4
Tale analisi paratestuale dei libri del Ventennio, editi da case che si configuravano quali
prolungamento diretto del regime, consente di prendere atto di una delle molteplici
modalità che il fascismo aveva per parlare alle masse, una modalità “mimetica” e perciò
forse ancor più pericolosa.
5
INTRODUZIONE
CENNI STORICI
Sotto il Ventennio fascista l’editoria
3
si caratterizza per una forte relazione instaurata
con il mondo politico-istituzionale del regime. Il controllo politico sul mondo editoriale
è forte, lo Stato spinge a una modernizzazione autoritaria, a una tendenza
all’industrializzazione, alla creazione di un pubblico di massa e di nuovi strumenti di
promozione. L’imprenditoria privata è fortemente influenzata dall’intervento statale, il
fascismo incide sulla produzione editoriale con varie forme di sostegno statale, sgravi
fiscali, commesse librarie (ad esempio l’ordine e il finanziamento, da parte del
Provveditorato generale dello stato, di prestigiose edizioni nazionali di alcuni maggiori
scrittori italiani e di testi dichiaratamente fascisti), acquisto di libri per biblioteche e
ministeri, facilitazione delle spedizioni postali e ferroviarie di libri, organizzazione
nazionale e internazionale di fiere del libro, congressi e mostre con finalità nazionalista,
e con l’introduzione a partire dal 1929 del testo unico per le scuole elementari. Il regime
istituisce organi e istituti che assegnano grande importanza alla politica culturale:
nascono l’Istituto Nazionale Fascista di Cultura col compito di inglobare e coordinare
gli enti culturali locali; e la Federazione nazionale fascista dell’industria editoriale, al
posto dell’Associazione editori e librai italiani, dichiarandosi a totale disposizione del
regime e ponendosi come obiettivo l’esportazione della cultura italiana all’estero.
Fino agli anni Trenta inoltrati domina una certa ambiguità e, nonostante il generale
allineamento al regime, permangono margini di autonomia nelle redazioni, in cui
continuano a lavorare anche redattori non allineati; le traduzioni sono tollerate (i diritti
d’autore costano poco); la censura è indiretta (attraverso pressioni su singoli editori,
veline, rapporti politici preferenziali). Nel 1934 viene istituita la censura preventiva, a
cui si aggiungono sequestri da parte del Ministero per la stampa e la propaganda (dal
1937 Minculpop), e autocensure che gli editori si impongono; è nel 1938 però che la
pratica censoria si inasprisce attraverso l’introduzione di un elenco degli autori sgraditi
al regime (ebrei e stranieri), e di una Commissione per la bonifica libraria; mentre nel
1941 viene proibita la letteratura popolare americana (gialli e fumetti). Molti editori
sono costretti a cambiare nome o chiudere; proliferano sequestri e arresti.
3
I cenni storici sono tratti da Gianfranco Pedullà, “Gli anni del fascismo: imprenditoria privata e
intervento statale”, in Gabriele Turi, Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, Giunti, Firenze, 1997,
pp. 341-382.
6
Le case editrici, sin dall’inizio, si allineano rapidamente al nuovo potere, con una buona
dose di opportunismo economico accettano la logica dominante, si adattano e, salvo rari
casi, aderiscono al nuovo stato di cose convivendo col regime. Il dissenso, tacito, è
limitato a poche case editrici; il consenso e l’adesione dominano in un’editoria
fortemente politicizzata. Le commesse librarie, le sovvenzioni economiche, gli sgravi
fiscali inducono molti editori, sin dagli anni Venti, a scendere a compromessi
pubblicando testi di stampo fascista e contenuti graditi al regime; i più renitenti, sono
intimati ad adeguare la propria produzione al nuovo clima editoriale, pena la fine
dell’impresa.
Lo Stato stesso si fa editore, non solo per mezzo delle già citate committenze librarie di
cui beneficiano molti editori, e del ruolo che il Provveditorato generale dello stato
svolge nel finanziamento di edizioni nazionali, ma soprattutto per mezzo di case editrici
dichiaratamente allineate, che nascono con l’obiettivo di servire il regime e diffondere i
principi fascisti, che vivono accanto a quelle che, per necessità o per forza, si sono
compromesse, e che muoiono rapidamente col crollo della dittatura, e in molti casi
anche prima.
Tra le maggiori case editrici chiaramente affiancate al regime ci sono la Alpes, la
Libreria del Littorio, la Augustea, e le Edizioni Roma
4
.
