una grammatica essenziale del piemontese che ho
consultato, in successivi spostamenti, alla Biblioteca Civica di Cuneo.
Infine, dopo un contatto per posta elettronica con il Presidente
dell’AssOlivero di Villastellone, Professor Ivano Zorzetto, mi sono recata in
loco e ho potuto incontrarlo. Mi è stata fornita un’ulteriore documentazione
e in particolare gli Atti del Convegno su Luigi Olivero, tenutosi ad Alba il
17 e 18 marzo 2007, nonché una copia del romanzo Adamo ed Eva in
America alla vigilia del secondo diluvio universale, pubblicato nel 1946.
Inoltre, ho avuto la possibilità di conversare con il Dottor Giovanni Delfino,
archivista e documentarista dell’opera di Olivero, con il quale ho mantenuto
un contatto via mail durante la stesura della tesi. Gentilmente, mi ha inviato
una serie di articoli di e su Olivero che ho potuto sfruttare per ampiare ed
approfondire lo studio della sua opera.
L’analisi di questo materiale, unita alla lettura di due opere di Luigi
Olivero, Ij faunèt e Romanzìe, entrambe raccolte di poesie, e del romanzo
Adamo ed Eva in America, mi ha consentito di definire la problematica della
tesi. Anzitutto mi è risultato chiaro che, per un verso, gli studiosi più
importanti non hanno difficoltà a riconoscere che il piemontese è una lingua
totalmente indipendente dall’italiano e che merita di sopravvivere per la sua
originalità ma, per un altro, è lecito chiedersi come si sia realizzata la sua
unità grafica e come sia stata tradotta in una fioritura efficace di poesia e
prosa. D’altro canto, l’uso di una lingua minoritaria oggi non è più sinonimo
di rozzezza e di arretratezza ma fa parte del patrimonio della cultura
nazionale. Il piemontese continua ad essere, nella regione subalpina, il
linguaggio del popolo, più vicino al francese che all’italiano. Ciò che ha
suscitato la mia curiosità e motivato la mia ricerca è precisamente l’uso
dell’aggettivo «piemontese» nel contesto letterario. Di solito, la letteratura
dialettale italiana non è una letteratura regionale ma comunale e la sua area
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«Bella Gigogin, una libreria con tutto ciò che si pubblica sul Piemonte».
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di riferimento è una città, un centro specifico, e non la regione. Infatti, si
parla torinese, napoletano, veneziano o romanesco. Il piemontese fa
eccezione per il suo carattere originale, non legato ad una sola città ma ad
una nazione, anche adesso che il Piemonte non è più una nazione.
La mia tesi si propone di dimostrare come il piemontese abbia
assunto un ruolo di lingua compiuta e indipendente attraverso l’opera di
Luigi Olivero: la sua è «letteratura in piemontese». In che modo questo
autore è riuscito a fare una poesia grande in una lingua piccola? In che
modo la sua poesia dialettale ha acquistato coscienza europea superando la
regionalità? Per la prima volta nella storia della letteratura subalpina, matura
una poetica nuova nell’ambiente della Companìa dij Brandé, associazione
di autori piemontesi. Nel suo ambito si delineano le personalità più
significative. Quali saranno le proposte di questi autori minori della scuola
del Novecento piemontese? Luigi Olivero riuscirà ad inserirsi tra di loro? E
in che modo riuscirà a distanziarsene segnando una svolta nell’ampliamento
lessicale e nell’innovazione tematica? È senz’altro anche con la sua attività
giornalistica che egli contribuisce a far conoscere questi nuovi autori. È
questo un aspetto che merita di essere approfondito, quello dell’Olivero
redattore che raccoglie e coordina, nella rivista «Ël Tòr», articoli volti ad
affermare il piemontese come lingua di cultura. Come e perché nasce una
rivista di questo tipo? Che cosa vuole comunicare ai lettori negli anni del
primo dopoguerra? Quale ne è l’impatto culturale?
Dopo aver risposto a queste domande, mi occuperò della poesia
oliveriana, che occuperà gran parte del mio lavoro di ricerca. La lettura delle
sue liriche ci porterà a scoprire tematiche insolite per una lingua regionale.
In questo ambito, in che cosa consiste la modernità della sua poetica e quali
ne sono le componenti originali? Quali aspetti della sua esperienza
traspaiono nei suoi versi? In che modo l’amore per la sua terra d’origine
contribuisce alla sua ispirazione? Infine, esistono nessi tra la poesia e la
prosa di Olivero, oppure quest’ultima percorre sentieri del tutto diversi?
Quali collegamenti possiamo stabilire tra i personaggi femminili di Adamo
ed Eva in America e le donne tratteggiate nelle sue rime?
Il mio lavoro si articolerà in quattro parti, di cui accennerò qui di
seguito i contenuti specifici. La Parte I fornisce un’analisi storica della
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letteratura piemontese dalle origini al primo Novecento, soffermandosi sulle
figure chiave che hanno contribuito a fare del piemontese una lingua
matura. La Parte II tratterà di quei poeti minori che hanno saputo dare una
svolta determinante alla poesia dialettale, riunendosi e fondando un gruppo
culturale di grande rilievo, la Companìa dij Brandé. Nella Parte III, mi
avvarrò dell’analisi di alcuni articoli della rivista «Ël Tòr», per mettere in
evidenza l’ambizione di Luigi Olivero giornalista che, con forza e fervore,
cerca di trasmettere ai lettori una conoscenza completa degli eventi culturali
del Piemonte grazie alla collaborazione di altri scrittori che condividono la
stessa passione. Infine, la Parte IV sarà essenzialmente dedicata alla poesia e
alla poetica di Olivero e permetterà di porre l’accento sulla caratteristica
osmosi tra ancestralità e modernità che spicca nelle tematiche da lui trattate.
