La presenza di un dubbio costante e la necessità di precisazione, di
definizione e di descrizione fanno di Raboni un emblema dello
scrittore novecentesco, dominato dalla perplessità e impossibilitato ad
affermare con certezza le sue ipotesi, ma teso a delineare e denunciare
i problemi profondi della società e della letteratura del suo tempo.
3
1. La critica letteraria
1.1 L’attività culturale
Giovanni Raboni è stato un personaggio di primo piano nel panorama
letterario e culturale del secondo Novecento. La sua personalità
poliedrica si è diramata attraverso varie attività: dal poeta al critico,
dall’intellettuale all’uomo di teatro.
Nella recente raccolta L’opera poetica, che può essere definita come
una sorta di Opera Omnia raboniana, è inclusa la maggior parte dei
suoi scritti che attraversano vari generi letterari: principalmente la
poesia, ma anche la prosa, la critica e il teatro; tramite quest’opera i
lettori possono cogliere la grande maestria di un autore dalle tante
sfaccettature, nel quale la biografia è totalmente intrecciata alla vita
culturale della seconda metà del ventesimo secolo.
Raboni nasce nel 1932 a Milano da una famiglia medio-borghese che
gli trasmette fin dall’infanzia l’amore per i libri e per la cultura e che
lo avvia alla lettura di poeti e scrittori, tra cui Tessa, Porta e Manzoni:
In tutta la mia famiglia c’era questa grande passione per i libri, avevamo una
biblioteca di famiglia e ricordo che di mio nonno, padre di mio padre […] si
diceva che la sera non tornasse mai a casa senza essere passato dalla libreria e
aver acquistato un libro. Dunque non poteva non essere trasmessa anche a me
questa passione per la lettura.
3
3
Intervista a G. Raboni di D. Piccini, <<Vivere almeno al 50 per cento>>, <<Poesia>>, XIV,
168, gennaio 2003, pp. 2-14
4
L’autore delinea, inoltre, nel testo critico Raboni Manzoni, un
confronto tra se stesso e lo scrittore dell’Ottocento, rivendicando
l’ispirazione manzoniana che ha attraversato la sua poesia:
Manzoni deve esserci, non può non esserci, nelle mie poesie – esserci, è chiaro,
come un tenue, degradato riflesso, o solo come un rimorso. Se non ci fosse,
vorrebbe dire che non ci sono neanch’io, che le mie poesie sono, letteralmente, di
qualcun altro. Ma al di là di questa fede o, se si vuole, di questa petizione di
principio, suppongo che sia possibile rintracciare qualche indizio, qualche
elemento più oggettivo. I temi dell’ingiustizia, della persecuzione, del processo
iniquo, dell’innocenza ingiustamente perseguitata e punita; l’immagine, esplicita
o implicita, della città come teatro della peste, come contenitore di ogni possibile
contagio fisico e morale; il gusto di nominare luoghi, circostanze e documenti con
scrupolosità impassibile e segreta passione; l’attenuazione, la reticenza e l’ironia
usate per rendere pronunciabili l’indignazione, lo sgomento e la pietà: tutte queste
cose [...] vengono, non ho dubbi, da Manzoni, sono le prove, le stigmate della mia
passione manzoniana, della mia manzonità (o, parafrasando Gianfranco Contini:
le spie d’attività, nel mio sentire e scrivere, della “funzione Manzoni”). Senza
contare, per un eccesso di evidenza, gli omaggi letterali, le citazioni: gli untori di
“Una città come questa” per esempio.