La casa editrice Alpes
5
, fondata da Franco Ciarlantini, è costituita come società anonima
con un capitale di centomila Lire, e iscritta alla Camera di Commercio di Milano dal 22
gennaio 1921. La sede è originariamente collocata, a Milano, in via San Vincenzino e -
come deducibile da alcune pubblicazioni della casa - si trasferisce presto in via
Maroncelli 10, e nel 1923 in via Paolo da Cannobio 35, “covo” (così definito da
Mussolini stesso) storico del «Popolo d’Italia»; mentre negli anni Trenta trova sede in
via Monte di Pietà 9. Il consiglio della casa è composto da Giuseppe Segre, Franco
Ciarlantini, Giovanni Capodivacca, Vittorio Terragni, Eucardio Momigliano. Nel
maggio 1929 Arnaldo Mussolini risulta presidente della società; Ciarlantini consigliere
delegato. Un atto dell’aprile 1932 registra lo scioglimento e la messa in liquidazione
della società. In una lettera del marzo 1932, Ciarlantini raccomanda all’editore
Formiggini lo scrittore Vittorio Giovanni Rossi del quale Alpes aveva pubblicato
4
Altre case editrici “militanti”, qui non esaminate, sono: Pinciana, L’Urbe, Lentini, Mussolinia, Ardita,
Edizioni de L’Ardito, Edizioni della rivista «Tempo di Mussolini», Chiurazzi, Usila, Ravagnati, Ires.
Istituto meridionale di cultura, Audace, Casa editrice del Popolo d’Italia.
5
Le informazioni sulla nascita, la chiusura, il consiglio di amministrazione e la presidenza della Alpes
sono tratte da Olivia Barbella, “I ricercati di Alpes”, «Wuz», 2, Editrice Bibliografica, Milano, 2002, p.
16.
7
l’opera di esordio, e nomina esplicitamente la crisi della casa editrice: “Tu sai che la
Alpes in questo momento non può prendere nuovi impegni per la crisi che tuttora la
travaglia […]“
6
.
Franco Ciarlantini, nato nel 1885 a San Ginesio, nelle Marche, si avvicina, ventenne, al
socialismo, divenendo segretario della sezione locale del partito; trasferitosi a Milano è
eletto, nel 1914, membro del comitato direttivo della sezione socialista del capoluogo,
ma incrina ben presto i rapporti col partito schierandosi a favore dell’interventismo.
Dimessosi dall’incarico, parte per il fronte come soldato semplice, divenendo presto
ufficiale per meriti di guerra. Nel 1919 si avvicina al nascente movimento fascista e
collabora al «Popolo d’Italia». Nel 1923 si iscrive al PNF ed entra nel direttorio
nazionale del partito e del Gran consiglio; nel 1926 diventa presidente della federazione
nazionale fascista dell’industria editoriale, che “è in realtà un organo periferico dello
stato, e ha il preciso dovere di collaborare con il potere centrale”
7
; ricopre molte cariche
politiche sotto il regime, tra cui la direzione dell’Ufficio stampa e propaganda. Autore
di memorie di guerra e altri romanzi, trova il suo campo più fertile nell’espressione
letteraria e giornalistica, e nell’organizzazione di manifestazioni culturali in linea con
l’ideologia fascista: “trova posto entro quella schiera di intellettuali che dovevano dare
al fascismo la necessaria veste di serietà e saldezza ideologica”
8
.
Lo stesso fondatore, in un testo in cui teorizza e descrive la situazione editoriale italiana
a lui contemporanea, e la qualità della produzione libraria, dipinge il (primo)
dopoguerra come un “periodo di disorientamento” ma anche “di fede” in quanto ha
visto affacciarsi “imprese condotte coraggiosamente e che hanno trovato, nel clima
nuovo e sereno stabilito dal Fascismo, la possibilità di un magnifico sviluppo”
9
. Tra
esse annovera in primis la sua Alpes “che potrebbe essere detta la prima delle Case
editrici sbocciata nell’atmosfera del Fascismo a secondarne l’azione”: l’intento della
casa è dunque palesemente dichiarato dallo stesso fondatore, che illustra la Alpes quale
casa editrice allineata al regime con volontà propagandistiche. Considerando tuttavia
semplicemente il nome, e i marchi, della casa, si può affermare che l’impronta fascista
non sia immediatamente riconoscibile.
6
Cit. in Olivia Barbella (2002) e tratto da Gianfranco Tortorelli, “Editoria e fascismo: lettere di F.
Ciarlantini ad A. F. Formiggini”, «Padania», 1992, 11.
7
Franco Ciarlantini, «Giornale della libreria», XXXIX, 44-46, 1926, p. 620.
8
Per la biografia di Franco Ciarlantini, si veda Elisabetta Lecco, “Franco Ciarlantini”, in Dizionario
biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, vol. XXV, 1986, pp. 214-216.
9
Franco Ciarlantini, Vicende di libri e di autori, Ceschina, Milano, 1931, p. 96.
