7
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si è registrato un significativo accrescimento della visibilità dei
Business Angels,
1
soprattutto sul mercato europeo, al punto che essi sono oggi
unanimemente considerati, anche in tale contesto geografico, i principali attori nella
delicata fase di risoluzione della problematica finanziaria nota come “Equity Gap”.
2
Dalla prospettiva del mercato informale del capitale di rischio, numerose iniziative sono
state intraprese per risolvere questo “dilemma”, sia dal lato dell’offerta che della
domanda. Azioni mirate a diffondere la conoscenza del fenomeno sono state organizzate
al fine di attrarre un maggior numero di investitori su questo mercato e svariate categorie
di imprenditori sono state istruite sul come poter accedere più facilmente alle varie fonti
di finanziamento. Contestualmente i Business Angels hanno contribuito in via
continuativa alla sensibilizzazione delle pubbliche autorità sulla necessità di ottenere più
efficaci incentivi fiscali per mettere in moto o alimentare più razionalmente il sistema.
Ciò ha portato il numero dei Business Angels Networks (B.A.N.) a raddoppiare negli
ultimi anni, grazie alla stabilizzazione del numero di reti nei mercati maturi e allo
sviluppo esponenziale delle stesse in quelli di più recente costituzione.
Gli Angel Networks sono divenuti quindi organizzazioni essenziali (per ora
prevalentemente negli USA ed in misura crescente nel Regno Unito, rispetto all’Unione
Europea) per le economie locali e regionali, mettendo a disposizione di investitori ed
imprenditori non solo servizi finalizzati al matchmaking (inteso quale incontro tra
domanda ed offerta in senso lato di capitali, conoscenze, ecc.), ma anche strumenti ad
alto valore aggiunto, utili ad aumentare il potenziale delle opportunità d’investimento.
Nell’ultimo report sui Business Angels pubblicato dall’Economist
3
il Professor Colin
Mason (considerato a livello internazionale una delle massima autorità in materia ed
1
Locuzione abbreviata in questa sede dalla sigla “B.A.” o più semplicemente riassunta
nella terminologia anglosassone dalla parola “Angels”.
2
Vedasi ricerca condotta da Jeffrey E. Sohl per il Centre for Venture Research presso
la University of New Hampshire e lo Statistics Compendium 2006 redatto da E.B.A.N.
3
“Giving ideas wings”, Special Report on Business Angels - The Economist, 16
Settembre 2006.
8
autore di innumerevoli pubblicazioni e ricerche sul mondo dei Business Angels)
dell’Università scozzese di Strathclyde ha stimato che il valore dell’attività dei B.A. sia
compreso nel range 10 - 20 miliardi €, facendo intuire che esso sia non solo ben superiore
a quello riportato dalle principali statistiche di riferimento attualmente disponibili, ma
addirittura quasi analogo a quello relativo al mercato americano.
Una delle ragioni che giustificano questa divergenza di stime è che parallelamente al gap
finanziario sussista anche un notevole gap informativo. Ciò è in parte dovuto anche al
fatto che la natura ed il ruolo dei Business Angels vengono spesso fraintesi dalle
pubbliche autorità europee, le quali non di rado tentano di proporre soluzioni top-down di
dubbia efficacia che originano dall’offerta di fondi governativi piuttosto che supportare
iniziative bottom-up guidate dai reali drivers del mercato.
Perché è essenziale stimolare l’attività d’investimento dei Business Angels? La risposta
risiede proprio nella sopra menzionata constatazione relativa al fatto che, anche in Europa
come negli Stati Uniti d’America, a prescindere dai rispettivi e piuttosto distanti
background, ricerche evidenzino come oggi i B.A. siano la più importante fonte di
finanziamento nelle fasi di vita iniziali delle imprese. A sostegno di questa affermazione,
ed in proposito al citato information gap, si tenga presente che i risultati derivanti dalle
varie ricerche esistenti, fanno riferimento ad una precisamente identificata attività da
parte degli “Angeli”, mentre la parte più corposa della angel activity non viene presa in
considerazione in quanto posta in essere all’esterno dei B.A.N. o dei centri di ricerca.
Al fine di promuovere lo sviluppo di un angel market professionale e vibrante anche in
Europa, a beneficio delle start-up ad alto potenziale di crescita, sta aumentando di
conseguenza anche il numero di iniziative di sensibilizzazione e di pubblicazioni da parte
dei principali players attivi nel panorama dei Business Angels. Queste vanno considerate
quali modalità indispensabili e preferenziali d’invito all’azione nei confronti di tutti gli
altri stake-holders potenzialmente coinvolgibili.