4
Con l’avanzare della guerra la famiglia Raboni si trasferisce in
campagna, a Sant’Ambrogio Olona dove Giovanni studia
privatamente e diventa un appassionato di letteratura:
Io sono stato un lettore abbastanza precoce. Ho cominciato a leggere allora, e mi
sembra di aver letto soprattutto in quegli anni. Da allora, e ancora adesso, mi è
sempre sembrato di rileggere quello che avevo già letto. […] Per esempio, una
delle esperienze fondamentali della mia vita è stata la lettura di Proust, che poi ho
anche tradotto (l’ho letto negli anni Cinquanta). Però l’impressione è quella; e
sicuramente ho letto, non capendone probabilmente nulla, ma insomma ho letto
tutto Shakespeare, per esempio nei tre volumi dell’edizione Sansoni che è uscita
4
G. Raboni, Raboni Manzoni, Il Ventaglio, Roma 1985, pp. 19-20
5
in quegli anni, negli anni di guerra. Ero un lettore onnivoro e incosciente che
avevo dieci, dodici anni. Ho letto naturalmente Dickens, che adoravo e che adoro
ancora; ma anche Dostoevskij, anche Tolstoj.
5
Anche la vocazione di poeta è una dote che appartiene all’autore fin
da quando era ragazzo; scrive infatti nel sito ufficiale, all’interno della
sezione Autoritratto
6
:
Quando io sono nato, i miei genitori abitavano in via San Gregorio. […]Dalla
finestra della stanza dove dormivo con mio fratello più grande si guardava su un
terreno vago che ricordava la periferia anche se, in realtà, non eravamo in
periferia. Questo terreno vago si animava – soprattutto di pomeriggio, e
soprattutto di sabato pomeriggio – di giochi di ragazzi. Giocavano al pallone, alla
guerra, agli indiani. Forse dovrei dire: giocavamo; mi sembra molto probabile di
aver partecipato a quei giochi, ma non ne ho nessun ricordo preciso.
Quello che ricordo, invece, è di aver guardato altri ragazzi giocare. Erano giochi
deliziosi. Quella finestra è, sicuramente, uno dei luoghi, o meglio delle situazioni,
che mi hanno spinto a voler essere un poeta, a voler scrivere delle poesie. Per
molto tempo ho pensato che una poesia dovesse essere come quella finestra. Mi
sembrava che una poesia fosse un vetro attraverso il quale si potevano vedere
molte cose – forse, tutte le cose; però un vetro, e il fatto che il vetro fosse
trasparente non era più importante del fatto che il vetro stesse in mezzo, che mi
isolasse, mi difendesse. I giochi erano al di là del vetro, mentre io ero al di qua.
Credo che non riuscirò mai a far capire la straordinaria delizia di questa
situazione. Quello che è certo, comunque, è che quando ho cominciato a scrivere
poesie la mia più grande aspirazione era di ritrovare quel tipo di delizia o, se si
vuole, di privilegio. Di ogni poesia avrei voluto fare un osservatorio difesissimo e
trasparente, un osservatorio per guardare la vita – cioè, forse, per non viverla.
Naturalmente, la storia di quella che io considero adesso la mia poesia comincia
dopo; comincia, immagino, proprio con la negazione, con la rinuncia a tutto
questo: la finestra, l’osservatorio, la trasparenza.
5
Intervista a G. Raboni per la collana video Gente di Milano di E. Bertazzoni, Giovanni Raboni. Il
futuro della memoria, Medialogo, Milano 1999
6
G. Raboni, http://www.giovanniraboni.it/Selfportrait.aspx, tratto da <<L’approdo letterario>>, n.
77-78, giugno 1977
6
Certamente sull’autore ebbe anche molta influenza la lettura di poeti
contemporanei come Ungaretti, Quasimodo e Cardarelli, ma
specialmente Montale, al quale Raboni sostiene di dovere molto
soprattutto l’espressione dei limiti, il fatto che non si possono avere troppe
pretese nel Novecento per la poesia come fonte di verità. La poesia salva
qualcosa della fragilità dello scrittore, è una possibilità di interrogazione: non
arrendersi davanti alla sordità e alla brutalità del reale, cercare spiragli, cercare
nonostante tutto un senso, qualcosa che sembra prepotentemente perso ogni
giorno di più, nel prima, nel dopo, chi lo sa, da qualche parte.
7
La scrittura in versi, secondo Raboni, è, in qualche modo, la
prosecuzione della lettura dei versi altrui: dalla letteratura e dal
contatto con la realtà deriva un’esigenza di espressione poetica.
