Lesson Learned: origini, modelli ed evidenze empiriche
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quest’ambiente nell’ultimo decennio, proponendosi di considerare in maniera
rilevante l’esperienza aziendale e cercando di individuare, come dice il binomio
stesso, una “lezione appresa”.
La particolarità di questo lavoro risiede nella contrapposizione tra due ambiti:
quello militare e quello aziendale. Questo confronto risulta rilevante poiché lo
strumento Lesson Learned si è sviluppato dapprima all’interno della gestione
dell’esperienza negli eserciti già nelle grandi guerre del XX secolo e si è sviluppato
recentemente in alcune aziende e organizzazioni, specie negli Stati Uniti, e nella gran
parte dei casi i processi deriva da “concept” militari.
Lo sviluppo di questo lavoro parte da un escursus su qual è la soluzione
cognitiva militare più quotata nell’ultimo decennio, in altre parole l’Effect-Based
Approach. Le Effect Based Operations, che sono le operazioni che derivano da
questa soluzione, si fondano quindi su alcuni concetti fondamentali che sono:
pianificare correttamente la campagna andando a selezionare tra tutti i target solo
quelli realmente vitali, per non colpire laddove non è strettamente necessario,
utilizzando di conseguenza un numero molto inferiore di risorse (Cenciotti, 2008).
L’obiettivo dei successivi due capitoli(capitolo 2 e capitolo 3) è quello di
comunicare una rivisitazione letteraria su quale fosse la concezione storica e
l’approccio degli antichi condottieri circa l’esperienza e la conoscenza in battaglia.
Già nell’antichità, infatti, la conoscenza era oggetto di studio e di analisi. Nella
filosofia vi erano personaggi come Platone che nel VI secolo a.C. definì la
conoscenza come “credenza dimostratasi vera”. Da Sun Tzu a Vegezio, da
Machiavelli a Clausewitz e Jomini, il capitolo due risalta l’esperienza e la disciplina
di questi grandi della storia militare dal V secolo a.C. al XIX secolo.
Concentrando l’attenzione maggiormente nell’esercito americano, quale culla
della Lesson Learned nell’esercito, il capitolo 3, con l’aiuto della letteratura di
Vetock che nel suo libro “Lesson Learned: History of US Army Lesson Learning”
propone una trattazione storica della Lesson Learned fino agli anni ’80, mette in
evidenza l’evoluzione di questo strumento cognitivo nel XX secolo concentrando
l’attenzione sulla I e II guerra mondiale, la guerra in Corea ed in Vietnam.
La trattazione militare sulla Lesson Learned si completa con un’ampia
esposizione nel capitolo 4 su quali sia l’approccio odierno. È data ulteriore
importanza al caso americano a partire dall’ente che si occupa dei processi Lesson
Learned, passando poi alla trattazione del funzionamento del medesimo,
selezionando le definizioni più significative sull’argomento, e presentando infine il
caso italiano e canadese.
La seconda metà della tesi è rappresentata dall’ambito aziendale. La Lesson
Learned in quest’ambito è molto recente, dunque ha presentato non poche difficoltà
nel recuperare materiale rilevante. Ciò che è emerso è riportato nei capitoli 5 e 6.
Con l’aiuto di alcuni studi recenti è risultato che la Lesson Learned ricopre un buon
interesse in aziende, organizzazioni ed enti importanti come il Dipartimento
dell’Energia americano, gli enti aerospaziali internazionali e alcune aziende sia
americane sia europee, con alcuni esempi rilevanti anche nostrani. Viene proposto un
percorso che porta a conoscere le definizioni di alcuni studiosi e aziende, i processi
Lesson Learned più diffusi e il relativo processo con l’evoluzione che ha avuto
nell’ambito manageriale. La trattazione viene eseguita con l’apporto di alcuni
efficaci esempi aziendali che mostra quali siano a oggi gli ambiti più quotati. In
seguito vengono esposte due classificazioni che riguardano i processi, mostrando
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quali sono le sfumature delle diverse tappe del ciclo Lesson Learned, e i processi,
deducendo la tendenza futura della progettazione dei processi Lesson Learned sulla
base dei seguenti fattori: il contenuto, il ruolo, l'orientamento, la durata, il tipo di
organizzazione, l’architettura, la rappresentanza (cioè attributi e formato), la
riservatezza e la dimensione dei processi.
Viene citato il debriefing come strumento efficace per la raccolta(collect)
delle Lesson Learned, e affrontati alcuni problemi dei processi tuttora in uso, come la
difficoltà nel rappresentare le Lesson Learned e l’implementazione con processi
informatici, di cui viene proposta una soluzione che riprende quella adottata in
campo militare. Il capitolo si chiude con le implicazioni delle Lesson Learned al
processo di apprendimento organizzativo.
A completamento della tesi, il capitolo 5 espone due casi aziendali italiani in
cui sono presenti processi per l’utilizzo dell’esperienza dell’impresa.
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Capitolo 1 - L’arte della guerra nel XXI secolo:
note introduttive
Il ruolo della conoscenza e delle informazioni in guerra è stato da sempre
cruciale nell’esito finale tanto da indurre gli storici a riportare nei propri scritti
sezioni importanti sull’argomento. Oggi vi è una guerra serrata nel controllo
dell’informazione. Il driver competitivo attualmente perseguito dalle principali
potenze militari, soprattutto occidentali, è, infatti, l’information superiority (Smith,
2006). La gestione delle informazioni è diventata, pertanto, elemento cruciale sul
campo di battaglia. Altro aspetto critico, a esso intimamente collegato, è dato dalla
gestione e sviluppo della conoscenza che si può creare da queste informazioni.