8
La casa pubblica, in dieci anni di attività, diverse collane
10
e molte opere fuori collana;
accanto a volumi di impronta storico-politica volti a diffondere il pensiero fascista, e ai
discorsi di Mussolini, compaiono moltissimi romanzi destinati a un pubblico ampio ed
eterogeneo, in edizioni che tentano di differenziarsi e rendersi evidenti agli occhi dei
potenziali lettori. Secondo Ciarlantini, la crisi libraria dell’epoca poteva essere risolta
orientando l’attività editoriale verso un pubblico vasto, conquistando sempre più lettori,
e inducendo sempre più persone alla lettura, per “rieducare il pubblico all’amore del
libro”
11
.
Ciarlantini, inoltre, esprime il proprio favore nei confronti dell’editoria di viaggio e dei
libri di tema geografico:
Bisogna disseppellire, diffondere, propagare questi testi, che costituiscono una delle più grandi
benemerenze del nostro popolo e sono il documento del primato che esso ebbe nelle navigazioni e nelle
scoperte dal XIII al XVI secolo e poi nella bella ripresa del secolo XIX. Riunire queste opere, portarle in
serie, dignitose e accessibili edizioni alla portata di tutti gli strati della nostra popolazione, vuol dire
contribuire splendidamente all’opera di ricostruzione politica, sociale ed economica della Nazione,
accelerando la formazione di una mentalità nuova che consideri il mondo intero come un campo
inesauribile offerto alle attività dell’intelletto, dell’azione e del lavoro italiano. […] Occorre dare una
diffusione popolare delle idee ed ai fatti che si collegano col grande movimento di espansionismo
moderno, e di sottrarre alla polvere ed all’oblio delle biblioteche e degli archivi il tesoro della nostra
antica e moderna letteratura di geografia e di viaggi. (Ciarlantini 1931: 101-103).
Alla luce di queste dichiarazioni, dunque, si può interpretare la scelta (precedente a tali
affermazioni) dell’intellettuale di dare alle stampe, presso Alpes, collane come “Viaggi
e scoperte di navigatori ed esploratori italiani” avente finalità di valorizzare le imprese
compiute dagli Italiani nel mondo, ma anche i libri di viaggio di Mario Appelius,
giornalista di regime, collaboratore del «Popolo d’Italia», e autore di commenti
radiofonici alla trasmissione «Fatti del giorno».
Molte, inoltre, sono le traduzioni di narrativa (tra cui Conrad, Rilke, Chesterton, Bronte,
Flaubert) e di opere teatrali straniere, a dimostrazione che “in pieno clima di autarchia
culturale, tradurre autori stranieri non significa tout court essere antifascisti né farsi
oppositori della retorica nazionalista imperante” (Barbella 2002: 19). La presenza di
molte traduzioni è vista con particolare favore dal fondatore Ciarlantini, in quanto
10
Ciarlantini stesso è direttore e curatore della collana “Biblioteca di coltura politica”.
11
Nicola Tranfaglia, Storia degli editori italiani: dall’unità alla fine degli anni sessanta, Laterza, Roma,
Bari, 2000, p. 244.
9
contribuisce a dare alla Alpes “una fisionomia assai complessa”, e rientra “nella
cooperazione intellettuale dei popoli”
12
.
La Alpes si lega inoltre, inaspettatamente, con le Edizioni di Solaria e quelle dei fratelli
Ribet per le quali si occupa della distribuzione dei primi titoli pubblicati
13
. Pur
inserendosi dunque nel contesto della politica culturale del fascismo, l’Alpes attua un
programma editoriale che travalica i confini provinciali e retrogradi.
La casa editrice di Ciarlantini è anche descritta dall’editore Angelo Fortunato Formiggini
nel suo spiritoso Dizionarietto rompitascabile
14
in questo modo:
E’ la casa editrice dell’On. Ciarlantini e quando Ciarlantini va in America (e ci va spesso) resta
sulla breccia il bravo Giardini che, silenziosamente, gli sta mettendo su “un’azienda per la quale”.
Comincia ora una collezione di navigatore e di esploratori italiani che è qualche cosa di bello. Ha una
collezione di profili intitolata “Itala gente da le molte vite”. Sono usciti, dall’Alpes, molti libri e tutti
quanti ben vestiti. Ottima la collezione del “Teatro”. Pubblica anche la raccolta dei discorsi del Duce, con
eccezionale successo (Formiggini 1928: 10).
L’editore, pur nel suo convinto antifascismo, descrive gli editori del suo tempo con
ironia e umorismo, senza lasciare trapelare il proprio atteggiamento di opposizione al
regime, ma anzi elogiando le edizioni ben realizzate della Alpes nonostante sia una casa
allineata. Interessante è il riferimento alla professionalità di Cesare Giardini,
collaboratore, letterato, traduttore e anche autore di opere uscite presso la casa stessa.