La principale sfida da vincere nei prossimi anni risiederà presumibilmente proprio nel
riuscire a coordinare e a far interagire con efficacia questa miriade di singole e sparse
iniziative, tanto pubbliche quanto private, in modo che la crescita possa divenire e
considerarsi effettivamente sistemica.
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CAPITOLO 1
I capitali di rischio per lo sviluppo
1.1 L’importanza delle start-up tecnologiche nel quadro sistemico dell’innovazione
La colonna portante ed il motore dell’economia europea sono rappresentati da una
miriade di piccole e medie imprese che costituisce la quasi totalità (oltre il 90%) delle
aziende presenti sul territorio ed una forza lavoro di circa 75 milioni di persone.
Tali dati, soprattutto in questo momento storico particolarmente delicato, contribuiscono
a far attirare l’attenzione delle istituzioni in misura sempre crescente sulle stesse PMI ai
fini del perseguimento della crescita economica e di uno sviluppo sostenibile, in
opposizione, coabitazione o magari in sinergia con le prepotenti nuove realtà dei paesi
emergenti (“Cindia” in primis).
Da ciò deriva l’assoluta necessità di creare e rendere efficiente un contesto economico-
sociale atto a favorire la nascita e sperabilmente il proliferare di piccole e medie aziende
contraddistinte da un elevato potenziale di crescita; questa probabilmente rappresenta
l’unica strada da percorrere per continuare a credere di poter riuscire a difendere la
competitività dei vari Sistemi Paese nel medio-lungo termine, nonché raggiungere
contestualmente i traguardi relativi ad occupazione e crescita così come definiti dal
programma di riforma economica della Strategia di Lisbona.
L’affermarsi della Knowledge Society e della globalizzazione, in cui la competitività
viene determinata più dal capitale intellettuale che dagli asset tipicamente tangibili ed in
cui la ricchezza prodotta dai settori tradizionali si sta trasferendo progressivamente ai
paesi in via di sviluppo che con maggior efficacia e rapidità hanno saputo rinnovarsi o
imporsi con le nuove tecnologie (vedasi ancora una volta l’India, Taiwan o realtà di
nicchia come la minuscola Estonia, recentemente definita “la Silicon Valley del Mar
10
Baltico” dal New York Times
4
, capace di donare al mercato mondiale un’invenzione dal
valore di decine di miliardi $ quale Skype), cogliendo le opportunità offerte dal
cambiamento, pone in primo piano e con drammatica urgenza l’indispensabilità di
incrementare gli investimenti in ricerca, sviluppo e formazione continua. Inoltre diviene
imprescindibile l’adottare tutti i mezzi idonei a rendere produttivi gli stessi investimenti,
al fine di presidiare i settori a più alto valore aggiunto ed introdurre innovazioni o
tecnologie cosiddette disruptive o “disgregative” (così definite in quanto epocali rispetto
allo status quo tecnologico), in quelli già consolidati.
Le nuove imprese a base tecnologica (“NTBF”, New Technology Based Firms)
costituiscono la linfa vitale dell’economia del presente e del futuro, proprio in quanto
originano da applicazioni della ricerca più avanzata e pertanto rappresentano un veicolo
fondamentale per trasformare la conoscenza in output destinato al consumo del mercato.
Il fatturato realizzato dalle start-up, in particolare da quelle high tech, non è comunque
l’indice di valutazione più appropriato per determinare l’importanza delle stesse.
Innanzitutto perché i servizi ed i beni prodotti contribuiscono a loro volta in qualità di
input di eccellenza all’innovazione dei processi produttivi delle aziende clienti.
Le nuove tecnologie o i prodotti introdotti dalle giovani imprese di stampo più o meno
accentuatamente avvenieristico fungono infatti da importante stimolo per la crescita
generalizzata (e quindi pure culturale) anche delle imprese di più rilevanti dimensioni
operanti in settori maturi o tradizionali.
Prima della seconda metà degli anni ’90, periodo che coincise con il progressivo formarsi
della prima storica bolla high tech scoppiata il 10 marzo del 2000, la presenza di start-up
ad alta tecnologia era piuttosto rara e limitata principalmente al mercato americano.
L’innovazione scaturiva infatti dai laboratori delle grandi imprese, che gestiva al suo
interno le componenti e risorse del business necessarie a condurre un’idea al mercato.