Infatti, sono nate discipline, come il knowledge management (sia a livello
manageriale che militare), che si dedicano a questo proposito e le cui ricerche sono in
continua espansione.
Negli ultimi decenni in campo militare si sono sviluppate nuove tecniche e
tecnologie che hanno rivoluzionato il modo di “fare la guerra”. Una rivoluzione in
questo senso risiede nel modo di pensare la guerra e riguarda la cosiddetta “guerra
parallela”(Mariani, 2006). Il termine non si riferisce alla raccolta delle informazioni
e d’intelligence necessarie, eseguite in passato, atte a definire un Electronic Order of
Battle (Cenciotti, 2008) contro il nemico. Nella moderna accezione, la guerra
parallela è quella combattuta combinando due importanti addendi: tecnologie
avanzate e il nuovo approccio alla pianificazione della campagna. Oggi si cerca il più
possibile di mirare al cuore del sistema per cercare di farlo “collassare” il prima
possibile limitando l’uso, per quanto possibile, di azioni di combattimento su larga
scala. Si può teoricamente eliminare, infatti, un complicato network difensivo con
una sola missione, purché mirata a colpire il giusto centro di gravità. L’elemento
centrale quindi non è più rappresentato dall’offensiva generale mirante a colpire
indistintamente il sistema avversario per farlo cedere ma in una selezione accurata di
obiettivi da colpire (non necessariamente in termini fisici) in modo da ottenere gli
effetti positivi maggiori. Queste operazioni prendono il nome di Effect Based
Operations o EBO. Esse si fondano, quindi, sulla pianificazione corretta della
campagna andando a selezionare, tra tutti i target, solo quelli realmente vitali, per
non colpire laddove non sia strettamente necessario, utilizzando di conseguenza un
numero molto inferiore di risorse (Cenciotti, 2008). L’EBO è dunque un nuovo modo
di concepire e fare la guerra? Molti episodi bellici, anche lontani nel tempo, sono
stati presi come esempio dagli autori che in varie forme hanno trattato il tema delle
Effects-based Operations, ma nella moderna concezione della sicurezza il concetto
nasce e si sviluppa con i conflitti più recenti, in particolare con la prima guerra del
Golfo nel 1990 (Cenciotti, 2008). Prima di questa data, infatti, i principi alla base
dell’approccio Effects-based pur venendo già parzialmente utilizzati dai comandanti
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militari e dai pianificatori, non erano stati indagati e formalizzati a fondo ed erano
pertanto destinati a un’applicazione meramente intuitiva (Smith, 2006). È palese,
infatti, che chi conduca azioni militari abbia da sempre cercato di ricreare quelle
condizioni che gli permettessero di raggiungere i suoi obiettivi e scopi politici. A tal
proposito basti ricordare le riflessioni sulla guerra elaborate già da Clausewitz, il
quale descriveva chiaramente la guerra in un contesto di ricerca di obiettivi politici,
definendo questi ultimi come il fine di cui la guerra costituiva il mezzo per
raggiungerli, mezzo che non poteva mai essere considerato in modo svincolato dal
suo fine (Von Clausewitz, Della guerra, 2000).
Quello che differenzia lo sviluppo delle più recenti teorie delle operazioni
basate sugli effetti dall’applicazione empirica del passato è in parte legato ai notevoli
sviluppi tecnologici dell’era moderna, che forniscono ai militari nuovi strumenti e
capacità per condurre azioni mirate, quasi “chirurgiche”. Il suo principale elemento
di novità, quello che lo caratterizza, più che nel suo contenuto risiede pertanto
proprio nella sua formalizzazione e sistematizzazione. Nella prima guerra del Golfo,
infatti, vennero alla luce e acquistarono importanza nuovi fattori che consentirono
alla coalizione impegnata in Iraq di raggiungere i propri scopi rapidamente e con
poche perdite di vite su entrambi i fronti, e che progressivamente influenzarono la
taglia, la forma e l’uso delle forze militari, anticipando per molti versi la condotta
delle guerre che si sarebbero svolte in futuro. (Mariani, 2006)
I progressi tecnologici che combinano precisione di ingaggio, tecnologia
stealth e munizioni sempre migliori con sistemi di comando controllo efficaci e con il
rafforzamento delle capacità legate all’acquisizione delle informazioni hanno
contribuito a rendere valido e realizzabile il concetto di EBO. L’architetto di questo
successo è da molti considerato il colonnello statunitense John Warden, che,
all’inizio degli anni ’90 appunto, sviluppò una originale metodologia basata sul
cosiddetto approccio sistemico. Occupandosi di pianificazione operativa alle
dipendenze del Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica americana, egli ebbe
modo di elaborare una sua personale interpretazione del concetto di operazioni basate
sugli effetti e di adattarlo alla pianificazione tradizionale, con l’obiettivo di giungere
ad una più efficace conduzione della campagna militare in Iraq. Una volta terminate
le ostilità i comandanti a capo delle operazioni lo incaricarono di riprendere e
sviluppare ulteriormente il suo concetto originario - ritenuto elemento centrale della
disfatta irachena - focalizzandosi sull’individuazione degli effetti da ottenere per
assicurarsi il raggiungimento di obiettivi strategici di più alto livello, ed il loro
ottenimento attraverso la condotta di azioni militari ben precise.