Un altro collaboratore di rilievo, oltre a Giacomo Prampolini, è Gian Dauli, che per
Alpes traduceva le opere di Chesterton, mentre dava vita a un’agenzia editoriale e a casa
editrici di libri economici come Delta e Dauliana (Marchetti, Finocchi 1997: 203). Tra
gli autori italiani pubblicati da questa casa editrice ci sono, oltre al già citato Mario
Appelius, Lorenzo Viani, pittore e scrittore; Corrado Alvaro, e Alberto Moravia, che
esordisce col romanzo Gli indifferenti, per la pubblicazione del quale ha dovuto pagare
all’editore cinquemila Lire. Nonostante il successo di vendite, la Alpes restituisce al
giovane scrittore esordiente solo la cifra da lui pagata, senza interessi e perciò senza
guadagno per Moravia
15
.
12
Albertina Vittoria, “Mettersi al corrente con i tempi. Letteratura straniera ed editoria minore”, in Ada
Gigli Marchetti, Luisa Finocchi (a cura di), Stampa e piccola editoria tra le due guerre, F. Angeli,
Milano, 1997, p. 211-212.
13
Nicola Tranfaglia (2000), pp. 252, 387.
14
Angelo Fortunato Formiggini, Dizionarietto rompitascabile degli editori italiani, compilato da uno dei
suddetti, Formiggini, Roma, 1928, p. 10.
15
Per la vicenda della pubblicazione de Gli Indifferenti, si veda Alain Elkann, Vita di Moravia,
Bompiani, Milano, 1990, p. 35.
10
La casa editrice Alpes, nonostante i chiari e innegabili legami col fascismo, si configura
essenzialmente come una casa editrice di narrativa, più che come una casa editrice
“militante” in senso stretto: accanto alla pubblicazione dei discorsi del duce e di opere
volte a esaltare i principi del regime, essa infatti diversifica l’offerta cercando la varietà
e orientandosi verso un pubblico non necessariamente di ferventi fascisti, ma di lettori
attenti a una produzione attuale.
La Libreria del Littorio
16
sorta per diretta iniziativa di Benito Mussolini, che ha voluto farne un ente librario del fascismo,
fu inaugurata il 2 gennaio 1927. Ha adottato per suo motto il motto del Duce: “Libro e moschetto fascista
perfetto” (Formiggini 1928: 18),
è una casa editrice fondata Giorgio Berlutti
17
, che già dal 1926 dirigeva la rassegna
mensile «Bibliografia fascista» e il giornale per la gioventù «Il tricolore». “Nata per
iniziativa e per precisa volontà di S. E. Benito Mussolini, il quale ne ha scelto il nome e
ne ha stabilito le funzioni e gli scopi”, come si legge su diverse quarte di copertina delle
sue edizioni, ha come presidente Augusto Turati, allora anche segretario del PNF;
mentre Giovanni Gentile ha fatto parte del suo consiglio di amministrazione. Situata a
Roma, in piazza Montecitorio 52, e avente sede anche a Milano in via Durini 1
18
, la casa
editrice si mostra a completo servizio del regime, si propone di essere “il centro
operante della cultura fascista nelle sue varie forme e nei più svariati campi”, il suo
scopo è sia di informare il mondo degli intellettuali in merito alle opere e alle idee del
fascismo, sia di assumersi un compito formativo. Secondo le cronache de «L’Italia che
scrive», nel 1928 Berlutti apre a Roma anche una libreria - sempre denominata del
Littorio - vicino a Montecitorio: un centro di ritrovo che non voleva limitarsi a parlare
solo di cultura e di ultimi volumi pubblicati, ma fare “propaganda fascista”. La casa
editrice è stata infatti tra le più attive case editrici di supporto propagandistico al regime,
16
Le principali informazioni sulla vita della Libreria del Littorio sono tratte da Nicola Tranfaglia (2000),
pp. 254, 265.
17
In Filippo Scarano (a cura di) (1957), Chi è? Dizionario biografico degli Italiani d’oggi, Scarano,
Roma, a p. 91 si legge che Giorgio Berlutti era anche direttore della rivista «Turismo d’Italia» e direttore
della Unione editoriale d’Italia, a testimonianza del successivo cambiamento di denominazione della
Libreria del Littorio.
18
Come si deduce dalle informazioni di copertina di alcuni volumi della casa, ad esempio in Benito
Mussolini, Discorso dell’ascensione, Libreria del Littorio, Roma, Milano, 1927.
11
stampando sia libri che opuscoli e volumetti di orientamento fascista, discorsi del duce e
di altri gerarchi, opere “militanti” fortemente orientate all’apologia di regime.
