D. Hartman
5
Nato nel 1931 nel quartiere Brownsville di Brooklyn, New York, David
Hartman frequentò la Yeshiva Chaim Berlin e la Lubavitch Yeshiva a New
York.
Dal 1951-53 frequentò la Yeshiva University. Nel 1953, dopo aver
studiato con Rabbi Joseph B. Soloveitchik, ricevette la sua ordinazione
rabbinica dal Seminario Teologico Rabbi Isaac Elhanan presso la Yeshiva
University.
Dal 1953-1956, sempre presso la Yeshiva University, ottenne la sua
Post-rabbinic fellowship. Continuò a studiare con Rabbi Soloveitchik fino al
1960 e allo stesso tempo si preparava per la licenza (M.A.) in Filosofia con
Robert C. Pollock alla Fordham University
2
, licenza che ricevette nel 1959.
Dal suo maestro Soloveitchik, Hartman imparò che il giudaismo
halakico può essere integrato con un profondo rispetto per il sapere,
qualsiasi sia la sua fonte. Dal Prof. Pollock imparò a celebrare con gioia la
diversità dei ritmi spirituali presenti nell’esperienza americana.
Dopo aver prestato servizio come rabbino della congregazione
Anshei Emet nel Bronx, New York dal 1955 al 1960, David Hartman
divenne il rabbino della congregazione Tiferet Beit David Jerusalem a
Montreal dal 1960 al 1971. Mentre era a Montreal, dal 1965 al 1968, ha
insegnato e studiato alla McGill University dove ottenne il suo dottorato in
Filosofia nel 1968 con il Prof. C. Perelman.
Nel 1971 fece la sua alijjah in Israele con sua moglie e i cinque figli
ed entrò a far parte del Dipartimento di Filosofia Ebraica alla Hebrew
University di Gerusalemme.
Hartman ha fondato lo Shalom Hartman Institute nel 1976,
dedicandolo alla memoria di suo padre che era nato nella Città Vecchia di
Gerusalemme. L’Istituto, che affonda le sue radici nel giudaismo
tradizionale, è un centro di studi superiori sull’ebraismo, un think-tank che
si occupa di ricerca sulle questioni importanti che il popolo ebraico deve
affrontare oggi.
Il lavoro di Hartman sottolinea l’importanza della rinascita dello Stato
d’Israele - la sfida oltre che alle opportunità che offre al giudaismo
2
La Fordham University è stata fondata sotto gli auspici della Santa Sede e ha beneficiato
dell’insegnamento di molti membri dell’ordine dei Gesuiti.
D. Hartman
6
contemporaneo
3
. Una di queste sfide è quella della difficoltà di riunire gli
ebrei che provengono da diversi retaggi ideologici, così da formare una
nazione che funzioni. I suoi insegnamenti prendono la loro linfa dalla
tradizione del giudaismo ortodosso
4
e sottolineano il pluralismo religioso
che esiste tra gli ebrei e nelle loro relazioni interreligiose. Questo spirito di
tolleranza è al centro della filosofia di Hartman e al centro degli studi svolti
allo Shalom Hartman Institute.
Nel delineare il pensiero di Hartman, abbiamo deciso di mettere in
luce solo alcuni aspetti del suo pensiero. Un’ educazione decisamente
ortodossa a contatto con idee filosofiche e religiose diverse, gli ha fornito
una visione della peculiarità del giudaismo e gli ha permesso un’
esposizione della filosofia ebraica in dialogo con la filosofia occidentale.
E, infine, notiamo la sua preoccupazione di vedere applicati i principi
del giudaismo in uno stato moderno come Israele e di mostrare come il
giudaismo abbia la capacità di affrontare le sfide del mondo
contemporaneo.
Analizzeremo come la prospettiva teologica e politica di Hartman si
rapporti alle posizioni di Yeshayahu Leibowitz
5
e di Joseph B.
Soloveitchik
6
, entrambi oggetto dell’analisi dell’autore e con i quali è
3
Y. Leibowitz critica severamente questa visione di Hartman, paragonando questo amore per il
nazionalismo e la rinascita di Israele all’idolatria. CV, 87ss.