L’autore sostiene che lettori di poesia si nasce, ma che poeti si può
diventare. La lettura poetica necessita di una dote naturale, mentre la
scrittura poetica nasce in seguito come desiderio di emulazione.
Fondamentali, per il giovane Raboni saranno le letture di Eliot e
Pound: “ecco nel momento in cui cercavo di capire che cosa volevo
dire, che cosa valesse la pena dire in poesia o come lo si poteva dire,
Eliot e Pound sono stati assolutamente decisivi.”
8
Nei primi anni ’50 scrive i componimenti di Gesta Romanorum, che
raffigurano vari episodi della Passione di Cristo, e che saranno
pubblicati solo nel 1967.
7
Intervista a G. Raboni di G. Fantato e L. Cannillo, Ogni sera che viene sulla terra. Gabriella
Fantato e Luigi Cannillo dialogano con Giovanni Raboni, <<La mosca di Milano>>, VII, 2,
novembre 2004, pp. 7-14; poi, in una redazione più ampia e con titolo Il respiro dell’impoetico, in
La biblioteca delle voci a cura di L. Cannillo e G. Fantato, Joker, Novi Ligure 2006
8
Intervista a G. Raboni di M. Gezzi, Credere ancora nella poesia. Incontro con Giovanni Raboni,
<<Atelier>>, VII, 29 marzo 2003, pp. 29-40
7
Nella mia esperienza poetica posso dire che è stata molto importante la scoperta
di quello che solo più tardi […] avrei capito che ha una base teorica: la poetica
del cosiddetto correlativo oggettivo, cioè il parlare di sé attraverso personaggi:
non direttamente. Per me la capacità di parlare direttamente di me in prima
persona è stata una conquista molto lenta. All’inizio sentivo il bisogno (e ho
sentito il bisogno per molto tempo) di raccontarmi in modo indiretto, di
raccontarmi attraverso situazioni reali, attraverso storie già scritte, attraverso
personaggi inventati o reali. Per esempio, ha avuto una grandissima importanza
nelle mie prime poesie poi in qualche modo accettate e rimaste come parte della
mia storia l’immaginario legato alla narrazione evangelica. La parte che ancora
adesso riconosco […] della mia produzione giovanile (intorno ai diciotto,
diciannove, vent’anni) è legata appunto allo sviluppo dentro la fantasia, dentro
l’immaginazione di spunti evangelici.
9
Nel frattempo, Raboni frequenta assiduamente il cinema, il teatro e i
concerti di musica classica, per poi esordire nell’attività di critico
letterario, teatrale, cinematografico e musicale a partire dal 1955 con il
saggio Luoghi comuni sul cinema, pubblicato sulla rivista <<La
Chimera>>, II, 11-12, febbraio – marzo 1955. La collaborazione con
varie altre riviste, tra cui <<aut aut>> e <<Letteratura>>, porta
all’entrata di Raboni sulla scena pubblica e culturale dell’Italia del
secondo Novecento.
Oltre all’attività critica, l’autore, continua a scrivere poesie, che
saranno pubblicate da Lampugnani - Nigri in un volumetto nel 1961 Il
catalogo è questo e successivamente ampliate nel 1963 nella raccolta
L’insalubrità dell’aria, edita presso <<All’insegna del pesce d’oro>>
di Scheiwiller.
Per quanto riguarda l’esperienza della poesia, il lavoro sulla poesia, è stato per me
importantissimo il fatto di scoprire la città come metafora: come metafora della
9
Intervista a G. Raboni, Pantheon. Le ragioni della vita, , RAI Nettuno SAT 1, 4 gennaio 2004
8
vita, come contatto con tutto quello che l’esistenza offre di problematico, di
inquietante di esaltante. E sono diventato a quel punto – dopo esser stato, nei
primi anni di scrittura poetica, un “ri-raccontatore” di storie già raccontate (in
primo luogo la narrazione evangelica) – un poeta di storie urbane, di racconti
legati alla città, ai suoi problemi, ai suoi drammi, alle sue inquietudini. E’ il
periodo che probabilmente ha segnato definitivamente la mia personalità di
scrittore e poeta.