Negli anni successivi invece, parallelamente all’imporsi delle nuove tecnologie (internet
in primis) e al proliferare di iniziative tech-based da parte di giovani e brillanti menti, le
grandi aziende (quali ad esempio General Electric o Procter & Gamble o altre di
dimensioni anche minori) hanno cominciato a costruire o a far parte di ecosistemi
complessi e di dimensioni internazionali, offrendo in outsourcing opportunità notevoli a
4
Vedasi articolo “Appartamenti d’oro e microchip”, Il Sole 24 Ore, 2 febbraio 2008
11
piccoli imprenditori specializzati, in grado di dialogare ed interagire all’interno della
catena del valore con le business unit delle stesse imprese.
La moderna economia globale si è quindi evoluta secondo logiche di innovazione market
driven, trainata da giovani (soprattutto “mentalmente”) aziende flessibili, market oriented
ed iper-interattive nei confronti di tutti i possibili stake-holders fruitori dei loro output
(siano essi conoscenza, beni o servizi). Ed è proprio la qualità di queste inter-relazioni,
soprattutto con i lead users dotati dell’innata vision ed open mind che permette loro di
capire in anticipo rispetto agli altri come evolverà il mercato e di conseguenza di donare
chances in modo comprensibilmente interessato (tipiche caratteristiche del Business
Angel, anche non imprenditore), che determinerà il risultato del meccanismo innovativo.
Le start-up di stampo high tech diventano pertanto players fondamentali del processo
innovativo ed anello di congiunzione indispensabile tra il mercato ed il mondo
produttivo. Prima del loro consolidamento o eventuale autonoma affermazione sul
mercato (nel caso delle stars), assurgono al ruolo di intermediari imprescindibili nello
studio di nuovi materiali, applicazioni o prodotti, nell’ingegnerizzazione di brevetti o
nell’attrarre investimenti di natura pubblica o privata finalizzati allo sviluppo, in un
contesto imprenditoriale privato o accademico. In questi ambiti le giovani imprese
permettono all’invenzione di sbocciare dal laboratorio di ricerca e di indirizzarsi agli
utilizzatori finali dopo averla trasformata in prodotto; in un circolo virtuoso generano
nuovo valore rendendo pulsante l’ecosistema che va così ad auto-alimentarsi.
Non sono rari i casi in cui le innovazioni “dirompenti” come ad esempio nel settore della
comunicazione i social networking websites quali MySpace, recentemente acquisito per
580 milioni $ dalla News Corp. di Rupert Murdoch, nascano proprio dalla creatività che
le grandi aziende difficilmente posseggono o promuovono al loro interno (salvo casi
eccezionali come Google, “il cui modello di gestione - come sostiene il guru del
management Gary Hamel
5
- è ancora più interessante del suo modello di business, in
quanto promotore di innovazione costante e continua a tutti i livelli
dell’organizzazione”). Quest’ultime (come spesso verificato dalle stesse ex post) sono
consapevoli di non poter gestire internamente, o meglio nell’ambito della propria
struttura centrale, che una minima parte della moltitudine di “promettenti” progetti che
vengono loro presentati. Perciò si stanno dimostrando a poco a poco sempre più
5
Intervento di Gary Hamel al World Business Forum di Milano, 19 settembre 2005
12
disponibili ad esaminarli, esternalizzarli e a mantenerne un monitoraggio sotto la propria
egida, magari mettendo a disposizione delle start-up un ambiente virtuale (tramite cui
eventualmente testare le applicazioni in modo diretto sul mercato) in cui operare.
L’esempio più recente ed eclatante riguarda proprio il rivale per eccellenza di MySpace,
ovvero Facebook, il cui fondatore ha oggi solo 24 anni ed il cui valore si stima essere
attualmente superiore ai 100 miliardi $. Facebook, che ha già soppiantato in breve tempo
MySpace, dispone di una piattaforma tecnologica da cui stanno fiorendo nuove start-up,
evoluzione di gruppi di lavoro nati come autonomi concepitori e sviluppatori di idee.
Questo nuovo tipo di business management ha già portato sociologi ed autori di
prestigiose riviste americane quali Fortune a coniare la locuzione “Facebook Economy”.