Una breve analisi del romanzo Adamo ed Eva in America cercherà di
mettere in risalto le affinità e le distinzioni tra poesia e prosa.
A completamento di questa ricerca, presenterò le mie considerazioni
conclusive scaturite dalle conoscenze acquisite nel corso della stesura del
presente lavoro. La bibliografia riporterà l’elenco dei documenti consultati,
delle opere di critica e dei lavori di Luigi Olivero esaminati e analizzati
nella tesi.
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PARTE I
Profilo di storia della lingua
e della letteratura piemontese
1. Dal piemontese arcaico alla “lingua antica” del
Seicento
Le prime tracce di vocaboli in volgare reperite in Piemonte sono
state trovate nei mosaici pavimentali delle chiese di Santa Maria Maggiore a
Vercelli e di Sant’Evasio a Casale e sembrano risalire rispettivamente al
1040 e al 1106. Il fatto che essi siano stati trovati nella decorazione di chiese
dimostra che il volgare era parlato da componenti di diversi strati sociali e
non solo dal cosiddetto “popolino”. Si tratta di un piemontese arcaico il cui
uso era quindi già generalizzato intorno all’anno 1000. Il primo documento
cartaceo conosciuto risale però a qualche decennio dopo ed è un’opera
piuttosto consistente intitolata Sermoni Subalpini e conservata alla
Biblioteca Nazionale di Torino. È una raccolta di ventidue omelie che
commentano la liturgia. Si pensa siano state scritte dalla Curia vescovile per
fornire ai predicatori uno strumento nella lingua che la gente capiva ed
usava e che non fosse più il latino. La scrittura è spigliata, accessibile e di
interesse non solo linguistico ma anche letterario e storico tanto che
permette di delineare il profilo, il carattere della gente a cui si rivolge. La
corrispondenza degli elementi della lingua dei Sermoni con quelli del
piemontese antico e moderno è stupefacente. Infatti, più di quattrocento
parole sono ancora usate nel piemontese odierno: amis, bastun, boca, carn,
vestimenta e così via. Anche per quanto riguarda gli aspetti grammaticali dei
Sermoni Subalpini, quali i possessivi, i dimostrativi, il plurale e i verbi,
notiamo la somiglianza con il piemontese antico, pur rimanendo evidente
l’influenza del francese, del provenzale e soprattutto del latino. Questo
fenomeno è del tutto normale se si pensa che il redattore dei Sermoni
doveva continuamente essere a contatto con il latino, lingua liturgica per
eccellenza. Eccone un breve esempio:
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[…] prendì nos la petite volp qui catzun a mal nostre vigne, zo
est: ne lor o consentì mia mas la lor defendì e lanzai lor las pere
e catzai los de la vigna; car i las vasten e esterpen e catzen a
mal. Vos qui devez varder la vigna, zo est Sancta Ecclesia,
decartzai los heretis. E cum que los en catzaré? Cum lo flael de
resticulis, zo sun le paròle de Christ qui dis: Domus mea
orationis est, vos autem fecistis speluncam latrorum. La mia
maisun d’oraciun mas vos en avez fait balma de lairum
2
.
Contemporaneamente ai Sermoni si diffonde in Piemonte la poesia
provenzale. Alla corte dei Marchesi del Monferrato, dei Marchesi di
Saluzzo e anche dei Duchi di Savoia sono di moda i trovatori, poeti e
giullari che si esprimono usando l’arte della parola. Accanto a questi poeti
di provenienza provenzale, vi sono alcuni celebri piemontesi, tra cui
Nicoletto da Torino. La lingua piemontese sta diventando la lingua del
parlare quotidiano. Dal duca al contadino, tutti parlano il piemontese anche
se la classe dominante lo ritiene una lingua di secondo livello e gli
preferisce il latino, il provenzale e il francese. In questo periodo, i
documenti sono pochi soprattutto perché, in quel tempo, non pareva
importante conservarli. Ne possiamo citare almeno due, posteriori ai
Sermoni e scritti intorno al Trecento da un tal Frà Colomba da Vinchio:
Detto del Re e della Regina (La dita dël Ré e dl’Argin-a) ed i Proverbi.
Della stessa data troviamo, negli archivi del comune di Chieri, un altro
documento scritto in un piemontese più moderno ma ancora in crescita e
intitolato Statuti dell’Ospizio della Società di San Giorgio di Chieri (Jë
Statù dl’Ospissi dla Società ëd San Giòrs ëd Chér). Ci sono poi un certo
numero di Lodi Sacre e di Ordinamenti e Statuti di Confraternite. Siamo sul
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Sermoni Subalpini, omelia XIV dei “Sermoni per le domeniche del tempo ordinario”.
Troviamo qui una frase latina di riferimento, come ancora oggi alcuni predicatori usano
inserire nelle loro omelie. Varder, vigna, pere, ecc., sono parole ancora usate nel
piemontese attuale. Petite, devez, maisun, avez, ecc., sono evidenti francesismi. Ecco una
proposta di traduzione del passo: «[…] prendiamo il caso della piccola volpe che rovina le
nostre vigne, voglio dire: non ho giammai acconsentito alla loro difesa e lanciai loro le
pietre e le cacciai dalla vigna; perché la devastano e strappano via l’erba e la fanno andare a
male. Voi che dovete prendervi cura della vigna, cioè la Santa Chiesa, allontanate gli
eretici. E con che cosa li caccerete? Con il flagello fatto di cordicelle, così sono le parole di
Cristo che dice: La mia casa è luogo di preghiera, voi invece ne avete fatto una spelonca di
ladri. La mia casa è luogo di preghiera, ma voi ne avete fatto anfratto di ladri».