10
Nei primi anni Sessanta prende avvio la frequentazione dell’ambiente
letterario milanese, dove confluiscono alcune tra le più significative
personalità culturali del tempo: Elio Vittorini, Giovanni Giudici,
Vittorio Sereni, Sergio Antonielli, Carlo Bo, Giulio Bonfanti, Luciano
Erba, Bartolo Cattafi, Umberto Eco e Furio Colombo.
L’incontro con Vittorio Sereni è fondamentale per il giovane Raboni:
Sereni è, infatti, il tramite per varie conoscenze come quella con
Bartolo Cattafi e con Franco Fortini, che avvicineranno fortemente
Raboni alla nuova realtà poetica italiana.
Sempre tramite il poeta di Luino, l’autore diviene stretto collaboratore
e redattore della rivista <<Questo e altro>>, fondata da Niccolò Gallo,
Dante Isella, Geno Pampaloni e lo stesso Sereni.
Il periodico diventa un focolaio di riflessioni sul fare letterario, che
certamente influisce sul giovane scrittore per lo sviluppo del suo
pensiero critico, ma anche poetico.
A proposito del titolo della rivista dice Raboni:
Il titolo <<Questo e altro>> era, credo, proprio di Vittorio ed era comunque un
titolo straordinariamente sereniano, perché <<Questo>> voleva indicare la
letteratura e <<l’altro>> voleva indicare tutto ciò che sta intorno alla letteratura –
i suoi dintorni più o meno immediati – e da cui la letteratura non può prescindere.
10
Intervista a G. Raboni, Pantheon. Le ragioni della vita, , RAI Nettuno SAT 1, 4 gennaio 2004
9
[…] A me il binomio posto dal titolo, la non alternativa e la non esclusione che
esso implicava continuano a sembrare decisivi: per Sereni, per noi la letteratura
era – è – un grande valore che non si esaurisce in se stesso, che non esclude
l’importanza dell’altro, della realtà, di tutto ciò che la realtà contiene e propone; e
il tentativo di mantenere il binomio è stato centrale per Sereni sia come poeta che
come uomo di cultura e centrale per molti di noi nel fare poetico come
nell’operare letterario e oserei dire civile.
11
Proprio sulle pagine di <<Questo e altro>> si infittisce per l’autore
l’attività di critico militante:
ho cominciato lì, nella rubrica di interventi critici a pubblicare cose di critica sulla
poesia, un pezzo su Rebora, tra l’altro: si può dire che lì cominciai la mia carriera
di critico, perché avevo pubblicato qualcos’altro solamente su <<aut aut>>.
12
Nel 1964 Raboni decide, dopo il disastro del Vajont, durante il quale
scompaiono due fabbriche Lampugnani - Nigri, presso cui lavorava, di
lasciare il suo incarico di amministratore delegato e di dedicarsi
definitivamente all’attività di lettore e consulente editoriale, nonché
alla vocazione di poeta.
Nello stesso anno <<Questo e altro>> entra in crisi e l’autore inizia la
collaborazione con la redazione milanese di <<Paragone>>, presso
l’editore Mondadori.
L’attività critica e redazionale continua presso la rivista <<aut aut>> e
anche presso gli studi RAI; infatti, Raboni fa parte della redazione
della rubrica televisiva settimanale Tuttilibri di Giulio Nascimbeni, e
conduce in proprio una rubrica radiofonica di letteratura e arti.
11
G. Raboni, Sereni a Milano, in Per Vittorio Sereni. Convegno di poeti, All’insegna del pesce
d’oro, 1992
12
Intervista a G. Raboni di D. Piccini, <<Vivere almeno al 50 per cento>>, <<Poesia>>, XIV,
168, gennaio 2003, pp. 2-14
10
Per quanto riguarda il versante poetico, nel 1966 vengono pubblicate
nello <<Specchio>> di Mondadori Le case della Vetra, nel 1970 esce
Economia della paura, che appare su <<All’insegna del Pesce
d’oro>> e che raccoglie la produzione poetica edita e inedita del
periodo tra il 1965 e il 1968. Un secondo momento di sintesi (oltre le
varie pubblicazioni in rivista) si avrà nel 1975 con l’edizione
Mondadori di Cadenza d’inganno.