4
In David Hartman, Conflicting Visions, Schocken Books, New York, 1990, pp. 83-4 viene
riportata la critica di Y. Leibowitz al saggio di Hartman, Joy and Responsability. Leibowitz
sottolinea l’affinità spirituale di Hartman con Maimonide e J. B. Soloveitchik, due “giganti” del
giudaismo che erano aperti alle sollecitazioni del pensiero umano in generale.
5
Nato a Riga (Lettonia) nel 1903. Durante la guerra civile in Russia nel 1919, la famiglia si
rifugiò a Berlino, dove Leibowitz studiò chimica e filosofia all’Università di Berlino. Ricevette il
suo dottorato nel 1924, passò parecchi anni al Kaiser Wilhelm Institute e poi studiò medicina a
Cologna e a Heidelberg. A motivo delle persecuzioni naziste e alla discriminazione operata
nell’università, ottenne il suo M.D. a Basilea.
Nel 1934 arrivò in Palestina dove cominciò a insegnare chimica alla Hebrew University a
Gerusalemme. Per decenni si è dedicato, in aggiunta alle sue attività propriamente scientifiche nel
campo della biochimica, della neurofisiologia e della filosofia della scienza, ai problemi della
tradizione religiosa ebraica e della nuova realtà socio-politica e israeliana. Si è occupato di
Maimonide e ha tenuto conferenze di filosofia della scienza. E’ sempre pronto ad assumere delle
posizioni controverse in materia di decisioni politiche. Muore nel 1994.
6
Nato il 27 Febbraio del 1903 a Pruzhany, Polonia. Trascorse i primi anni a Hasloviz, Bielorussia
dove suo padre, Mosé, faceva il rabbino. Nel 1925 entrò all’Università di Berlino seguendo i corsi
di matematica e fisica, poi seguì i corsi di filosofia e ottenne il dottorato in filosofia sei anni dopo.
La sua tesi era sul filosofo ebreo neo-kantiano Hermann Cohen (Das reine Denken und die
Seinskonstituerung bei Hermann Cohen, Reuther und Reichard, Berlin, 1932). Nel 1932 emigrò
negli Stati Uniti dove divenne rabbino nella comunità ortodossa di Boston. Nel 1941 succedette a
suo padre come preside della Facoltà di Talmud alla Yeshiva University di New York. Il Rav
rimase alla Rosh Yeshiva per più do 40 anni e ordinò circa 2000 studenti. Nel 1935 venne in
Israele (l’unica sua visita) per ottenere il posto di rabbino capo di Tel Aviv, ma non venne eletto.
D. Hartman
7
sempre in dialogo. Per fare questo esporremo con un minimo di
approfondimento il loro pensiero e le loro opere principali.
Non ritornò più in Israele. Negli anni ‘50 divenne il presidente del comitato sulla Halakhah per il
Rabbinical Council of America (RCA). Una delle sue decisioni più controverse fu quella di
collaborare con i gruppi riformati e conservatori a condizione che non si discutesse di Halakhah o
fede. Viveva a Boston, trattenendosi però da due a tre giorni alla settimana a New York. Muore
nel 1993.
D. Hartman
8
PARTE I
D. Hartman
9
1
Una antropologia del Patto
1. ASPETTI GENERALI
Hartman, teologo ortodosso, sviluppa nelIa sua produzione letteraria
le implicazioni antropologiche della rivelazione, che esaltano l’iniziativa
umana e il senso di autonomia. Centrale, nella sua visione, è la posizione
occupata dalle mitzvot, viste come fondamento per far rivivere il giudaismo
nello Stato d’Israele. Egli affronta questo tema facendo uso della sua
profonda conoscenza della filosofia sia ebraica che occidentale
7
.
Hartman mette subito a confronto la sua visione del giudaismo con
quella che ne ha il mondo occidentale, con il quale è stato da sempre in
contatto
8
. Hartman dichiara che “una delle critiche centrali del giudaismo,
riscontrabile nel mondo occidentale, è quella della sua eccessiva
preoccupazione per la legge.”
9
.