Nel 1930 la Libreria del Littorio rileva la casa milanese Libreria d’Italia; nel 1932 si
trasforma nell’Anonima tipo-editoriale libraria (Atel) e, nel 1937, nell’Unione editoriale
d’Italia, con sede in via dei Prefetti 8
19
, a Roma, attingendo abbondantemente ai
finanziamenti della commissione del ministero dell’Educazione nazionale per la
pubblicazione delle proprie opere. Osservando alcune delle prime pubblicazioni uscite
sotto il nome dell’UEDI, è possibile ricavare interessanti informazioni che consentono
di comprendere - o almeno ipotizzare - qualcosa in più sulla storia della casa editrice. I
risvolti di copertina di Problemi del lavoro
20
, di Riccardo Del Giudice, ad esempio,
pubblicizzano la collezione “Bibliotechina del dirigente sindacale” elencando titoli che
– come emerge dal catalogo OPAC – sono usciti nel 1935 per la casa editrice romana
Edizioni dell’agenzia Delta. Si può ipotizzare dunque che la Libreria del Littorio,
cambiando nome, abbia anche assorbito e incorporato l’attività editoriale di questa casa
editrice.
Ad ogni modo, la Libreria del Littorio dimostra come, a partire dal semplice nome, sia
possibile in alcuni casi riconoscere una casa editrice quale impresa “di servizio” sorta
con scopi propagandistici e volontà apologetiche nei confronti della dittatura. Il marchio
editoriale raffigurante un fascio littorio conferma inoltre l’orientamento politico della
casa. Quando essa muta il nome in Unione editoriale d’Italia, diventa più difficile
individuarne l’allineamento fascista a partire dal nome, ma il logo editoriale rimasto
invariato viene in soccorso confermandone la posizione e decretando la continuità della
casa con la Libreria del Littorio.
In soli cinque anni di vita la Libreria del Littorio pubblica oltre duecento opere, di cui
più della metà inerenti il fascismo
21
.
Anche Franco Ciarlantini descrive con ammirazione la Libreria del Littorio:
Un episodio di grande rilievo in questo nuovo dinamismo post-bellico dell’editoria italiana, è la
fondazione della Libreria del Littorio, con un vasto programma di carattere politico, mentre non mancano
serie iniziative intese a presentare al pubblico le idee e il lavoro dei giovani scrittori italiani: questi,
checché ne dicano gli scettici, sono una legione (Ciarlantini 1931: 97).
19
L’indirizzo si ricava dalle copertine delle pubblicazioni della casa editrice, ad esempio da Dal patto di
Mosca alla sconfitta polacca, Unione editoriale d’Italia, Roma, 1941.
20
Riccardo Del Giudice, Problemi del lavoro, Unione editoriale d’Italia, 1937.
21
Le informazioni sulla fondazione e la vita della Libreria del Littorio sono tratte da Nicola Tranfaglia
(2000), pp. 254, 265. Si veda anche Gianfranco Pedullà (1997), p. 355.
12
Le pubblicazioni di questa casa editrice sono tutte di impronta politica, le collane
riguardano i provvedimenti legislativi introdotti dal regime, l’elogio della grande guerra
e, in seguito, dell’espansione coloniale; le traduzioni sono rarissime; i pochi testi di
narrativa e divulgazione fanno riferimento ai valori e ai principi del fascismo. Tra gli
autori, accanto a Mussolini che pubblica qui alcuni suoi discorsi, ci sono molto
intellettuali e politici del regime come Giovanni Gentile, Giuseppe Bottai, Augusto
Turati, Amedeo Tosti. La Libreria del Littorio si configura quale caso esemplare di
un’editoria posta a diretto servizio dello Stato: istituita dal fascismo per essere
strumento di propaganda, si rivolge a un pubblico militante e di convinti sostenitori del
regime.
La casa editrice Augustea è, come la Alpes, un progetto di Ciarlantini, da lui definito
“creatura romana piena di promesse” (Ciarlantini 1931: 97). Fondata a Roma nel 1925,
e ubicata in via Panetteria 15
22
, pubblica una rivista omonima di politica, economia e
arte, ma, a differenza dell’Alpes, è meno variegata e maggiormente orientata alla
propaganda e alla divulgazione. Anche la scelta del nome Augustea è indicativa
dell’orientamento politico: il nome coglie infatti, del fascismo, l’esaltazione della
romanità e l’esibita rievocazione dei fasti della Roma imperiale. Anche il marchio della
casa ribadisce il ruolo della romanità antica proponendo come simbolo una colonna
romana.
Durante la propria attività, la casa pubblica libri di impronta politica e brevi biografie di
“prefascisti”, al fine di dimostrare che l’ideologia fascista ha radici storiche.