Nel 1976 viene inoltre pubblicato presso Editori Riuniti Poesie degli
anni sessanta, un’antologia dei vari scritti critici raboniani sui
principali autori della letteratura del tempo.
La collaborazione con le varie case editrici italiane prosegue con
Garzanti, inizialmente con La Grande Enciclopedia e poi con le
“Garzantine”, soprattutto con l’Enciclopedia Garzanti della
letteratura del 1972.
Nel frattempo Raboni assume anche l’impegno di critico
cinematografico su <<Avvenire>>.
Le collaborazioni proseguono con inserti su varie riviste: <<Il
Bimestre>>, <<Quaderni piacentini>>, <<Nuovi Argomenti>>; ma
anche su quotidiani nazionali come <<La Stampa>>, nella quale egli
assume il ruolo insieme a Lorenzo Mondo di critico di narrativa e di
poesia italiana.
A causa di un allentamento del rapporto con Garzanti, Raboni inizia a
collaborare con Mondadori come consulente esterno: le sue mansioni
sono quelle del rilancio della collana “Medusa”, di cui sceglierà titoli
e prefatori. L’autore inoltre entrerà a far parte del comitato di lettura
dell’Almanacco dello specchio.
Il critico collabora anche con la casa editrice Guanda, rilanciando e
fondando alcune collane di prosa e poesia, ritenute importanti
11
soprattutto per le traduzioni, tra le quali se ne ricorda una dello stesso
Raboni: Bestiario o Il corteggio di Orfeo di Apollinaire.
Frattanto viene edita presso S. Marco dei Giustiniani la sequenza
poetica de Il più freddo anno di grazia, accompagnata
dall’introduzione di Vittorio Sereni ed Enzo Siciliano.
Nel 1979 il poeta e critico partecipa alla giuria del premio Viareggio e
fonda la Società di Poesia; l’anno successivo pubblica La fossa di
Cherubino, una raccolta di prose narrative della fine degli anni ’60.
Il 1981 è un anno molto importante per l’attività di critico: viene edita,
infatti, presso Sansoni l’antologia commentata Poesia italiana
contemporanea ed inoltre l’autore dà avvio al lavoro presso <<Il
Messaggero>>, con un ritmo di almeno un pezzo alla settimana
(articoli di critica letteraria e recensioni, ma anche interventi da
opinionista).
Le collaborazioni continuano presso varie riviste tra cui
<<L’Espresso>>, <<L’Europeo>> ed inoltre Raboni è presente sulla
scena intellettuale partecipando a molti eventi culturali, anche
internazionali, tra i quali le manifestazioni pasoliniane a Parigi.
La scrittura giornalistica è affiancata, oltre che da quella poetica
(nell’‘82 esce infatti presso Mondadori Nel grave sogno e nell’‘86 per
l’editore Crocetti, Canzonette mortali), da quella del traduttore:
Raboni comincia proprio in questi anni a tradurre la Recherche di
Proust, che riterrà fonte di ispirazione e di piacere intellettuale.
Nel 1986 esce come allegato all’<<Europeo>> del 15 novembre Cento
romanzi italiani del Novecento, opera che suscita varie polemiche sui
giudizi espressi, che procura all’autore il soprannome di “recensore”
(dal titolo di un articolo di Mario Fortunato sull’<<Espresso>> del 1°
12
febbraio 1987). Raboni risponde con un articolo sullo stesso numero
del settimanale, nel quale cerca di difendere le sue scelte critiche:
Le mie scelte sono di gusto personalissimo. Non a caso, molto spesso, ho usato
un criterio comparativo: non mi interessa distruggere questo o quello, quanto
valutare confrontando con altri autori e altre opere, magari meno noti e
acclamati.