Ed è certo questo il pregiudizio più forte da combattere, quello di
“una preoccupazione per le cose esteriori e per una mancanza di passione
interna”
10
. Sarebbe proprio questo aderire alla formalità esteriore della
Legge che avrebbe, secondo la critica che viene fatta, “ridotto la vita
spirituale dell’individuo e la sua passione per Dio a un ruolo minore e
insignificante”
11
.
7
Tutte le traduzioni dall’inglese sono di chi scrive. Per le citazioni bibliche si sono usate quelle
della versione CEI.
8
Un libro che esamina i rapporti ebraico-cristiani da un punto di vista teologico-filosofico di un
teologo ebreo è: D. Novak, Jewish-Christian Dialogue, A Jewish Justification, Oxford University
Press, New York-Oxford, 1989.
9
David Hartman, A Living Covenant, The Innovative Spirit in Traditional Judaism, The Free
Press, New York, 1985, 1.
10
Ibid. Vedi D. Hartman, Joy and Responsability: Israel, Modernity and the Renewal of Judaism,
Ben Zvi Posner, Jerusalem, 1978 il capitolo sulla Gioia della Torah che intende contrastare
nettamente questo pregiudizio sul giudaismo, i cui punti salienti sono da noi riportati nelle pp. 44-
48.
11
LC, 1. E’ da sottolineare come la visione del giudaismo che più favorevolmente colpisce la
sensibilità occidentale sia quella di Heschel con il suo pathos per Dio e per tutta la tradizione
chassidica.
D. Hartman
10
Ma questo pregiudizio è ben radicato in una teologia che vede nel
giudaismo una concezione teologica che “contrappone il Dio di amore al
Dio della giustizia, la grazia con la legge”
12
.
Su questo stesso piano si poneva Spinoza che vedeva nell’ebreo che
si sottometteva alla Legge un atteggiamento servile. Per Spinoza il
monoteismo biblico significava il più alto grado di purità, dopo essere stato
purificato di tutte le aggiunte storiche di adorazione e di comandamenti
13
.
In contrasto con questo modo di interpretare la Torah e la spiritualità
ebraica, il libro di Hartman vuole tentare di “caratterizzare il giudaismo
come una antropologia del patto che incoraggia l’iniziativa umana e la
libertà e che viene affermata in quanto si crede nella autonomia umana”
14
.
Per Hartman è proprio la mitzvah (comandamento) che fa da
“principio organizzativo” di una vita centrata sull’Alleanza tra Dio e l’uomo
stipulata al Sinai e questa sottomissione alla legge, ben lontano
dall’ingenerare un senso di passività e di rassegnazione nell’uomo, lo
galvanizza, spronandolo a esprimere il meglio della sua capacità
intellettuale e emotiva. Non passività, ma senso di responsabilità per tutto
ciò che concerne l’uomo.
Hartman non intende svolgere la sua tesi su come il giudaismo
possa essere oggi una valida proposta per affrontare la storia
contemporanea mettendola in contrasto con altre prospettive di fede. Egli
intende occuparsi del giudaismo “sempre all’interno dell’esperienza
ebraica”
15
. Non è l’unicità dell’ebraismo che lo interessa, quanto la sua
“particolarità”. Per lui “la tradizione ebraica e il popolo ebraico mediano la
dignità e l’umiltà che derivano dalla piena accettazione della particolarità e
dei limiti umani”
16
. Non c’è in Hartman alcuna pretesa di dimostrare la
superiorità del popolo ebraico e del giudaismo su altre religioni. Egli vuole
solo mettere in luce come “la tradizione possa incoraggiare una direzione
12
Ibid. Vedi su questa contrapposizione E. Urbach, The Sages, Their Concepts and Beliefs,
Magnes, Jerusalem, 1987, cap. XII sulla legge scritta e orale, dove viene commentato anche Paolo
e le affermazioni di Gesù su questo tema.
13
Spinoza (1632-1677) identificava lucidamente e in profondità la nuova realtà politica
dell’Europa e discuteva del suo significato per il destino del popolo ebraico. Come risultato, egli
era critico del retaggio ebraico, sia da un punto di vista filosofico che da quello della modernità.