6
Queste inizialmente microscopiche start-up di eccellenza, sono sovente costituite da
persone dotate di grande motivazione e skills molto specifici tali da portare non di rado
alla loro acquisizione addirittura da parte di società terze che, traendo beneficio
dall’apertura e trasparenza del mondo virtuale, si accorgono di diamanti nascosti ancor
prima della “casa madre”. L’esempio è ancora fornito dal microcosmo Facebook, che
dopo aver “provocato” numerosi deals generatori di valore, ha indotto la società di
venture capital americana Sand Hill Road-based Bay Partners a stanziare 12 milioni $
per far sviluppare da questi nuovi imprenditori una cinquantina di applicazioni create
dagli stessi su tale piattaforma.
7
Talvolta le start-up crescono così in fretta (soprattutto quelle web-based come le
sopraccitate) da divenire esse stesse, in tempi brevi, grandi aziende consentendo al ciclo
di ripetersi ad uno stadio tecnologicamente ancora più avanzato. Tale ambito operativo,
che nel caso citato prende forma dall’iniziativa di un’unica grande, e allo stesso tempo
giovane, azienda, per svilupparsi con effetto-leva dovrebbe però essere preferibilmente
composto da un gruppo più variegato di realtà, quali centri di ricerca o di trasferimento
tecnologico, imprese multinazionali, università, business angels e soprattutto venture
capitalist. Esso dovrebbe quindi alimentarsi proprio grazie all’interrelazione dinamica tra
i vari soggetti, per mezzo dello scambio di know-how e prodotti, stimolando la crescita
reciproca.
6
Vedasi articolo “The Facebook Economy” di CnnMoney.com del 23 agosto 2007
7
Idem
13
Per le imprese di nuova costituzione e ad elevato contenuto tecnologico l’attrattività del
modello di business, le prospettive di alta redditività nonché le competenze e la
“presunta” affidabilità del management team divengono requisiti indispensabili per
l’ingresso nell’ecosistema dell’innovazione. Ma nella quasi totalità dei casi essi non si
dimostrano sufficienti, a causa della mancanza di fondi necessari a superare le prime fasi
di vita aziendale, che possono rivelarsi talvolta anche ingenti se strettamente connessi ad
esempio ad esigenze di sperimentazione. Le start-up si trovano pertanto a fronteggiare la
delicata situazione in cui è oggettivamente arduo trovare venture capitalist disposti ad
investire o scommettere su progetti innovativi che si trovino ai primi stadi di sviluppo.
Tale situazione è generalmente nota in ambito finanziario come equity gap o funding gap
ed i principali soggetti deputati a risolverla nell’ambito di questo quadro sistemico
risultano essere, ormai quasi in via esclusiva, i cosiddetti Business Angels.
1.2 Il ruolo dell’investimento in capitale di rischio
Il ruolo dell’investimento in capitale di rischio in un moderno sistema finanziario è
rilevante sotto numerosi profili. La possibilità di far ricorso ad operatori specializzati nel
sostegno, non solo monetario, finalizzato alla creazione di valore, consente infatti alle
imprese di poter reperire capitale che può essere profittevolmente utilizzato nelle fasi di
avvio dell’impresa (da cui deriva appunto il termine “start-up”), piuttosto che destinato a
successivi piani di crescita, nuove strategie, acquisizioni aziendali, passaggi generazionali
ed altri processi critici del loro ciclo di vita, come lo sviluppo di nuovi prodotti e nuove
tecnologie, o ancora per il rafforzamento della struttura finanziaria della società.
Nel corso degli ultimi decenni, pur rimanendo invariati i presupposti di fondo, le
caratteristiche dell’attività di investimento cosiddetto “istituzionale” nel capitale di
rischio sono mutate, diversificandosi in funzione del sistema imprenditoriale di
riferimento e del grado di sviluppo dei diversi mercati, offrendo una più variegata
gamma di possibilità di intervento. Di fatto, il comune denominatore rimane
l’acquisizione di partecipazioni significative in imprese, in ottica di medio–lungo
termine, ed il loro conseguente sviluppo, finalizzato al raggiungimento di una plusvalenza
derivante dalla successiva vendita di partecipazioni. Tuttavia la presenza di ulteriori
caratteristiche ha fatto assumere all’intervento in capitale di rischio connotati diversi.