13
L’autore nell’87 viene colto da un infarto, causato anche dallo stress
per l’eccessivo lavoro, e decide quindi di accettare un contratto fisso
come critico teatrale per il <<Corriere della sera>>, interrompendo i
rapporti con <<Il messaggero>> e <<L’Europeo>>. A questo punto
della sua vita, Raboni, ha affrontato tutti i più vari argomenti della
critica culturale, approdando ad un nuovo genere, quello del teatro:
Ho sempre amato il cinema, ho sempre amato il teatro, ci sono sempre andato,
quindi quando un po’ inaspettatamente mi sono state fatte queste proposte, mi
sono arrivate davvero queste possibilità, le ho accettate. Le ho accettate per
curiosità, per passione anche, e per una certa tendenza all’instabilità. Ho bisogno
sempre di inventarmi qualcosa di nuovo. Sono anche modi per lasciarmi aperte
delle vie di fuga; ho sempre cercato di non identificarmi totalmente in quello che
facevo. E tuttora è così. Adesso mi occupo di teatro. Il teatro mi piace, lo faccio
molto volentieri, ma mi dà anche un grosso senso di sollievo il fatto di occuparmi
di una cosa che poi, ancora una volta, non è esattamente la mia vita, voglio dire.
Io amo il teatro però non lo amo quanto la letteratura, quanto la poesia. Ancora
una volta tento di fare un lavoro che è sì molto più vicino dell’avvocato, o del
consigliere delegato, dell’amministratore delegato di una società, ai miei interessi
centrali, però è sempre un pochino spostato. E’ ancora un riflesso della mia
tendenza a dissociare il lavoro di cui si vive dal lavoro per cui si vive.
14
13
Tratto da un articolo pubblicato sull’<<Espresso>> del1 febbraio 1987, ora in G. Raboni,
L’opera poetica, a cura di R. Zucco, Mondadori, Milano 2006 p. CXIX
14
Intervista a G. Raboni di P. Del Giudice, Giovanni Raboni, <<Galatea>>, XI, 12/2002-1/2003,
dicembre 2002-gennaio 2003, pp. 46-47
13
L’anno successivo Raboni raccoglie e pubblica presso Transeuropa
una ventina di interventi già apparsi su <<Rinascita>>,
<<L’Europeo>>, <<Il messaggero>> ne I bei tempi dei brutti libri.
Durante gli anni seguenti l’attività critica è accompagnata da un ampio
sviluppo poetico con le pubblicazioni, nel 1988 presso Mondadori, di
A tanto caro sangue. Poesie 1953-1987, nel 1990 presso Einaudi di
Versi guerrieri e amorosi, nel 1993 presso Mondadori di Ogni terzo
pensiero e nel 1997 presso Garzanti della raccolta Tutte le poesie
(1951-1993).
I Versi guerrieri e amorosi aprono per Raboni la stagione della
sperimentazione metrica sulle forme chiuse, specialmente del sonetto:
E’ successo a dieci anni di distanza dal mio incontro con Patrizia Valduga, che è
sicuramente all’origine di questo…Lo shock è stato per me, oltre alla sua
persona, la sua poesia…ma ci ho messo dieci anni a elaborarlo e ne sono venuti i
sonetti. Adesso, pensandoci, sono importanti soprattutto perché credo di essere
riuscito finalmente… a parlare di me come non avevo mai fatto, attraverso
qualche travestimento. Uno ne ha sempre bisogno, almeno io, prima era il
travestimento dei personaggi, poi il travestimento del racconto in cui c’è un io un
po’ romanzato, dietro al quale ancora in qualche modo si cela la persona
dell’autore. Qui il travestimento è la forma, per il resto so di aver parlato
veramente in prima persona.