La sua principale conclusione era che le leggi della Halakhah non erano conformi con la nuova
cultura che si andava affermando.
14
LC, 3.
15
Ibid., 3.
D. Hartman
11
spirituale che ponga l’enfasi sul rapporto che viene alla luce nel patto di
Dio con Israele”
17
.
La tradizione non deve essere il fattore che legittimi a priori e renda
valido il presente, ma bisogna vedere nella tradizione rabbinica il luogo
dove sviluppare una halakhah rispondente alla sfida moderna.
2. METAFORE DEL PATTO
L’antropologia del patto che Hartman suggerisce “situa l’ebreo come
individuo saldamente all’interno di una struttura comunitaria”
18
. Egli
argomenta che “essendo il patto fatto con una totalità di persone e non
con gli ebrei come individui”
19
, l’ampio scopo che dà alla autorealizzazione
spirituale del singolo non può esistere in isolamento da una coscienza
politica comunitaria. Il tipo di vita spirituale basato sul patto sfida l’individuo
a vivere la tensione tra la dignità della sua autonoma individualità e il suo
impegno preciso verso la comunità.
Hartman non è d’accordo con la tradizionale metafora del patto che
si riferisce ai modelli antichi dei patti di vassallaggio
20
. Patti che si basano
su quanto Dio ha fatto per Israele liberandoli dall’Egitto. Diritto, dunque,
che va guadagnato, ed è “guadagnato quando il futuro re può dimostrare
la sua capacità di poter beneficare i suoi nuovi sudditi”
21
.
La sua lettura è radicalmente diversa; infatti presuppone che “Dio
invitò gli Israeliti a partecipare al dramma della costruzione del suo regno
nella storia”
22
. La comunità accetta le mitzvot sia per l’amore verso Dio e
sia perché apprezza il significato del modello di vita prospettato dalle
16
Ibid., 3-4.
17
Ibid., 4.
18
Ibid., 4.
19
Ibid.
20
Per una esposizione sul concetto di alleanza, vedi D.J. McCarthy-G.E. Mendenhall-R. Smend,
Per una teologia del patto nell’Antico Testamento, Marietti, Torino, 1972. W. Eichrodt struttura la
sua Teologia dell’A.T. intorno al tema dell’alleanza quale “categoria” adatta a unificare il
messaggio teologico anticotestamentario.
21
LC, 4.
22
Ibid., 5. Secondo il midrash, la Torah venne offerta a tutte le nazioni, ma solo Israele decise di
accoglierla. Vedi anche bAvodah Zara 2b citato in Urbach, The Sages, op. cit., 327.
D. Hartman
12
mitzvot
23
. Le mitzvot “non sono viste come un prezzo da pagare al Sinai
per la liberazione dall’Egitto, un quid pro quo, ma come un dono che ha
origine nell’amore di Dio”
24
.
La metafora biblica che meglio esprime questo rapporto è quello del
rapporto “tra marito e moglie”
25
. Il matrimonio è un invito a entrare in un
rapporto che è forte e intimo senza abolire l’individualità del singolo.
L’amore della comunità che nasce dal patto con Dio è tale che i suoi
membri non agiscono con una coscienza isolata. La loro auto-definizione
include il loro rapporto con Dio, sia come comunità che come individui, e
pertanto i suoi membri agiscono nel mondo sempre alla presenza di Dio
26
.
Ma il loro rapporto basato sul patto non è una unione mistica con Dio nella
quale la loro individuale auto-coscienza è stata abolita. “Il patto invita alla
responsabilità e alla accettazione dell’alterità di Dio”
27
. Il patto non è
fondato sulla necessità che Dio ci redima dalla nostra condizione umana.
E’ sempre la relazione con un Altro, e mai una unione, che ci libera dalle
problematiche legate alla libertà umana.