Tra gli autori pubblicati dall’Augustea, vi sono uomini del fascismo come Arnaldo
Mussolini e Amedeo Tosti, oltre ad alcune opere di Ciarlantini stesso. Tra i curatori e i
collaboratori della casa editrice figurano Valentino Piccoli e Giuseppe Bottai. Le
traduzioni sono pressoché assenti, le pubblicazioni sono quasi tutte orientate verso la
tematica politica, anche se compare qualche raccolta poetica e qualche testo di
divulgazione artistica.
22
Lo si legge su alcune copertine dei volumi della casa, ad esempio sul risvolto di sovraccoperta di Ugo
Barni, Corridoni, Augustea, Roma, Milano, 1929.
13
Franco Ciarlantini svolge un ruolo di primo piano anche nella casa editrice Edizioni
Roma
23
, che dirige dal 1934. Formiggini nel suo Dizionarietto
24
indica inoltre nella
figura di Galassi Paluzzi un ruolo direttivo all’interno della casa, che pubblicherebbe,
oltre a libri di arte locale e storia, anche una rivista intitolata proprio “Edizioni Roma”.
Nata con l’obiettivo di “servire il regime per quello che riguarda i problemi
dell’educazione nazionale e il collegamento con gli Italiani all’estero” (Pedullà 1997:
365), è presieduta dal docente universitario di origini abruzzesi Gioacchino Volpe, ed è
situata a Roma al palazzo Rospigliosi di via XXIV maggio
25
. Pubblica testi e collane di
attualità storico politica, di tematica coloniale, e di celebrazione delle operazioni
militari; dà spazio però anche a opere di arte romana e testi teatrali, lasciando pressoché
vuoto il settore delle traduzioni e della narrativa.
Tra gli autori che pubblicano presso Edizioni Roma ci sono Carlo Scarfoglio e Cesare
Balbo.
Sebbene non fosse, questa, una casa editrice di particolare rilievo nel panorama
editoriale italiano, grazie alla presenza di personaggi come Gioacchino Volpe e
Giuseppe Bottai nel consiglio della società, riesce a ottenere alcune commesse dalla
commissione del ministero dell’Educazione nazionale per l’acquisto di pubblicazioni
destinate alle biblioteche, commissione istituita proprio da Bottai. Le commesse
ottenute sono state solo diciassette, ma il numero delle copie si rivela elevato, in media
intorno alle centoventi.
Per quanto riguarda il rapporto con gli Italiani all’estero
26
, poi, Ciarlantini manifesta
l’intenzione di collegare la progettata collana “Almanacco degli Italiani all’estero” con
le iniziative dell’Istituto di cultura fascista, e in una lettera del 1934 scrive a Giovanni
Gentile:
Lei sa per esperienza quanto giovamento abbiano gli organismi di propaganda a servirsi peri loro
compiti di case editrici che agli occhi del pubblico abbiano i caratteri delle industrie normali private
(Pedullà 1997: 365).
23
Le informazioni in merito alla casa editrice Edizioni Roma sono tratte da Nicola Tranfaglia (2000), p.
253.
24
Formiggini (1928), p. 19.
25
L’indirizzo si ricava dalle copertine delle pubblicazioni della casa editrice, ad esempio da Danzi
Guglielmo, Europa senza Europei?, Edizioni Roma, Roma, 1934.
26
In merito a queste dichiarazioni di Ciarlantini, si veda Pedullà (1997), p. 365.
14
Ciarlantini, fondatore e direttore di case editrici e curatore di collane di cultura politica,
mostra una forte consapevolezza nei confronti del potere che l’editoria ha nell’ambito
della propaganda e della diffusione dell’ideologia fascista. Attraverso le case editrici, e
soprattutto attraverso quelle che meglio dissimulano l’allineamento al regime, sa di
poter raggiungere un vasto pubblico orientandone le idee e le convinzioni. Sa che il
regime possiede nelle proprie mani strumenti forti di persuasione, case editrici sorte per
amplificare la voce del duce e fare da eco ai principi fascisti.
I PARATESTI
Circondano il testo, lo presentano, lo anticipano, lo promuovono al pubblico: sono i
paratesti, le soglie, le porte che introducono il lettore al testo, fungendo da elementi di
transizione e di transazione. Elemento di transizione, cioè di passaggio, il paratesto
conduce al testo dall’extratesto e viceversa; elemento di transazione, cioè di scambio,
consente la comunicazione tra editore, autore e lettore. A Gérard Genette
27
va il merito
di aver introdotto lo studio sul paratesto, che viene definito
Un insieme eteroclito di pratiche e di discorsi di tutti i tipi e di tutte le età che io riunisco con
questo termine in nome di una comunità di interessi, o convergenza di risultati, che mi sembra più
importante della loro diversità (Genette 1989: 4).