Prendendo in considerazione il panorama industriale italiano, ad esempio, si osserva
14
come esso sia caratterizzato dalla considerevole presenza di imprese di piccole e medie
dimensioni. Tra le caratteristiche principali delle PMI spiccano l’elevato dinamismo e la
capacità di essere flessibili, di sapersi adeguare velocemente ai mutamenti del mercato,
ponendosi, di conseguenza, come auspicabile punto di riferimento per i necessari
cambiamenti strutturali. Questo perché oggi le piccole e medie aziende sono chiamate a
contrastare il declino occupazionale provocato dalle difficoltà della grande impresa
industriale italiana. Uno degli elementi fondamentali per il raggiungimento di questo
obiettivo è proprio la creazione di un sistema finanziario che sia in grado di rispondere
alle necessità di investimento in nuovi progetti oltre che nella formazione del capitale
umano. Quest’ultimo aspetto appare particolarmente rilevante in quanto l’obiettivo del
recupero competitivo del sistema imprenditoriale italiano passa inevitabilmente attraverso
l’alta formazione, necessaria alla realizzazione di prodotti ad elevato valore aggiunto
quali quelli ad alta tecnologia. Le piccole e medie imprese, infatti, non possono più
competere esclusivamente con prodotti maturi o labour intensive, la cui produzione tende
peraltro ad emigrare verso quei paesi che offrono condizioni in termini di costo del lavoro
nettamente più favorevoli. Conseguentemente una transizione decisa in particolare verso
il settore high tech, non può essere affrontata se non attraverso un’elevata disponibilità di
capitali che riescano a garantire la sostenibilità degli elevati costi in ricerca e sviluppo
richiesti dalle produzioni ad alto contenuto tecnologico.
E’ soprattutto all’interno di questo mutato quadro strutturale che si inserisce il duplice
ruolo dell’investitore istituzionale in capitale di rischio, il cui supporto non si esaurisce
nella mera fornitura di capitale ma si quantifica anche nell’offerta di know-how
manageriale che l’investitore mette a disposizione dell’impresa per il raggiungimento dei
suoi obiettivi e si traduce nella possibilità di supporto alla crescita esterna attraverso
contatti internazionali, collaborazioni con aziende operanti nello stesso o in altri settori,
vicinanza a centri di ricerca universitari o privati, con possibilità di accesso notevolmente
più elevate. Il socio istituzionale possiede inoltre una consolidata esperienza su una
molteplicità di diverse realtà imprenditoriali e pertanto beneficia di un’invidiabile know-
how a cui la società partecipata può accedere. Infine, ma non per questo meno
importante, è l’esperienza in tema di exit, a cominciare dall’accompagnamento alla
quotazione in borsa, che si rivela preziosa in un processo intrinsecamente complicato nei
tempi e nelle procedure. A conferma di queste brevi considerazioni, può essere utile
riportare il commento ad un’indagine svolta dall’A.I.F.I. (Associazione Italiana degli
Investitori Istituzionali in Capitale di Rischio), in cui si evidenzia come “alle imprese
15
partecipate da investitori istituzionali siano riconducibili performance economiche
superiori rispetto alle altre realtà imprenditoriali, con un notevole apporto benefico a
livello di sistema”, il quale conferma il contributo fornito dall’attività d’investimento in
capitale di rischio allo sviluppo complessivo del sistema industriale e del tessuto
economico di una realtà territoriale.
1.3 Le tipologie d’intervento: Private Equity e Venture Capital
La tipica classificazione
8
per tipologia di intervento nel capitale di rischio si basa sulla
macro-ripartizione tra le diverse esigenze strategiche dell’impresa, le problematiche ad
esse riconducibili e gli obiettivi di soddisfacimento di queste che si pone l’investitore.
In quest’ottica, tali operazioni di finanziamento possono essere raggruppate e
caratterizzate sulla base di tre principali aree:
• Finanziamento all’avvio
• Finanziamento allo sviluppo
• Finanziamento al cambiamento.
1.3.1 Il finanziamento all’avvio
All’interno di questa categoria sono ricompresi tutti gli interventi il cui obiettivo è quello
di supportare la nascita di una nuova iniziativa imprenditoriale, sia essa ancora nella fase
embrionale (o “seed”) o nelle primissime fasi di avvio, definite anche di “early stage”.
Dal punto di vista dell’impresa, la richiesta di intervento è generalmente riconducibile
all’imprenditore intenzionato a sviluppare una nuova invenzione o a migliorare o
implementare un prodotto o processo produttivo esistente. Nelle operazioni di avvio tale
soggetto spesso necessita, più che di un contributo in termini di capitali, di un supporto
nella definizione della strategia imprenditoriale e nell’analisi della propria posizione
competitiva all’interno del mercato nei confronti dei competitors, siano essi potenziali o
8
A.I.F.I.; “IL Capitale di Rischio: Le tipologie tipiche di intervento nel capitale di
rischio”, 1986-2003.