15
Sempre nel 1997 pubblica presso l’editore Scheiwiller una raccolta di
undici sonetti dal titolo Nel libro della mente, mentre nel 1998 esce
presso Mondadori la nuova raccolta Quare tristis. Nel 1994 era già
stata pubblicata presso Rizzoli Devozioni perverse, opera di critica
15
Intervista a G. Raboni di G. Fantato e L. Cannillo, Ogni sera che viene sulla terra. Gabriela
Fantato e Luigi Cannillo dialogano con Giovanni Raboni, <<La mosca di Milano>>, VII, 2,
novembre 2004, pp. 7-14; poi, in una redazione più ampia e con titolo Il respiro dell’impoetico, in
La biblioteca delle voci a cura di L. Cannillo e G. Fantato, Joker, Novi Ligure 2006
14
non solo letteraria, ma anche politica e di costume, che raccoglieva
articoli editi sull’<<Europeo>> e sul <<Corriere della sera>> tra il
1988 e il 1991 e che era costruita come una sorta di diario.
Nel 1998 Raboni accetta l’incarico, conferitogli da Walter Veltroni, al
tempo ministro della Cultura, di prendere parte al Consiglio di
amministrazione del Piccolo Teatro di Milano. L’attività porta inoltre,
l’autore a vestire anche i panni dello scrittore di teatro con la
pubblicazione presso Garzanti di Rappresentazione della croce edita
nel 2000 e di Alcesti, o La recita dell’esilio del 2002.
Sospende, però, a causa dell’incarico di amministratore, l’attività di
critico teatrale, ma continua a collaborare con il <<Corriere della
sera>>, con cadenza settimanale, nelle vesti di critico letterario e di
commentatore. Con queste parole l’autore riassume parte
dell’esperienza di critico presso i vari periodici:
Le mie scelte dipendono un po’ dal caso e dalle possibilità che mi si offrono. Ai
tempi de <<L’Europeo>> vivevo di collaborazioni giornalistiche, perché avevo
lasciato da anni l’editoria. […] Questa fase, questo spazio con lo strumento di
polemica, anche della stroncatura si è un po’ prolungata in qualche modo anche
nella collaborazione con <<Il Corriere>> perché oltre alla rubrica di teatro,
scrivevo pezzi di costume anche in prima pagina eccetera. La cosa si è un po’
istituzionalizzata con la rubrica domenicale che si intitola Contraddetti, in cui
faccio un po’ questo tipo di giornalismo di intervento […]. Io mi riconosco molto
nella cultura lombarda fra l’Illuminismo e quell’illuminista del tutto particolare
che è stato Manzoni. Mi riconosco molto in questa figura dell’intellettuale che
non si chiude in una torre d’avorio, ma che cerca di vivere i problemi della
società reattivamente, anche rumorosamente. In questo mi sento lombardo molto
più che nella formula della lirica, della linea lombarda, del “laghismo” ecc.. Mi
sento lombardo nel senso dell’implicito impegno etico della letteratura.
16
16
Intervista a G. Raboni di P. Del Giudice, Giovanni Raboni¸ <<Galatea>>, XI, 12/2002-1/2003,
dicembre 2002-gennaio 2003, pp. 46-47
15
Gli ultimi anni della sua vita sono ancora molto prolifici: Raboni
pubblica infatti Tutte le poesie (1951-1998) nel 2000 presso Garzanti
e la raccolta Barlumi di storia nel 2002 presso Mondadori. L’edizione
di Ultimi versi, sarà invece pubblicata postuma nel 2006 presso
Garzanti con una postfazione di Patrizia Valduga, che con questo
discorso ha deciso di ricordarlo durante le esequie:
La forza della sua realtà interiore era la sua sola forza, e la passione per la
letteratura era passione per la realtà, per la vita, perché la letteratura era per lui la
dignità dell’uomo nel mondo, era la comprensione del mondo e responsabilità nel
mondo. Raboni bastava a se stesso, […] ma non poteva vivere da solo. I soli
<<intimi nel cuore nel midollo>>, i soli <<infinitamente cari>>, sono forse le
ombre che tornano nei suoi versi, i soli che l’hanno amato senza chiedergli niente.
[…] La verità è che per conoscerlo bisogna andarlo a cercare nei suoi versi.
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G. Raboni, L’opera poetica, a cura di R. Zucco, Mondadori, Milano 2006 p. CXLIV
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