Tali pratiche accompagnano un testo trasformandolo in un libro, assicurandone il
consumo in forma di libro, facendo del testo un oggetto materiale, “rendendolo
presente” al pubblico; esse costituiscono una soglia, una zona dai confini sfumati che
separa e al tempo stesso unisce l’identità del testo, l’identità storica e sociale del
pubblico e l’esperienza del singolo lettore
28
. Tale soglia permette a questi mondi di
comunicare; consente che editore e lettori possiedano una retorica comune: con essa, e
con gli “indizi” che l’editore offre attraverso gli elementi paratestuali, il pubblico entra
in relazione con l’editore, con l’autore e con il libro. Il paratesto, per Genette, è una
27
Il termine “paratesto” è utilizzato da Genette prima in Palimpsestes: la littérature au second degré,
Seuil, Paris, 1981; poi vi dedica un’intera opera intitolata Seuils, Editions du seuil, Paris, 1987, tradotto in
italiano a cura di Camilla Cederna col titolo Soglie. I dintorni del testo, Einaudi, Torino, 1989.
28
Cristina Demaria, Riccardo Fedriga, (a cura di), Il paratesto, Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano,
2001, p. 5.
15
“frangia”
29
di testo attraverso il quale “il testo diventa libro e in quanto tale si propone
ai suoi lettori e, in genere, al pubblico” (Genette 1989: 4); “è un discorso
fondamentalmente eteronomo, ausiliare, al servizio di qualcos’altro che costituisca la
sua ragion d’essere, e che è il testo”: è cioè essenzialmente “funzionale” (Genette 1989:
13).
La responsabilità del paratesto può essere dell’autore o dell’editore, anche se nella gran
parte dei casi è condivisa: si parla di paratesto autoriale se il destinatore del paratesto è
l’autore (ad esempio quando impone il titolo o scrive una prefazione); si parla di
paratesto editoriale se invece il destinatore è l’editore (come nel caso del prière
d’inserer) (Genette 1989: 10).
Il paratesto “è esso stesso un testo: se non è ancora il testo, esso è già testo”; tuttavia,
oltre che di tipo testuale (come titoli e prefazioni), il paratesto può essere di tipo iconico
(come le illustrazioni), materiale (impaginazione, tipo di carta), o fattuale (età, sesso
dell’autore, data dell’opera, contesto storico). I paratesti testuali possono subire
l’influenza delle scelte dell’editore e dell’autore, ma anche servire a esigenze
promozionali o propagandistiche. I paratesti iconici possono essere influenzati dal
periodo storico-artistico e dalle tecniche in uso (Genette 1989: 9).
Inoltre, Genette suddivide gli elementi paratestuali in due gruppi, in base alla loro
collocazione
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: si parla di peritesto e di epitesto.
Il peritesto è l’insieme delle informazioni e dei messaggi relativi al testo che si trovano
entro i confini del volume inteso come prodotto materiale: formato, titolo, copertina,
frontespizio, risvolti, fascetta, sovraccoperta, prefazione, ecc. In molti casi si tratta di
testi verbali, come il titolo e le prefazioni; in altri casi si tratta di elementi di ordine
visivo, quali le illustrazioni di copertina, l’impaginazione, il carattere adoperato.
L’epitesto comprende ciò che si trova fuori dal volume, discorsi che riguardano il libro
ma che non ne fanno materialmente parte, e circolano in uno spazio sociale sia pubblico
che privato. L’epitesto pubblico comprende i discorsi sul libro veicolati dai mass media,
come le interviste all’autore, le recensioni, i dibattiti; l’epitesto privato comprende
invece lettere, diari privati, carteggi in cui si accenna al testo o alle circostanze che
hanno generato o accompagnato la stesura.
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Génette accoglie la definizione che Philippe Lejeune in Il patto autobiografico, Il Mulino, Bologna,
1986 dà di paratesto: “frangia del testo stampato che, in realtà, governa tutta la lettura”.
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Per la descrizione di questa distinzione si veda Demaria (a cura di) (2001), pp. 6-7; e Genette (1989),
pp. 7, 17, 337.
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Il paratesto, inoltre, può essere pubblico, privato o intimo: pubblico se è
intenzionalmente rivolto ai lettori, ai critici, ai librai, come nel caso di titoli, copertine,
prière d’inserer, ecc.; privato se si rivolge a singoli individui, come nel caso di epistolari
dell’autore; intimo se l’autore lo rivolge a se stesso, come nel caso di diari personali.
Come si è detto, grazie agli elementi paratestuali è possibile mettere in comunicazione
editore e lettori, e mettere in circolazione un testo che ha finalmente preso forma.