Hartman propone una ulteriore metafora per decrivere il patto, quella
di Dio come maestro e gli esseri umani come suoi allievi, metafora che
ottiene favore nel periodo rabbinico
28
. Dio viene presentato come un
maestro che incoraggia i suoi allievi a “pensare per se stessi e assumersi
la responsabilità intellettuale per il modo con cui la Torah va compresa e
messa in pratica”
29
. Il fatto che i rabbini avessero non solo dichiarato finita
l’era della profezia, ma anche insistito che il saggio era posto più in alto
del profeta, sembra suggerire che la comunità avesse un apprezzamento
23
Vedi Mekhilta (ha-hodesh 5); in Italiano, Il dono della Torah, commento al Decalogo di Es 20
nella Mekhilta di R. Ishmael a cura di A. Mello, Città Nuova, Roma, 1982. Vedi anche R.
Fontana, Sinai e Sion, Luogo della sapienza agli uomini, CCEJ-Ratisbonne, 1997, 34-36.
24
LC, 5.
25
Ibid., 5.
26
In D. Hartman, Conflicting Visions (CV), op. cit., p. 27, Hartman scrive: “ Gli ebrei religiosi che
sono profondamente interessati al destino di tutti gli ebrei non devono solo condividere gli oneri
della sopravvivenza ma devono anche sforzarsi di gettare dei ponti spirituali tra gli ebrei. Il senso
di comunità che precede la mitzvah deve anche influenzare l’approccio che uno ha nei confronti
dell’osservanza dei comandamenti. La Halakhah non è rivolta all’individuo singolo ma
innanzitutto all’individuo che è radicato nel destino storico di una comunità”.
27
LC, 5.
28
Oltre a molti brani della letteratura rabbinica, la metafora è presente nella preghiera della
mattina: “Benedetto sei Tu, o Signore, che insegni la Torah al Tuo popolo Israele” ( La Preghiera
quotidiana di Israele a cura di L. Cattani, Gribaudi, Torino, 1990, p. 60).
29
LC, 5.
D. Hartman
13
più elevato del suo rapporto con Dio quando lo vede come maestro che
non come voce autoritaria che detta le sue volontà attraverso i profeti.
A differenza delle metafore che descrivono Dio come re e padre,
quelle di Dio come marito che si prende cura della moglie, del maestro
attento ai bisogni dei suoi allievi, non richiedono la sottolineatura di premio
e punizione come ruolo importante in un rapporto basato sul patto. Non si
tratta di strutture di potere assoluto di un partner sull’altro, ma di strutture
nelle quali “l’integrità di ciascun partner viene riconosciuta e il partner
umano è reso capace di sentire la propria dignità personale e di sviluppare
la sua capacità di agire in modo responsabile”
30
.
3. IL PRIMATO DEL TALMUD
Onde rendere giustizia al modo con cui gli ebrei hanno compreso il
loro rapporto che nasce dal patto con Dio, “è essenziale riferirsi al Talmud
e non solo alla Bibbia”
31
. Per molti secoli ebrei osservanti hanno
considerato la Torah orale (Midrash, Mishnah e Talmud) come altrettanto
valida della Torah scritta (i cinque libri di Mosé, i Profeti e gli Scritti)
32
. E’
opinione comune che entrambe le tradizioni, quella scritta e quella orale,
fossero state comunicate al monte Sinai.
A differenza della Bibbia, il Talmud fa raramente menzione di
interventi diretti di Dio negli eventi contemporanei. Dio, nella Bibbia, “è al
centro del palcoscenico sul quale si svolge il dramma del popolo
ebraico”
33
. Egli guida, punisce, risponde. Egli parla a Israele attraverso il
suo eletto. Nel Talmud, è la comunità, attraverso i suoi maestri, che è
visibilmente al centro del dramma. Eppure, nonostante non ci sia alcun
riferimento a una rivelazione diretta, il lettore che penetra sotto la
superficie delle discussioni talmudiche sempre più si rende conto di
quanto profondamente Dio sia presente e coinvolto in ogni pagina del
Talmud.
30
Ibid., 6.
31
Ibid.
32
CV, 121: “Per Maimonide, Torah differisce da altri sistemi legali. Mentre nomos (legge) si
preoccupa solo del benessere sociale, Torah si occupa anche della conoscenza di Dio, cioè di dare
degli insegnamenti corretti”.
33
LC, 6.