Tuttavia, nel momento in cui l’editore si trova a scegliere di quali apparati paratestuali
dotare il testo che vuol pubblicare, e come presentare al pubblico il proprio prodotto,
inevitabilmente comunica il proprio modo di vedere quell’oggetto, esplicita la propria
interpretazione di quel testo, e di conseguenza orienta la percezione del pubblico. Con
gli elementi extratestuali giungono al lettore alcune indicazioni di lettura, secondo le
intenzioni dell’editore e i suoi suggerimenti, in quanto primo lettore. Gli elementi
paratestuali perciò non sono neutri, non introducono in modo obiettivo, non presentano
in modo privo di pregiudizi: comunicano un punto di vista e cercano di farlo assumere
al lettore, attraverso di essi l’editore suggerisce una chiave di lettura. Génette infatti
afferma che il paratesto è sempre portatore di un “commento autoriale, più o meno
legittimato dall’autore”, e che è “il luogo privilegiato di una pragmatica e di una
strategia, di un’azione sul pubblico, di far meglio accogliere il testo e di sviluppare una
lettura più pertinente agli occhi dell’autore e dei suoi alleati”, in primis l’editore
(Genette 1989: 4).
Tra i peritesti, ad esempio, la scelta del titolo di una collana o di un libro è volta a
illustrare un contenuto, ma anche a rendere il testo il più appetibile possibile al
pubblico; una copertina, oltre a proteggere il libro, soprattutto attira su di esso lo
sguardo del potenziale lettore; una dedica può aiutare il lettore a figurarsi, nella propria
mente, tutto un mondo di relazioni, conoscenze, amicizie attorno all’autore, e
contribuire ad avvolgerlo di un’aura particolare. Tra gli epitesti, diari privati, epistolari e
interviste possono ad esempio gettare una luce nuova sullo scrittore, rendendolo
interessante agli occhi di determinate fette di pubblico, e allontanandone altre. I lettori,
ovviamente, possono condividere ma anche ignorare o eludere i suggerimenti del
paratesto, ma attraverso le pratiche paratestuali è comunque possibile intuire il
suggerimento di lettura che l’editore vorrebbe dare al pubblico.
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I significati attribuiti a un libro, pertanto dipendono, si sedimentano e mutano grazie a
pratiche testuali (quali la scelta di un determinato apparato paratestuale), a pratiche
produttive, e a pratiche di lettura.
Qualunque sia l’effetto del paratesto, esso in ogni caso costituisce lo spazio di una pragmatica e
di un’azione sul pubblico. Il paratesto rende esplicite un’intenzione e un’interpretazione, crea attese e
aspettative, dispensa consigli e suggerimenti. Protegge e racchiude, classifica e spinge a conservare
(Demaria 2001: 21).
Considerando l’analisi paratestuale di volumi collocati nel contesto storico del
Ventennio fascista, e considerando le funzioni proprie dei paratesti (funzione di soglia
che mette in relazione; e funzione di suggerimento di una modalità di lettura), è
possibile osservare una forte tendenza degli editori esaminati a orientare, attraverso le
scelte paratestuali, la lettura di molti testi in senso fortemente fascista.
Più che di paratesti, sarebbe corretto parlare - in questo lavoro - di peritesti, in quanto
sono stati analizzati gli apparati paratestuali che circondano fisicamente un testo, e sono
collocati in e sopra di esso. Non sono stati esaminati, invece, gli epitesti. Per comodità
si continuerà però a utilizzare il termine più generico di paratesti.
L’esame dei volumi considerati ha consentito di concentrare l’analisi su alcuni elementi
paratestuali maggiormente ricorrenti rispetto ad altri: la presenza o l’assenza di alcuni
paratesti e non di altri permettono di individuare alcuni tratti caratteristici dei volumi del
Ventennio, e di poter effettuare delle generalizzazioni.
Paratesto
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decisamente ricorrente è la copertina, a meno che una “legatura da
biblioteca”, ignorandone il valore, non l’abbia definitivamente eliminata al fine di
proteggere l’opera. La nascita della copertina è piuttosto recente: sebbene verso la fine
del Quattrocento venissero stampate copertine provvisorie, illustrate e recanti il titolo
del testo, esse venivano però gettate al momento di rilegare il libro; è solo dalla metà
dell’Ottocento che è possibile riscontrare l’affermarsi della copertina come
consuetudine editoriale: da allora, essa è stata ampiamente sfruttata, riempita di
informazioni e messaggi seduttivi lanciati verso il lettore. Le principali funzioni della
copertina sono commerciali, promozionali e interpretative. Commerciali e promozionali
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La presente introduzione in tema di paratesto è stata redatta prendendo spunto dal testo di Genette
citato alla nota 1; da quello curato da Cristina Demaria e Riccardo Fedriga citato nella nota 2; e dal testo
di Alberto Cadioli, Giovanni Peresson, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, Liguori, Napoli,
2007.